Le novelle di Sincero e di Carino (ArcadiaVII-VIII)

Autori

  • Isabella Becherucci

Abstract

Colla prosa VII, e soprattutto colla sestina che le vien dietro, ci troviamo di colpo proiettati in un’altra opera e quasi in un altro genere letterario che, se pur conserva del bucolico alcuni elementi, dimostra chiaramente di rivolgersi a modelli ben diversi rispetto a quelli finora tenuti presenti e citati puntualmente nelle prose della prima parte dell’Arcadia. Fatto già ben sottolineato dalla critica tutta, che sempre si avvale dell’ottima descrizione fornita a suo tempo da Maria Corti:

A partire dalla prosa VI, e meglio ancora dalla VII, il centro di gravità muta: la prosa esclusivamente lirica subisce flessioni, si modifica in direzione narrativa, alla monodia descrittiva segue la polifonia stilistica del racconto, nasce il romanzo pastorale.

Non più la vita dei pastori, i loro intrattenimenti nell’ora più calda del meriggio o in sul calar della sera a cornice e introduzione delle loro canzoni, ma il ritratto a tutto tondo di un solo personaggio, quel protagonista che «finalmente» è emerso dal gruppo dei pastori all’inizio della prosa VI: dove il pronome personaleio, ritardato dall’avverbio – quasi ironica allusione anche alle aspettative dei lettori? – era restato tuttavia sospeso, disgiunto com’è dal suo predicato per la lunga parentetica che lo affianca immediatamente e che di colpo fornisce ildossieressenziale del personaggio:

Finalmente io (al quale e per la allontananza de la cara patria e per altri giusti accidenti ogni allegrezza era cagione di infinito dolore) mi era gittato appiè di un albero, doloroso e scontentissimo oltra modo […] (VI 4)

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Pubblicato

2015-01-22

Fascicolo

Sezione

Dialoghi