Educating across Paradigms and Transformations: Pathways of Meaning in Contemporary Education
Educare tra paradigmi e trasformazioni: Percorsi di senso nella formazione contemporanea
Rita Minello
Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Ferrara (Italy) – rita.minello@unife.it
https://orcid.org/0000-0001-5623-7347
In an era marked by deep social, cultural, and technological transformations, education is called upon to reformulate its paradigms and reconstruct meaningful pathways. This editorial explores the need for a pedagogy that engages with complexity, uncertainty, and the embodied nature of educational experience. Drawing on both classical and contemporary thinkers, it proposes an integrated vision of education grounded in relationship, interpretation, and change. The issue is organised into thematic sections that critically explore the tensions and perspectives shaping contemporary educational practices.
In un’epoca segnata da profonde trasformazioni sociali, culturali e tecnologiche, l’educazione è chiamata a riformulare i propri paradigmi e a ricostruire percorsi di senso. L’editoriale riflette sulla necessità di una pedagogia capace di confrontarsi con la complessità, l’incertezza e la corporeità dell’esperienza educativa. Attraverso riferimenti a pensatori classici e contemporanei, si propone una visione integrata del formare, fondata sulla relazione, sull’interpretazione e sul cambiamento. Il numero si articola in sezioni tematiche che esplorano criticamente le tensioni e le prospettive della formazione contemporanea.
Educational paradigms, Complexity, Sense-making, Embodied learning, Contemporary pedagogy
Paradigmi educativi, Complessità, Costruzione di senso, Apprendimento incarnato, Pedagogia contemporanea
The Author declares no conflicts of interest.
December 30, 2024
December 30, 2024
December 31, 2024
Come si educa in un mondo in trasformazione continua? Una domanda che può apparire tanto semplice quanto radicale, poiché obbliga a interrogarsi non soltanto sui metodi, ma sul senso stesso del formare oggi. L’accelerazione dei cambiamenti culturali, tecnologici, ambientali e politici impone alla pedagogia di uscire dai propri confini disciplinari per confrontarsi con la complessità della vita. Come scrive Edgar Morin (1988), “educare alla complessità” significa accettare l'incertezza, rifiutare la frammentazione del sapere e orientarsi nella pluralità delle logiche. In una società “liquida” (Bauman, 2020) e iperconnessa (Han, 2015; Salerno, 2022), l’educazione non può più essere ridotta a mera trasmissione di competenze, né può rifugiarsi in prescrizioni normative che fingono di rispondere alla mutevolezza del reale.
È proprio in questo contesto che il concetto di percorsi di senso acquista centralità. Educare non vuol dire programmare esiti, ma costruire spazi di significato condivisi, dentro i quali soggetti differenti possano riconoscersi, interrogarsi, cambiare. La formazione, allora, non è un prodotto, bensì un processo in divenire, capace di generare orientamento in mezzo all’instabilità. Si tratta di abbandonare la logica performativa per recuperare quella narrativa ed ermeneutica, in cui il sapere si intreccia con la vita. Questo fascicolo si muove proprio lungo queste traiettorie, accogliendo contributi che, a partire da prospettive differenti, cercano di restituire complessità e profondità al discorso educativo.
Se la formazione ha il compito di orientare dentro la complessità, è necessario riformulare i paradigmi attraverso cui pensiamo l’educazione. In termini kuhniani, un paradigma è più di una teoria: è una visione del mondo, un insieme di assunzioni condivise che definisce cosa è conoscenza e come va trasmessa. Quando i paradigmi si logorano, quando non riescono più a spiegare il presente, diventa inevitabile un cambiamento epistemologico. Oggi, la pedagogia vive proprio questo momento critico: non può più affidarsi ai modelli lineari, efficientisti o standardizzati. Serve un pensiero educativo capace di rileggere la realtà con strumenti nuovi, flessibili, riflessivi. Paulo Freire e Antonio Faundez (1989), nel loro invito a una pedagogia della domanda, ci hanno insegnato che l’educazione è sempre un atto politico e dialogico, in cui l’apprendimento nasce dall’incontro tra soggetti, non dalla trasmissione di nozioni. Jerome Bruner (1991), con la sua enfasi sulla narrazione e sulla costruzione culturale del significato, ha mostrato come il linguaggio sia il primo strumento per dare forma al pensiero. Martha Nussbaum (2006) ci ricorda che l’educazione democratica deve formare menti capaci di pensiero critico e di empatia, contro ogni deriva tecnocratica.
