Via Ugo Bassi ovvero Intitolandosi dal nome di Ugo Bassi una via di Bologna nel ventunesimo anniversario dell’VIII agosto MDCCCXLVIII (Carducci, Giambi ed Epodi, Libro I, IXX)

Autori

  • Umberto Carpi

Abstract

Commentare questo sonetto col titolo e nella dislocazione secondo la volontà ultima ne varietur del poeta, magari con un’occhiata informativa allo scartafaccio? Apparentemente ovvio, in realtà tanto comodo quanto elusivo. Conta o non conta la prima destinazione, la stessa prima forma di pubblicazione-distribuzione? Conta o non conta il titolo originario? Conta o non conta la serie cronologica in cui venne composto e quella logica in cui venne originariamente collocato in raccolta? Conta, dico, proprio in quanto alla sua semanticità poetica, cioè di poesia politica particolarmente legata ad un’occasione, e dunque a circostanze, a emotività, ad atmosfere e allusioni, financo a obiettivi propagandistici, senza la cui illustrazione si potrà forse intenderne la lettera, non certo percepirne il senso. Devo proprio leggerlo, dico commentarlo, questo Carducci giambico come lo volle (come retrospettivamente si volle) il Carducci non più giambico del 1882 ovvero ancora il Carducci savoiardo e crispino degli ultimi anni – che Ugo Bassi non cesserà di celebrarlo, però facendolo «morire santamente per ferocia di armi straniere, levando le braccia e gli occhi alla Madonna di San Luca» – i quali entrambi non volevano (vollero sempre meno) che lo si leggesse e intendesse appunto nella piena e contestuale politicità delle sue giambiche ragioni e relazioni di qualche lustro prima?

Questione tanto più insidiosamente sottile perché Carducci non si smentì, non si negò, non si umiliò mai in palinodie, e invece volle reinterpretarsi, riassestare le proprie ragioni senza smentirne mai quadro di riferimento storico (Ottantanove rivoluzionario e Unità nazionale) e cardini concettuali (laicismo, razionalismo, popolarismo); volle risistemare la propria scrittura passata – il medesimo aveva già fatto per il periodo più giovanile, come adesso risulta dal finissimo e innovativo saggio di Franco Castellani Sulla migrazione delle «Rime di San Miniato» [«Per leggere», VII, 13, 2007, pp. 225-306] – non attraverso occultamenti o tagli, bensì per via di integrali riletture e sistematiche ristrutturazioni. Insomma, un po’ come Dante, Carducci si rileggeva, non si riscriveva, dunque risulta poeta piuttosto di una macrovariantistica concettuale che non di microvarianti stilistiche.

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Pubblicato

2015-01-21

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Articoli