Problemi etici della predizione. Prevenzione della delinquenza precoce
Autori
Cristiano Barbieri
Alessandra Luzzago
Abstract
In criminologia, la predizione e la prevenzione delle condotte delittuose e devianti sono argomenti molto dibattuti. Infatti, se il concetto di prevenzione, a livello teorico, presuppone il ricorso ad ogni mezzo utile per tentare di ridurre il numero dei crimini in ogni fascia di età, pare opportuno chiedersi attraverso quali strategie possa verosimilmente ottenersi un simile risultato. Storicamente, tale riflessione presuppone la consapevolezza sia dei limiti, sia delle conseguenze della stessa profilassi criminologia: limiti perché ogni previsione teorica può essere smentita da un numero di variabili molto ampio che, in ogni momento, può modificare il decorso del comportamento umano; e conseguenze perchè, se la prognosi si rivela errata, possono paradossalmente essere rafforzate, attraverso processi di marginalizzazione ed etichettamento, proprio quelle condotte che si intendevano evitare. D’altra parte, un giudizio preventivo e predittivo presenta implicazioni di diversa natura: tecnica, perché si traduce in interventi più o mirati sui singoli problemi (prevenire un furto in banca è un’evenienza diversa dal prevenire un reato intrafamiliare); normativa, imprescindibile nella misura in cui la vita di un gruppo sociale non può mai fare a meno di regole comunque condivise ed osservate (la sanzione può anche fungere da deterrente se il gruppo dominante vi obbedisce); etica, necessariamente correlata ad un principio di beneficialità (chi ci guadagna a prevenire certi reati? dove sta il vantaggio?). Questo discorso risulta ancor più complesso se riferito a quelle condotte adolescenziali non solo problematiche, poiché espressive di un disagio evolutivo che talora, può assumere un valore anche psicopatologici, ma anche disfunzionali e, perciò, antisociali, perché lesive di quel rispetto dell’altro che la norma richiede ed al contempo impone per garantire la civile convivenza. In questo senso, si parla anche di “delinquenza precoce”, con riferimento ad un comportamento criminoso agito da un minore al di sotto dei 14 anni. Al riguardo, ci si domanda se, in questa fascia di età,“predire” un possibile percorso evolutivo in senso psicopatologico e/o deviante e/o criminoso possa rispondere ad un’esigenza di controllo sociale, peraltro necessario almeno entro certi limiti, oppure ad un bisogno di tutela della salute dell’individuo, che, in tale fase, pone in essere condotte antisociali spesso per ragioni di ordine psico-evolutivo, oltre che sociale. I rischi e i danni di un’opera meramente “oracolare” sono noti e, perciò, non possono trascurarsi, soprattutto laddove è in gioco la formazione della stessa identità personale, che può diventare un’identità irrimediabilmente negativa proprio per una prognosi errata, o comunque abnorme. D’altro canto, considerando il potenziale psichico presente nei soggetti infra-quattordicenni, seppur devianti, ed utilizzabile anche in prospettiva evolutiva, una prevenzione che evitasse lo stigma e mirasse ad una riparazione, o ad un rinforzo, dell’identità personale, parrebbe rispondere ad un’esigenza di contemporanea salvaguardia degli interessi della collettività (tramite la neutralizzazione del rischio di recidiva criminale dei singoli) e del benessere psicofisico individuale (mediante un progetto nel quale l’individuo si ricostruisce interiorizzando valori positivi). Se infatti l’esistenza umana è necessariamente proiettata verso un futuro, del quale si può essere più o meno consapevoli, ma dal quale non si può prescindere, fornire traiettorie di crescita ed indicare percorsi di sviluppo a soggetti infra-quattordicenni antisociali potrebbe rappresentare una forma di intervento preventivo all’origine del quale la dimensione etica permetterebbe di trovare un adeguato equilibrio tra le limitazioni di un’impostazione meramente stigmatizzante e la necessità di promuovere il rispetto e la valorizzazione degli altri.