The Challenge of University Dropout for Pedagogical Reflection: From Silent Students to Talent Valuation

 

La sfida dell’abbandono universitario per la riflessione pedagogica: Da studenti silenti a valorizzazione dei talenti

 

Elisa Zane

Dipartimento di scienze cliniche e sperimentali, Università degli studi di Brescia (Brescia, Italy) – elisa.zane@unibs.it

https://orcid.org/0000-0001-5897-1000

 

ABSTRACT

The challenge of university dropout and the phenomenon of silent students prompt pedagogical reflection to treat dropout as an urgent issue that necessitates the development of effective educational strategies within the academic context. This contribution, without claiming to be exhaustive, begins with an analysis of university dropout rates in Italy, considering silent students as an aspect of this phenomenon that requires a pedagogical perspective. Universities are urged to transform both their teaching practices and their educational approaches towards the most vulnerable students. Addressing the university dropout phenomenon merely as a statistic would represent a missed opportunity to promote an inclusive and genuinely relational environment. The various interventions implemented in universities need to be pedagogically systematized to train and support students in utilizing these offerings, fostering an awareness of their own talents, and developing reflective skills.

 

La sfida del drop-out universitario e il fenomeno degli studenti silenti sollecita la riflessione pedagogica a considerare il problema della dispersione come un’urgenza che richiede di sviluppare strategie educative efficaci nel contesto accademico. Il presente contributo, senza pretesa di esaustività, prende le mosse dall’analisi dei tassi di abbandono degli studi universitari in Italia, guardando agli studenti silenti come una sfaccettatura di tale fenomeno che necessita di una lettura pedagogica. L’università è sollecitata a trasformarsi sia nelle pratiche didattiche sia nel proprio approccio educativo verso gli studenti più vulnerabili. Affrontare il fenomeno dell’abbandono universitario, riducendolo a una mera statistica, rappresenterebbe un’opportunità mancata di promozione di un ambiente inclusivo e autenticamente relazionale. La molteplicità di interventi attuati nelle università necessita di una messa a sistema pedagogica che formi e accompagni lo studente a usufruire di tali proposte attraverso lo sviluppo di consapevolezza del proprio talento e la costruzione di competenze riflessive.

 

KEYWORDS

Pedagogical reflection, University drop-out, Silent students, Talent, University

Riflessione pedagogica, Drop-out universitario, Studenti silenti, Talento, Università

 

CONFLICTS OF INTEREST

The Author declares no conflicts of interest.

 

RECEIVED

July 11, 2024

 

ACCEPTED

August 13, 2024


 

1. Introduzione

 

