Formazione & insegnamento, 23(S1), 8141

Beyond Disabilities: Rethinking Talent in Life Transitions

Oltre le disabilità: Per una rilettura del talento nelle transizioni di vita

ABSTRACT

This contribution aims to move beyond the conception of talent as giftedness or innate endowment, framing it instead as the outcome of the interaction between individual intentionality and environmental factors across the lifespan. By shifting the focus from the identification of individual talent to the collective responsibility for its development, an operational proposal is outlined for the school context, along with a reinterpretation of the Individualized Education Plan (IEP) as a tool capable of fostering talents in students with disabilities within a relational and inclusive framework. Finally, drawing on the proposal of an estimation of potential, which underscores the need for an epistemological shift in how talent is observed and recognized, the paper presents a theoretical and critical reflection on talent in conditions of disability during adulthood, and proposes an educational profile for its promotion throughout the life course.

Il contributo intende superare l’accezione del talento come giftedness o dono innato, inquadrandolo come risultante dell’interazione tra intenzionalità individuale e fattori ambientali in tutte le età della vita. Spostando l’attenzione dalla mera identificazione del talento individuale alla responsabilità collettiva per la sua maturazione, viene delineata una proposta operativa per il contesto scolastico e una rilettura del Piano Educativo Individualizzato come strumento in grado di lavorare sul talento degli alunni con disabilità in un’ottica relazionale e inclusiva. Infine, rifacendosi alla proposta di un’estimation of potential, che rende manifesto il bisogno di un ribaltamento della prospettiva epistemologica con cui viene osservato e riconosciuto il talento, è presentata una riflessione teorico-critica sul talento in condizioni di disabilità nell’età adulta, formulando un profilo formativo per la sua promozione lungo tutto il ciclo di vita.

KEYWORDS

Estimation of potential, Talent school, Disablement, IEP, Lifelong learning

Estimation of potential, Scuola dei talenti, Disabilitazione, PEI, Lifelong learning

AUTHORSHIP

All authors contributed equally to the conceptualisation and writing of the manuscript. Section 1 (D. Samoylov), Section 2–3 (F. Marotti), Section 4 (D. Samoylov), Section 5 (D. Samoylov; F. Marotti).

COPYRIGHT AND LICENSE

© Author(s). This article and its supplementary materials are released under a CC BY 4.0 license.

ACKNOWLEDGMENTS

This article was published with the support of Fondazione Umberto Margiotta.

CONFLICTS OF INTEREST

The Authors declare no conflicts of interest.

RECEIVED

June 29, 2025

ACCEPTED

July 29, 2025

PUBLISHED ONLINE

September 28, 2025

“Il talento non è tanto qualcosa che si ha quanto qualcosa che si è, e lo si è nella misura in cui lo si forma” (Striano & Oliverio, 2012, p. 22).

1. Il talento come costrutto in transizione

Avere talento non significa essere talentuosɜ. Essere in possesso di una potenzialità non implica infatti il suo riconoscimento, il suo sviluppo e il suo mantenimento nel corso del tempo: il talento non si esplica in maniera naturale negli esseri umani, né può essere considerato in alcun modo come un dono (Margiotta, 2018). È necessario superare la sua concezione romantica come genialità e caratteristica innata, accogliendo invece la valenza formativa della resilienza come dispositivo pedagogico per lo sviluppo del potenziale umano mediante pratiche educative evidence-based e analisi contestualizzate che possano far emergere la circolarità interdipendente tra talento e resilienza (Falaschi, 2022).

La carica generativa del talento, insita in tuttɜ e ciascunə, non è sempre espressa ed estrinsecata verso la sua piena estensione, bensì si tratta del frutto di un lavoro di maieutica che esige un atto educativo continuativo e un atteggiamento di cura agita reciprocamente tra soggetti educativi, che possa estrapolarne il valore intrinseco e coltivarne così le arborescenze applicative (Margiotta, 2019).

Far emergere il talento è un processo esistenziale, nonché formativo, che di frequente non viene valorizzato né detiene la giusta attenzione, in quanto passa in secondo piano rispetto agli obiettivi apprenditivi e ai traguardi di profitto. Esso concerne il divenire dell’essere umano nelle sue varie conformazioni antropologiche, e assume per questo una fattezza culturale pervasiva e implicita che è diffusa nel tessuto sociale e non appare in modo chiaro e univoco a uno sguardo che non è sufficientemente focalizzato. Al contrario, emerge una concezione innatista-naturalista del talento che ne propone una visione puramente genetica, a cui si accosta il tema contraddittorio della meritocrazia, e dunque il conseguimento di un risultato – scolastico o lavorativo – a partire dall’impegno, dallo spirito competitivo e dalla creazione ex nihilo di prodotti valutati positivamente in termini di logica della produttività (Boarelli, 2019): il merito, in particolare, è legato alla performance, e dunque all’esecuzione di una capacità o di una volontà, che manca spesso di attribuire la propria buona riuscita agli scambi interazionali che intercorrono tra corredi genetici e ambienti di sviluppo dei soggetti (Hawkins, 1982; Lewontin, 1998).

