Pianto Antico
Abstract
Miracolosamente bilicato tra vita e letteratura, occasione biografica e poesia, esempio insigne, anzi, del carducciano vivere la vita attraverso la letteratura, Pianto antico ha visto i suoi lettori, peraltro, inclinare ora verso un apprezzamento della sincerità e spontaneità di affetti e di sentimenti del breve carme, ora verso un accertamento, fattosi nel tempo sempre più sofisticato, della memoria poetica, invero fittamente addensata nei sedici versi della poesia.
Tuttavia, si può dire che l’ideale contesa tra i sostenitori del candore emotivo di Pianto antico, e i chiosatori implacabili del suo spessore letterario, non sia mai arrivata allo spargimento di sangue: unanime essendo il consenso sul merito della poesia, e sulla perfetta conversione in essa di pathos esistenziale e sapienza formale, espressione del sentimento e densa eleganza dei riferimenti poetici. Sì che ogni nuova lettura non potrà esimersi dal ricominciare proprio da queste due ‘facce’ della composizione, qui più che altrove (nel resto dell’opera carducciana, s’intende) tanto in evidenza quanto intimamente compenetrate. Il 9 novembre 1870, mercoledì, nella casa bolognese di Via Broccaindosso, morì il primo figlioletto maschio di Carducci, Dante; così chiamato in memoria del fratello minore del poeta, morto suicida a vent’anni. Il Carducci dà notizia del suo lutto in una serie di lettere scritte di seguito, nei giorni 10-14 novembre, prima al fratello Valfredo, poi agli amici Ferdinando Cristiani, Francesco Bartolini, Giuseppe Chiarini. Secondo il resoconto carducciano, ripetuto in tutte queste lettere con poche varianti, Dante era morto dopo «otto giorni» di febbri e di agonia, «di un versamento al cervello», «di un travaso al cervello o di un versamento, non so come chiamino questa infame crudeltà della natura »; mentre il poeta scrive a Valfredo, si sta preparando il suo funeralino: «La sua povera mamma è stata 14 giorni con la morte su gli occhi: figùrati.