Formazione & insegnamento, 23(S2), 8274
Narration, affectivity, and reflexivity in teacher education: A laboratory for the educational management of challenging students
Narrazione, affettività e riflessività nella formazione dei docenti: Un laboratorio per la gestione educativa degli allievi sfidanti
ABSTRACT
This paper presents a workshop-based educational experience developed within the optional course Relationship and Affective Conducts: From Theory to Practice, designed for prospective early childhood and primary school teachers at the Department of Education and Learning / School of Education (DFA/ASP) of the University of Applied Sciences and Arts of Southern Switzerland (SUPSI). Grounded in the paradigm of circular and relational pedagogy, the course fostered the development of affective awareness, reflective disposition, and the ability to manage complex educational situations. Through thematic workshops and narrative, symbolic, and metaphorical devices, participants engaged in a transformative process that wove together personal and professional experiences, promoting a regeneration of educational knowledge and postures. This contribution represents a concrete example of co-generative pedagogy, intertwining theory and practice within a framework of inclusion and relational sustainability. The article outlines the aims, phases, and tools of the course, contributing to the ongoing debate on the transition towards a more mindful, emotionally attuned, and context-sensitive teacher education.
Il contributo presenta un’esperienza laboratoriale sviluppata nell’ambito del corso opzionale Relazione e condotte affettive: dalla teoria alla pratica, rivolto a futuri docenti della scuola dell’infanzia e primaria presso il Dipartimento Formazione Apprendimento / Alta Scuola Pedagogica (DFA/ASP) della Scuola universitaria della Svizzera italiana (SUPSI). Inserito nel paradigma della pedagogia circolare e relazionale, il corso ha promosso lo sviluppo della consapevolezza affettiva, della disposizione riflessiva e della capacità di gestione educativa delle situazioni complesse. Attraverso atelier tematici e dispositivi narrativi, simbolici e metaforici, i partecipanti sono stati accompagnati in un percorso trasformativo che ha intrecciato vissuti personali e professionali, favorendo una rigenerazione dei saperi e delle posture educative. Il lavoro si configura come un esempio concreto di pedagogia co-generativa, che intreccia teoria e pratica in un’ottica di inclusione e sostenibilità relazionale. L’articolo illustra finalità, fasi e strumenti del percorso, contribuendo al dibattito sulla transizione verso una formazione docente più consapevole, affettiva e fondata sul dialogo tra soggettività e contesto.
KEYWORDS
Circular pedagogy, Teacher education, Educational management, Affectivity, Narration, Reflexivity, Inclusion
Pedagogia circolare, Formazione docenti, Gestione educativa, Affettività, Narrazione, Riflessività, Inclusione
AUTHORSHIP
Conceptualization (P. Arru, V. S. Benhamza); Methodology (P. Arru, V. S. Benhamza); Investigation (P. Arru; V. S. Benhamza); Writing – original draft (P. Arru); Writing – review & editing (P. Arru, V. S. Benhamza).
COPYRIGHT AND LICENSE
© Author(s). This article and its supplementary materials are released under a CC BY 4.0 license.
ACKNOWLEDGMENTS
This paper was published with the support of EURADICE.
CONFLICTS OF INTEREST
The Authors declare no conflicts of interest.
RECEIVED
August 1, 2025
ACCEPTED
September 29, 2025
PUBLISHED ONLINE
September 29, 2025
1. Introduzione
Nel contesto delle sfide educative contemporanee, la formazione iniziale dei docenti è chiamata a sviluppare competenze relazionali e affettive sempre più articolate, capaci di sostenere pratiche inclusive, riflessive e trasformative.
I cambiamenti demografici, le trasformazioni familiari, le nuove forme di vulnerabilità sociale e la crescente eterogeneità dei gruppi classe pongono alla scuola il compito di costruire ambienti di apprendimento capaci di accogliere la differenza, gestire la conflittualità e valorizzare le potenzialità soggettive degli alunni. In questo contesto, il ruolo del docente si configura sempre più come una funzione educativa ad alta densità relazionale ed emotiva, che richiede disposizioni professionali consapevoli, capaci di integrare teoria e vissuto nella pratica quotidiana.
Tali esigenze trovano riscontro nei più recenti orientamenti internazionali sulla formazione docente, che sottolineano l’urgenza di rafforzare le life skills, le competenze emotive e le capacità riflessive dei futuri docenti, all’interno di percorsi formativi che sappiano integrare dimensioni professionali, affettive e sociali (OECD, 2020; Eurydice, 2022). Tuttavia, rimangono spesso marginali nei curricoli istituzionali quegli spazi che consentono una reale esplorazione dei vissuti soggettivi e delle risonanze emotive che si attivano nella relazione educativa, soprattutto quando l’incontro con l’altro si configura come sfidante o perturbante, nonostante la riflessività sia stata riconosciuta come competenza fondamentale da diversi autori (Mortari, 2003, 2017; Demetrio, 1996, 2012). È in questi snodi che si gioca una parte fondamentale della professionalità docente, talvolta invisibile, ma importante per costruire legami educativi significativi.
Il presente contributo prende avvio da un’esperienza pluriennale maturata nell’ambito del corso opzionale Relazione e condotte affettive: dalla teoria alla pratica, attivato nel VI semestre del Bachelor in Insegnamento per i livelli dell’infanzia e della scuola primaria presso il Dipartimento Formazione e Apprendimento / Alta scuola pedagogica (DFA/ASP) della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI).
L’esperienza si inserisce nel quadro della pedagogia circolare, proposta come paradigma formativo che connette saperi teorici, vissuti esperienziali e pratiche educative in una logica generativa, partecipativa e trasformativa (Elamé & Nikolaou, 2025). In tale prospettiva, il corso promuove una modalità di apprendimento fondata sull’introspezione, sulla riflessività e sullo scambio intersoggettivo, con l’obiettivo di sviluppare agency educativa e responsabilità relazionale (Biesta, 2013; Nussbaum, 2010).
Attraverso sei incontri strutturati in momenti teorici e atelier tematici, gli studenti sono stati accompagnati nell’esplorazione della complessità della relazione educativa con allievi che richiedono uno “sguardo sensibile alla complessità”.