La sfida del drop-out universitario e il fenomeno di quelli che vengono denominati come studenti silenti sollecita la riflessione pedagogica a considerare il problema della dispersione come un’urgenza che richiede di sviluppare strategie educative efficaci nel contesto accademico. Assicurare che gli studenti possano usufruire di un ambiente di apprendimento stimolante e supportivo si configura come cruciale non solo per il successo accademico, ma anche per lo sviluppo personale e professionale di coloro i quali sono a rischio dispersione. Investire nell’educazione consente di creare condizioni favorevoli affinché sia data a tutti gli studenti la possibilità di poter esprimere il loro massimo potenziale valorizzando i propri talenti (Gramigna, 2020). Il fenomeno dell’abbandono universitario, avvalorato dai dati e dalla letteratura degli anni post pandemici, rappresenta una questione non solo cruciale ma urgente, nel contesto formativo contemporaneo. Riflettere sulle cause e sulle possibili azioni di intervento e prevenzione del drop-out accademico non può prescindere dal considerare la figura degli studenti silenti come emergenziale. Chi sono davvero gli studenti silenti? Come possiamo prevenire o recuperare questi talenti ‘a perdere’? Il presente contributo, senza pretesa di esaustività, prende le mosse dall’analisi dei tassi di abbandono degli studi universitari in Italia, guardando agli studenti silenti come una sfaccettatura di tale fenomeno che necessita di una lettura pedagogica per avviare riflessioni e azioni sistemiche. Azioni preventive e curative del fenomeno necessitano di fondamenta pedagogiche solide che consentano di comprenderlo, valicando quelle che sono le rappresentazioni sensazionalistiche dell’attualità, cercando di affrontare lo studente silente non riducendolo ad un dato da analizzare per risolvere un problema di ranking dell’istituzione, ma come una persona in condizione di necessità, di supporto relazionale e cura educativa. Il fenomeno sollecita formativamente l’università ad interrogarsi sulla necessità di evolvere e modificarsi per incontrare i bisogni differenti di queste generazioni interrotte (Crotti, 2018) di studenti, che stano mostrando nuove fragilità ed incapacità a chiedere aiuto. Il ruolo formativo dell’Università non può quindi limitarsi a plasmare l’attività intellettuale e professionale, ma consta nel far emergere queste dimensioni in modo tangibile, attraverso la ricerca, la libertà e la verità scientifica (Margiotta, 2000). Promuovere ambienti di apprendimento inclusivi e supportivi è essenziale per prevenire il drop-out e favorire il successo accademico degli studenti. Questo implica la necessità di adottare approcci pedagogici che mettano al centro l’individuo, riconoscendone le peculiarità e rispondendo adeguatamente ai suoi bisogni. Il burn-out studentesco, similmente a quello lavorativo caratteristico del mondo post pandemico (Coin, 2023), si configura come gravemente compromettente la capacità degli studenti di proseguire con successo il proprio percorso universitario. Pressioni accademiche, difficoltà nella gestione del tempo e preoccupazioni economiche sono tra le principali cause che possono portare gli studenti a ritirarsi in se stessi, divenendo silenti e, infine, abbandonando gli studi. Affrontare il fenomeno dell’abbandono universitario senza considerare l’aspetto educativo sottostante, riducendolo a mere statistiche, rappresenterebbe un’opportunità mancata di promozione di un ambiente inclusivo e autenticamente relazionale. Prestare attenzione alla dimensione umana, alle sue relazioni e alla sua unicità irripetibile richiede alla riflessione pedagogica di promuovere una formazione che valorizzi profondamente l’umano (Malavasi, 2020). Questo implica una scelta profonda, essenziale per interpretare il fondamento delle decisioni che ogni individuo compie quotidianamente.

 

2. Il complesso fenomeno del drop-out universitario

 

I dati diffusi dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) nel maggio del 2023 mostrano come il fenomeno del drop-out universitario sia caratterizzato da una tendenza crescente. Nell’anno 2021/2022 si è registrato in Italia un tasso di abbandono accademico del 7,4% per quanto concerne gli immatricolati e del 7,2 % per le immatricolate, a fronte di un 7,2% e di un 7,0% registrati per l’anno 2020/2021 (MUR). Nonostante il dato possa essere considerato influenzato dall’incremento di immatricolazioni caratterizzanti il periodo pandemico, il picco di abbandoni registrato sollecita la riflessione pedagogica ad interrogarsi in merito ai contorni e alle implicazioni future di questo fenomeno (Olivieri, & Cardinali, 2021; Van Der Graaf et al., 2021). Le tendenze di drop-out non interrogano solo la riflessione pedagogica ma necessariamente interpellano anche le istituzioni che sono chiamate a pensare dispositivi di sostengo e intervento concreti che cooperino alla costruzione di strumenti equi e accessibili per gli studenti a rischio (Buizza et al., 2024). In questo scenario si collocano anche studenti silenti che canonicamente vengono identificati come coloro i quali durante il primo anno di corso universitario non riescono a maturare crediti formativi, totalmente o parzialmente, necessari per un’immatricolazione produttiva al secondo anno di corso, accedendovi di fatto in una posizione di affanno sul percorso accademico. La letteratura conferma come, in maniera diffusa fra Atenei e corsi differenti, i tassi di abbandono abbiano andamenti analoghi: “è nel passaggio fra il primo e il secondo anno il momento più delicato del percorso universitario: le percentuali tendono invece a diminuire a mano a mano che ci si allontana dalla prima iscrizione” (Zago et al., 2014, p. 9).