Vi è infatti una tendenza a non valorizzare il talento e il suo estro creativo all’interno dei percorsi scolastici (Chaudhari, 2012) né tantomeno nei contesti sociali e aggregativi, in quanto il clima culturale e l’impostazione organizzativa di tali spazi formativi permette soltanto parzialmente di individuare delle opportunità o degli elementi di supporto alla scoperta di idee, atteggiamenti inusuali e abilità impreviste, che possono per l’appunto favorire l’esplorazione del proprio potenziale, preferendo invece un assetto definito come “meritocratico” e un sistema sociale ed educativo basato sugli outcomes e sulla valutazione della dedizione e dell’impegno di chi è in formazione. A ciò si aggiunge l’ipostatizzazione del talento, che lo rende automaticamente un dato consolidato piuttosto che una processualità e una strada da percorrere. Per questi motivi, è necessario ripensare la formazione stessa come pratica intersoggettiva di generatività, al di là del principio di educabilità e dell’enfasi sull’importanza dell’apprendimento (Margiotta, 2015), in modo tale da riformulare le modalità con cui i soggetti in formazione vengono concepiti e approcciati dai soggetti formatori.

Il talento viene solitamente messo in primo piano soprattutto in contesti sportivi, poiché individuare e sviluppare fino al loro pieno potenziale lɜ atletɜ costituisce uno degli obiettivi di figure professionali quali allenatorɜ, manager sportivɜ e policy maker che operano nell’ambito dello sport. Tale tipologia di talento, tuttavia, è di frequente intersecata da istanze competitive e scaturisce da un intento di prevaricazione fisica o performativa: ne è un esempio il long-term modeling dellɜ atletɜ olimpicɜ o paraolimpicɜ, il cui percorso di crescita non ha soltanto delle implicazioni sul proprio rendimento ma anche sul successo professionale dellɜ altrɜ membrɜ del gruppo (Dehghansai et al., 2022). Proprio dalla riflessione accademica sullo sport deriva la proposta di un’estimation of potential (Sedeaud et al., 2025), che rilegge il talento dal punto di vista epistemologico proponendo alcuni aggiustamenti alle attuali modalità di talent identification dalla giovane età alle categorie sportive senior, tra cui: (1) Comprendere e illustrare i fattori che influenzano i primi stadi di prestazione dei talenti. (2) Implementare i modelli di traiettoria delle performance individualizzate. (3) Applicare delle modifiche correttive in base all’età biologica, relativa e formativa. (4) Migliorare l’estimation of potential attraverso un approccio olistico che possa integrare le varie life pathways del soggetto.

Tali indicazioni hanno lo scopo di delineare una direttiva d’azione finalizzata al superamento dello status quo e al contrasto della soggettività intrinseca degli attuali processi di intersezione tra rilevamento e sviluppo dei talenti, mettendo in luce una pluralità di fattori intervenienti e aprendo nuove riflessioni teoretiche con possibili ricadute anche sull’agire socioeducativo.

Il presente contributo intende dunque rifocalizzare l’attenzione della pedagogia del talento in prospettiva lifelong, tenendo conto di esperienze, transizionalità e situazioni ontologiche dissidenti rispetto alla normatività egemonica e alla cosiddetta normalità. L’inquadramento concettuale del talento come estrinsecazione del potenziale che emerge nei contesti di vita curva innanzitutto l’attenzione sul ruolo ricoperto dalla scuola per la sua valorizzazione in un’ottica relazionale, formulando una proposta operativa all’interno di una cornice democratica per porre i talenti al servizio della formazione dellɜ cittadinɜ. Il contributo propone, inoltre, una rilettura del Piano Educativo Individualizzato (PEI) al fine di identificare al suo interno spazi per il riconoscimento e la valorizzazione dei talenti dellɜ alunnɜ con disabilità attivandone le diverse potenzialità. Ripensare le pratiche di costruzione e significazione del talento dal punto di vista delle persone disabilitate (Monceri, 2025; Valtellina, 2025) permette infatti di rivitalizzare in ottica teorico-critica il costrutto stesso del talento, come anche le sue diramazioni socioculturali e gli elementi ambientali che ne favoriscono o, al contrario, ne inibiscono la crescita e la manifestazione sociale. A tale scopo, viene presentata anche una riflessione sul valore della formazione al talento in tutte le età, mettendo in luce la centralità dei contesti di vita e problematizzando la scoperta e la coltivazione del talento in età adulta, anche in relazione a condizioni di disabilità e disabilitazione: l’obiettivo è infatti quello di valorizzare lo sviluppo di tutti i potenziali umani, in modo da proporre delle riflessioni pedagogiche sulla valenza del talento all’interno del ciclo di vita di tutte le persone.

Al fine di condurre questa disamina di matrice analitico-teoretica, nutrita anche dalle esperienze formative e dalle pratiche socioeducative dellɜ autorɜ, sarà tenuto come riferimento primario il pensiero di Umberto Margiotta, che ha rinnovato il discorso pedagogico italiano con una linfa di idee, studi e riflessioni sul suo impianto epistemologico e sull’analisi delle ontologie pedagogiche, con particolare attenzione per il tema complesso della formazione capacitante dei talenti.

2. Una proposta per la scuola dei talenti

Il concetto di talento, proprio per le sfumature che ha assunto nel tempo (Capobianco, 2018; Brazzolotto, 2021), richiede di essere dissodato, al fine di acquisire consapevolezza rispetto a una posizione di conoscenza, qui delineata come prospettiva di fondo: scegliere l’una o l’altra accezione, infatti, conduce a implicazioni differenti.