Dispositivi, come lo studio di caso, i giochi di ruolo e l’analisi filmica, hanno reso possibile l’integrazione tra l’elaborazione affettiva e la progettazione di pratiche educative concrete, condivise e situate.
L’articolo presenta la struttura, le fasi e gli strumenti del percorso formativo, con particolare attenzione agli apprendimenti emersi e alle implicazioni pedagogiche per il ripensamento della formazione iniziale e in servizio dei docenti.
2. Cornice teorica: affettività, narrazione e disposizione educativa
L’evoluzione dei contesti educativi e la crescente complessità delle dinamiche scolastiche rendono necessario un approfondimento teorico sui presupposti pedagogici che orientano la formazione iniziale dei docenti. In questa prospettiva, la dimensione affettiva rappresenta un nucleo fondante che trova nella narrazione, intesa come pratica riflessiva e relazionale, una modalità privilegiata di espressione e di elaborazione. Questo intreccio contribuisce ad affinare un atteggiamento educativo articolato e flessibile, capace di abitare la complessità e di promuovere legami formativi autentici.
Oltre alla crescente eterogeneità culturale e linguistica che caratterizza le classi scolastiche contemporanee, anche le configurazioni familiari si presentano sempre più plurali: famiglie monogenitoriali, ricomposte, con esperienze migratorie, così come nuclei segnati da transizioni o cambiamenti affettivi. Queste situazioni, di per sé non necessariamente fragili, possono tuttavia generare sfide aggiuntive per la scuola, soprattutto quando mancano reti di sostegno stabili o spazi di dialogo con le istituzioni educative. In tale cornice, i docenti sono chiamati a riconoscere la varietà delle storie di vita senza cadere in semplificazioni causali, ponendo al centro la qualità delle relazioni scuola–famiglia e la costruzione di alleanze educative. Una presenza professionale attenta, capace di attivare processi di ascolto, contenimento e lettura empatica, diventa allora decisiva per accompagnare positivamente i percorsi di crescita degli allievi. È quindi necessario fare coincidere nei futuri docenti l’apprendimento di contenuti disciplinari e metodologici con la costruzione di un’identità professionale consapevole riflessiva, dotata di sensibilità affettiva e relazionalmente responsabile, in grado di integrare saperi teorici, esperienze vissute e capacità trasformative. Tale prospettiva si iscrive pienamente nel paradigma della pedagogia circolare, che promuove un apprendimento dialogico, partecipato e fondato sulla risonanza tra soggettività e contesto.
In questo scenario, il riconoscimento della dimensione affettiva come elemento fondante dell’atto educativo appare imprescindibile. La relazione insegnante-allievo non può essere concepita unicamente in termini funzionali o trasmissivi, ma si configura come uno spazio intersoggettivo denso, in cui emozioni, vissuti e rappresentazioni si intrecciano in modo profondo e generativo (Ogden, 2004; Immordino-Yang & Damasio, 2007; Mortari, 2017; Formenti, West, & Horsdal, 2014). La qualità di tale relazione è influenzata dalla disponibilità dell’adulto di attivare una presenza significativa, capace di contenere, di ascoltare e di sintonizzarsi empaticamente con il mondo interno dell’allievo.
La figura del docente può essere pensata come un “educatore sufficientemente buono”, in grado di offrire uno spazio relazionale coerente, accogliente e trasformativo, senza cadere nella trappola della perfezione o del controllo. Seguendo la prospettiva winnicottiana, la funzione educativa travalica la trasmissione delle conoscenze esprimendosi nella capacità di farsi contenitore affettivo, presenza significativa e riferimento interno, sostenendo la crescita dell’allievo attraverso un’offerta relazionale autentica e orientata verso la sospensione del giudizio.
Nell’ambito delle scienze dell’educazione e della psicologia dello sviluppo, numerosi contributi sottolineano il ruolo centrale delle dimensioni affettive nella costruzione dell’identità e della professionalità docente. L’insegnamento richiede una presenza personale in grado di attivare meccanismi empatici (Decety & Jackson, 2006), di regolare le emozioni (Gross, 2015) e di promuovere contesti relazionali favorevoli all’apprendimento (Immordino-Yang & Damasio, 2007; Mortari, 2017; Contini, 2014).
L’emotività, infatti, non si aggiunge alla didattica come ornamento, ma la costituisce dall’interno, orientando il modo in cui si insegna, si apprende e si sta insieme in aula.
In particolare, la teoria dell’attaccamento offre una solida cornice concettuale per comprendere in che modo le esperienze affettive precoci influenzino la qualità della relazione educativa (Bowlby, 1969; Crittenden, 2008). Le dinamiche di attaccamento, sebbene differenti da quelle originarie, si ripresentano in forma trasformata nel legame tra insegnante e allievo, dove la figura del docente può rappresentare una “base sicura”: un punto di riferimento stabile da cui l’allievo possa esplorare il mondo, commettere errori, sperimentare l’autonomia e la fiducia. Secondo Siegel e Payne Bryson (2012), questa funzione si realizza nella capacità dell’adulto di offrire uno spazio mentale coerente, empatico e riflessivo, capace di sostenere la crescita integrata del bambino o del ragazzo. In questo senso, il docente è figura sapiente e creativa, organizzatore affettivo dell’ambiente di apprendimento, capace di offrire contenimento attraverso strategie intenzionali quali la cura dei rituali scolastici, la predisposizione di spazi relazionali accoglienti, l’uso riflessivo del colloquio educativo e la progettazione di attività che promuovano sicurezza, fiducia e riconoscimento.
Accanto a tali riferimenti psicologici, la pedagogia contemporanea enfatizza l’urgenza di costruire dispositivi formativi capaci di sostenere la riflessività professionale e la consapevolezza emotiva (Mortari, 2017; Demetrio, 2012). Contini (2014) ha evidenziato il legame tra riflessività e cura educativa, mentre Brookfield (2017) e Mezirow (1991) hanno sottolineato, a livello internazionale, il valore della riflessione critica e dell’apprendimento trasformativo nella formazione degli adulti. In questa prospettiva, pratiche come la narrazione di sé, l’uso della metafora e il gioco simbolico si configurano come strumenti privilegiati per esplorare l’identità docente in divenire e i suoi risvolti affettivi. L’apprendimento, in questa chiave, si nutre dell’esperienza soggettiva, che viene decostruita, elaborata e reinterpretata in un’ottica generativa e trasformativa (Mortari, 2003; Mezirow, 1991; Striano, 2001).
