La legge di Parità del 1977 e la disarticolazione del nesso tra funzione materna e “specificità femminile”
DOI:
https://doi.org/10.7346/-we-I-02-23_03Parole chiave:
Parità,, patriarcato,, sessualizzazione,, femminismo, lavoro.Abstract
Obiettivo del lavoro è quello di mettere in luce l’intreccio, a volte problematico, ma estremamente fruttuoso, verificatosi tra il
movimento femminista degli anni Settanta e la stagione delle riforme legislative che si producono per tutto il decennio che contribuiscono
a gettare le basi, nel nostro Paese, di un welfare state moderno e inclusivo dei diritti delle donne.
In particolare la ricerca intende approfondire la vicenda relativa all’ approvazione della Legge di Parità di trattamento tra uomini
e donne in materia di lavoro, promulgata nel 1977 dal primo ministro del lavoro donna della storia repubblicana, Tina Anselmi,
ma anche grazie, come si metterà in luce, alla mediazione delle forze politiche della sinistra (Pci e Psi) in cui, almeno sul piano
legislativo, vengono superate alcune ambiguità ancora presenti nella Carta costituzionale. Infatti, mentre l’articolo 37 abbinava
il diritto al lavoro delle donne al riconoscimento della loro “essenziale” funzione familiare, nella legge di parità l’inserimento occupazionale
è svincolato dalla definizione domestica della femminilità.
Per la prima volta viene considerato decisivo il riconoscimento del diritto femminile alla piena integrazione nella forza lavoro insieme
alla necessità di ridurre il divario che separa i poteri dei due sessi nella famiglia, come del resto già la riforma del diritto di
famiglia del 1975 si era incaricata di fare, andando a scardinare, almeno dal punto di vista giuridico, quella struttura patriarcale
dello stato sociale di cui parla Carole Pateman, incentrata su una divisione del lavoro su base sessuale e su una visione del contributo
delle donne in “funzione sussidiaria” e complementare al reddito del maschio capofamiglia.
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