Se consideriamo, per esempio, la concezione innatista-naturalista, il talento emerge come prerogativa di pochɜ, che è sufficiente attestare senza ulteriori interventi. Una delle ricadute di questa concezione è visibile nella presa in carico delle persone plusdotate (o gifted): ritenendo che non vi sia necessità di azioni mirate (Addesso & Grandone, 2015), lɜ insegnanti alimentano il mito del successo scolastico garantito, che si lega spesso a quello dell’ineluttabile espressione del talento, secondo cui non è necessario alcun intervento perché questo emerga (Pinnelli et al., 2024). Come sostiene Lanfranchi (2020), invece, affinché un talento sia espresso, non essendo legato esclusivamente al quoziente intellettivo e ad abilità dominio specifiche, sono necessarie altre abilità cognitive e metacognitive, ossia dominio generali, che devono essere allenate e stimolate.

Risulta cruciale, pertanto, il ruolo del contesto nel favorirne la manifestazione. In questo passaggio risiede la motivazione che spinge lɜ autorɜ a svincolarsi dalle accezioni che vedono il talento come un dono innato o come giftedness e a connotarlo invece come “potenziale formativo di sviluppo” (Tessaro, 2011). Parlando di potenziale ci riferiamo alle capacità proprie della persona maggiormente sviluppate che costituiscono un’area d’eccellenza nella dimensione intraindividuale (Baldacci, 2002). Quando parliamo di potenziale formativo di sviluppo, tuttavia, aggiungiamo un elemento, quello dell’investimento formativo, che chiama a sua volta in causa il ruolo del contesto (aiuti, esiti attesi, caratteristiche ambientali, ecc.) e dell’educazione affinché il talento possa essere riconosciuto e sviluppato. L’attenzione si sposta dal mero riconoscimento del talento individuale alla responsabilità collettiva nella maturazione dello stesso: il talento, quindi, si configura come frutto della potenzialità del soggetto che risulta dall’interazione tra intenzionalità individuale e fattori ambientali.

In questa prospettiva, ciascun individuo possiede dei talenti che sono differenti sulla base del principio dell’unicità. Si delinea quindi un accostamento tra (educazione al) talento e (educazione alle) differenze (Ruzzante, 2018): in questo risiede l’inclusività del talento, quel valore con cui ciascunə abita i propri contesti di vita (Tessaro, 2012).

Ecco il compito dell’educazione (Ruzzante, 2018): riconoscere, prima, e far germogliare, poi, i talenti di ciascunə alunnə. E la scuola rappresenta un contesto privilegiato per favorire opportunità di crescita personale (Pinnelli et al., 2024), individuando e valorizzando quei talenti di cui l’alunnə dispone e che non rappresentano altro che “traiettorie di formazione possibili” (Striano & Oliverio, 2012, p. 22). In questo senso, la scuola si costituisce come un “laboratorio di democrazia” (Meregalli, 2018, p. 97), rispondendo al principio costituzionale, espresso nell’art. 3, che richiede la rimozione di ogni barriera allo scopo di garantire a tuttɜ lɜ scolari il raggiungimento delle conoscenze e delle competenze fondamentali per essere cittadinɜ (Baldacci, 2025). In questo senso i talenti si delineano come possibilità al servizio del raggiungimento del pieno successo formativo di ciascunə.

Il tema del talento risuona anche nelle Nuove Indicazioni nazionali in cui si legge: “finalità principale della scuola è l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base nella prospettiva dello sviluppo integrale della persona e dei suoi talenti” (MIM, 2025, p. 10). Tuttavia, questa affermazione contiene in sé una certa problematicità che si acuisce nella definizione fornita di talento, “intrinsecamente legato al potenziale cognitivo di ogni alunno” (MIM, 2025, p. 10), il cui attributo cognitivo rimanda a una prospettiva innatista-naturalista di tipo deterministico secondo cui la presenza/assenza del talento delineerebbe lo sviluppo futuro della persona. In quest’ottica, contraria all’affermazione dell’art. 3 della Costituzione italiana sopra richiamato, la scuola avrebbe un margine d’azione limitato, dettato dai punti di partenza dellɜ alunnɜ, riaffermando le diseguaglianze anche in termini di outcomes (Baldacci, 2025). Definire il talento come potenziale cognitivo porta anche ad escludere le non-cognitive skills e le soft skills, che invece lo completano, estendendolo oltre le abilità cognitive di ambito prettamente scolastico (Benetton, 2017).

Come afferma Ruzzante (2018), la scuola ha difficoltà a identificare i talenti, soprattutto quando si tratta di quelli non istituzionalmente accettati, riconoscendo solo quelli che si riferiscono a intelligenze di tipo linguistico o logico-matematico (Benetton, 2017). L’azione educativo-didattica è permeata dal principio della standardizzazione (Hawkins, 1982), che appiattisce la differenza nella rincorsa al raggiungimento di una norma tramite interventi di tipo compensativo (D’Alessio et al., 2015). In linea con la proliferazione delle politiche neoliberiste nel campo dell’educazione (Dovigo, 2023), “attualmente assistiamo ad una prevalenza dell’istanza razionale: l’insegnamento deve mirare all’apprendimento di competenze ben precise, standardizzate, valutabili, stabilite da organismi sovranazionali” (Franceschini, 2022, p. 206). Lo sbilanciamento verso la logica del capitale umano sfuma quello che dovrebbe essere il fine ultimo della scuola, ossia formare persone che possano godere di una vita di qualità (Baldacci, 2016).

