Mario Caligiuri
Dipartimento di Culture, Educazione e Società, Università della Calabria (Cosenza, Italy) – mario.caligiuri@unical.it
https://orcid.org/0000-0003-4841-1987
The metamorphosis of the world inevitably leads to the metamorphosis of education. This paper analyses the complex challenges facing the Italian educational system in a rapidly changing society. It examines the structural inadequacies, social and economic dimensions, and territorial disparities that characterize Italian education today. The paper highlights the need for profound reforms to address the educational emergency, focusing particularly on the impact of digital technologies and artificial intelligence. It proposes three main actions: defining a pedagogy of the nation, developing educational algorithms, and returning to orality in learning. The study concludes that despite the difficulties, education remains the primary pathway for reducing inequalities and promoting social progress, emphasizing the importance of improving educational quality to face future challenges in a digital and hybrid world.
La metamorfosi del mondo comporta inevitabilmente la metamorfosi dell’educazione. Questo paper analizza le complesse sfide che il sistema educativo italiano deve affrontare in una società in rapido cambiamento. Esamina le inadeguatezze strutturali, le dimensioni sociali ed economiche e le disparità territoriali che caratterizzano l’istruzione italiana oggi. Il documento evidenzia la necessità di riforme profonde per affrontare l’emergenza educativa, concentrandosi in particolare sull’impatto delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale. Propone tre azioni principali: definire una pedagogia della nazione, sviluppare algoritmi educativi e ritornare all’oralità nell’apprendimento. Lo studio conclude che, nonostante le difficoltà, l’educazione rimane la via principale per ridurre le disuguaglianze e promuovere il progresso sociale, sottolineando l’importanza di migliorare la qualità educativa per affrontare le sfide future in un mondo digitale e ibrido.
Educational Systems, Digital Transformation, Artificial Intelligence, Educational Emergency, Social Inequality
Sistemi Educativi, Trasformazione Digitale, Intelligenza Artificiale, Emergenza Educativa, Disuguaglianza Sociale
CONFLICTS OF INTEREST
L’autore dichiara di non avere conflitti di interesse
RECEIVED
March 26, 2025
ACCEPTED
April 7, 2025
PUBLISHED
April 30, 2025
La metamorfosi del mondo non può che comportare la metamorfosi dell’educazione. Come spiega Le Goff (2015), le prime trasformazioni investono l’aspetto economico, poi quello sociale e infine quello mentale.
Stiamo registrando un ritardo culturale nel comprendere la realtà, in quanto viviamo contemporaneamente nelle tre dimensioni fisica, digitale e ibridata, mentre l’organizzazione sociale è ancora strutturata solo a livello analogico.
Già più di vent’anni fa, Longo (2003), che ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione, osservava: “Oggi nella scuola vengono a contatto due generazioni (gli insegnanti e gli allievi) che, per le loro diverse esperienze cognitive, hanno strutture cerebrali diverse e perciò dialogano con grande difficoltà” (p. 109).
Di fronte a trasformazioni strutturali, erroneamente rubricate come un consueto passaggio epocale, non abbiamo coniato le parole, i concetti mentali, le categorie culturali, le teorie pedagogiche, le regolamentazioni giuridiche per descrivere quanto sta davvero accadendo.
L’esempio della legge sull’Intelligenza Artificiale da parte dell’Unione Europea mi sembra un buon esempio per spiegare questa inadeguatezza (Caligiuri, 2024a, p. 16).
L’istruzione rappresenta l’area dell’intervento pubblico più consistente, rappresentando, sia a livello numerico sia come investimenti economici, una delle voci più consistenti del bilancio dello Stato.
Per compiere opportune comparazioni, in Italia si spende il 4.1% del PIL in istruzione, il 5.1% in Francia e il 6.2% in Gran Bretagna (OECD, 2024). In quest’ultimo Paese va ricordato che la vittoriosa campagna elettorale del laburista Tony Blair nel 1997 indicava come tre priorità: education education education (Romano, 2005, pp. 134-148). Adesso si vedono alcuni i frutti.
