Alcune considerazioni su natura umana, socialità e prevenzione della criminalità
Autori
Marco Marchetti
Francesca Baralla
Abstract
Accanto alle più classiche teorie sulla “natura umana”, come quelle di Rousseau e di Hume, che vedono da un lato la società come corruttrice di una nostra intrinseca bontà naturale, dall’altro l’essere umano come contrassegnato da un irriducibile tendenza all’egoismo e alla sopraffazione (“homo homini lupus”), da qualche decennio si sta progressivamente imponendo una diversa visione della natura umana che ci vede soprattutto una specie sociale, capace di profonde spinte cooperative e collaborative. Siamo dei mammiferi sociali, così come lo sono gli scimpanzé, gli esseri più vicini a noi nella scala evolutiva. Con loro condividiamo sia gli aspetti positivi della socialità, come la cooperazione e l’altruismo, sia gli aspetti che possiamo considerare negativi quali, ad esempio, le aggressioni di gruppo. È la nostra peculiare socialità che ci ha permesso un maggior tasso di sopravvivenza e di riproduzione. È quindi alla socialità che si dovrebbe guardare con grande attenzione quando si debbono intraprendere dei programmi di prevenzione. Sebbene sia ormai chiaro da tempo che uno dei fattori che possono condurre un ragazzo alla devianza è proprio quello costituito dalla frequentazione di altri pari con analoghi problemi di devianza, paradossalmente, molte delle strategie di recupero si basano invece proprio su interventi che tendono a raggruppare i giovani con problematiche comportamentali. Un motivo degli inaspettati effetti negativi dei programmi basati su interventi di gruppo potrebbe, appunto, essere legato al fatto che, grazie alla nostra sostanziale socialità, noi assimiliamo facilmente le caratteristiche del gruppo cui apparteniamo e utilizziamo i metodi del gruppo, e lo stesso stare in gruppo, per raggiungere uno status maggiore e una maggiore considerazione tra i pari di riferimento, che è poi quello che ci consente un maggior successo riproduttivo. Noi, inoltre, siamo degli animali gerarchici e l’appartenere ad un gruppo non è tanto una libera scelta quanto una necessità legata alla sopravvivenza. Considerare la nostra capacità di assoggettamento potrebbe gettare nuova luce sulle dinamiche di appartenenza, specie in una determinata fascia di età, alle gangs giovanili o, per altri versi, alle sette. Al contempo, da un punto di vista evoluzionistico, non meraviglia che i dati criminologici indichino come un diverso modo di vivere la socialità e di migliorare la fitness, ad esempio attraverso il matrimonio, l’impegno lavorativo o l’allevamento dei figli, porti ad un progressivo abbandono dei comportamenti delinquenziali.