Margiotta (2016) ha indicato la via per lo sviluppo di una scuola che voglia cogliere la sfida di “capacitare i talenti promuovendo ambienti di apprendimento traboccanti di qualità” (p. 17): in una prospettiva globale alla formazione, il talento si integra con gli obiettivi di apprendimento per lo sviluppo personale e della comunità (Margiotta, 2016). Proseguendo su questa linea, intendiamo profilare il compito della scuola alla luce della pedagogia dei talenti. Un compito che prende forma in una proposta operativa a tre vie: l’identificazione, la condivisione e l’azione.

  1. L’identificazione dei talenti, da parte dell’alunnə, dellɜ docenti, dell’ambiente familiare e di quello extrascolastico, chiama in causa diverse azioni: in primo luogo, la presenza nell’alunnə di un certo grado di consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza; secondariamente, il ruolo di un’attenta e prolungata osservazione pedagogica in situazioni complesse, che mobilitino cioè ogni intelligenza, senza staticizzarsi sull’una o sull’altra (Pinnelli et al., 2024); infine, un lavoro in rete, che integri le osservazioni effettuate all’interno dei vari contesti di vita.
  2. La condivisione dei talenti personali si lega all’idea vygotskijana secondo cui lo sviluppo – in questo caso la maturazione del talento – avviene in una dimensione interpersonale di socializzazione (Vygotskij, 1973). Questo aspetto può apparire complesso: se ci ostiniamo a pensare al talento come a una spiccata abilità in un campo specifico, come quello sportivo, allora l’idea della socializzazione del talento può sembrare limitata alla sua dimostrazione; cambiando prospettiva, invece, emerge l’importanza della cura delle relazioni e dell’organizzazione di ambienti collaborativi che si sostituiscono a quelli competitivi (Aldi, 2011) proprio nell’ottica del talento come strumento in relazione e di relazione (Benetton, 2017).
  3. L’azione prevede la progettazione di spazi e di percorsi didattici che valorizzino e sviluppino i talenti di ciascunə studente, cercando punti di connessione curricolare. Il primo aspetto da tenere in considerazione è l’autodeterminazione dell’alunnə, che deve essere protagonista nel decidere quali forme di talento sviluppare e in quale direzione. In questo senso, l’azione dellə docente è rivolta alla progettazione di ambienti di apprendimento fertili e di strategie volte alla coltivazione del talento. Diversi studi (Demo, 2016; Cottini, 2017; Ruzzante, 2018) individuano un insieme di strategie in grado di favorire flessibilità e pluralità in una didattica ispirata ai principi dell’Universal Design for Learning (CAST, 2011): la didattica aperta, l’apprendimento cooperativo in piccoli gruppi eterogenei, il peer tutoring, la didattica per problemi, ecc.; identifica, inoltre, le attività che possono essere incrementate per far emergere il talento, fra le quali si annoverano quelle grafico-artistiche, musicali, digitali, motorio-sportive, espressive e teatrali (Tessaro, 2011). In questo senso, quindi, l’Universal Design for Learning si pone come approccio in grado di progettare interventi inclusivi sensibili alle peculiarità di ciascunə studente (Savia, 2018) attraverso il ricorso a una differenziazione a priori nelle modalità di rappresentazione, espressione e coinvolgimento che offre una risposta sistemica alle differenze nel rispetto di ciascunə (Sgambelluri, 2020). 

3. Rileggere il Piano Educativo Individualizzato per una prospettiva inclusiva sul talento

Il talento come risultante dell’interazione tra intenzionalità individuale e contesto rende viva l’intersezione tra i fattori personali e quelli ambientali. Quando questa ha esito negativo, l’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) parla di condizione di disabilità (WHO, 2001). Nell’accostare l’educazione al talento al tema delle differenze, appare naturale porsi una domanda: quale spazio per il talento nella disabilità? Pur volendoci svincolare dalla categorizzazione, che certamente non risulta coerente con l’impronta ideologica assunta, è doverosa una precisazione. Mentre quando facciamo riferimento a persone plusdotate (o gifted), il richiamo al talento è pressoché scontato, se riduciamo la questione alle capacità intellettive di ordine superiore rispetto allɜ coetaneɜ e alla spontaneità con cui si manifestano (Damiani, 2018; D’Alessio, 2018; Marsili, 2024), nel parlare di persone con disabilità incontriamo una certa resistenza. Le rappresentazioni sociali sulla disabilità (Medeghini, 2007; Vadalà, 2011) indirizzano la creazione di basse aspettative che degenerano, da un lato, nella profezia che si autoavvera, dall’altro, nella retorica del supercrip, che rende le persone oggetto di ammirazione poiché, nonostante la loro disabilità, sono riuscite ad avere prestazioni ordinarie (Pacelli, 2022; Medeghini et al., 2015). Allora se è vero che il talento richiama anche alla “capacità di essere impresari di se stessi, di saper valorizzare il proprio talento e di fare le scelte opportune” (Capobianco, 2018, p. 57), tanto più per la disabilità è necessario riflettere sul ruolo del contesto nel riconoscimento e nella valorizzazione dei talenti di coloro che hanno una minore agentività individuale (Tessaro, 2011), ma per lɜ quali diventa fondamentale scoprirli nell’ottica della realizzazione del progetto di vita.