Proseguendo nei confronti, in Italia ci sono circa 7 milioni di studenti con 860.000 docenti dei quali 96.000 di sostegno per le disabilità, pari all’11,2% del totale. In Francia sono 58.000 rappresentando il 6.9% del corpo docente (Unione Europea, 2023).
Altro dato è quello degli insegnanti precari, emergenza che sta investendo anche le università (Caligiuri, 2019, p. 29), che in Italia sono 284.000 pari al 33%, percentuale che in Francia arriva al 18% (Osservatorio Università Cattolica del Sacro Cuore, 2024).
Le ore di insegnamento nelle scuole in Italia sono 748 all’anno, a fronte delle 684 in Francia e delle 850 in Gran Bretagna.
Un rapporto Eurispes del 2024 ha rilevato che circa il 50% di questo tempo è impiegato per pratiche burocratiche (Eurispes, 2024, pp. 117-119).
Un altro elemento su cui riflettere è rappresentato dalla circostanza che nel dibattito pubblico, di fronte a ogni problema, dalla disoccupazione all’ambiente dai femminicidi alla droga, si invoca un maggiore intervento dell’educazione, non considerando che scuola e università, in tale contesto, non possono rappresentare la soluzione ma fanno parte rilevante nel problema.
Il terzo aspetto forse è quello più importante e lo descrive il premio Nobel Joseph Stiglitz, il quale ritiene che negli ultimi due secoli la società sia progredita in base all’aumento della sua capacità di apprendimento (Stiglitz & Greenwald, 2018).
Di conseguenza, sono i processi educativi che precedono la crescita economica, mentre i parlamenti in Occidente si preoccupano prima dell’economia e poi dell’educazione perché la prima assicura risposte immediate, invece la seconda purtroppo dopo tempo (Gravemeijer, 2012).
L’approccio economico, come di tutta evidenza, è quello che prevale nelle politiche dell’Unione Europe, che hanno un impatto sulla regolamentazione nazionale (Osservatorio sulla Legislazione della Camera dei Deputati, 2023), a cominciare dal bilancio dello Stato.
L’istruzione è una necessità sociale poiché incide direttamente sia sulla democrazia che sull’economia.
E l’istruzione pubblica diventa una necessità sociale soprattutto dopo la grande cesura dell’invenzione del motore a scoppio, che determina l’industrializzazione che a sua volta genera la questione sociale (Veneruso, 1979), che sottolinea le disuguaglianze tra le classi e determina la nascita delle organizzazioni sindacali a tutela dei diritti dei lavoratori.
Nella società dell’istruzione di massa prevale la dimensione economica, che, secondo l’interpretazione di Pier Paolo Pasolini favorisce lo sviluppo capitalistico e non il progresso delle persone.
Rappresenta una grande questione chiarire il ruolo sociale dell’istruzione all’interno di una struttura schiacciata sul consumo, dove scuola e università in definitiva formano consumatori finali. E ancora Pier Paolo Pasolini considerava il consumismo “infinitamente più efficace - nell’imporre la propria volontà - che qualsiasi altro precedente potere al mondo” (Pasolini, 1976, p. 21).
Nella società digitale la gran parte delle persone sono fondamentali solo come consumatori, in quanto non più indispensabili nel lavoro delle fabbriche, nella conduzione delle guerre, nella partecipazione politica. Pertanto, come operai, soldati ed elettori contiamo sempre di meno.
Infatti, nel rapporto tra politica ed economia in Occidente c’è una netta prevalenza della prima, come confermano le elezioni americane e il ruolo delle multinazionali (Galli & Caligiuri, 2017).
Non ci rendiamo del tutto conto di questi aspetti, sebbene la realtà sia davanti agli occhi di tutti ma viviamo nella società della disinformazione dove la verità sta da una parte la percezione pubblica della verità è esattamente dall’altra (Caligiuri, 2012, pp. 135-155; Caligiuri, 2018).
