Eros e thanatos: alle radici della famiglia, della vita e della morte. Una declinazione psichiatrico-forense.
Autori
Anna Palleschi
Claudio De Bertolini
Abstract
Benché qualsiasi omicidio sia un evento tragico, quelli commessi da persone riconosciute affette da un disturbo psichiatrico hanno in genere uno speciale impatto sull’opinione pubblica, che li percepisce come imprevedibili, irrazionali, per certi versi minacciosi. Particolarmente perturbanti sono gli omicidi-suicidi che avvengono all’interno della famiglia, che ognuno di noi vive come rifugio in cui coltivare i propri affetti; ma è proprio in questo rifugio che talvolta non crescono solo i fiori dell’amore, ma anche le mortali bacche di thanatos. Da sempre i poeti sanno che si può perdere il senno per amore o per odio e che non sempre si riesce a ritrovarlo sulla luna né, più modernamente, dagli psichiatri, che tuttavia si sforzano di interpretare questo magma di amore e di odio, di vita e di morte. Vari sono stati i tentativi classificativi che hanno preso in considerazione la patologia psichiatrica del perpetratore, la relazione tra questi e la vittima ed eventuali fattori precipitanti, al fine di aiutare i clinici a stabilire il rischio che tali eventi si verifichino. Accanto a vari casi di figlicidio, un profilo che si è delineato da queste analisi è quello di uomini anziani, depressi, che uccidono le proprie mogli ammalate, di cui si erano sempre presi cura. Scopo del nostro lavoro è l’analisi di un caso di uxoricidio e mancato suicidio giunto alla nostra osservazione psichiatrico-forense, compiuto da un signore settantenne, che non poteva più assistere una moglie ormai demente, non autosufficiente e che entro pochi giorni sarebbe stata ricoverata in una casa di riposo. Al fine di comprendere questo caso sia sul piano clinico che forense abbiamo cercato non solo di evidenziare i segni e sintomi psicopatologici del Periziando codificabili in un disturbo, ma soprattutto di mettere in luce le dinamiche mentali e motivazionali che lo hanno portato a porre fine alla vita della moglie e di valutare quanto tutto ciò abbia inciso sulla sua capacità di intendere e di volere. Dal racconto del Periziando emergeva la storia di un grande amore che non poteva finire, che soprattutto non poteva finire con l’abbandono-tradimento di una moglie inerme. Le dinamiche da lui presentate erano quelle del “né ti posso salvare né ti posso abbandonare” e specularmente del “nec tecum nec sine te vivere possum”. È a questo livello che si è posto il quesito diagnostico differenziale tra un gesto di amore che si fa eutanasia o un’angoscia depressiva che rende l’interessato non imputabile.