Il balcone di Eugenio Montale. Un caso di autocommento indiretto
Autori
Antonella Amato
Abstract
Durante tutto il corso del suo itinerario poetico, Montale ha sempre tentato di evitare commenti diretti, spiegazioni, che mirassero a sciogliere certa «apparente oscurità» della sua poesia, nata, come affermava lui, da «una estrema concentrazione e da una confidenza forse eccessiva nella materia trattata». Le strategie di rimozione e di depistaggio, in Montale, sono comunissime; basti pensare a quelle che egli ha sempre attuato nei confronti dell’influenza di Eliot, negata categoricamente in più punti della sua saggistica, e all’insofferenza costantemente espressa nei confronti dei questionari di Silvio Guarnieri. In Stilee tradizione,del 1925, si pronunciava contro certi atteggiamenti assoluti e totalitari della critica contemporanea pronta a «pescare nel torbido» e ad «erigere in leggi e in imperativi i nostri estri più incontrollabili». E, ancora, nel 1950, nell’articolo Due sciacalli al guinzaglio, non mancava di polemizzare sulla «troppa luce che i così detti commenti estetici gettano sul mistero della poesia».