Non a caso Han (2023) descrive la crisi della verità (p. 78), che asseconda i meccanismi cerebrali che compiono salti logici nell’interpretazione della realtà ampliando le visioni del complotto (Brotherton, 2017) e l’attenzione selettiva che determina l’effetto scotoma.
Meccanismi che ben conoscono i programmatori degli algoritmi che fanno sì che Google ci conosca meglio di nostra madre.
Un aspetto che va considerato con attenzione sono i tempi educativi, poiché ogni riforma scolastica produce effetti dopo tempo.
Per esempio, la riforma Gentile del 1923 è stata determinante per formare i diplomati e i laureati che hanno consentito al nostro Paese lo straordinario boom economico degli anni Sessanta, a pochi anni dalla fine di una rovinosa guerra perduta.
Oggi assistiamo alle conseguenze delle riforme dell’istruzione successive al Sessantotto, molto accentuate da quanto è susseguito senza sosta della fine degli anni Novanta in poi (Caligiuri, 2024b).
Dal mio punto di vista, si è determinato un abbassamento del livello di studi che ha determinato un facilismo amorale, che ha sostanzialmente allargato le distanze sociali e territoriali, riducendo le possibilità di progresso per i figli delle famiglie di medio e basso reddito (Caligiuri, 2018).
Il tema da porre è verificare la possibilità di una scuola di qualità nella metamorfosi del mondo. Il sociologo James Coleman in un celebre rapporto commissionato dall’amministrazione statunitense aveva evidenziato che migliorare i programmi, gli ambienti scolastici, le tecnologie non era sufficiente se non si interveniva anche nelle condizioni sociali, abitative ed economiche di partenza degli studenti. La qualità dei docenti era l’unico elemento che poteva fare la differenza (Coleman, 1966). Ma la qualità dei docenti non si può imporre per legge.
Va rilevato che oggi in Occidente non funziona più il rapporto istruzione e sviluppo (Caligiuri, 2023; Kessler, 2021) e il dato della povertà educativa fa presagire fin da ora quale potrebbe essere il futuro dei vari territori (De Marchi, 2024).
Se facciamo riferimento al nostro paese, il divario educativo tra Nord e Sud è molto accentuato e non trova riscontro altrove.
Il Presidente dell’INVALSI Roberto Ricci pone in evidenza come sia possibile che in presenza di identiche norme nazionali le differenze territoriali siano così marcate. Infatti, a livello educativo Nord e Sud sembrano paesi diversi, in un’Italia divisa di fatto con un progressivo impoverimento intellettuale delle regioni meridionali (SVIMEZ, 2024; INVALSI, 2024).
Senza dubbio, siamo di fronte a una grande emergenza educativa, come confermano le classifiche internazionali (OCSE, 2023).
Le ricadute economiche sono rilevanti, poiché in settori chiave mancano diplomati e laureati che possano sostenerle (Labartino et al., 2024).
Gli studenti però non possono considerarsi dei carnefici, seguendo l’interpretazione di ampio Claudio il Cieco il quale sostiene che “Faber est suae quisque fortunae”, ma vittime, utilizzando invece la visione di Graham Green che sostiene che “Non siamo noi a decidere le cose che ci riguardano”. Pertanto, gli studenti sembrano di fatto vittime di un sistema educativo che paradossalmente lavora contro di loro.
La qualità dell’educazione condiziona in modo diretto la qualità della democrazia, sia per quanto riguarda la formazione degli elettori che delle classi dirigenti.
Può essere consapevole la partecipazione elettorale quando più di un terzo dei nostri connazionali sono analfabeti funzionali? (OECD Skills Studies, 2024b). Gli analfabeti funzionali “sanno leggere e scrivere, ma hanno difficoltà grandi (o addirittura insuperabili) nel comprendere, assimilare o utilizzare le informazioni che leggono” (Il Sole 24 Ore, 2024, dicembre 10).
È di tutta evidenza che la qualità dell’istruzione incida sulle decisioni delle classi dirigenti. Il numero dei laureati all’interno del Parlamento ora è inferiore a quello del 1948, sebbene il livello di istruzione sia aumentato tantissimo (Pisicchio, 2023; Merlo et al., 2008).
