Il “perfetto chiunque”. Note e riflessioni sul concetto di pedofilia in ambito psichiatrico-forense: tra mito e realtà

Autori

  • Ermanno Arreghini
  • Carlo Andrea Robotti
  • Paola Somenzi

Abstract

Gli autori mettono in dubbio l’idea comune che il pedofilo sia affetto da un grave problema psichiatrico o da un grave disturbo di personalità, sottolineando invece una diversa evidenza. Nella grande maggioranza dei casi un soggetto imputato per un abuso sessuale su minore non mostra alcun profilo di personalità patologico strictu sensu, apparendo come un “perfetto chiunque”, così come indicato nel titolo di questo articolo. Se nel nostro codice penale la categoria del pedofilo è sussunta sotto uno specifico comportamento, cioè quello di ingaggiare azioni a contenuto sessuale con un bambino al di sotto dei quattordici anni d’età (al di sotto dei sedici in casi specifici), nel campo della psicopatologia non disponiamo di una tale stringente ed inequivocabile definizione. Mentre rileviamo la presenza di un comportamento pedofilo in un dato individuo, non possiamo predire quali tratti personologici caratterizzino quel dato individuo e, fatto ancor più importante, addirittura se egli sia affetto da qualche disturbo psichiatrico rilevante sotto il profilo psichiatrico-forense. La nostra esperienza, sostenuta dalla letteratura internazionale, è che un disturbo psichiatrico non è affatto ordinariamente presente, eccetto in qualche raro caso di psicosi maggiore, ritardo mentale o gravi disturbi di personalità con elevati tratti sadici e anti-sociali. Gli autori mettono l’accento anche su un’altra questione importante. Secondo il loro punto di vista il comportamento pedofilo non è esclusivamente un reato sessuale, per quanto la sessualità vi sia coinvolta. Nella grande maggioranza dei casi un imputato di pedofilia è figura di rilievo nella sfera emotiva del bambino, appartenendo al suo ambiente parentale o sociale. In questo modo, questo reato risulta, almeno nell’opinione degli autori, invece correlato alla situazione che fa da sfondo ai casi di circonvenzione d’incapace. Esso reato trae così la sua origine nella relazione tra la vittima-bambino e l’adulto, che manipola la vittima al fine di sfruttare il proprio ruolo dominante. In questa situazione il pedofilo crea un’aura di confidenza e dipendenza nella quale il comportamento sessuale è soltanto uno strumento per raggiungere il proprio scopo, quello di creare un’atmosfera di intimità e prossimità con il bambino, la vittima, lusingandolo e allettandolo in una relazione affatto speciale ed esclusiva. Quello che accade è che mentre il bambino richiede intimità affettiva all’adulto, quest’ultimo gli offre deliberatamente una restituzione ingannevole di questa richiesta, attraverso l’uso manipolativo del comportamento sessuale come fine per rafforzare e marcare questa intimità. Tale insieme di azioni “sessuali” conduce ad un successivo consolidamento della relazione tra bambino e pedofilo, benché appunto in modo distorto e attraverso la sessualità (molto spesso completamente diversa dalla sessualità adulta che il medesimo pedofilo esercita invece in modo completo col proprio partner adulto – moglie, fidanzata, compagna, etc.). Un ulteriore punto è il fatto che attualmente il comportamento pedofilo è generalmente confinato al sesso maschile. Gli autori non hanno una risposta a questa specificità, per quanto tentino  di proporre alcune ipotesi. Una di esse,che tiene in considerazione una prospettiva storica e psicodinamica, suggerisce che un maschio possa avvertire una sorta di invidia nostalgica rimossa, rispetto al ruolo femminile, per gli aspetti connessi all’educazione ed alla crescita di un bambino. Essi verrebbero allora agiti attraverso l’esercizio di un potere sessuale su di lui, così da imporre una sorta di impronta, profonda ed esclusiva, che s’imporrà attraverso il comportamento criminoso.

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Pubblicato

2014-12-15

Fascicolo

Sezione

Articoli