Il contributo psichiatrico forense in tema di “capacità di partecipare consapevolmente al processo”: evoluzione dei criteri valutativi statunitensi e prospettive applicative nella realtà italiana
Autori
Gabriele Rocca
Richard Ciccone
Abstract
La valutazione della capacità di partecipare consapevolmente al processo è uno dei temi di maggior rilievo in psichiatria forense, concretizzando il principio base secondo cui ogni imputato dovrebbe essere in grado di comprendere le accuse che gli vengono poste e di esercitare validamente il proprio diritto di autodifesa. Negli Stati Uniti gli standard valutativi relativi alla capacità processuale sono stati delineati dalla Corte Suprema nella c.d. decisione Dusky, secondo cui i requisiti minimi che un soggetto deve possedere per poter partecipare al processo sono “… una presente e sufficiente abilità di consultarsi con il proprio difensore con un ragionevole grado di consapevolezza e la capacità di comprendere il significato razionale e fattuale del procedimento a cui è sottoposto”. Nel corso degli anni, la giurisprudenza statunitense ha specificato l’estensione e i limiti di tali criteri, ritenendo che un imputato può essere giudicato incapace di partecipare al processo se una preponderanza di elementi di prova dimostra che al momento del processo lo stesso è affetto da una malattia o infermità di mente che lo rende mentalmente incompetente al punto da essere incapace di capire la natura e le conseguenze del procedimento contro di lui o di consultarsi con il proprio difensore in modo adeguato. Alla luce di tali approdi definitori, gli Autori presentano una breve disamina dell’evoluzione della nozione di “competence to stand trial” e della sua valutazione nelle aule dei tribunali nord-americani, analizzando anche i recenti studi empirici in tale ambito. In conclusione viene discusso se alcuni dei criteri valutativi attualmente in uso nelle corti statunitensi possano essere utilizzabili anche nel sistema giudiziario italiano e con quali risvolti applicativi.