Altro dato sul quale non si riflette abbastanza sono gli esiti dei concorsi in magistratura dove, dal 1988 al 2019, su 36 concorsi banditi soltanto in 9 è stato raggiunto o superato il numero dei posti previsti (Caligiuri, 2024a, pp. 31-33).
Inoltre, sulla scuola si scaricano i problemi della società. Pigozzi (2019) evidenzia lucidamente che piuttosto agitare l’alibi dell’uso sempre maggiore dei dispositivi digitali, invita a riflettere su quello che c’è prima dello schermo e cioè le dinamiche familiari.
Nello stesso tempo, i social rappresentano l’agenzia educativa più potente, poiché assorbono maggiore tempo e attenzione rispetto al dialogo con insegnanti, genitori e familiari. Pertanto, interagire con computer e iPhone sviluppa la dopamina che incide sull’umore e l’apparente benessere delle persone (Gabaldi, 2024).
Da rilevare che l’esposizione agli schermi dei bambini del nostro Paese avviene in un’età precocissima, tanto che per quelli tra i 2 e i 5 mesi raggiunge il 22.1% e quelli tra gli 11 e i 15 mesi addirittura arriva al 58.1%, con medie più alte nel Mezzogiorno d’Italia (De Marchi, 2024, p. 82).
Secondo me, ci sono due casi che dimostrano in maniera evidente la grande difficoltà dei sistemi educativi ad affrontare le grandi sfide che abbiamo davanti.
Il primo è il disagio e il secondo è l’uso della droga. In base a ricerche internazionali, un settimo dei giovani nel mondo soffre di sturbi mentali (Currie, 2024, pp. 102-105), che in Europa arrivano a un quinto per quanto riguarda i ragazzi tra i 15 e 19 anni (UNICEF, 2021).
Tale disagio si inserisce di dinamiche molto complesse, per cui di fronte alle difficoltà e ai fallimenti della vita le persone attribuiscono sistematicamente a loro stessi le responsabilità e non invece alle profonde ingiustizie sociali, che non di rado sono imposte dalla legge.
L’uso della droga è una piaga sociale molto sottovalutata, che non ha un’adeguata attenzione sia nel dibattito mediatico che in quello educativo, nonostante il numero dei morti superi quello dei femminicidi e dei caduti sul lavoro. L’arrivo delle droghe sintetiche renderà il problema più grave (Bartoloni, 2024).
Già adesso, oltre metà dei detenuti nelle carceri lo è per ragioni legate agli stupefacenti e gli utili del commercio della droga rappresentano la principale forma di accumulazione capitalistica delle mafie che riciclano i profitti inquinando l’economia.
Essendo talmente vasto il fenomeno, occorrerebbe riflettere sulle cause che chiamano in causa l’organizzazione sociale. Pier Paolo Pasolini a metà degli anni Settanta riteneva che le giovani generazioni si drogassero per coprire un vuoto di cultura determinato dalle logiche perverse del consumismo che annientavano tradizioni e radici. “la droga è sempre un surrogato. E precisamente un surrogato della cultura [...] la droga viene a riempire un vuoto causato appunto dal desiderio di morte e che è dunque un vuoto di cultura” (Pasolini, 1976, pp. 85-86).
4. Le azioni
Di fronte a uno scenario così complesso e urgente, c’è bisogno di profonde riforme strutturali, poiché nel pendolo che caratterizza la storia tra riformismo e rivoluzione bisogna propendere verso il secondo (Caligiuri, 2008, pp. 143-158).
Bisogna allora chiedersi quale può essere oggi la linea di faglia, il punto di svolta, il trauma di media portata che può determinare un cambiamento profondo.
Se facciamo riferimento alla società analogica la rottura dell’ordine sociale è stata determinata dalla crisi fiscale, che è la ragione che ha fatto scoppiare prima la rivoluzione americana e poi quella francese (Caligiuri, 2008, pp. 144-149).
