Sebbene quello che oggi definiamo taccheggio sia un tipo di furto presente sin da quando esistono le bancarelle dei mercati con le merci esposte allo sguardo e desiderio del pubblico, attualmente, essendo gran parte del commercio impostato secondo il modello del self-service, caratterizzato allo stesso tempo dall’“invisibilità” del proprietario e dalla massima “visibilità” della merce per maggiormente stimolare e agevolare l’acquisto del cliente, questo tipo di attività predatoria sembra essere in continuo aumento. Tale tipologia di furto sarebbe attuata, secondo dati recenti, da un cliente su otto, per lo più rappresentati da studenti, casalinghe e pensionati, almeno una volta nel corso della propria vita. I costi che ne derivano sono ingenti e in continuo aumento, costi che vengono fatti rientrare nelle cosiddette “differenze inventariabili”.Ripercorrendo quanto riportato in letteratura circa tale fenomeno e dopo aver proposto una loro classificazione del taccheggiatore, scaturita da una recente analisi effettuata su dati forniti loro circa ladri colti in flagranza di reato in due grandi magazzini della provincia milanese, gli Autori espongono alcune riflessioni critiche circa questa “sottocategoria” di furto, constatando, ad esempio, come in ambito giuridico esistano interpretazioni divergenti circa la qualificazione del reato che spaziano dal furto aggravato al reato minore, da punire unicamente con sanzioni amministrative; come le denunce da parte dei commercianti siano rare, prevalendo una loro azione preventiva attraverso l’installazione di apparecchiature di rivelazione e l’assunzione di personale di sorveglianza in borghese i cui costi, oltre il mancato guadagno dovuto ai furti, vengano ricuperati con l’aumento dei prezzi al consumo; come il cliente stesso, danneggiato in quanto costretto a pagare anche quanto altri hanno illecitamente prelevato, tenda ad evitare di denunciare chi vede rubare, sembrando quasi condividere la scelta del taccheggiatore; come le forze dell’ordine abbiano problemi più importanti da gestire. Dall’analisi sembra quindi emergere che il taccheggio non venga percepito tanto come reato, quanto quasi come una “normale” trasgressione, da tutti conosciuta e più o meno tollerata, un tipo di furto che non crea allarme. Il responsabile dell’appropriazione illecita è il pubblico ed è il pubblico che ne paga le conseguenze e in questo senso l’equilibrio sembra ristabilito. Ci si deve chiedere però se un tale atteggiamento non sia anch’esso causa del costante aumento del taccheggio, in quanto le norme esistono, ma non vengono quasi applicate, stimolando così indirettamente alla loro inosservanza. Gli Autori auspicano quindi che vi sia una nuova riflessione criminologica sul fenomeno, attualmente per lo più studiato dalle scienze sociologiche, per discutere se intraprendere misure di politica criminale e quali o se sia unicamente necessaria un’azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica per una maggiore educazione civile a fini preventivi.