Restrizione della libertà ed espiazione della colpa. La riabilitazione anche come presa in carico del reato
Autori
Cristiano Barbieri
Alessandra Luzzago
Abstract
Il presente contributo intende valutare il significato che può assumere un periodo di restrizione della libertà in OPG nel percorso di elaborazione della colpa in donne autrici di un omicidio a matrice simbiotica. Premesso che con il termine di simbiosi si fa riferimento ad una situazione delle fasi precoci dello sviluppo infantile nella quale manca la differenziazione intrapsichica del neonato dalla madre, si evidenzia come la mancata risoluzione in età adulta di questa problematica psico-evolutiva possa provocare gravi conseguenze sulla salute psichica del soggetto e sul suo comportamento affettivo. Si qualifica come “reato simbiotico” un delitto, in genere violento, che viene motivato da uno stato mentale di tipo fusionale esistente tra la vittima ed il suo aggressore. Questa tipologia criminosa, da un lato, tenta di risolvere la simbiosi tra la prima ed il secondo, mentre, dall’altro, può innescare in quest’ultimo una colpa di natura persecutoria che gli impedisce di elaborare il distacco conseguente alla perdita affettiva e sottendo spesso il suo suicidio in epoca cronologicamente successiva all’omicidio. A titolo esemplificativo, si riporta una casistica di donne degenti in O.P.G. per un omicidio commesso nei confronti di ascendenti e discendenti, le quali, rimesse in libertà, in mancanza di sufficiente elaborazione della colpa e della sottostante fusionalità, si sono suicidate dopo essere ritornate libere. In proposito, si richiamano i contributi della letteratura sui temi della simbiosi e della colpa, nonché di quei tipi di delitti, come il matricidio ed il figlicidio, ad esse ricollegabili. Infatti, pur dando atto che non tutti i casi di matricidio e di figlicidio appaiono motivati da un disturbo mentale presente nell’autore di reato e rilevante nella commissione del medesimo, oppure da una situazione fusionale irrisolta tra la vittima ed il carnefice, i crimini della casistica presentata riconoscono prodromi e dinamiche di tal genere. La comprensione di queste tipologie di reato, quindi, implica necessariamente lo studio delle interazioni inter-generazionali e dell’ambiente familiare nel quale si è formata ed ha vissuto la coppia simbiotica. Infatti, proprio a tale livello, emergono quegli aspetti crimino-genetici e crimino-dinamici che possono assumere rilevanza non solo nella valutazione psichiatrico-forense dell’imputabilità e della pericolosità sociale del reo, ma anche nel suo percorso di trattamento. Questo, del resto, deve consistere non solo nella cura farmacologica e psicologica del suo disturbo mentale, ma anche nella presa in carico continuativa degli effetti intrapsichici prodotti in lui dal reato commesso, perché, se essi non vengono adeguatamente affrontati, sono in grado di provocare conseguenze molto negative, come il suicidio del soggetto. In questi casi, perciò, si sottolinea l’esigenza che l’O.P.G. diventi il luogo nel quale il reo possa iniziare non solo ad affrontare la sua patologia, ma anche ad elaborare il crimine ad essa connesso e la colpa innescata dal delitto, anche se tale percorso deve necessariamente perfezionarsi e completarsi, laddove sia possibile, in quelle strutture territoriali che lavorano in collaborazione con lo stesso O.P.G. In tale prospettiva, un reato di tipo simbiotico pone più che mai il problema di strutturare interventi in rete, per cui la restrizione della libertà in O.P.G. rappresenta il primo momento di un processo che inevitabilmente deve proseguire in altri luoghi e con altri operatori, tutti però attenti a quella dinamica che dalla simbiosi iniziale, attraverso l’omicidio, porta ad una colpa che può tradursi in suicidio, a riprova che l’omicidio ed il suicidio rappresentano “due estremi che spesso si toccano” (Tantalo, 1988).