Ora la rottura del patto sociale tra stato e cittadini potrebbe essere determinata dall’ingestibile debito pubblico, con il conseguente mancato pagamento di stipendi e pensioni (Maddaloni, 2024; Rosa, 2024), per cui bisognerà constatare se “qualcuno sarà ancora disposto ad obbedire” (Azzolini, 2017, p. 161).
Da dove ripartire, dunque? Secondo me, occorre farlo dalla conoscenza delle parole, che danno corpo alla realtà e che sono atti di identità, dimostrando quello che vorremmo essere (Gheno, 2019).
L’uso delle parole è importantissimo nel dibattito pubblico, potendo incidere addirittura sulle quotazioni di borsa (Spini, 2024; RaiNews, 2024).
Inoltre, diventa fondamentale insegnare agli studenti di essere in connessione con loro stessi, in modo da farli sentire a loro agio con i tempi delle proprie vite, superando i traumi del passato in modo da vivere con consapevolezza il presente e quindi preparare responsabilmente l’avvenire. E come questo vale per le persone vale anche per le nazioni. Infatti, se noi non superiamo i drammi dell’Unità, del fascismo, di una guerra perduta, di Tangentopoli siamo in difficoltà a disegnare il futuro del Paese.
Il terzo aspetto su cui ci dobbiamo confrontare è sviluppare la capacità di apprendimento, che avviene in ogni momento della nostra vita e per tutta la vita (Bauman, 2009).
Infine, andrebbe sviluppata una visione d’insieme nel recepimento dei saperi, sviluppando sia l’emisfero destro del nostro cervello, che è quello analitico, e sia quello sinistro, e quello che consente una visione globale (Levi Montalcini, 1981).
A ciò si aggiunga soprattutto l’avvento dell’intelligenza artificiale che sta creando un salto di specie con l’inevitabile ibridazione tra uomo e macchina (Kelly, 2017).
Inevitabilmente, il tema dell’intelligenza artificiale si incrocia con quello dell’insegnamento, ponendo problemi di grandissima rilevanza come quello di individuare le possibilità di evitare il dominio del digitale nei processi educativi, di definire quali sono le competenze dei docenti, di verificare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per migliorare i processi di apprendimento dei singoli studenti, sperimentare processi educativi nel metaverso (Hwang & Chien, 2022), insieme ad altri ambienti immersivi come il visual storytelling (Eurispes, 2024b, p. 97).
Nelle varie fiere sull’istruzione che si volgono nel nostro Paese, quasi tutte le proposte educative si incrociavano con l’intelligenza artificiale, ma dal mio punto di vista rappresentano una ennesima illusione educativa, questa volta è molto molto più grave delle altre, perché i risultati erano vaghi e per nulla verificati.
Dal “Rapporto Italia” dell’Eurispes presentato nel maggio 2024 apprendiamo che gli italiani che sanno poco o nulla dell’intelligenza artificiale sono il 65%. Dal mio punto di vista, mi concentrerei sul restante 35%, in quanto Come spiega Steven Hawking “il problema non è l’ignoranza ma l’illusione della conoscenza”.
Sulle ricadute dell’intelligenza artificiale ci sono posizioni del tutto opposte, con varie sfumature: da un lato c’è chi ritiene che l’intelligenza umana non potrà mai essere superata da quella artificiale e chi esattamente il contrario. Chi ritine che possa rappresentare una salvezza se focalizzata sulle esigenze umane (Fei-Fei Li, 2024) e chi invece che ne può provocare l’estinzione (RedHotCyber, 2024).
Di sicuro gli esiti di quanto potrebbe accadere, al momento penso sia difficile prevederne gli esiti, in quanto non abbiamo ancora maturato una “coscienza dell’intelligenza artificiale”, intesa come consapevolezza delle conseguenze del suo incontrollato sviluppo (Caligiuri, 2018, pp. 55-65).
