«You fool no one…you thought that you could take me for granted». Il delirio: dalla fascinazione dello psichiatra forense ad un nuovo criterio di valutazione dell’imputabilità
Autori
Ermanno Arreghini
Mattia Celva
Abstract
Gli autori intendono porre in questione il comune assunto psichiatrico forense che il delirio nei quadri di paranoia dia luogo perlopiù ad un giudizio di infermità o, più raramente, di semi-infermità, come fosse par excellence il quid psicopatologico di maggior rilievo per considerare esclusa o diminuita la capacità d’intendere e di volere dell’imputato. È innanzitutto importante notare che anche nei moderni manuali diagnostici (ICD e DSM) i criteri definitori del delirio non si discostano dalla matrice fenomenologica stabilita da Jaspers, pur non essendo, se presi singolarmente, dissimili da analoghe esperienze vissute da individui cosiddetti normali. Le scienze cognitive sembrano dimostrare come le caratteristiche cognitive e deduttive degli esseri umani si conformino poco ai canoni della logica classica, avendo piuttosto un “pregiudizio di conferma”, un belief bias che tende a confermare i fatti sulla base delle credenze soggettive e non delle premesse. In particolare, la letteratura scientifica più recente sul delirio, ha indagato alcuni parametri cognitivi, tra cui sembrano particolarmente rilevanti la tendenza a saltare alle conclusioni (JTC: Jumping To Conclusions) e l’inflessibilità della convinzione (belief inflexibility). Altri studi si sono focalizzati sulle relazioni tra il variare della base-line d’ansia ed i pensieri paranoidi e sugli aspetti motivazionali del delirio, così come intuito da Kraepelin nella sua classica trattazione della paranoia. Poste le premesse sopra brevemente riassunte, sembra invero opportuno porre in discussione le “certezze” con le quali, finora, si sia ritenuto che il riscontro, in un soggetto, di una condizione delirante tra quelle oggetto di considerazione in queste pagine, costituisca un indicatore altamente predittivo relativamente alla positiva configurabilità di un giudizio di vizio totale o parziale di mente (artt. 88 e 89 c.p.).