In questa prospettiva si colloca anche la riflessione di Schön (1993, 2006), che ha introdotto la nozione di professionista riflessivo, divenuta un punto di riferimento per la formazione e l’apprendimento nelle professioni educative. Anche i vissuti dissonanti, perturbanti o contraddittori, se riconosciuti e simbolizzati, possono diventare occasioni significative di apprendimento e crescita. In altre parole, la dimensione affettiva si configura come motore di una costante pratica riflessiva.
Il corso descritto si ispira a una prospettiva psicodinamica, che integra contributi della psicoanalisi contemporanea (Bion, 1972; Winnicott, 2019), della teoria sistemica (Minuchin, 1974; Andolfi, 2011) e della psicologia relazionale (Mitchell, 2000), per sostenere nei futuri docenti un lavoro di introspezione e rielaborazione personale. L’uso di atelier esperienziali, basati su fiabe, giochi di ruolo, metafore visive, consente di dare forma ai vissuti emotivi legati alla relazione educativa e di trasferire queste esperienze in strategie operative per la gestione degli allievi “divergenti”. Tali allievi, spesso portatori di narrazioni altre, di modalità affettive intense o disorganizzate, richiedono da parte dell’adulto educativo una disposizione interna capace di sostenere l’ambivalenza, di reggere l’urto della differenza e di trasformare la relazione in un luogo possibile.
Come già esplicitato il quadro teorico si colloca nel paradigma della pedagogia circolare (Elamé & Nikolaou, 2025), intesa come approccio formativo che rompe la linearità trasmissiva a favore di processi ricorsivi, intersoggettivi e co-generativi. In tal senso, l’esperienza laboratoriale del corso rappresenta un esempio di spazio formativo dialogico e trasformativo, in cui gli studenti apprendono come essere e “stare” nel ruolo docente, attraversando l’esperienza per diventare soggetti educanti consapevoli, affettivi e riflessivi. Il sapere, in questa prospettiva, si costruisce insieme, attraverso il dialogo tra vissuto personale, riferimenti teorici e pratiche riflessive condivise I riferimenti psico-pedagogici si collocano in modo costante nel caleidoscopio delle dinamiche che si creano nel qui e ora dell’esperienza laboratoriale. Tali pratiche non hanno solo una valenza didattica, ma introducono gli studenti in formazione a quelle pratiche riflessive che, come adulti e futuri professionisti, saranno chiamati a coltivare nella propria azione educativa, in linea con quanto sottolineato anche da studi recenti che ne evidenziano il valore ma anche le sfide applicative nei percorsi di teacher education (Suphasri & Chinokul, 2021).
Centrale in questo processo è il ruolo del docente formatore, che non si limita a facilitare, ma si fa testimone e custode di quanto emerge: accoglie le narrazioni, ne organizza i nodi tematici, li mette in dialogo con il pensiero pedagogico e restituisce feedback mirati, favorendo processi di autoriflessione e trasformazione. Come scrive Mortari (2003), “la riflessione è un modo di fare esperienza dell’esperienza e di trasformarla in sapere” (p. 13). In questa prospettiva, il formatore non trasmette semplicemente contenuti, ma accompagna un processo in cui il sapere prende forma a partire dalle risonanze affettive e cognitive che emergono nella relazione educativa.
3. Un laboratorio come esperienza trasformativa
Il corso nasce da una doppia esigenza formativa: da un lato, offrire un contesto per accogliere e rielaborare i vissuti affettivi; dall’altro, promuovere, nei futuri docenti, una consapevolezza pedagogica operativa in grado di integrare l’ascolto emotivo, l’esperienza vissuta alla progettazione educativa quotidiana.
Le situazioni affrontate nel percorso riguardano in particolare la gestione di allievi “divergenti”, ovvero coloro che esprimono modalità relazionali, comunicative o affettive non conformi alle attese scolastiche, generando talvolta nel docente disorientamento, frustrazione o sentimenti ambivalenti.
In questo processo, il dispositivo assume una funzione contenitiva e trasformativa, in cui l’incontro con l’alterità viene vissuto, rappresentato e negoziato all’interno del gruppo. Grazie alla dimensione collettiva, è possibile attivare risorse interne, riconoscere i propri limiti relazionali e ridefinire la propria posizione educativa.
L’impianto epistemologico in continuità con la cornice teorica delineata, si fonda, come detto, sui riferimenti alla teoria dell’attaccamento, alla prospettiva sistemica e alla pedagogia generativa. Tali orientamenti si traducono in pratiche concrete, capaci di stimolare negli studenti partecipanti al corso processi di analisi situata, riformulazione dei significati e costruzione di nuove posture educative. La trasformazione si dipana da un atto consapevole di “decisione” dello studente grazie ad un processo di attraversamento emotivo, simbolico e relazionale vissuto in prima persona.
La proposta si articola in sei incontri, per un totale di dodici ore in presenza, e alterna momenti teorico-introduttivi ad atelier esperienziali. Il corso si configura quindi come luogo di connessione, a metà strada tra formazione accademica ed esplorazione personale, in cui lo studente può rileggere le proprie rappresentazioni affettive e professionali, esplorando i “movimenti interni” che si attivano nella relazione educativa. In questa prospettiva, le pratiche espressive e simboliche si configurano come strumenti trasformativi, capaci di trasformare i vissuti soggettivi in risorse educative, favorendo una consapevolezza più matura del proprio agire formativo.
L’esperienza si svolge in un tempo “lento”: uno spazio in cui è possibile sostare nelle emozioni, sospendere il giudizio e concedersi una pausa riflessiva. Questo tempo disallineato diventa esso stesso un dispositivo pedagogico, che favorisce la decantazione dell’esperienza e la sua trasformazione in sapere personale e professionale (Mortari, 2003).
Il corso prevede un impegno complessivo pari a 1 credito ECTS, [1]corrispondente a circa 25 ore di lavoro, che comprendono la partecipazione in presenza, momenti di studio individuale e attività di rielaborazione personale a distanza.