Identificare lo studente silente solo in questo segmento temporale, tra I e II anno di corso, risulta parziale se ci si confronta con le molteplici sfaccettature e caratteristiche della popolazione studentesca. Emerge così un’identificazione di questo studente che presenta un maggiore rischio di abbandono accademico, ma rischia di incappare anche in congelamenti di carriera, difficoltà a conseguire il titolo in un numero ragionevole di anni, a superare ma anche a sostenere gli esami stessi come momento di confronto (Guglielmetti & Gilardi, 2012). Lo studente silente aumenta così il proprio isolamento giungendo ad un’incapacità a chiedere aiuto al corpo docente e al gruppo dei pari (Masserini, & Bini, 2021), vivendo un’esperienza universitaria, non come integralmente formativa, bensì come un percorso di sofferenza, frustrazione e fallimento.

Il fenomeno del drop-out, intrinsecamente composito e complesso, rende arduo delimitarne dei confini netti ed univoci, ciò ha portato differenti discipline e studiosi a interrogarsi e dedicarsi a questa ricerca di definizione, evidenziando la natura multifattoriale e interdisciplinare del fenomeno (Liverta Sempio, Confalonieri, & Scaratti, 1999; Zago, Giraldo, & Clerici, 2014; Burgalassi, 2019). In questo scenario il confronto della Pedagogia con altre ricerche sul tema, condotte da altre discipline, rappresenta un’occasione di riflessione e azione sulle fondamenta che muovono l’agire formativo: “il sociologo dell’educazione studia gli effetti della formazione sui comportamenti sociali, lo psicologo coglie e analizza, nel campo dello sviluppo, gli elementi affettivi che possono condizionare anche i processi di apprendimento; tuttavia, spetta allo specialista della Pedagogia Sociale studiare tipi e modelli di intervento educativo, cogliendo la valenza sociale di istruzione e di educazione” (Gramigna, 2003, p. 33).

Questa sinergia interdisciplinare permette di affrontare la complessità dei fenomeni in modo integrato, valorizzando le diverse prospettive per arricchire la comprensione e l’efficacia degli interventi formativi: “la riflessione sociologica enfatizza l’importanza che nella decisione dell’abbandono rivestono le condizioni del contesto familiare e sociale di appartenenza e il patrimonio socio-relazionale di cui lo studente dispone, la riflessione psicologica mostra interesse per la personalità dello studente e si concentra sugli aspetti motivazionali che accompagnano l’esperienza universitaria, la riflessione pedagogica privilegia i temi della adeguatezza delle competenze cognitive e metacognitive degli studenti e delle disfunzionalità nei processi di formazione avanzata” (Burgalassi, 2019, p. 102). Le sfaccettature del fenomeno, che comportano delle difficoltà nel definire in maniera univoca l’abbandono, non devono far desistere dal tentativo di affrontare il tema con rigore empirico, trovare definizioni seppur parziali aiuta lo studioso ad interrogarsi sulle mancanze, sulle zone d’ombra che necessitano di essere indagate senza dimenticare la persona che è sostanza del dato che possiamo leggere: “solitamente il termine ‘drop-out’ è usato per designare lo studente che lascia la scuola senza completare il corso di studio che sta frequentando, ma si tratta di una definizione che presenta parecchie manchevolezze. Innanzitutto, non segnala l’esistenza di una varietà interna alla categoria degli allievi che lasciano precocemente la scuola” (Liverta Sempio, 1999, p. 3). Il tentativo di categorizzare l’abbandono scolastico, nella letteratura scientifica della ricerca empirica, si associa al concepire il fenomeno sotto forma di processo evolutivo che si colloca quindi in una successione temporale di eventi che portano al drop.