Nella scuola italiana il modello dell’inclusione si realizza attraverso l’adozione di alcuni dispositivi, tra cui il Piano Educativo Individualizzato (PEI), che, in relazione alla proposta operativa a tre vie, diventa oggetto di riflessione allo scopo di essere riletto alla luce della pedagogia dei talenti. Con il Decreto Interministeriale 182 del 2020 è entrato in vigore un unico modello di PEI in chiave bio-psico-sociale, adottato su tutto il territorio nazionale, a cui si accompagna un’uniformità delle procedure. Alcunɜ (D’Alessio, 2011; Medeghini, 2013) considerano il PEI uno strumento ancora legato a una visione riduzionista, piuttosto che sistemica, dell’inclusione sia per le logiche che lo governano, sia per le modalità d’uso: l’adozione di un dispositivo solo per alcunɜ riflette l’implicito della classificazione, che si rende necessaria per garantire l’accesso all’offerta formativa (D’Alessio, 2013); da elemento progettuale può ridursi a “molestia amministrativa” (Fogarolo & Onger, 2019) che grava sullə docente di sostegno; se pensato per lə singolə alunnə non inquadratə in un contesto relazionale può creare una separazione (D’Alessio et al., 2015). Tuttavia, il superamento del PEI può costituire un ulteriore rischio, ossia quello di non considerare le caratteristiche specifiche della disabilità (Ianes & Demo, 2021). La trasformazione del PEI secondo la prospettiva bio-psico-sociale può rappresentare una risposta ai dubbi legittimi emersi, consentendo di assumerlo ancora oggi come elemento di “cerniera” (Chiappetta Cajola, 2007) tra i bisogni di apprendimento individuali e la progettazione curricolare: l’ottica relazionale e contestuale supera la focalizzazione sullə singolə estendendosi alla classe, e coinvolge tutti i contesti di vita dell’alunnə guardando ai suoi punti di forza nel qui ed ora e, con occhio “strabico” (Ianes, 2021), anche dopo la scuola.

Alla luce delle riflessioni esposte, il PEI può configurarsi realmente come strumento operativo per l’identificazione e la socializzazione dei talenti, nonché per il loro utilizzo al servizio dello sviluppo umano, attraverso un’azione formativa che per essere di qualità deve compiere una lettura integrata di talento e contesto (Minello, 2019). Perché il PEI diventi un “progetto di ricerca didattica” (Franceschini, 2020) in grado di orientare inclusivamente le prassi quotidiane in classe, è necessaria un’ulteriore riflessione sulle potenzialità e sui rischi dello stesso rispetto alle tre vie che la scuola può percorrere per essere scuola dei talenti.

Rispetto all’identificazione del talento, il PEI offre diverse possibilità sia per quanto concerne l’osservazione sia per quanto concerne il lavoro in rete. La redazione di questo documento progettuale avviene dopo un processo di osservazione a opera di coloro che hanno in carico l’alunnə, ossia lɜ docenti, l’unità di valutazione multidisciplinare, le famiglie e altrɜ professionistɜ e la rendicontazione delle osservazioni trova spazio in diverse dimensioni del modello: il Quadro informativo (sez. 1) a cura dei genitori o esercenti la responsabilità genitoriale, a cui si aggiunge, solo per il modello della scuola secondaria di secondo grado, Elementi desunti dalla descrizione di sé dello Studente o della Studentessa; Elementi generali desunti dal Profilo di Funzionamento (sez. 2); Raccordo con il Progetto Individuale (sez. 3); Osservazioni sull’alunno/a (sez. 4) relativamente a quattro dimensioni (relazione, interazione e socializzazione; comunicazione e linguaggio; autonomia e orientamento; cognitiva, neuropsicologica e dell’apprendimento). Pertanto la compilazione del PEI è frutto di un lavoro congiunto, mai definitivo: infatti, il processo di osservazione non si conclude con la stipula del PEI ma è possibile revisionarlo attraverso la verifica intermedia e finale, processo che si ripete ogni anno scolastico. Accanto alle potenzialità, è possibile, tuttavia, intravedere anche dei rischi: in primo luogo, la mancanza di stabilità dellɜ docenti in carico presso le scuole, causata dal forte precariato, può ostacolare processi di osservazione rendendola frammentaria; in secondo luogo, quanto riportato nel documento può essere frutto di una valutazione eterodiretta, che non tiene conto del punto di vista dell’alunnə, soprattutto negli ordini di scuola inferiori che non prevedono all’interno del modello uno spazio formale per dar voce allə stessə; da ultimo, queste sezioni potrebbero contenere un elenco di caratteristiche deficitarie che sottolineano ciò che manca rispetto a ciò che c’è (Tessaro, 2011).

In merito alla condivisione, il riferimento è alla peculiarità del nuovo modello di PEI che, ponendo attenzione al contesto, attraverso l’identificazione delle barriere e dei facilitatori (sez. 6) e l’intervento su esso (sez. 7), cerca di realizzare un ambiente inclusivo, quindi fertile alla socializzazione dei talenti. Nonostante si configuri come collante e tenga conto delle caratteristiche contestuali, il PEI, talvolta, può trascurare l’aspetto dell’apprendere insieme, mancando di indicazioni pedagogico-didattiche per garantire, oltre alla presenza in aula, anche la partecipazione e il progresso con lɜ altrɜ (Ainscow, 2003). In questo senso, può crearsi una separazione tra il regolare corso della didattica e la didattica che si rivolge allə solə alunnə con disabilità (Ianes & Demo, 2015), che inibisce l’innesto dei talenti.