Uno dei riferimenti centrali del percorso è la concezione winnicottiana del “gioco” come spazio transizionale (Winnicott, 2019): un luogo terzo, non minaccioso, dove è possibile costruire senso attraverso l’immaginazione e la simbolizzazione. L’apprendimento si configura qui come processo generativo (Mezirow, 1991), in cui lo studente, futuro docente, non solo acquisisce contenuti, ma trasforma l’esperienza in sapere attraverso processi di decentramento e rielaborazione narrativa.
I materiali prodotti, dalle carte identitarie alle scatole narrative, dagli elaborati simbolici alle riflessioni scritte, vengono restituiti alla comunità di apprendimento come dispositivi generativi, capaci di restituire potere trasformativo all’esperienza. Questa proposta si propone come una vera e propria “bottega formativa” (Zanelli, 2005): un luogo in cui teoria e pratica, emozione e pensiero, individuo e collettivo si intrecciano nel processo di costruzione di una professionalità capace di stare nel conflitto, abitare l’incertezza e generare cambiamento profondo.
4. Narrare, agire, trasformare: dispositivi per una formazione affettiva e circolare
Dopo aver delineato nel paragrafo precedente le coordinate teoriche e pedagogiche del laboratorio, si passa ora alla sua articolazione concreta. Il corso opzionale “Relazione e condotte affettive: dalla teoria alla pratica” si rivolge agli studenti del sesto semestre del Bachelor per la formazione dei docenti di scuola dell’infanzia e primaria.
I partecipanti hanno già affrontato, nei primi anni del percorso, insegnamenti teorici in psicologia dello sviluppo e dell’educazione, pedagogia generale e moduli di pratica professionale. Il laboratorio si inserisce dunque in una fase avanzata della formazione, offrendo uno spazio integrativo e riflessivo in cui rielaborare le conoscenze acquisite alla luce dell’esperienza vissuta.
Il percorso si configura come un’esperienza intensiva a carattere laboratoriale, centrata sulla dimensione relazionale e affettiva dell’agire educativo, con particolare attenzione ai bambini che sollecitano una risposta emotiva complessa o che mettono alla prova la tenuta emotiva e la disponibilità relazionale dell’adulto.
In linea con questa impostazione, la struttura del corso come già esplicitato si articola in sei incontri, suddivisi tra momenti teorico-introduttivi e atelier esperienziali da seguire. Ogni atelier è pensato come un dispositivo narrativo e simbolico, orientato a favorire un movimento trasformativo nella disposizione educativa, integrando vissuto, teoria e pratica.
Il corso si fonda su una logica bifasica: una prima fase centrata sull’introspezione e sulla narrazione di sé; una seconda orientata alla progettazione educativa e all’intervento in situazione. Questa struttura ha reso possibile una co-costruzione partecipata del percorso formativo, a partire dalle esperienze soggettive e relazionali maturate dagli studenti nei primi contatti con la realtà scolastica.
4.1. Avvio e costruzione partecipata: il questionario iniziale
Il corso si apre con la somministrazione di un questionario anonimo, volto a raccogliere vissuti, rappresentazioni e difficoltà dei partecipanti nella gestione di quelli che, nel contributo, vengono definiti “allievi sfidanti” o “divergenti”. Con queste espressioni non si intende descrivere un tratto stabile della persona, bensì il modo in cui, in specifiche condizioni relazionali e organizzative, alcuni comportamenti possono essere percepiti dagli adulti come complessi da gestire. In tal senso, la difficoltà non è intrinseca allo studente, ma emerge dall’interazione educativa e dal contesto (Bertolini & Caronia, 2016; Nicolodi, 2011).
L’obiettivo è duplice: attivare una prima riflessione individuale già prima dell’avvio del corso, riconoscendo la soggettività degli studenti come valore formativo; e offrire ai docenti-formatori una base per progettare il percorso in modo sensibile e co-costruito.
Inoltre, il questionario rappresenta un’occasione per riattivare le conoscenze pregresse acquisite nei corsi di psicologia dello sviluppo, pedagogia e pratica professionale, favorendo un primo collegamento tra sfera teorica e vissuto personale. Attraverso questo strumento, lo studente è invitato a riflettere criticamente su ciò che sa, ricorda e ha già sperimentato, individuando le risorse concettuali e operative che può mobilitare nella pratica educativa. Si attiva così un processo di consapevolezza che valorizza l’esperienza pregressa come base per l’apprendimento trasformativo. Un’altra funzione del questionario consiste nel riattivare un lessico psico-pedagogico condiviso, capace di attribuire collocazione e valore alle parole che saranno utilizzate nella pratica riflessiva.
In chiave metodologica, tale proposta si configura come una forma di ricerca-formazione a orientamento qualitativo (Mortari, 2003), in cui la raccolta di materiali (questionari, testi narrativi, metafore, rappresentazioni simboliche) mira all’attivazione di processi trasformativi. I dati raccolti vengono analizzati secondo una prospettiva fenomenologica e restituiti in forma aggregata al gruppo, inaugurando così il primo momento di condivisione collettiva. Si tratta, sul piano pedagogico, di un atto di riconoscimento reciproco, attraverso cui il gruppo prende coscienza di interrogativi condivisi. È in questo snodo che teoria e pratica si intrecciano, dando vita a un confronto intersoggettivo fondato sulla risonanza e di elaborazione collettiva del sapere.
4.2. Identità relazionale e spazio educativo simbolico
Il primo incontro invita gli studenti a rappresentare la relazione educativa attraverso una metafora personale (un oggetto, uno spazio, una figura animale), accompagnata da una breve narrazione scritta o orale. Ispirata ai dispositivi di formazione simbolica (Zanelli, 2005), l’attività sollecita il pensiero analogico e l’emersione di immagini profonde legate al proprio modo di abitare la relazione con l’altro. Le metafore vengono condivise e discusse in gruppo, facendo emergere ricorrenze, contrasti e snodi trasformativi. L’insieme delle narrazioni costituisce una sorta di autobiografia educativa in miniatura, utile a rielaborare vissuti passati e ad aprire nuove traiettorie professionali.