All’interno di questo quadro teorico, il contributo di Gramigna (2025) riscopre nel pensiero agostiniano – rivisitato da Umberto Margiotta – una via ermeneutica alla formazione, in cui parola e interiorità diventano strumenti per comprendere la verità come orizzonte educativo (Agostino, 1973). Una simile esigenza di superamento dei modelli tecnico-funzionalisti attraversa anche la proposta di Caligiuri (2025), che legge la crisi del sistema scolastico italiano come crisi paradigmatica e avanza l’ipotesi di una riformulazione fondata su oralità, algoritmi educativi e una pedagogia della nazione. Nella stessa direzione, Boccacci (2025) mette in scena un’esperienza scolastica che assume il desiderio come forza generativa dell’apprendimento, utilizzando il racconto come dispositivo per una soggettivazione critica e non conformata. Infine, Gargiulo Labriola (2025) ripensa il concetto stesso di competenza, sottraendolo alla logica valutativa e riconfigurandolo in chiave pedagogica come capacità di prossimità, cura e responsabilità, in un orizzonte teorico che intreccia il capability approach con una visione profondamente umanistica dell’educazione.
Se ripensare i paradigmi significa ridefinire le coordinate del sapere educativo, la sezione Singolarità porta questa esigenza sul piano delle situazioni concrete, ponendo il sapere all’interno di una cornice ermeneutica. Non si tratta solo di comprendere che cosa si insegna, ma perché quel sapere ha senso oggi, alla luce di particolari intersezioni del reale che sfuggono alle facili generalizzazioni dei modelli nomotetici. La riflessione sul linguaggio, sull’interpretazione e sull’identità epistemica dell’educazione diventa così un esercizio di rigenerazione teorica, ma, soprattutto, di resilienza di fronte a cambiamenti epocali: ‘resilienza’, non ‘resistenza’, poiché ci si adatta e si sopravvive quando opporsi significherebbe annichilimento.
Nel solco di questa prospettiva si colloca l’analisi di Giangrande (2025), che ripensa la metodologia del debate alla luce dell’ibridazione con l’intelligenza artificiale generativa. Il confronto tra agentività umana e artefatti cognitivi non produce obsolescenza, ma apre a nuove configurazioni pedagogiche in cui l’autenticità del confronto si ricostruisce nell’interazione critica con la tecnologia. Sul versante dei diritti educativi, Salerno (2025) affronta un caso emblematico di esclusione prodotta da automatismi amministrativi: l’attribuzione algoritmica di codici fiscali numerici ai minori stranieri non accompagnati. Il contributo interroga le derive disincarnate della digitalizzazione e invoca un ritorno alla responsabilità umana nei processi educativi, ricordando che l’equità richiede mediazione, non solo efficienza.