Infine, rispetto all’azione, il PEI in quanto documento progettuale descrive gli interventi sul percorso curricolare (sez. 8) indicando le personalizzazioni rispetto alla progettazione, che devono tradursi in obiettivi, strumenti di valutazione, strategie, tempi e attività, in grado di orientare il lavoro in tre direzioni: ciò che per l’alunnə ha valore; il raggiungimento del successo formativo; la piena partecipazione nel contesto d’appartenenza. Il rischio connesso a questi aspetti riguarda la formulazione degli obiettivi che a sua volta può derivare da altre problematiche già menzionate: la definizione di obiettivi minimi, talvolta statici e stabiliti sulla base di una norma da raggiungere, potrebbero aver poco a che fare con l’alunnə con disabilità, per lo più se focalizzati sul qui ed ora, senza avere uno sguardo strabico.

Nel nuovo modello di PEI la dimensione dell’apprendimento risulta trasversale: accanto agli aspetti di tipo cognitivo sono coinvolte anche quelle caratteristiche individuali definite soft skills. Pertanto, oltre alla creazione di ambienti favorevoli alla manifestazione del talento, grazie alla rimozione delle barriere e all’uso flessibile di metodologie che consentano l’attivazione di ciascunə in ottica universale, diventa necessario valutare l’alunnə anche sul piano delle relazioni, della comunicazione e dell’autonomia affinché possa essere progettato, a partire dalle osservazioni contenute nel PEI, un percorso intenzionalmente volto all’acquisizione delle soft skills (Piccioli, 2022).

Concretizzando le potenzialità e contrastando i possibili rischi, il PEI può diventare “Progettazione Educativa Inclusiva” (Piccioli, 2024) in grado di dare – si risolve così l’interrogativo posto – spazio e voce al talento nella disabilità, letta come differenza in relazione, e armonizzarlo nella reciprocità degli sviluppi individuali (Brazzolotto, 2019) per il miglioramento della società (Olivieri, 2017).

4. Rivitalizzare il significato del talento in età adulta

Tenendo a mente la prospettiva lifelong, il talento va dunque inquadrato all’interno dell’epistemologia della formazione. Come scrive Margiotta (2015), è necessario che la categoria della formazione diventi il principio basilare di individuazione del sapere pedagogico al fine di rendere esplicito il valore aggiunto che quest’ultimo apporta all’azione dellɜ educatorɜ all’interno della società globale: il pensiero formativo, infatti, ha una portata trasformativa intrinseca che apre a nuove direzioni esistenziali. L’universo della conoscenza pedagogica è inteso quindi come teoria della formazione, e la formazione stessa come logica della vita: essa è in grado di rispondere ai problemi che riguardano la qualità dei sistemi di relazione e di qualificazione degli esseri umani, assicurando lo sviluppo del potenziale di tuttɜ e ciascunə.

Coltivare il talento, inoltre, aiuta a riscoprire il rapporto complesso che sussiste tra la singolarità della persona e l’interconnessione delle capillarità del mondo, verso una rilettura critica del sapere pedagogico in ottica world-centered (Biesta, 2021) come orientamento esistenziale all’essere nel presente: il mondo dev’essere riportato al centro dell’agire pedagogico per ricalibrare la crescita dei soggetti nella loro relazione con tradizioni, culture e pratiche legate al loro contesto di vita, anche in età adulta, ovvero in situazioni di transizione, esplorazione, radicamento, abitudine e conflittualità con la realtà esterna. In tal senso, il talento è segnato da un rispecchiamento simbolico tra il sé e la sua contestualizzazione, in quanto fa emergere le implicazioni del potenziale soggettivo attivandolo nelle sue manifestazioni culturali e politiche. Essendo una pratica intenzionale, è necessario adottare una prospettiva ontogenetica che possa reinterpretarne i vari intrecci con il tessuto collettivo, che partecipa alla co-creazione del mondo attraverso una rete di rapporti interpersonali.

Imparare a gestire in maniera operativa il talento può inoltre essere una competenza per la vita, in quanto permette di sviluppare un approccio aperto, creativo e comprensivo verso la dimensione complessa della leadership e della cultura organizzativa presente in molti ambienti lavorativi (Davies & Davies, 2011): si tratta di un aspetto trasversale rispetto ad altri ambiti della vita, che potrebbe risultare proficuo per la strutturazione del proprio percorso esistenziale e il raggiungimento efficace di obiettivi. Mettere in evidenza il talento in età adulta può essere una strategia innovativa anche per le learning organizations, tra cui le istituzioni scolastiche, che in questo modo potrebbero migliorare la qualità del sistema lavorativo e della performatività, nonché il benessere di tutti i soggetti coinvolti: Tran e Kelley (2024) hanno proposto, a tal proposito, la Talent-Centered Education Leadership (TCEL), ovvero un modello di human resources management per la creazione di contesti lavorativi che possano essere inclusivi per ciascunə membrə dell’educational staff con conseguenti ricadute positive in termini di apprendimento e formazione olistica dellɜ studenti. Intervenire sul tema del talento nell’amministrazione del personale scolastico può infatti avere delle ripercussioni sulla qualità dell’educazione, sul benessere dellɜ educatorɜ, sugli obiettivi organizzativi e sul rendimento dellɜ studenti stessɜ, poiché si tratta di agire a livello sistemico promuovendo una maggiore realizzazione delle potenzialità personali.

