Dylan Dog tra catarsi e meccanismi di difesa: un’analisi criminologica del fumetto

Autori

  • Alessia Battaglia
  • Alfredo Verde

Abstract

Non è la prima volta che rileviamo come la letteratura di finzione possa svolgere una funzione catartica rispetto alle questioni del male e del delitto; e ciò non solo per l’autore, che scrivendo sublima i propri desideri più nascosti e riprovevoli, ma anche per il lettore, che attraverso l’utilizzo di determinati meccanismi di difesa allontana da sé e scongiura le proprie paure. Già Angelini e Verde si erano occupati dell’immagine della criminalità data da Julia, e Francia dei meccanismi di difesa utilizzati per sopravvivere alla prigionia da Perpette The Lifer, nel fumetto di Arkas; ora intendiamo avanzare l’ipotesi che un fumetto possa assolvere alla medesima funzione catartica che hanno avuto i grandi capolavori letterari dostoevskijani o camusiani. In Dylan Dog, infatti, troviamo soddisfatti non solo i nostri desideri di vendetta e di espiazione, ma anche la possibilità di far vivere il criminale che è in noi, e quindi di investire “ossimoricamente” il problema. Allo stesso modo, questo fumetto può spingerci a riflettere sulle nostre paure più recondite, e a elaborare quello che a volte, attraverso la rimozione e il diniego, abbiamo cercato di ignorare.

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Pubblicato

2015-01-27

Fascicolo

Sezione

Articoli