Dopo aver interrogato i dispositivi e le derive che modellano il sapere educativo nelle sue forme più singolari, lo sguardo si apre ora ai contesti in cui l’educazione si confronta direttamente con le trasformazioni del mondo. I processi migratori, la crisi climatica, l’irruzione dell’intelligenza artificiale, la radicalizzazione delle disuguaglianze economiche e culturali impongono una ridefinizione profonda del ruolo dell’educazione. Di fronte a un mondo che cambia più rapidamente delle sue istituzioni, la pedagogia non può più limitarsi a mediare il sapere esistente, ma deve divenire essa stessa pratica di cambiamento. Gert Biesta (2010) parla dell’educazione come interruzione: non come adattamento al sistema, ma come possibilità di mettere in discussione ciò che è dato, aprendosi all’inatteso, all’alterità, alla responsabilità. Allo stesso modo, bell hooks (1994) ci invita a considerare la pedagogia come pratica della libertà, capace di trasformare l’oppressione in consapevolezza, e la conoscenza in azione collettiva. Sono visioni che esigono un’educazione attenta ai corpi, ai contesti, alle relazioni di potere che attraversano ogni ambiente formativo. La sezione Abitare il Mondo di questo fascicolo accoglie contributi che affrontano queste sfide. Che si tratti della ricostituzione di comunità educative (Reato & Fedeli, 2025), qualità della vita e affrontare le necessità formative degli adulti (Gabrielli & Benvenuto, 2025), ci troviamo dinanzi a una gestione dei saperi che riflette una pedagogia inquieta, adusa a spazi di marginalità che tuttora toccano non solo coloro che si collocano nelle tradizionali ontologie dell’esclusione, ma costituiscono una marea che ormai investe tutti. Sarà possibile, mentre si rischia di affogare, generare nuove forme di cittadinanza educativa?
Se Abitare il mondo ha mostrato come l’educazione debba confrontarsi con le grandi trasformazioni del presente, è nelle pratiche quotidiane che essa trova il proprio radicamento. Insegnare, imparare, crescere: tre verbi che si declinano in contesti concreti, fatti di relazioni, emozioni, ostacoli, domande. Insegnare, imparare, crescere: tre verbi che si declinano in contesti concreti, fatti di relazioni, emozioni, ostacoli, domande. La formazione non è mai solo trasmissione di contenuti, ma co-costruzione di significati in situazioni reali, vissute. È qui che la pedagogia trova la sua verità più profonda, quella che si misura con la complessità dell’umano. Carl Rogers ha insistito sull’importanza della relazione autentica tra insegnante e studente come condizione per l’apprendimento significativo (Rogers et al., 2014). Vygotskij (1985) ha mostrato come lo sviluppo cognitivo sia intrinsecamente legato al contesto sociale e linguistico. Dewey (1916), dal canto suo, ha fatto della scuola un laboratorio di democrazia e partecipazione. Più recentemente, autori come Daniel Favre (2014) hanno sottolineato il valore delle emozioni, della narrazione, della riflessività come elementi centrali nei processi educativi. Le sezioni Insegnare e Alta Formazione di questo fascicolo mettono in scena queste dinamiche, raccogliendo contributi che valorizzano questo piano dell’educazione come luogo di negoziazione del senso: dove il valore dell’individuo si costruisce nella relazione, dove l’errore diventa occasione di crescita, dove anche la fiaba o il movimento corporeo possono diventare strumenti potenti di apprendimento. Si tratta di riconoscere che la quotidianità educativa non è un semplice “contesto di applicazione”, ma un laboratorio dinamico in cui si plasma, giorno per giorno, la possibilità di diventare umani insieme.
In questo quadro si colloca l’analisi di Parmigiani, Nicchia, Murgia e Pario (2025), che restituiscono la complessità delle pratiche orientative nella scuola secondaria ligure, facendo emergere una molteplicità di voci e percezioni nel primo anno di attuazione delle nuove linee guida. La dimensione relazionale è centrale anche nella ricerca di Chellini, Cantini e Librandi (2025), che mostrano come la fiaba collettiva diventi spazio educativo condiviso, capace di attivare dinamiche affettive e inclusive all’interno della scuola. Un’ulteriore conferma del legame tra benessere e apprendimento si trova nello studio longitudinale di Germani (2025), che dimostra l’impatto del supporto all’autonomia sul soddisfacimento dei bisogni psicologici degli studenti. Questo rapporto tra orientamento, motivazione e didattica si articola anche nella riflessione teorico-pratica di Bonin e Da Re (2025), che reinterpretano la didattica orientativa come atto pedagogico quotidiano. Il valore personale come motore dell’apprendimento è al centro del contributo di Giacomazzi, Cazzaniga e Severgnini (2025), che sottolineano il ruolo dell’affettività nella costruzione della soggettività scolastica. Sul versante della formazione universitaria, De Conti (2025) rilancia il progetto transdisciplinare come via per superare la frammentazione del sapere e riconnettere cultura, educazione e cittadinanza. Le sfide emotive e motivazionali vissute dai docenti in formazione emergono con forza nell’indagine di Amatori, Buccolo e Travaglini (2025), che chiedono alla formazione di accompagnare, più che addestrare. Infine, Cera (2025) affronta il nodo dell’apprendimento permanente in età adulta, interrogando criticamente le cornici internazionali e ponendo la questione del bilanciamento tra formazione umanistica e logiche occupazionali, in una prospettiva che rimetta al centro la dignità e i diritti della persona.