A partire da questo lavoro simbolico, si propone un secondo passaggio: la costruzione della “carta d’identità” di un allievo immaginario, descritto come “divergente”. Ogni partecipante elabora un profilo affettivo e pedagogico del bambino, soffermandosi su bisogni, segnali corporei, risorse e fragilità. L’obiettivo è promuovere una pedagogia del riconoscimento, che non riduca il soggetto a un’etichetta o a una diagnosi, ma che sappia coglierne la complessità relazionale. In una terza fase, gli studenti progettano uno “spazio educativo simbolico”, pensato come ambiente fisico ed emotivo capace di contenere e accogliere l’allievo. Questo passaggio richiama i concetti di holding e setting (Winnicott, 2019), sottolineando l’importanza della cura dell’ambiente per sostenere la relazione educativa e prevenire le rotture.
4.3. Dispositivo filmico: la sospensione del giudizio
Il secondo incontro atelier è stato dedicato alla visione e all’analisi guidata di alcune sequenze tratte di un film, scelto non per la sua ambientazione scolastica, ma per la sua capacità di rappresentare con forza simbolica le tensioni relazionali che attraversano ogni spazio educativo. Una delle opere presentate è stata Ariaferma (Di Costanzo, 2021), ambientata in un carcere in dismissione, isolato dal mondo esterno e privo di regole certe, il film mette in scena la convivenza forzata tra pochi agenti e pochi detenuti, costretti a rinegoziare ruoli, confini e relazioni in uno spazio sospeso. In questo contesto, la rigidità dei codici istituzionali cede progressivamente il passo alla possibilità di un incontro umano, che interroga profondamente i protagonisti e i loro posizionamenti.
La proposta filmica è stata concepita come dispositivo transizionale (Ogden, 2004), in grado di favorire un’elaborazione simbolica non difensiva e di attivare nei partecipanti una risonanza affettiva significativa. La visione collettiva si è concentrata in particolare su due sequenze: la scena del blackout, che costringe detenuti e agenti a riorganizzare spontaneamente la convivenza, e il dialogo tra il capo agente e il detenuto anziano, nel quale emerge il desiderio di essere riconosciuti al di là del ruolo e della colpa.
A partire dalle scene selezionate, gli studenti hanno prodotto brevi riflessioni scritte individuali, annotate in forma libera, nelle quali sono stati invitati a esprimere emozioni, immagini interne, risonanze personali e interrogativi professionali attivati dalla visione. L’obiettivo non era l’analisi cinematografica, ma l’utilizzo del film come specchio per interrogare le zone grigie della relazione educativa: quelle in cui l’adulto non ha risposte immediate e deve sostare nella complessità, sospendendo il giudizio e tenendo insieme autorità e cura.
Nel lavoro di gruppo successivo, la discussione si è orientata a collegare le dinamiche del film a esperienze vissute durante i tirocini o nella propria biografia scolastica. Il film si è rivelato un catalizzatore potente per tematizzare la negoziazione dei ruoli, la costruzione dell’autorevolezza, la gestione del conflitto, l’ambivalenza delle emozioni educative. In particolare, l’assenza di una morale esplicita ha restituito al gruppo la responsabilità dell’interpretazione, aprendo uno spazio di elaborazione collettiva. In questa sospensione interpretativa si è collocata la funzione formativa del dispositivo, che ha saputo restituire la relazione educativa come esperienza viva, fragile, trasformabile.
4.4. Role-play guidato: esplorare gli atteggiamenti educativi
Nel terzo incontro atelier si passa all’azione attraverso il gioco di ruolo come strumento formativo. Si propone qui un role-play guidato, basato su copioni strutturati derivati da casi clinici reali. I partecipanti sono invitati a mettersi nei panni di bambini, insegnanti, genitori e compagni, assumendo punti di vista differenti e analizzando situazioni complesse tratte da casi reali.
Il laboratorio prende avvio da un primo caso educativo complesso, attraverso cui si esplorano, grazie alla drammatizzazione, le dinamiche familiari e scolastiche, tematizzando anche le emozioni controtransferali attivate nei partecipanti. L’esercizio consente di sperimentare la dimensione polifonica della relazione educativa, in cui vissuti personali e professionali si intrecciano con la complessità della dinamica rappresentata. L’uso del termine “educativo complesso” sottolinea che l’intento non è clinico-diagnostico, ma formativo: le situazioni proposte vengono assunte come dispositivi per allenare i futuri docenti alla riflessività e alla gestione di situazioni-limite, in coerenza con la prospettiva del “professionista riflessivo” (Schön, 1993).
Si lavora quindi su un caso, centrato su un allievo che manifesta comportamenti oppositivi e difficoltà relazionali sia a scuola sia in famiglia. Tre situazioni chiave, a casa, nel cortile scolastico e in aula, vengono messe in scena e analizzate, con l’obiettivo di elaborare strategie educative consapevoli e fondate sul piano relazionale.
L’intero percorso mira a stimolare un pensiero educativo complesso, capace di integrare teoria dell’attaccamento, lettura sistemica e sensibilità psicodinamica, promuovendo una professionalità riflessiva, intesa non come semplice postura ma come modo di essere che orienta la relazione con l’altro (Schön, 1993, 2006).
4.5. Dispositivo filmico: la costruzione affettiva della relazione educativa
Il quarto atelier ha riproposto l’uso del film come dispositivo riflessivo, in continuità con l’approccio esperienziale e narrativo del laboratorio. La visione guidata di alcune sequenze selezionate ha l’intento di approfondire, in modo simbolico e mediato, le tematiche dell’attaccamento, del riconoscimento e della costruzione affettiva della relazione educativa. In alcuni casi, i film selezionati affrontano tematiche inerenti al contesto scolastico, come le dinamiche di gruppo, la gestione della classe o il rapporto tra pari, ma l’obiettivo non è quello di rappresentare la scuola in modo realistico, bensì di evocare, attraverso la mediazione narrativa, le tensioni relazionali che attraversano ogni spazio educativo.
Un esempio significativo è rappresentato da un film proposto: Kes (Loach, 1969) che attraverso lo sguardo di Billy, un adolescente marginalizzato, mette in luce il valore trasformativo della relazione con un gheppio, Kes, vissuta come una possibilità di riscatto, costruzione di fiducia e stabilità emotiva.
