Un processo bolognese del 1286 contro il magister Tommaso d’Arezzo
Abstract
L’incartamento giudiziario che s’intende analizzare in questo breve saggio è il risultato di una ricerca tra scartafacci d’archivio prodotti negli uffici del tribunale del podestà di Bologna e conservati nella camera actorum, cioè nell’archivio pubblico cittadino. Gli atti processuali vertono sulla carcerazione e sull’archiviazione delle accuse rivolte al medico Tommaso d’Arezzo residente in città nel 1286. Tra le scritture giudiziarie si distinguono, perché forieri d’importanti elementi informativi, i titoli dei manoscritti che compongono la libreria dell’aretino, grazie ai quali è possibile documentare in modo dettagliato la cospicua quantità e qualità delle fonti aristoteliche a disposizione di un eterogeneo milieu d’intellettuali presente in città nell’ultimo quarto del Duecento.
Le fonti citate nella lista paiono disporsi su una linea che congiunge le università di Parigi, Padova, Bologna e la Firenze di Guido Cavalcanti (e di Dante Alighieri). Si dovrà a questo proposito notare come la circolazione dei manoscritti recanti le teorie dell’aristotelismo radicale e la loro capillare diffusione si concretizza a Bologna in spazi urbani angusti e ristretti, luoghi d’incontro di artisti, medici e filosofi. Si tratta di una zona cittadina che è al contempo sede delle abitazioni e delle aule universitarie di tali pensatori, luogo fisico e mentale di scambio e di divulgazione delle novità scientifiche più sorprendenti: un’area, come si è già avuto modo di documentare, costituita da un fazzoletto di strade, in cui hanno trovato terreno fertile le indagini intorno al corpus aristotelico di matrice parigina e averroistica3. Ricerche alimentate proprio dalla cospicua disponibilità di testi integrali, riduzioni, compendi, centoni, commenti, interpretazioni, ragionamenti, traduzioni latine e volgarizzamenti in lingua materna.