Nel corpo si radica ogni esperienza formativa: conoscere, sentire, apprendere, agire sono atti incarnati, mai puramente astratti. In un’epoca in cui la formazione rischia di ridursi a mera trasmissione digitale di contenuti, occorre tornare a pensare il corpo non come ostacolo, ma come condizione originaria del pensiero. Maurice Merleau-Ponty (1945) parlava del corpo come “vehicule de l’être-au-monde”, luogo di senso e di relazione. Michel Serres (2009) lo definiva pieno di sapere, portatore di una conoscenza tacita che precede e accompagna ogni costruzione intellettuale. David Le Breton (2018), infine, ci invita a considerare la corporeità come cifra della presenza e del riconoscimento, in una società che tende alla disincarnazione. La sezione Corporeità di questo numero raccoglie tre contributi emblematici di questa prospettiva. Il primo (Borelli, 2025) riflette sul ruolo tra apprendimento e corpo nei contesti educativi formali, esaminando la cesura che fa dell’apprendimento scolastico un esercizio puramente cognitivo – ma non cognitivo-incarnato, bensì schiavo di una nozione di mente separata, disgiunta e scorporata dall’elemento materiale. Il secondo articolo (Cereda, 2025) riflette criticamente sulla situazione della chinesiologia in Italia, proponendo un ripensamento epistemologico e curricolare del rapporto tra scienze del corpo e formazione. Il terzo (Giani, 2025) affronta la dialettica tra inclusione ed esclusione nello sport, mostrando come l’esperienza fisica possa diventare occasione educativa o, al contrario, strumento di marginalizzazione. Entrambi i lavori mostrano che ogni educazione è, in ultima analisi, anche educazione del corpo: un corpo che sente, che agisce, che comunica e che costruisce senso nel mondo.
Educare, dunque, non significa semplicemente adattarsi al mondo che cambia, ma contribuire a immaginarlo, interpretarlo, trasformarlo. È un gesto politico e poetico insieme, che intreccia teoria e pratica, corpo e parola, sapere e vita.
Se ogni educazione è, in ultima analisi, anche educazione del corpo, non stupisce che alcune delle prime forme istituzionalizzate di sapere educativo siano nate proprio in luoghi deputati alla cura dei corpi. Il contributo di Gualdaroni (2025) risale alle radici medievali dell’educazione sanitaria, restituendo alle comunità ospedaliere civili e religiose della Padania il ruolo di agenti pedagogici ante litteram. Attraverso una lettura storica attenta, che intreccia fonti documentarie e casi emblematici come la Ca’ Granda di Milano, emerge una visione incarnata della formazione, in cui prassi di igiene, assistenza e trasmissione di conoscenze mediche si configurano come processi educativi profondamente situati. L’ospedale medievale non è solo spazio di contenimento o di cura, ma anche di costruzione di saperi sul corpo e per il corpo: un luogo in cui la corporeità è insieme oggetto e veicolo dell’educazione.
Comprendere l’educazione, oggi, significa anche interrogarsi su come la ricerca abbia costruito – nel tempo e nei contesti – sguardi, priorità e linguaggi. Le rassegne critiche della letteratura raccolte nell’omonima sezione non si limitano a sintetizzare lo stato dell’arte, ma diventano esercizi epistemologici di secondo livello, capaci di restituire l’evoluzione delle domande che animano il sapere pedagogico. In un tempo in cui la frammentazione rischia di indebolire la coerenza dei paradigmi, il gesto della sistematizzazione acquista valore politico e teorico. Mappare, confrontare, riaggregare: operazioni che non servono solo a orientarsi, ma a riaprire i sensi del possibile. Le quattro rassegne qui proposte pongono al centro la giustizia sociale, l’inclusione, la corporeità e la prevenzione della dispersione scolastica, mostrando come la ricerca pedagogica possa ancora assumere la responsabilità di leggere il presente e prefigurare traiettorie trasformative.