L’atelier, nel caso specifico si è articolato in tre fasi. Nella prima, gli studenti hanno osservato attentamente la sequenza del racconto in classe, quella del conflitto tra pari, i momenti di addestramento del falco e l’incontro con il docente. Le scene sono state analizzate attraverso griglie di lettura psicodinamiche, sistemiche e pedagogiche. In particolare, si è riflettuto sulla funzione affettiva dell’animale come oggetto transizionale (Winnicott, 2019), sulla possibilità per l’adulto di diventare contenitore simbolico di emozioni complesse (Ogden, 2004), e sul bisogno di sicurezza e prevedibilità nei bambini con legami insicuri (Bowlby, 1969; Barone, 2006).
Nella seconda fase, si è proposto un lavoro in piccoli gruppi, nel quale le dinamiche del film sono state collegate a vissuti osservativi dei tirocini o a esperienze scolastiche pregresse. La figura del docente che ascolta Billy è stata letta come esempio di “sospensione delle gerarchie abituali” (Minuchin, 1974), capace di creare uno spazio relazionale trasformativo. Al contrario, la scena del litigio nel cortile è stata interpretata come momento di irrigidimento sistemico, in cui il gruppo rafforza i ruoli assegnati, escludendo il soggetto fragile.
Infine, nella terza fase, i partecipanti hanno prodotto brevi riflessioni scritte individuali, elaborate attorno ad alcune parole-chiave (fiducia, contenimento, riconoscimento, esclusione), per favorire una consapevolezza emotiva e una rielaborazione professionale delle risonanze emerse. Il film ha agito come spazio transizionale formativo, in grado di mettere in moto processi di identificazione e distanziamento riflessivo (Benjamin, 2009; Bruner, 1990), sostenendo un atteggiamento riflessivo in formazione, attento, eticamente situato e capace di integrare affettività e complessità
4.6. Role-play generativo: esplorare le relazioni educative
Il quinto atelier ha previsto l’utilizzo di un caso clinico reale, la storia di un’allieva con una paura fobica e difficoltà di integrazione nel gruppo classe, come stimolo per un’esperienza formativa centrata ancora sulla drammatizzazione.
In questa fase si è adottata una modalità di role-play generativo, in cui i partecipanti hanno costruito in autonomia il copione e lo scenario educativo, a partire dall’analisi del caso e dai ruoli assunti. I partecipanti hanno assunto punti di vista differenti (insegnanti, genitori, compagni), esplorando le dinamiche affettive, familiari e scolastiche che caratterizzano la situazione, con l’obiettivo di attivare strategie educative situate ed efficaci
L’attività ha preso avvio con una fase individuale di analisi, centrata sull’identificazione di fattori di protezione e di rischio nella storia della bambin, secondo una prospettiva ispirata al modello bio-psico-sociale dell’ICF-CY (WHO, 2007), che valorizza l’interazione tra caratteristiche individuali, relazioni significative e contesti di vita. In seguito, i piccoli gruppi hanno seguito un percorso strutturato in cinque passaggi: scelta dei personaggi, definizione degli obiettivi educativi, costruzione dello scenario, messa in scena e restituzione collettiva. Gli scenari elaborati facevano riferimento a contesti scolastici realistici, l’aula, il cortile, una gita, all’interno dei quali si sono messe in discussione modalità relazionali, posture professionali e implicazioni pedagogiche.
Le riflessioni emerse hanno evidenziato la centralità di una lettura sistemica delle dinamiche (ruoli, alleanze, inclusione/esclusione), integrata da un’attenzione psicodinamica ai significati difensivi e simbolici dei comportamenti di bambina (ritiro, evitamento, regressione). In particolare, si è tematizzata la possibilità per l’adulto di diventare un contenitore affettivo affidabile (Winnicott, 2019; Ogden, 2004), capace di sostenere l’angoscia dell’allieva con continuità, coerenza e ascolto non giudicante. Le difficoltà di separazione dalla madre e l’inibizione relazionale sono state interpretate come espressioni di un modello di attaccamento insicuro, che necessita di interventi educativi fondati su stabilità, fiducia e piccoli gesti quotidiani (Bowlby, 1969).
Il dispositivo si è rivelato particolarmente generativo per promuovere una disposizione riflessiva del docente, capace di integrare dimensioni affettive, sistemiche e professionali. L’allieva è diventata una figura ponte attraverso cui interrogare sé stessi nel ruolo di adulti significativi, aprendo uno spazio formativo denso, complesso e trasformativo.
4.7. Fiaba in scatola: dalla narrazione all’azione educativa
L’ultimo incontro è stato dedicato alla costruzione di una “fiaba in scatola”, intesa come dispositivo narrativo tridimensionale e simbolico, utile a rappresentare trasformazioni educative e scenari relazionali significativi. Ogni gruppo ha selezionato una fiaba (nota o originale) e ne ha rappresentato le fasi salienti, ambiente, protagonista, ostacolo, alleato, trasformazione, attraverso oggetti e materiali semplici inseriti in una scatola decorata.
Il lavoro ha previsto una fase laboratoriale di progettazione simbolica, in cui la fiaba fungeva da contenitore evocativo per esperienze educative vissute, osservate o desiderate. Le scatole sono poi state presentate e discusse in gruppo, generando un momento di condivisione profonda e di restituzione collettiva. Temi ricorrenti come la paura, il coraggio, la solitudine, l’aiuto e il cambiamento hanno permesso di fare sintesi dell’intero percorso formativo.
Questo dispositivo, ispirato al pensiero di Bettelheim (1976) e integrato con i riferimenti di Bruner (1990), ha mostrato una potente capacità di coniugare immaginazione, estetica e progettualità educativa . Le fiabe hanno agito come spazi transizionali, nei quali gli studenti hanno potuto rappresentare sé stessi, i propri allievi e le proprie aspirazioni professionali. In questo processo hanno rielaborato esperienze affettive e modalità di presenza formativa in una forma creativa e generativa, in linea con la nozione di thirdness come spazio intersoggettivo trasformativo (Benjamin, 2004).
4.8. Logica formativa e articolazione degli atelier
A partire dall’esperienza laboratoriale, è stato possibile restituire una logica trasformativa coerente, che ha guidato la costruzione e la successione degli atelier. Tale logica è qui sintetizzata in forma tabellare, per evidenziare le finalità pedagogiche trasversali, i focus attivati e gli apprendimenti professionali attesi.