Insegnare a coltivare il proprio talento dovrebbe essere alla base di qualsiasi forma di educazione degli adulti nell’attuale società della conoscenza (Baldacci et al., 2012), in quanto costituisce il nucleo profondo di significato della realizzazione del proprio percorso esistenziale in una situazione di cambiamento perenne e di crisi dello stato sociale, che ha portato a una riscoperta del lifelong learning e dell’interazione dinamica tra processo formativo di tipo formale e informale. Le attuali sfide dell’adultità e dell’anzianità sono difatti sempre più connesse a una ricerca esistenziale di senso, alla comprensione di sé e alla scoperta delle proprie capacità di creatività, resilienza e generatività: rivitalizzare il talento in quest’ottica diventa allora un’esigenza sociale, poiché risponde ad un’urgenza di significato, di valorizzazione delle proprie abilità intrinseche e di soddisfazione personale dovuta all’esplicitazione delle forme autentiche del sé (Margiotta, 2017).

Ciò diventa ancor più rilevante nel caso in cui vi siano delle barriere (istituzionali, sociali, architettoniche, linguistiche, ecc.) che contrastano la piena partecipazione del soggetto all’interno dei contesti pubblici, formativi e interazionali: superare le istanze pregiudiziali e discriminatorie più esplicite è soltanto uno degli obiettivi che concorrono alla co-costruzione di una società equa, aperta e accessibile a chiunque, in quanto l’esclusione presenta anche forme sottocutanee di violenza simbolica (Genova, 2023) e i processi di interpretazione sociale della disabilità mostrano che i servizi di welfare, piuttosto che essere un dispositivo di diritti e inclusione, assumono di frequente una funzione ostativa e, per certi versi, invalidante.

Il paradigma introdotto dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (ONU, 2006) ha delineato delle nuove sfide per il sistema di welfare italiano, intersecandosi con le riforme e i provvedimenti politici che, sin dagli anni Settanta, hanno modificato e revisionato gli assetti delle strutture scolastiche, sociali e associative: eppure, nelle scuole vi è tutt’ora una confusione diffusa tra integrazione e inclusione, allo stesso modo in cui i centri per l’impiego si pongono come servizi di collocamento mirato e i centri diurni sono impostati come spazi dedicati esclusivamente a persone con disabilità – con una conseguente ghettizzazione ed essenzializzazione delle loro esperienze di vita e della loro disposizione nei luoghi pubblici e sociali – . Permane infatti una logica assistenzialistica, tutelante e paternalistica, che perpetua una concezione biomedica delle persone con disabilità e ne determina un ruolo passivo nelle forme di partecipazione e sviluppo di sé, oltre che in dinamiche sociopolitiche di violenza epistemica (Schianchi, 2021).

Le varie prospettive dei Disability Studies e dei Critical Disability Studies risultano dunque imprescindibili per inquadrare con andamento rizomatico l’eterogeneità di situazioni e di derive della mentalità collettiva che concorrono alla modellizzazione e alla rappresentazione sociale della persona disabilitata, problematizzando l’ordine del discorso (Foucault, 1971/2013) e discutendo criticamente le narrazioni egemoniche della realtà, di frequente intrise di stereotipi, immaginari e preconcetti abilisti (Goodley et al., 2018).

A tal proposito, gli strumenti epistemologici della pedagogia speciale, da concepire quale inter-disciplina, trans-disciplina e scienza delle mediazioni e delle differenze (Goussot, 2015), possono diventare utili per la promozione attiva del talento in tutte le età di vita, poiché finalizzati a creare situazioni di incontro, sviluppo reciproco e inclusione, e di conseguenza a generare una formazione attiva e reciproca che, in qualità di processo dinamico e vivo, possa favorire l’espressione delle potenzialità intrinseche di tuttɜ, comprendendo anche le soggettività marginalizzate e quelle che detengono un’agentività minore.

La crisi del welfare, e di conseguenza del learnfare, obbliga a rileggere i fondamenti stessi del sistema socio-economico a partire dalla nozione critica di gifted children (o adult) e dalla teoria del capitale umano (Margiotta, 2018), che comporta strutturalmente una forma di egoismo sociale e rende ancor più necessaria l’attivazione sistematica di percorsi di formazione equi ed efficaci, che possano trasformare l’accesso diffuso ai saperi in un diritto universale e permanente di tuttɜ e ciascunə (Baldacci et al., 2012).

Come scrive Minello (2022), poiché le politiche sociali sono ormai anche politiche formative, culturali e di comunicazione, è necessario ripensare le crisi eterogenee dell’attualità alla luce della loro intersezionalità e della complessità semantica dell’emergenza – nel duplice senso di urgenza stringente e di manifestazione graduale – delle questioni socioeducative: la sfida della ricerca pedagogica sta proprio nell’affrontare in maniera proattiva le varie criticità del presente perpetuando al tempo stesso nuove forme di cultura. Nonostante le conflittualità esistenti, infatti, bisogna contrastare le ingiustizie sistemiche e la violenza epistemica mediante la teorizzazione e la progettazione di azioni formative diffuse che favoriscano l’accessibilità, l’inclusione sociale, l’equità, il rispetto reciproco, il riconoscimento dell’altrə, la risoluzione dei conflitti, la promozione della pace, la consapevolezza e la coltivazione creativa del sé. Il talento è dislocato proprio nel nucleo atavico di tale processo, laddove hanno origine la soddisfazione personale, la realizzazione professionale, la costruzione di reti sociali e il benessere psicofisico: diventa allora prioritario per la dimensione pedagogica, di frequente marginalizzata dall’invadenza di altre esigenze apparentemente improrogabili – tra cui quelle politiche ed economiche – , avanzare nelle situazioni umane caratterizzate dalla complessità e rispondere alle emergenze educative e sociali in termini di innovazione del pensiero e di valutazione critica delle pratiche di formatività messe in atto nelle istituzioni scolastiche e universitarie, nei contesti socio-associativi e socio-assistenziali, nei servizi socioeducativi e in altre realtà formali, informali e non formali di formazione umana (Minello, 2020).