All’interno di un panorama internazionale, l’approccio vygotskijano viene ripensato in chiave trasformativa nella mapping review proposta da Morselli & Favaretto (2025), che ricostruisce l’evoluzione della ricerca CHAT, evidenziando le potenzialità emancipative dei modelli di Change Laboratory. Lo stesso orizzonte di giustizia si ritrova nel lavoro di Chiappelli & Leoncini (2025), che indagano le strategie educative per l’inclusione di bambini e bambine con background migratorio e rifugiati, delineando una pedagogia interculturale fondata su politiche integrate e co-creazione comunitaria. In ambito nazionale, Bonaiuti, Bruni, Fanni, Morsanuto, Perrotta & Petti (2025) affrontano il nodo della dispersione scolastica attraverso una rassegna sistematica delle riviste italiane, facendo emergere la necessità di rafforzare l’impianto metodologico e di rilanciare la ricerca educativa come leva di contrasto. Infine, il contributo di Valentini, Vizzini & Minucci (2025) restituisce il corpo in movimento come principio epistemico dell’apprendere nei primi anni di vita, indicando nella dimensione corporea una chiave inclusiva, cognitiva e relazionale ancora troppo trascurata nei contesti scolastici.
È proprio a partire da questa visione integrata e plurale dell’educazione che si articolano i contributi raccolti in questo numero. Le sezioni tematiche offrono percorsi molteplici ma convergenti, capaci di illuminare – da prospettive diverse – le tensioni, le possibilità e le sfide della formazione contemporanea. Dai paradigmi teorici alle pratiche quotidiane, dalle tecnologie emergenti alla memoria storica, dalla corporeità all’inclusione, ogni sezione invita a ripensare l’educazione come spazio di negoziazione, trasformazione e senso.
Che la lettura di questo numero possa offrire non solo spunti di riflessione, ma anche piccole interruzioni fertili, momenti in cui fermarsi, pensare, deviare dal già noto per aprirsi a nuove possibilità educative.
Buona lettura, dunque, e buon cammino nei sentieri plurali della formazione.
Agostino. (1973). De Magistro (U. Margiotta, Ed. & Trans.). Gremese.
Amatori, G., Buccolo, M., & Travaglini, A. (2025). Transversal Skills and Professional Motivation in Qualifying Courses for Secondary School: An Exploratory Investigation. Formazione & insegnamento, 23(1), 7766. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/7766
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Boccacci, D. (2025). Beyond the Threads of action: Reflections on an Experience of Education to Desire through Pinóquio às Avessas by Rubem Alves. Formazione & insegnamento, 23(1), 7774. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/7774
Bonaiuti, G., Bruni, F., Fanni, L., Morsanuto, S., Perrotta, D., & Petti, L. (2025). School Dropout in Secondary Education: A Systematic Review of the Literature in Italian Journals. Formazione & insegnamento, 23(1), 7626. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/7626
Bonin, A., & Da Re, L. (2025). Orientare insegnando: La didattica orientativa tra prospettive teoriche, normative e applicazioni pratiche nel contesto nazionale. Formazione & insegnamento, 23(1), 7792. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/7792
Borelli, C. (2025). ‘At school with the body’, or why it is (still) necessary to reintegrate the body-mind dichotomy in formal educational settings. Formazione & insegnamento, 23(1), 7814. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/7814
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Chiappelli, T., & Leoncini, S. (2025). Breaking Barriers: Literature Review on Educational Strategies to Promote the Inclusion of Children with Migrant and Refugee Backgrounds. Formazione & insegnamento, 23(1), 7627. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/7627
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