Ogni dispositivo è stato selezionato e collocato nel percorso secondo una progressione intenzionale: dal contatto con la propria storia formativa alla costruzione di strategie educative mirate alla cura e al riconoscimento dell’altro.
Nella seguente tabella si propone una sintesi degli atelier, evidenziando per ciascuno il focus formativo, gli obiettivi pedagogici e gli apprendimenti attesi.
Tabella 1. Atelier tematici: focus, obiettivi e apprendimenti attesi
Atelier / Dispositivo | Focus formative | Obiettivi pedagogici | Apprendimenti attesi |
Questionario iniziale | Attivazione dei vissuti e dei bisogni e creazione di un lessico psico-pedagogico condiviso dal gruppo | Raccogliere le rappresentazioni iniziali per co-costruire il percorso | Consapevolezza dei propri nodi relazionali e bisogni formativi |
Metafora relazionale | Narrazione simbolica del sé educativo | Favorire la riflessività sulla propria postura relazionale | Emersione di immagini interiori e loro condivisione nel gruppo |
Carta d’identità dell’allievo “divergente” | Sguardo empatico sulla complessità | Superare etichette e diagnosticismi, leggere il bambino nella sua interezza | Capacità di progettare interventi affettivamente sensibili |
Spazio educativo simbolico | Cura del contesto relazionale | Tradurre bisogni affettivi in setting educativi significativi | Riconoscimento della funzione contenitiva dell’ambiente scolastico |
Visione filmica – Ariaferma | Sospensione del giudizio e risonanza emotiva | Esplorare ruoli, confini, riconoscimento reciproco | Lettura simbolica e critica delle dinamiche relazionali |
Role-play – Caso del bambino oppositivo | Pluralità di sguardi e sperimentazione di ruoli | Analizzare e affrontare situazioni educative complesse | Sviluppo di strategie relazionali e consapevolezza controtransferale |
Visione filmica – Kes | Costruzione affettiva della relazione educativa | Riflettere su riconoscimento, attaccamento e funzione adulta | Integrazione di approcci psicodinamici, sistemici e narrativi |
Role-play – Caso della bambina con fobia | Esplorazione delle dinamiche affettive e familiari | Comprendere significati simbolici del comportamento e progettare interventi | Capacità di lettura integrata (affettiva, sistemica, pedagogica) |
Fiaba in scatola | Narrazione trasformativa e simbolizzazione dell’esperienza | Integrare immaginazione, estetica e progettualità educativa | Elaborazione creativa della relazione educativa e restituzione collettiva del percorso |
Tabella . Atelier tematici: focus, obiettivi e apprendimenti attesi.
Gli atelier sono stati pensati secondo una logica spiraliforme, in cui ogni dispositivo rinvia al precedente e lo rielabora in chiave sempre più progettuale e professionale. Il passaggio dal sé all’altro è dinamico e risonante, coerente con una pedagogia della complessità e del riconoscimento.
In questo modo, l’intero dispositivo assume la forma di una narrazione educativa integrata, in cui la soggettività dell’adulto in formazione si intreccia con una progettazione intenzionale, simbolica e situata del proprio agire docente.
5. Apprendimenti emersi e riflessioni conclusive
La conclusione del corso ha previsto una sessione collettiva di restituzione e riflessione, durante la quale i partecipanti hanno potuto condividere gli apprendimenti maturati e le risonanze emerse lungo il percorso. Le considerazioni che seguono derivano dall’analisi di diversi materiali prodotti nel laboratorio: schede individuali di riflessione compilate al termine di ciascun atelier; note osservative relative alle dinamiche di gruppo; elaborati e mappe concettuali realizzati durante le attività; una restituzione finale in forma orale, supportata da una griglia di feedback condivisa. I materiali sono stati esaminati attraverso una codifica tematica induttivo–deduttiva e discussi congiuntamente dai docenti co-conduttori, al fine di ridurre la soggettività interpretativa e validare le principali ricorrenze emerse.
Dai racconti, dai materiali prodotti e dalle osservazioni raccolte in itinere, si evidenziano alcuni nuclei trasformativi rilevanti, che contribuiscono a delineare l’impatto pedagogico dell’esperienza.
In primo luogo, gli studenti hanno riportato una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni nel contesto educativo, riconoscendo la dimensione affettiva come costitutiva del ruolo docente e non come semplice interferenza da gestire. Il lavoro metaforico, la fiaba in scatola e le attività narrative hanno facilitato l’emergere di vissuti profondi legati all’infanzia, all’esperienza scolastica e ai primi tirocini, permettendo una rielaborazione simbolica e trasformativa. Questo processo ha favorito l’instaurarsi di una disposizione più riflessiva e accogliente nei confronti della propria soggettività e di quella degli allievi, in linea con la funzione di contenimento e trasformazione affettiva descritta da Ogden (2005), e con le prospettive pedagogiche di autori come Mortari (2017), Formenti (2009) e Formenti et al. (2014), per i quali l’educazione è sempre anche un processo di co-costruzione identitaria e relazionale.
In secondo luogo, le simulazioni tramite role-play e l’analisi del caso clinico hanno permesso di esperire in prima persona le difficoltà e le ambivalenze della relazione educativa. L’assunzione di punti di vista diversi e il confronto tra pari hanno generato uno spazio riflessivo di gruppo, da cui sono emerse strategie di gestione fondate sulla capacità di ascolto, di adattamento e di coerenza interna del docente.
Questi apprendimenti possono essere ricondotti alle competenze professionali delineate da Perrenoud (1999), che comprendono la gestione di situazioni complesse, la riflessione sulla propria azione e la costruzione di risposte educative flessibili. Tali esiti appaiono coerenti con il quadro di riferimento offerto dalla teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969; Crittenden, 2008) e con gli approcci contemporanei alla supervisione formativa (Corrao, 2014; Zannini, 2005; Perla, 2010), che sottolineano l’importanza del “senso della relazione” come dimensione centrale della professionalità educativa.