Pensare ad una possibile modellizzazione che tenga conto di una sequenza temporale dell’incidenza dei fattori, rappresenta un tentativo di categorizzazione che consente di conoscere il fenomeno attraverso differenti approcci. Sezionare le problematicità, interne ed esterne, dello studente, indagando quelli che possono essere anche fattori predittivi può consentire al sistema universitario di intervenire anche in chiave preventiva e non solo di fronte ad un rischio conclamato.

Risulta opportuno concentrarsi sull’itinerario dello studente avvalendosi di uno sguardo sistemico sul soggetto, senza tralasciare il contesto, che diventa habitat fisico e relazionale, dell’esperienza accademica. La riflessione sul tema ha, pertanto, portato a considerare efficace un approccio multilivello che tenga conto anche del corso universitario in cui lo studente è inserito, in quanto “gli studenti iscritti nello stesso corso di studio affrontano lo stesso contesto organizzativo, gli stessi metodi didattici e le stesse attività di supporto, che possono influenzare i loro esiti” (Zago et al., 2014, p. 50). Tale approccio evidenzia come la complessità del fenomeno dell’abbandono universitario non possa essere affrontata solo mediante una lettura individuale, del singolo dato o studente, ma che necessiti di essere affrontata con uno sguardo sistemico all’esperienza accademica.

Valorizzare il bene relazionale si configura come un’occasione per la riflessione pedagogica di evitare un approccio al drop-out eccessivamente individualizzato e sanitarizzato in cui prediligere un approccio improntato alla prevenzione piuttosto che azioni curative ad hoc, favorendo l’uguaglianza educativa (Terenzi, 2006).

 

3. Contrasto all’abbandono universitario, contributi istituzionali  

 

L’abbandono può essere definito come un fenomeno composito in cui concorrono condizioni soggettive ascrivibili agli studenti e circostanze oggettive quali quelle relative all’organizzazione, l’interazione fra questi fattori può condurre al drop-out.

L’approccio pedagogico alle ricerche interdisciplinari consente di evitare un accostamento puramente riparativo, considerando e riflettendo sulla complessità e l’intreccio dei fattori coinvolti quali quelli motivazionali, familiari e contestuali. Tali agenti sono stati approfonditamente oggetto di analisi e ricerca da parte di differenti sguardi epistemici (Alexander et al., 1997), i quali sottolineano la rilevanza delle dinamiche familiari e del sostegno sociale nei processi di prevenzione dell’abbandono: il supporto sociale e parentale agli studi universitari si manifesta, sia a livello nazionale che europeo, come un incentivo alla prosecuzione del percorso.

L’abbandono si configura come l’estrema conseguenza della perdita di engagement con l’esperienza universitaria, ma non l’unica: silenzi, sparizioni e congelamenti di carriera rappresentano una meno eclatante ma comunque impattante realtà.

Queste condizioni di stallo e opacità del percorso di studi denotano una diffusa fragilità delle nuove generazioni (Alfieri & Marta, 2022; Crotti, 2018; Rosina, 2018; Twenge, 2018; Ellena, Marta, 2022), unitamente con l’accrescersi di problematiche personali e relazionali degli studenti post-COVID (Chistolini, 2021; Dunajeva et al., 2021; Olivieri & Cardinali, 2021, Dagani et al., 2024), con l’effettivo abbandono, si configurano come una perdita significativa, non solo per le istituzioni universitarie, le quali subiscono un calo del ranking, ma anche per la società tutta che viene depauperata dalle competenze non sviluppate o non messe a frutto.

L’impatto del fenomeno dei silenti non ha solo ripercussioni sul mondo universitario, primariamente ad essere investiti sono i percorsi di vita degli studenti che spesso sostano in carriere universitarie congelate che divengono specchio di carriere professionali sospese.