Occorre riflettere su due elementi importanti. Il primo è che è sbagliato concentrare l’attenzione soltanto sul cervello, perché l’uomo pensa con tutto il corpo, condizione che la macchina non potrà mai avere (Benasayag & Pennisi, 2024).
In secondo luogo, sembra pure che il pensiero dell’uomo si stia conformando al funzionamento dell’intelligenza artificiale (Mormando, 2024, p. 61), come sembrerebbero confermare le modalità del dibattito pubblico con la radicalizzazione delle opinioni e, più profondamente, con l’aumento del disagio psicologico e psichiatrico (Benasayag & Schmit, 2008; Miele, 2024).
La parola dell’anno del 2024 per l’Oxford Dictionary è stata “Brain rot”, che significa “rimbambimento da web”, confermando la prevalenza della dimensione digitale su quella fisica.
Nel 2030 tutto il mondo sarà tecnicamente collegato a Internet. Di conseguenza, se saremo tutti collegati saremo tutti controllati (Zuboff, 2019), rendendo possibile quello che sarà il campo di battaglia definitivo per la conquista del potere economico e politico: la mente delle persone (Caligiuri, 2023; Colon, 2024; Hackerare il cervello: di cosa si tratta?, 2025).
Occorre dunque elevare barriere educative.
A riguardo, potrebbero essere considerati con attenzione i segnali che provengono dall’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale che sta creando collaborazioni con il Ministero dell’Istruzione e del Merito per insegnare fin dalle elementari la sicurezza informatica (Il Sole 24 Ore, 2024, dicembre 13), e, in via di definizione, con l’Agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca per monitorare costantemente gli sviluppi della ricerca in tale fondamentale settore.
In entrambi i casi, la sicurezza informatica viene intesa non in maniera negativa ma positiva. Infatti, si tende a favorire la conoscenza dei pericoli della Rete per poterne utilizzare le straordinarie opportunità di conoscenza, inedite nella storia del mondo.
Perciò è necessario inserire come materia di base nelle scuole e nelle università lo studio dell’intelligenza artificiale.
Ma c’è bisogno, inoltre, di acquisire nuovi saperi nell’ambito educativo, come le neuroscienze (Cambi, 2011, pp. 19-15), la genetica (Asbury & Plomin, 2015), l’epigenetica (De Rosnay, 2019), la psicanalisi (Mamoni et al., 1971; Roveda, 2002; Jung, 1987). Non a caso, c’è chi sostiene che la pedagogia potrebbe presto diventare una branca della medicina (Alexander, 2018).
Soprattutto la neurogenetica è fondamentale, poiché nei processi di apprendimento “sapere esattamente come funziona il cervello cambierà tutto” (Pepperberg, 2010, p. 131), cosi come diventa fondamentale per favorire la personalizzazione dell’istruzione “inserire un modulo di genetica dell’apprendimento e dell’educazione in tutti i corsi di formazione per gli insegnanti” (Asbury & Plomin, 2015, p. 167).
Inoltre, dovendo in futuro lavorare per un settimo della nostra vita (De Masi, 2016), dovremmo occuparci, come aveva anticipato circa cento anni fa John Keynes (2009), di come utilizzare in maniera vantaggiosa per noi e per gli altri il tempo libero. Pertanto, la scuola oltre e più che educare al lavoro dovrebbe educare a come si vive.
Vivendo nella società della disinformazione, in cui siamo condizionati dalla dismisura di informazioni irrilevanti (Caligiuri, 2019), dovremmo sviluppare la capacità di individuare quelle fondamentali. E per fare questo il metodo dell’intelligence diventa decisivo (Caligiuri, 2019, pp. 35-37).
Infine, occorre tenere conto della profonda trasformazione del termine cultura, che da conoscenza del passato adesso si traduce nella capacità di prevedere l’avvenire. Quindi lo studio del futuro dovrebbe essere trasversale a tutte le discipline, che vanno inquadrate in una dimensione di quello che accade a livello globale.
Di conseguenza, le università devono radicalmente cambiare e organizzarsi più che per discipline sullo studio dei vari problemi sociali (Mulgan, 2018, pp. 214-215).
