Dalla carta alla voce. Fabrizio De André, la poetica del ‘saccheggio’ e il caso di Smisurata preghiera

Autori

  • Marianna Marrucci

Abstract

È chiamando in causa un principio apparentemente ovvio e scontato (come quello per cui ogni nuova opera prende corpo attraverso un dialogo con altre opere) che Fabrizio De André, in anni recenti, provava a spiegare uno degli aspetti peculiari del proprio metodo di lavoro e della propria poetica:

[…] nessuno scrive da solo. Dante saccheggia le Apocalisse apocrife e Shakespeare tutto il teatro inglese del Quattrocento […].

E tuttavia quel principio così ovvio si precisa nel suo caso in dimensioni e connotati assolutamente originali, la cui comprensione è indispensabile all’intelligenza complessiva dell’operazione artistica tentata da De André. Nel corso delle numerose interviste rilasciate tra gli anni Sessanta e i Novanta, in più di un’occasione l’artista si è soffermato sul proprio rapporto con i libri, con la letteratura e con la poesia, attribuendosi la «posizione intermedia» di chi, tra i primi in Italia, avrebbe tentato di «gettare un ponte tra la poesia e la canzone», solcando le orme di Bertolt Brecht e degli chansonniers francesi:

[…] la mia operazione, proprio quella delle origini, è stata di trasportare nella canzone dei temi che erano bagaglio della letteratura. Cosa che avevano già fatto prima di noi i tedeschi, attraverso operazioni certo più intuite che pensate:Kurt Weill o Bertolt Brecht in Germania; oppure i contemporanei Brassens, Brel, in Francia. Ho cercato di trasferire, nella loro stessa maniera, certi temi appartenenti esclusivamente alla letteratura in quella ch’era considerata, in Italia almeno, e a torto, un’arte minore quale la canzone.

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Pubblicato

2015-01-20

Fascicolo

Sezione

Dialoghi

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