Caratteristiche e atteggiamenti di 201 operatori penitenziari a trent’anni dalla riforma
Autori
Gaetana Russo
Nunzio Cosentino
Silvana Quaglini
Danilo Delia
Patrizia D'Arrigo
Abstract
Ad oltre trent’anni dall’approvazione della riforma penitenziaria si assiste ad un mutamento profondo delle caratteristiche socio-demografiche degli operatori penitenziari, che oggi risultano più attrezzati sotto il profilo culturale, più motivati nella scelta del proprio lavoro, provenienti da contesti socio-economici meno svantaggiati e con una maggiore anzianità di servizio. Tuttavia, a questa maggiore idoneità del personale penitenziario non ha fatto riscontro una maggiore capacità del carcere a svolgere la sua funzione rieducativa, attraverso un graduale superamento delle sue croniche carenze strutturali, quali istituti fatiscenti, sovraffollamento, mancanza di opportunità, carenza di personale, ecc. Questa persistente inadeguatezza ha minato l’applicazione della riforma penitenziaria, traducendosi in un sentimento di profonda sfiducia da parte degli operatori, i quali, soprattutto quelli più giovani e più istruiti, non ritengono che il carcere possa essere efficace, anche se per la maggior parte di essi la riabilitazione resta un ideale valido. Dalle risposte degli operatori si rileva un atteggiamento di sfiducia anche nei confronti delle misure alternative e degli stessi detenuti, i quali vengono percepiti dalla maggior parte dei poliziotti e da circa metà degli operatori del trattamento come soggetti fatalmente destinati a delinquere per le caratteristiche di personalità e le abitudini di vita. La ricerca ha messo altresì in evidenza che quanto più l’operatore penitenziario ha un’ età avanzata ed un più alto livello di istruzione, tanto più l’atteggiamento nei confronti del detenuto e della riforma penitenziaria tende a divenire più favorevole. In definitiva, i dati emersi dalla ricerca testimoniano sostanzialmente il venir meno degli ideali che hanno animato la riforma penitenziaria e sono l’espressione di un modello di società che in una logica di esclusione del disagio e della diversità, tende a considerare il carcere come luogo di segregazione in cui scaricare quelle situazioni problematiche che avverte come minacciose per la propria sopravvivenza.