La scuola del futuro dovrà tenere conto di alcune dinamiche già molto prevedibili. La prima è la severa diminuzione demografica, che stiamo registrando da tempo (La Repubblica, 2024), ma che inevitabilmente si accentuerà (ISTAT, 2023).
Stanno pure aumentando a livello globale le disuguaglianze economiche (Regione Valle d’Aosta, 2024), con ricadute sociali e territoriali, culturali e antropologiche.
Yuval Noah Harari (2017) sostiene addirittura che potremmo presto avere a che fare con due distinte razze umane: una ristretta minoranza che utilizza l’intelligenza artificiale a proprio vantaggio e le moltitudini che ne saremo guidate (Harari, 2017, p. 490).
In uno scenario che si modifica in maniera continua, e che quindi intellettualmente molto interessante, provo ad avanzare tre proposte: definire una pedagogia della nazione, realizzare algoritmi educativi, ritornare all’oralità (Caligiuri, 2024a, pp. 24-25).
La creazione di una pedagogia della nazione significherebbe innanzi tutto porre al centro del dibattito politico e culturale il tema dell’educazione. Infatti, nei paesi del Sud est asiatico si sta investendo moltissimo sulla qualità dell’istruzione, con risultati positivi secondo le indagini internazionali (OECD, 2023). I paesi che investono di più e hanno i migliori risultati sono Cina, Giappone, Corea del Sud, Singapore e sta crescendo il Vietnam.
Lo stesso sta accadendo in paesi europei non comparabili con il nostro, con una visione politica dell’istruzione (Bloj, 2023). Dobbiamo invertire la tendenza, da un lato non possiamo considerare impossibile ogni cambiamento (Di Salvo, 2024) e dall’altro non dobbiamo continuare a pensare scuole e università come ammortizzatori sociali per studenti e docenti, luoghi, cioè dove si socializza e si erogano stipendi invece che centri propulsori del futuro.
Chi opera nel mondo dell’istruzione sa bene quanto sia difficile cambiare rotta, poiché, come spiega Niklas Luhmann (1990), ogni organizzazione prima di tutto è autoreferenziale.
Occorre però considerare che al di là del miglioramento dell’educazione non ci sono altre strade perché tutte le altre ricette sono già fallite.
La scuola ha il compito costituzionale di ridurre le disuguaglianze, sia premiando che includendo.
Nell’articolo 34 si recita che “la scuola è aperta a tutti” e che “i capaci e meritevoli hanno diritto a raggiungere più alti gradi negli studi” e nell’articolo 38 si prevede che “gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale”.
Inoltre, una pedagogia della nazione è anche quella che cerca di accentuare i punti di forza e ridurre quelli di debolezza.
Nella mia opinione, i punti di forza del nostro Paese sono rappresentati dal grande patrimonio storico che ci rende una indiscussa potenza culturale mondiale, dalla nostra collocazione geografica al centro del Mediterraneo che è l’area di libero scambio più estesa del pianeta, dalla capacità di innovazione che si manifesta in innumerevoli settori e in tantissime aree geografiche.
I punti di debolezza sono invece rappresentati dalla demografia, perché nei prossimi anni saremo sempre di meno e meno persone significa automaticamente meno ricchezza, dal basso livello dell’istruzione che come stiamo argomentando rappresenta un’emergenza nazionale, e dalla diffusione della criminalità organizzata che si è diffusa in tutto il paese distorcendo l’economia e la democrazia.
La seconda proposta che mi sento di avanzare è quella di realizzare algoritmi educativi, utilizzando l’intelligenza artificiale per sviluppare il pensiero critico, stimolando l’emisfero destro del cervello, per attenuare la dittatura dell’algoritmo sovrano che opera a fini commerciali per sedurre e manipolare le persone a fini commerciali e politici (Curcio, 2018).
E dato che l’algoritmo commerciale funziona, perché su questo si sta fondando in buona parte la l’economia capitalistica attuale, dal mio punto di vista si dovrebbe agire in direzione ostinata e contraria.
