Ovidio nel Petrarca volgare

Autori

  • Annalisa Cipollone

Abstract

Intorno al 1340 Petrarca veniva interpellato dal francese Pierre Bersuire in qualità di consulente mitografo, e da lui ringraziato nel prologo dell’Ovidius moralizatus. Dunque già a quell’altezza, anche in virtù della crescente fama dell’Africa, Petrarca era considerato grande esperto di miti, e di miti ovidiani in particolare. Del resto, l’interesse di Petrarca per il poeta sulmonese non può considerarsi, in quegli anni, un fatto eccezionale. In concomitanza con gli inizi della sua attività poetica si collocano, tra il 1316 e il 1328, le interpretazioni ‘morali’ dell’anonimo Ovide moralisé; seguono, tra il 1322 e il 1323, quelle allegoriche di Giovanni del Virgilio; quindi, pochi anni più tardi, l’opera del succitato Bersuire. Quanto, e con quale ardore, Ovidio fosse letto nel tardo Medioevo, è cosa nota: al di là dell’estesissima tradizione manoscritta delle sue opere, restano a testimoniare tale fortuna anche un gran numero di volgarizzamenti nonché opere che agli originali ovidiani manifestamente s’ispirano. Altrettanto noti sono gli sforzi prodotti dalla cultura cristiana, da Agostino in avanti, per tentar di armonizzare i significati delle favole pagane con i principi del cristianesimo. Sarebbe dunque ozioso chiedersi cosa mai avesse spinto Petrarca verso il Sulmonese; riesce per contro più proficuo continuare a interrogarsi sul tipo di rapporto che Petrarca intrattenne col poeta latino. Nel terzo libro del Secretum Petrarca rivela d’aver conosciuto sin dagli anni dell’infanzia i versi dei Remedia amoris: «ab infantia pene familiariter mihi noti erant»; e presto anche l’opus magnum ovidiano gli divenne familiare. La sua passione per la mitografia fu anche alimentata dalla lettura del Liber Mythologiarum di Fulgenzio Planciade, nonché del Poetarius, unde idolorum ritus inoleverit, ubi omnis vetustas deorum antiquorum describitur, tradizionalmente attribuito ad Alberico

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Pubblicato

2015-01-20

Fascicolo

Sezione

Dialoghi