L’impossibile Arcadia di Jacopo Sannazaro

Autori

  • Enrico Fenzi

Abstract

L’Arcadia: «testo allegorico, ma non univoco: allegoria della vita di Sannazaro [...], allegoria dei rapporti fra poesia e società, allegoria delle vicende sociali e politiche del regno di Napoli; infine, in quanto repertorio di citazioni e riferimenti ai più vari generi letterari, classici e moderni, allegoria della cultura, del sapere umano». Così scrive Erspamer nella sua introduzione1, elegantemente intesa a mettere in rilievo le avvolgenti seduzioni di una siffatta imprendibile allegoria, che continuamente suscita ed elude le spiegazioni puntuali alle quali pretenderemmo di ridurla.Tanto imprendibile, tanto ambigua, che persino la canonica e scolastica definizione dell’Arcadia quale ‘romanzo pastorale’ è stata recentemente messa in discussione da Antonio Gargano, che a sua volta scrive: «sarebbe un errore accordare un eccesso di favore alla dimensione narrativa dell’opera; sbaglierebbe, insomma, chi pretendesse fare dell’Arcadia il primo romanzo pastorale. Il significato del libro, allora, più che in un’infondata volontà affabulatrice, va ricercato piuttosto nel graduale affioramento di una soggettività, che – nel corso dell’opera – va acquistando via via sempre più forma e consistenza, e che – del resto – fa tutt’uno con quel processo di liricizzazione con cui [...] Sannazaro rinnovava la bucolica». Ma appunto: una simile formulazione nel suo estremismo coglie certamente una parte di verità e però, e forse proprio per questo, appena detta non sfugge al destino comune d’essere tradìta dal proprio oggetto, che sùbito sguscia via.

E quella «infondata volontà affabulatrice» reclama di nuovo la sua parte: tanto per cominciare, nelle forme e nei modi tutt’affatto speciali dell’affabulazione lirica… Tant’è che Maria Corti, nel suo vecchio e tuttavia fondamentale saggio, analizzando il sottile e profondo mutamento strutturale che investe l’opera a partire dalla prosa VI, finiva per dire quasi il contrario: abbandonando l’incantata purezza bucolica della prima parte, ora l’Arcadia si dà un filo conduttore, costituito dal personaggio che dice io e dalla sua storia, e accoglie i ‘tempi’ della sua vicenda, e i tempi e gli spazi reali, sì che è proprio l’infittirsi dei rimandi (a Giuniano Maio, a Giovan Francesco Caracciolo, alla congiura dei baroni ...) in questa seconda parte che rende «abbastanza agevole mettere in relazione l’Arcadia con l’istituto bucolico quattrocentesco». Onde, infine: «esaminando l’Arcadia in sé, nel suo costituirsi come opera, si assiste alla trasformazione che l’elemento narrativo, romanzesco impone ai temi bucolici che, da quadri pastorali quali apparivano nelle prime prose, si evolvono in elementi dinamici di un racconto».

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Pubblicato

2015-01-20

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