Infine, il percorso ha avuto il merito di favorire dignità pedagogica alla dimensione simbolica ed estetica dell’esperienza formativa. L’uso della narrazione, dell’immagine, della rappresentazione creativa ha permesso di esplorare territori spesso trascurati nella formazione iniziale, aprendo spazi di senso nei quali gli studenti hanno potuto sentirsi legittimati a portare la propria complessità. Come afferma Winnicott (2019), è solo in uno spazio potenziale sufficientemente sicuro che il soggetto può giocare, creare e dare forma a nuovi significati. Ed è proprio in questo spazio, affettivo, narrativo e professionale, che si colloca il contributo formativo del laboratorio descritto.
Questa esperienza, pur sviluppata all’interno del Dipartimento Formazione e Apprendimento / Alta scuola pedagogica (DFA/ASP) della SUPSI, che forma insegnanti Svizzeri, apre piste promettenti anche per altri contesti formativi. Sebbene la gran parte dei docenti abilitati scelga di operare Canton Ticino, l’approccio qui proposto si colloca in una prospettiva più ampia, orientata a una pedagogia circolare capace di coniugare teoria e pratica, emozione e pensiero, sé e alterità.
Le sfide poste dalle diversità relazionali e dai bisogni educativi speciali richiedono oggi non soltanto competenze tecniche, ma soprattutto figure adulte significative, capaci di abitare la relazione educativa con autenticità, responsabilità e cura.
In questa direzione, il laboratorio si è rivelato un’esperienza formativa densa e generativa, in grado di valorizzare le dimensioni emotive, simboliche e progettuali del mestiere docente. Le piste emerse offrono spunti fecondi per una riflessione più ampia sulla formazione iniziale, che verrà approfondita nel capitolo conclusivo.
6. Conclusioni
L’esperienza descritta, sviluppata nel contesto del DFA/ASP della SUPSI, che forma i futuri docenti per il sistema educativo svizzero, con prevalente inserimento nel Canton Ticino, si configura come una buona pratica capace di coniugare introspezione personale e progettazione educativa attraverso dispositivi simbolici e riflessivi.
Le pratiche di mediazione simbolica e relazionale attivate nel corso si sono dimostrate dispositivi formativi particolarmente efficaci per stimolare nei partecipanti una maggiore consapevolezza emotiva e una postura professionale più attenta all’ascolto e alla gestione delle dinamiche complesse.
La struttura del percorso formativo, che alterna cornici teoriche ad attività laboratoriali, ha favorito un contesto generativo, in cui studenti hanno potuto esplorare sé stessi nel ruolo docente, confrontandosi con esperienze scolastiche ad alta densità emotiva. L’intreccio continuo tra teoria, esperienza e riflessione, ha sostenuto un apprendimento profondo utile anche nella gestione di allievi con condotte sfidanti o vissuti divergenti.
In una prospettiva sistemica, il laboratorio si colloca nel solco di una pedagogia dell’alterità, che riconosce il valore della pluralità degli stili educativi, delle emozioni e delle traiettorie formative.
La scuola viene così intesa come spazio di riconoscimento reciproco e sull’ascolto non giudicante.
Il dispositivo qui descritto contribuisce a sostenere un’idea che rigenera i saperi professionali attraverso pratiche narrative, corporee e simboliche, capaci di coinvolgere la soggettività e di ampliare le competenze relazionali.
L’integrazione di esperienze e narrazioni affettive promuove una visione dell’educazione come processo ricorsivo e dialogico, in sintonia con le istanze di rinnovamento che attraversano oggi i contesti educativi europei. I feedback raccolti durante il percorso documentano un’evoluzione non solo nella consapevolezza personale, ma anche nell’intenzionalità pedagogica e nella capacità di lettura situata delle relazioni scolastiche.
Alla luce di questi risultati, il dispositivo potrebbe essere proposto anche in contesti di formazione in servizio, come spazio protetto per ripensare le pratiche e riattivare nei docenti una riflessione profonda sul proprio agire.
I materiali generati, narrazioni, fiabe, carte, metafore, possono essere integrati nei curricoli come strumenti didattici per accompagnare lo sviluppo di competenze relazionali e riflessive. Una loro sistematizzazione potrebbe portare alla definizione di moduli adattabili a diversi gradi scolastici, contribuendo alla diffusione di una pedagogia trasformativa centrata sulla dimensione relazionale
In definitiva, l’esperienza qui documentata rafforza l’idea di una formazione docente che sappia valorizzare la soggettività, accogliere la complessità relazionale e promuovere una cultura pedagogica orientata al dialogo, alla cura e alla trasformazione.
7. Nota metodologica e limiti
Il presente contributo adotta un approccio qualitativo e narrativo, centrato sulla descrizione densa di un’esperienza formativa situata. Sebbene i materiali raccolti e le osservazioni in itinere offrano elementi significativi per la riflessione pedagogica, si riconosce che i risultati non sono generalizzabili in senso stretto. Inoltre, il corso è stato proposto come attività opzionale, scelta liberamente dagli studenti all’interno del loro percorso, e non ha quindi coinvolto l’intera coorte. Questo aspetto può aver influito sul livello di motivazione, sulle dinamiche partecipative e sulla trasferibilità dei risultati.
La proposta intende offrire spunti trasferibili per alimentare un dibattito più ampio sulla formazione docente, con particolare riferimento alla dimensione affettiva e trasformativa dell’agire educativo. Studi futuri potrebbero prevedere una sistematizzazione dei materiali prodotti, l’estensione del dispositivo ad altri livelli scolastici e una verifica longitudinale degli effetti sullo sviluppo professionale dei partecipanti.
Gli autori dichiarano di non aver utilizzato strumenti di Intelligenza Artificiale generativa (Large Language Models) per la redazione o la traduzione del manoscritto. Tali strumenti sono stati impiegati esclusivamente per supportare l’uniformazione dell’impaginazione e la formattazione, sotto la piena responsabilità scientifica degli autori.
Endnotes
L’ECTS (European Credit Transfer and Accumulation System) è un sistema europeo di accumulo e trasferimento dei crediti formativi. Un credito ECTS corrisponde a circa 25-30 ore di lavoro complessivo da parte dello studente, includendo lezioni, studio individuale e attività pratiche. È utilizzato in molti paesi europei, tra cui la Svizzera, per garantire la trasparenza e la comparabilità dei percorsi formativi. ↑
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