Analisi del comportamento violento in una popolazione di pazienti psichiatrici in Puglia e Basilicata

Autori

  • Roberto Catanesi
  • Felice Carabellese
  • Domenico Guarino

Abstract

Uno studio retrospettivo è stato condotto in quattro servizi psichiatrici pubblici del Sud Italia su tutti i pazienti trattati continuativamente in un periodo compreso fra il 1995 ed il 1999. Il campione è composto da 1582 pazienti, per lo più adulti (il 48,4% è di età compresa fra i 30 e 49 anni), ripartiti quasi equamente fra maschi (49%) e femmine (51%), con un basso livello di istruzione. Le diagnosi più rappresentate sono Disturbo dell’Umore (41,2%), Disturbi Psicotici (27,3%), Disturbi dello spettro ansioso (17,6%); l’11,4% del nostro campione ha fatto un uso di droghe. Prevalgono i pazienti con una lunga storia clinica alle spalle: nel 70% è superiore ai 10 anni. Dopo il primo contatto con i servizi, quasi la totalità dei pazienti ha intrapreso un trattamento farmacologico (84%), e circa un terzo (35,8%) dei pazienti presi in carico dai servizi ha avuto, nel tempo, bisogno di ricovero: la motivazione al ricovero è risultata essere nel 39,5% dei casi aggressività auto-eterodiretta. È emersa un’associazione positiva tra presenza di ricoveri nella storia clinica e verificarsi di episodi di violenza (OR 9.0, IC 95% 7.1 - 11.5; χ2 = 373.7, p < 0.05). Comportamenti violenti emergono nella storia clinica di oltre un terzo (36,3%) dei pazienti del campione, per lo più maschi (67,74%). Si tratta in massima parte di violenza eterodiretta (76,7%); comportamento auto/eterodiretto ricorre nel 9,2%, quello esclusivamente autodiretto nel 14,1%. Disturbo psicotico è la diagnosi statisticamente più ricorrente nei pazienti con comportamento violento. I pazienti psicotici (il 27,3% del campione totale) vi contribuiscono difatti nel 43,3%. Nel sottogruppo di pazienti con comportamento violento la sospensione della terapia sembra essere correlata con episodi di violenza eterodiretta (57,5%) (χ2 = 5,8 con p < 0.05; OR = 1,8 con IC 95% 1,1 – 2,9), anche contro persone (58,1%) (χ2 = 5,5 con p < 0.05; OR = 1,6 con IC 95% 1,1 – 2,4). L’abuso di sostanze costituisce specifico fattore di rischio: compare in una minoranza (11,4%) del campione generale di 1582 pazienti, ma il 79,55% dei soggetti che abusano di sostanze mette in atto un comportamento violento (OR = 8.7 con IC 95% 5.8 – 12.9; χ2 = 162.7 con p < 0.05) specie di tipo eterodiretto (63,1%). Correlazione significativa risulta sia con anamnesi familiare positiva per abuso di sostanze (OR = 13.4, IC 95% 5.2 – 34.3, χ2 = 48.2) che per comportamenti violenti (OR = 7.9, IC 95% 4.0 – 15.2, χ2 = 50.3). L’aver intrapreso sin dal primo contatto con i servizi un adeguato trattamento psicofarmacologico sembra essere un fattore di protezione efficace:solo un terzo dei pazienti in costanza di cure farmacologiche (35,0%) ha, infatti, un’anamnesi positiva per comportamento violento. Lo stesso vale per un buon livello di compliance al trattamento (comportamento violento emerge solo nell’11,95% di questo gruppo di pazienti). Un altro importante fattore protettivo dalla messa in atto di comportamenti violenti è un “buon” adattamento psicosociale; fra quanti, infatti, lo possiedono (il 15,73% dell’intero campione di 1582 pazienti), è risultata bassa l’incidenza di comportamenti violenti (8,83%); sensibilmente più alta, invece, (70,8%) fra i pazienti con un livello di adattamento “scarso o nullo” (l’8,65% dell’intero campione). Anche le relazioni extra-familiari costituiscono un importante fattore protettivo dalla messa in atto di comportamenti violenti. Va segnalato infine come sia stata sporta denuncia solo nell’8% dei casi di avvenuto comportamento violento: nel 3% da parte di parenti e nel 5% da altre persone, soprattutto vicini di casa. Sono state riportate condanne nel 3,5% degli episodi di comportamento violento: in totale 20 condanne.

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Pubblicato

2014-12-18

Fascicolo

Sezione

Articoli