De servo arbitrio - ovvero: le neuroscienze ci libereranno dal pesante fardello della libertà?

Autori

  • Isabella Merzagora Betsos

Abstract

Alcuni neuroscienziati – detti deterministi hard o radicali – pretendono di trarre conseguenze filosofiche, etiche e giuridiche, in particolare conseguenze deterministiche, dalle ricerche neurobiologiche. La domanda che ci si pone in questo lavoro è appunto se la scoperta dei meccanismi cerebrali che si correlano alle nostre scelte e decisioni farà piazza pulita della nostra radicata convinzione di essere liberi. Tra coloro che affermano che le moderne scoperte hanno reso obsoleta l’idea della libertà dell’uomo, e proprio quando è in discussione il delitto, troviamo Greene e Cohen, i quali sostengono che siano i nostri cervelli a commettere reati: noi saremmo innocenti. È l’opzione riduzionista che reputa la mente quale fenomeno secondario del cervello, a cui però può obbiettarsi che noi non siamo “solo” il nostro cervello. Libet e coll. avrebbero dato fiato alla tesi dell’illusorietà dell’agire consapevole dimostrando sperimentalmente che gli impulsi neurologici che danno luogo alle azioni che ci paiono volontarie sono osservabili sperimentalmente circa 200 millesimi di secondo prima della percezione della decisione cosciente da parte del soggetto. Il che però tutt’al più dimostra che la nostra consapevolezza di aver operato una scelta sia successiva alla nostra decisione quando si tratti di azioni o quasi automatiche o di modesto significato o d’impeto, le quali bypassano la volontà cosciente. Oppure le azioni incominciano prima dell’attività cosciente che le riguarda perché siamo già al di là dei confini del patologico. Si ricordi inoltre che stiamo parlando di esperimenti di laboratorio in cui, necessariamente, si chiede ai soggetti di compiere azioni semplici e modestamente significative, che ben poco mobilitano i valori, le credenze, le preferenze del soggetto. Naturalmente tutto ciò che noi facciamo esige un’impalcatura biologica. Però questo dimostra che l’esistenza di un substrato neuronale è una condizione necessaria al nostro agire e al nostro decidere – quella che la filosofia chiama conditio sine qua non –, ma non basta a comprovare che sia una condizione anche sufficiente. Ancora: che vi sia una correlazione fra eventi cerebrali ed eventi mentali significa per forza che i primi causino i secondi? Perché non può essere l’inverso? Ovvero, e soprattutto: correlazione non è causazione. Le posizioni di Greene e di tutti coloro che pretendono di ridurre la scelta morale solamente ad un problema dell’una o dell’altra zona del cervello ignorano un’ulteriore distinzione, quella fra fatti e valori: da una proposizione descrittiva non è possibile passare ad un insieme di norme e valori (prescrizioni). Ricordiamo, poi, che il reato non è un ente naturale bensì culturale. Che vi siano regioni del cervello che si attivano quando si tratta di fare delle scelte si deve senz’altro dare per pacifico, e non si esclude che se ne attivino diverse a seconda se la scelta è “giusta” o “sbagliata”, cioè se corrisponde a quanto si è sedimentato in noi nel corso dell’evoluzione ovvero se collide con esso. Ma questo riguarda la struttura del processo di scelta, non il contenuto, che può essere molto vario. Green e Cohen affermano che la struttura del nostro cervello determinerebbe la “credenza” nella libertà del volere, la quale non è quindi altro se non un’illusione e per di più biologicamente indotta. Ebbene, sono possibili alcune risposte in chiave scettica e metodologica riguardo a queste affermazioni fra cui quella per la quale potrebbe essere viceversa il determinismo “scritto nei nostri cervelli”. Inoltre  l’obiezione dei deterministi hard è quanto di meno scientifico può darsi perché, posta così, è inconfutabile. Le neuroscienze – come tutte le scienze – usano per forza di cose modelli, e modelli riduttivi, per poter indagare; ma i modelli sono appunto solo tali, non sono la realtà, e per giunta non sono il tutto, non possono escludere l’esistenza di ciò che ai loro fini non contemplano. Se il nostro essere non è solo il nostro cervello ma è anche la nostra storia, questo significa pure che non potremo parlare di una libertà assoluta, avulsa dalle nostre esperienze di vita e dagli innumerevoli fattori che ci condizionano, compresi quelli biologici. Di nuovo, però, tutti i fattori che ci condizionano sono appunto “condizioni”, non “cause”, limitano il numero delle possibilità ma – salvo casi estremi – non annullano secondo un principio di necessità le possibilità stesse. Ovvero anche, non è logicamente impossibile assumere una posizione per la quale la causa accresce la probabilità che si verifichi un effetto senza perciò necessitarlo, in cui cioè si possa sostenere che gli eventi siano causati ma non determinati. Infine, non si dimentichi la “duplice natura” degli esseri umani, inseriti nella struttura causale del mondo fisico e nondimeno agenti liberi che causano le loro azioni autodeterminandosi e potendo agire altrimenti.

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Pubblicato

2014-11-19

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Sezione

Articoli