Sonetti in morte di Fiammetta (Boccaccio, «Rime» XXII [CV], LXII [CII], XC [XCIX], XCIX [CXXVI])

Autori

  • Roberto Leporatti

Abstract

Questo saggio vuole essere un contributo alla riflessione su come commentare una collezione di rime estravaganti, come tale restituita da una tradizione disomogenea a tutti i livelli: testuale, attributivo e strutturale. Il caso prescelto è notoriamente tra i più problematici della nostra antica lirica in volgare: le Rime del Boccaccio. L’esperimento presuppone come indispensabile un’indagine filologica, cui mi sono dedicato a lungo e di cui mi accingo a presentare qui i primi frutti come anticipo dell’edizione critica di prossima pubblicazione. Boccaccio non si curò di raccogliere le sue rime e, soprattutto nella sua maturità, probabilmente neppure ne sorvegliò e promosse la circolazione, che nel complesso deve essere stata piuttosto scarsa. Sono ben pochi i manoscritti sopravvissuti con rime a lui attribuite anteriori al XVI secolo.

 

Fra questi spicca il ms. 1100 della Biblioteca Riccardiana di Firenze degli inizi del Quattrocento con una sezione che gli assegna ventidue sonetti. La maggior parte degli altri codici del XV secolo, a cominciare dall’altro Riccardiano, il 1103, presenta numerose rime del corpus tradizionalmente individuato spesso adespote o sotto altro nome, soprattutto Petrarca. Un momento cruciale nella tradizione, sostanzialmente in negativo, è rappresentato dalla Raccolta Aragonese (1477), riprodotta in un gran numero di copie, che accoglie solo quattro suoi componimenti: nell’ordine i sonetti LXIII [X], LXII [CII], [LXXXII], XXVII [XCVI]1. Difficile dire se ciò sia dipeso dalla scarsa considerazione per l’esperienza lirica del Boccaccio da parte dei compilatori della Raccolta nel momento in cui lo consacravano come prosatore in volgare (vi avevano incluso il Trattatello e Lorenzo nel Comento celebrava la copia e l’eloquenzia del Decameron), o non piuttosto dalla ridotta disponibilità di testi, come farebbe pensare la stentata tradizione esplicita superstite. Solo nel Cinquecento si assiste a una rinascita d’interesse per il Boccaccio lirico. Il frutto più importante è rappresentato dalla Raccolta Bartoliniana, conservata presso l’Accademia della Crusca di Firenze: la nota silloge, allestita da Lorenzo Bartolini, accoglie una sezione boccaccesca di cento sonetti numerati, più uno fuori numerazione, ricavati da un codice appartenuto a Ludovico Beccadelli (un altro sonetto di corrispondenza con relativa risposta è copiato successivamente da un codice di Giovanni Brevio), oltre la metà dei quali senza altra attestazione

##submission.downloads##

Pubblicato

2015-01-21

Fascicolo

Sezione

Articoli