Va da sé che i proprietari delle piattaforme social, sia statunitensi che i cinesi, per ragioni in parte diverse e in parte convergenti, non abbiano alcun interesse a investire in questa direzione. Pertanto, dovrebbero essere gli Stati, specie quelli europei, a muoversi in questa direzione.
Il terzo aspetto è quello che riguarda a livello educativo il ritorno all’oralità. Provo ad argomentare. Nelle università medievali era indispensabile per sostenere gli esami partecipare alle disputationes, confronti in aula tra studenti e con i professori su determinati argomenti di studio (Moulin, 1992, pp. 140-144).
Oggi con Chat GPT diventa di fatto impossibile distinguere se un testo sia scritto da una persona oppure dall’intelligenza artificiale generativa. Ciò vale sia per valutare la preparazione degli studenti ma in particolar modo quella dei docenti, che a livello universitario vengono individuati soltanto sulla documentazione esibita senza prevedere di ascoltare nemmeno per una volta il suono della loro voce (Scirè, 2021; Pivato, 2015).
Recuperare l’oralità significa ribadire la necessità della conoscenza delle parole recuperando facoltà umane che stiamo perdendo, delegandole sempre di più alle macchine: la memoria, la logica, la razionalità, il pensiero e la creatività.
Anche le opere d’arte vengono create dall’intelligenza artificiale. “Si tratta del Ritratto di Edmond de Belamy messo a punto dal collettivo artistico parigino Obvious utilizzando una rete antagonista generativa [...] secondo le stime degli esperti di Christie’s dovrebbe essere battuta all’asta a un prezzo compreso tra i 7 e i 10mila dollari” (Piva, 2018). L’opera è stata aggiudicata a 432.500 dollari.
Qualche anno fa, ho scritto un libro dal titolo “Pedagogia Meridiana. Un progetto culturale per il rilancio dell’Italia”. In questa pubblicazione ho utilizzato il termine “meridiano” con un duplice significato: per riprendere la riflessione del sociologo Franco Cassano sul pensiero meridiano in cui invitava il Mezzogiorno a costruire il proprio futuro partendo da sé, senza farsi narrare dagli altri; e per richiamare il demone meridiano a cui facevano riferimento i padri del deserto, ritenendo che a metà della giornata, e quindi metaforicamente della vita, si rifletteva sull’inutilità degli sforzi compiuti e delle mete raggiunte.
Un riferimento a quella fatica sprecata che sembra a volte caratterizzare la nostra vita e le nostre esperienze di insegnanti (Furedi, 2012).
Pur con tutte le difficoltà e contraddizioni, che ancora una volta nessuno conosce meglio di chi vive all’interno dell’ambiente, dobbiamo adoperarci affinché non sia così.
E per convincerci ad andare verso una direzione positiva, utilizzo i dialoghi di due film famosi.
In “Un uomo per tutte le stagioni” di Fred Zinnemann (1966) riporto il dialogo che Sir Thomas More, Lord cancelliere di Enrico VIII e protagonista del film, con l’ambizioso e spregevole Richard Rich:
Thomas More: “Saresti un buon maestro”.
Richard Rich: “E chi lo saprebbe?”.
Thomas More: “Tu, i tuoi amici, i tuoi allievi, Dio. Un discreto pubblico, mi sembra”.
Nell’altro film “Le conseguenze dell’amore” di Paolo Sorrentino (2004) il protagonista Titta Di Girolamo, un mediatore finanziario legato alla mafia, dice al direttore della sua banca: “Non bisogna mai smettere di avere fiducia negli uomini perché quello sarebbe un giorno sbagliato”.
Allora ritengo che la nostra attività di educatori, in un contesto così ostile ma ricco di futuro, possa ritenersi valida perché, anche se avremo invertito il destino di una sola persona, avremmo compiuto il nostro dovere.
Non a caso, nel Talmud, il libro sacro degli ebrei, c’è scritto che “chi salva una vita salva il mondo intero”.
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