Lettura di Agonia di Giuseppe Ungaretti

Autori

  • Francesca Latini

Abstract

Di fronte alla chiarezza cartesiana di Agonia, convenienza vorrebbe che neppure avessimo pensato ad affrontare un esercizio di lettura, quasi la lingua netta e oggettuale della lirica, la sua piana sintassi, la trina enunciazione per analogia esplicita, non sostenessero il tedio di fumee interiori, o mal acconsentissero all’investigazione fina, a una mania d’analisi su cui incomba lo spettro del ridicolo; ciò nondimeno non a tutti è dato possedere un «invidiabile carattere aspeculativo». Nitore prosastico che potrebbe essere erroneamente scambiato per un «urgere nel verso dell’impeto biografico», su cui da tempo ormai ha messo in guardia Carlo Ossola, il quale, affrontando proprio nel suo studio monografico Agonia, ne ha negato il carattere di diretto annuncio di un programma esistenziale, e ha riconnesso piuttosto il sentimento di un tempo non in atto che contrassegna la lirica a certa concezione bergsoniana, di cui si impregna il pensiero del giovane uditore delle lezioni tenute dal filosofo a Parigi: «[…] come l’augurio iniziale non si esprime in un’opzione precisa ma evita, col paragone (“morire come...”), di definirsi, così il rifiuto finale (“Ma non vivere...”) non equivale in realtà a un cupio dissolvi, all’auspicato morire iniziale, ma piuttosto, senza uscire dalla vita, nega quella condizione; “sans sortir du premier” (vivere), indica “un contraste entre le possible et l’actuel”, senza però che questo “possible” alternativo sia accennato.

Rimane così più forte l’accento vitalistico sul primo termine, affermato e insieme giudicato negativo, ma non sostituito: «Ma non vivere...”; esso risulta doppiamente rilevato, come condizione data, attuale, del vivere, ma anche come alternativa possibile (contigua all’iniziale “morire”)», «[...] l’ideologia complessiva dell’Allegria, lungi dall’esprimere – come spesso si è detto – immediatezza, urgere nel verso dell’impeto biografico, è già ben radicata nella denegazione del presente, per reduplicarlo nell’“assenza” mitopoietica, per sfondarne i confini: nessuna conoscenza aggiuntiva, nessun progetto formula Ungaretti attraverso il suo “dire”, che non sia la ricerca, la sete d’includervi, nel vocabolo, il massimo d’assenza, d’indicibile.

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Pubblicato

2015-01-20

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Articoli