«Un po’ di luce vera…»: intorno a Bertolucci, Arcangeli e Wordsworth Frammento perduto e ritrovato per una lettura de La camera da letto

Autori

  • Roberto Leporatti

Abstract

… aria di crisi, voglia di «cambiar pelle come le bisce… ritrovando magari in fondo qualcosa di molto vecchio e fresco, fuori da questo presente che disturba tanto anche te». Così, a un anno dalla fine della guerra, in una lettera del loro lungo e affettuoso carteggio, scrive Bertolucci a un Sereni ancora stranito dalla prigionia algerina (9 aprile 1946). In tanta incertezza e confusione, «con tutto quel fiorire di poesia pseudoumanitaria», è, almeno per Bertolucci, un tempo d’incubazione e attesa, con più voglia di riflettere, e magari di tradurre, che di comporre: «Penso molto a delle cose nuove, ma quante resistenze. Del resto una crisi c’è in tutti, ma soluzioni non ne vedo… lentamente vado volgendo in versi alcuni inglesi: e questo è un lavoro utile» (16 gennaio 1946). E giacché, ad eccezione degli squisiti ma un po’  marginali Landor e Rossetti, contemporanei sono gli altri inglesi tradotti nel volume  anceschiano del ’45, Poeti antichi e moderni tradotti dai lirici nuovi, e per «Poesia»  del ’47, quel «qualcosa di molto vecchio e fresco» da cui attingere forze nuove, anche considerando che non tutto Bertolucci ha promosso nel suo distillato volumetto di Imitazioni e forse neppure edito, saranno soprattutto le bellissime traduzioni da William Wordsworth uscite in «Poesia» nel ’48.

Quella di Bertolucci col padre del romanticismo inglese è una lunga consuetudine. Intorno al ’42 è impegnato alla composizione di un dramma in versi, Laodamia, di cui sopravvivono alcuni frammenti nella Capanna indiana e in Verso le sorgenti del Cinghio, che si suole considerare ispirato a un componimento omonimo di Wordsworth (ma non si dovrà trascurare il carme 68b di Catullo, a lui caro per ragioni anche sentimentali, come ricorda il cap. XXXI della Camera da letto), e lo stesso anno suggeriva un titolo wordsworthiano a una poesia dell’amico Sereni: Versi scritti in rapido all’altezza di Parma (da questi mutato, attenuando quel delizioso puntiglio documentario, in A M. L. sorvolando in rapido la sua città) con la seguente giustificazione: «e non mi si dica che il titolo è troppo preciso, se Wordsworth poneva le sue più nebbiose e romantiche sublimità sotto titoli come ‘Linee scritte a trecento metri dall’Abbazia…» (21 marzo).

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Pubblicato

2015-01-21

Fascicolo

Sezione

Dialoghi