La Costituzione e il diritto dovere al lavoro Una rilettura in prospettiva formativa

Autori

  • Giuseppe Bertagna

Abstract

Perché la Costituzione italiana del 1948 è esplicita nel legittimare il diritto al lavoro mentre è reticente nell’affermare per tutti i cittadini il dovere di lavorare? L’autore risponde contestualizzando al suo tempo la scelta costituzionale: impossibile parlare di dovere inderogabile di ciascuno al lavoro se questo è, per
troppe persone, soltanto il luogo dell’alienazione dell’estraniazione dell’uomo. L’autore ricorda, in questo senso, le responsabilità del fordismo che, dividendo i lavoratori in due schiere, quella piccola dei “dirigenti” e quella grandissima dei “dipendenti”, ha esaltato il tradizionale pregiudizio che vede separati l’otium
dell’intelligenza e della soddisfazione per pochi e il negotium della stupidità e della fatica volgare per tutti gli altri. Un paradigma improponibile, però, nel nuovo contesto della globalizzazione e delle NTCP (nuove tecnologie della comunicazione e della produzione). La fine del fordismo come insuperabile orizzonte dell’organizzazione del lavoro impone, infatti, un sistema formativo che miri alla promozione dei talenti (intesi come la physis) di ciascuno. Il passaggio da una formazione, avevano già compreso Adamo Smith e Tocqueville, che era centrata sull’avere dell’uomo ad una formazione centrata per tutti sull’essere sostanziale, e in questo senso completo e migliore, di ciascuno. Su questo presupposto, conclude l’autore, per rilanciare lo sviluppo del nostro paese, è necessario recuperare la grande tradizione italiana di cui è ancora erede la piccola impresa, quelle delle arti meccaniche, liberali e sociali. Una tradizione che ha sempre voluto che ciascuno fosse sempre e realmente “imprenditore di se stesso”.

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Pubblicato

2017-11-24