Entra dunque in gioco l’estimation of potential formulata da Sedeaud e colleghɜ (2025) quale dispositivo formativo di rilevazione e strutturazione del talento in tutte le età: si tratta infatti di una postura operativo-interpretativa che, traslata dalla dimensione atletico-sportiva di matrice competitiva, è in grado di rileggere il costrutto dinamico del talento in prospettiva socio-costruttivista, incentivandone i processi di co-realizzazione e di significazione trans-soggettiva. Le persone e gli ambienti esterni costituiscono di conseguenza un conglomerato contestuale attorno al quale è possibile elaborare una nuova teoria formativa del diventare talentuosɜ, nella quale il soggetto è definito da un punto di vista rigorosamente olistico.

Lo stato ontologico della transizione assume un rilievo di primo piano per la comprensione e la valorizzazione del fenomeno del talento in quanto i soggetti sono concepiti in forma mutevole, essendo pervasi da un cambiamento continuo delle proprie diramazioni materiche e delle proprie processualità percettive: essi sono dunque transizionali, perché intrinsecamente dinamici e contrari a un inquadramento identitario rigido e definitivo (Remotti, 2001). Anche i talenti, le (dis)abilità, le conoscenze, i valori e le competenze sono plasmati dalle esperienze e dai vissuti personali, e costituiscono quindi un coagulo di filamenti identitari che si raccolgono intrecciandosi nell’essere umano, che è dunque in uno stato perenne di formazione del sé.

5. Conclusioni

Una delle questioni pedagogiche sollevate dal presente contributo è l’urgenza di individuare in che modo può essere costruito un profilo formativo orientato allo sviluppo creativo e consapevole dei talenti in prospettiva intersezionale e inclusiva. Margiotta (2018) propone di coniugare un nuovo asse formativo che, facendo riferimento al Capability Approach e alla teoria dello sviluppo umano, riprende il progetto, mai del tutto attuato, della “riforma dei cicli”, al fine di garantire allo spazio-scuola un orizzonte culturale, strategico e condiviso di qualità e innovazione. Nelle sue indagini scientifiche egli si è soffermato, in particolar modo, sui dispositivi istituzionali e professionali della ricerca pedagogica, ovvero sul passaggio dalla speculazione alla pragmatica e il rafforzamento della centralità dell’anthropos (Galliani et al., 2022), a cui si affianca l’approccio fenomenologico-critico della pedagogia: tutti questi aspetti di natura epistemologica concorrono senz’altro allo sviluppo stratificato dei talenti, e devono per questo essere tenuti in considerazione all’interno del processo di rivalutazione delle relative pratiche formative e antropopoietiche.

Un ulteriore spunto di riflessione sul tema è stato concesso da Biesta (2021), che riporta l’attenzione dell’agire pedagogico sulla centralità del mondo, inteso come ambiente naturale di crescita e proliferazione degli esseri umani, delle loro idee e delle loro azioni: rifocalizzarsi sul contesto di vita implica una presa in carico dei suoi significati più profondi e del ruolo formativo rivestito dall’elemento spaziale, sociale e affettivo nei processi di costruzione dell’identità personale e delle proprie diramazioni sociali.

Per concludere, il profilo formativo sopra accennato dovrebbe essere “capace di guardare ai soggetti non come portatori di bisogni tutti uguali, ma come [...] soggetti portatori di necessità ad hoc in uno scenario di equità, di merito e di cooperazione” (Margiotta, 2015, p. 143). Non esiste infatti soltanto una tipologia di talento, ma vi è una divergenza caleidoscopica tra forme, esperienze e percezioni differenti: esso è concettualmente radicato nella diversità umana, e dunque nella ricchezza di espressioni, capacità e applicazioni dell’essere talentuosɜ. Valorizzare tale diversità, metterla in evidenza e averne cura è una delle priorità deontologiche che ciascunə educatorə, insegnante o pedagogista dovrebbe prefissarsi nella propria pratica quotidiana (hooks, 1994/2020), in modo da favorire una formazione attiva e consapevole lungo tutto il ciclo di vita: intervenire sul talento è infatti prima di tutto una questione culturale, poiché prevede un’ampia operazione di decostruzione di quei preconcetti che hanno forti ricadute sulle rappresentazioni sociali e sulle progettualità esistenziali delle persone. Di conseguenza, la riflessione culturale dovrebbe essere un sine qua non per qualsiasi percorso formativo delle figure professionali in ambito scolastico e socio-educativo, culminando, da un lato, nell’assunzione di consapevolezza rispetto alla concettualizzazione del talento e, dall’altro, nella padronanza di strumenti operativi per essere in grado di lavorarci proficuamente in prospettiva lifelong

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