Il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili fra cultura, sessualità e distruttività
Autori
Cristiano Barbieri
Alessandra Luzzago
Abstract
Le mutilazioni genitali femminili (MGF) rappresentano un diffuso problema medico-sanitario, dovuto al fatto che, nel mondo, tra i 100 ed i 140 milioni di soggetti di sesso femminile soffrono attualmente le conseguenze cliniche di tali pratiche (O.M.S., 2009); esse costituiscono tuttavia anche una fattispecie di notevole interesse criminologico. In Europa, gli stati che hanno emanato una specifica legislazione sulle MGF sono Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Svezia, Regno Unito ed Italia. Nel nostro paese queste pratiche costituiscono un vero e proprio crimine, perseguito e punito a titolo di reato autonomo dalla Legge 9 gennaio 2006 n. 7 (la c.d. Legge Consolo), la quale, oltre a misure di carattere repressivo-sanzionatorio, tradottesi nell’introduzione di due nuovi articoli nel vigente Codice Penale (il 583-bis ed il 583-ter), prevede anche tutta una serie di attività e di iniziative di tipo informativo-preventivo a tutela delle vittime. D’altra parte, il tema delle MGF si pone all’attenzione della riflessione criminologica non soltanto perché esse sono considerate una nuova fattispecie delittuosa, ma anche perché si sostanziano in una condotta obiettivamente e marcatamente lesiva dell’integrità psico-fisica dell’individuo e del diritto alla tutela della salute delle donne (come ribadito nella III Giornata Mondiale per l’eliminazione delle MGF, tenutasi a Roma il 6 febbraio 2009); L’O.M.S. (2009) le ha comprese tra i “tipi di violenze fondate sul sesso”, alla stessa stregua del traffico delle ragazze, degli abusi sessuali e delle unioni forzate; e la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero delle Pari Opportunità (2009), in Italia, le hanno qualificate nei termini di una “pratica antica, crudele e disumana, non giustificata e non prevista da alcuna religione, condannata in tutti i paesi del mondo...”. Affrontare queste problematiche nella disamina dei reati violenti risulta dunque opportuno, non solo perché la Criminologia deve studiare, prevenire e trattare reati vecchi e nuovi, ma soprattutto perché questa tipologia delittuosa chiama necessariamente in causa la dimensione socio-culturale, oltre che le sfere dell’aggressività e della sessualità umane, con le loro complesse e reciproche correlazioni. Al riguardo, il presente contributo intende prendere in considerazione i rapporti tra società, cultura, sessualità e distruttività che motivano le MGF, facendo riferimento agli apporti delle molteplici discipline che possono essere chiamate in causa per studiare tale reato. In proposito, si fa riferimento alla sociologia del corpo, che studia il ruolo attribuito al corpo umano da un certo tipo di cultura e gli influssi esercitati dalla struttura sociale sulla corporeità della donna; come all’etno-psichiatria, alla luce della quale la problematica rinvia obbligatoriamente all’incontro inter-culturale, ove il corpo dello straniero, per un verso, è destinato a trasmettere codici culturali diversi, mentre, per un altro, è vincolato a portare su di sé i valori della struttura sociale di appartenenza, valori che però non sempre il soggetto ha scelto. La problematica delle MGF viene analizzata in chiave criminologica anche alla luce di quelle discipline scientifiche, come la psicanalisi e l’antropo-fenomenologia, che hanno indagato le possibili correlazioni tra aggressività e sessualità agite “nel” e “sul” corpo umano: per la prima, del resto, il corpo rappresenta il teatro dove si manifestano istinti di vita e di morte, sia nello stesso individuo, che nei rapporti transgenerazionali; per la seconda, addirittura, la corporeità – articolata nella dialettica tra corpo-oggetto (Körper) e corpo-soggetto o corpo-vissuto (Leib) – costituisce una condizione di possibilità della stessa esistenza umana, per cui le MGF decurtano sia la compiutezza dell’incontro antropologico – perché mutilando il corpo-che-ho compromettono anche il corpo-che-sono –, sia la pienezza dell’integrazione interpersonale – perché la vita affettivo-sessuale agita “con” e “nel” corpo viene deprivata di possibilità e di potenzialità. Le considerazioni qui esposte, pur ampiamente fondate sul piano epistemico, si configurano comunque come preliminari, dal momento che tanto la chiarificazione della genesi e della dinamica di tali condotte, quanto la prevenzione delle stesse sul piano socio-culturale implicano inevitabilmente una futura ricerca criminologica sul campo, tenuto conto altresì dell’assenza, a circa tre anni dall’entrata in vigore della legge Consolo, di procedimenti penali, o di sentenze, per questo tipo di reato.