Gli studenti che abbandonano gli studi senza completare la loro formazione incorrono nel rischio di vedere ridotte le proprie opportunità di carriera nel lungo termine (Istat, 2022).

Il drop-out e il silenzio universitario rappresentano una perdita di competenze che impatta sul mercato del lavoro e sulle biografie personali, contribuendo all’aumento dei NEET (Not in Education, Employment, or Training) (Rosina, 2015). Le grandi dimissioni, fenomeno che si è progressivamente intensificato nel periodo post pandemico, riflettono non solo un’insoddisfazione lavorativa strutturale, ma dicono di come il carico di stress, e conseguente burn-out personale, impattino sul rendimento nella società sul lungo periodo (Coin, 2023).

Il burn-out registrato in molteplici settori professionali, si configura come un fenomeno non limitato ai professionisti già inseriti in contesti lavorativi ma anche agli studenti universitari che stanno costruendo le proprie competenze per entrare nel mondo lavorativo. Il malessere derivante da pressioni accademiche e personali può condurre alla compromissione delle capacità di apprendimento e al benessere generale durante l’esperienza universitaria.

La riflessione pedagogica è sollecitata a considerare il benessere e la qualità della vita come obiettivi fondamentali, non solo di riflessione ma anche di azione includendo operatività di sostegno sul singolo e programmi in cui la relazione con l’altro da sé e l’engagement col gruppo dei pari rappresentino occasioni di supporto e empowerment dello studente (Annovazzi et al., 2018; Cassells, 2018).

Le condizioni socioeconomiche concorrono ad influenzare significativamente le probabilità di completamento del percorso accademico, suggerendo la necessità di interventi istituzionali mirati che considerino la complessità dei fattori coinvolti.

Fra le forme di intervento istituzionale poste in atto si colloca il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR, 2021), programma strategico elaborato dal governo italiano per affrontare le sfide economiche e sociali derivanti dalla pandemia di COVID-19 e per promuovere la ripresa economica e la resilienza del Paese (Malavasi, 2022). La Missione 4 ‘Istruzione e ricerca’ nella componente 1, investimento 1.4: Intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nella scuola secondaria di I e II grado mira esplicitamente alla riduzione della dispersione scolastica attraverso la promozione di interventi volti al miglioramento dell’accesso all’istruzione e alla creazione di un ambiente più inclusivo ed equo a partire dai primi gradi scolastici.

Nel contesto degli obiettivi delineati dall’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, emerge la rilevanza di un’interconnessione con il fenomeno del drop-out universitario. In particolare, obiettivi quali: “4 - Istruzione di qualità”; “8 - Lavoro dignitoso e crescita economica”; “10 - Ridurre le disuguaglianze”; “17 - Partnership per gli obiettivi”, si configurano come pilastri fondamentali nei quali la lotta contro la dispersione universitaria trova spazio.

La riduzione dell’abbandono universitario si pone come obiettivo strategico anche a livello europeo, come evidenziato in documenti quali Dropout and Completion in Higher Education in Europe (CHEPS et al., 2015) e European Semester Thematic Factsheet (2016). Tali report riportano un tasso di conseguimento del titolo finale che si attesta al 39,1% tra i giovani europei, l’Italia (con Belgio, Grecia, Francia, Ungheria, Olanda, Austria, Polonia, Romania e Slovenia) identificata fra i paesi con i più alti tassi di drop-out, spesso motivati dal desiderio, o dalla necessità, di un inserimento precoce nel mondo del lavoro.

Questo scenario ha sollecitato la Commissione Europea a investire nell’agenda sulla Higher Education (2017) e nella strategia Europe 2020, con l’obiettivo di far conseguire un titolo di laurea al 40% degli studenti europei tra i 30 e i 34 anni, (European Commission, 2015).

L’evidenza che dispositivi e istituzioni, quali il PNRR, l’Agenda ONU 2030 e l’Unione Europea, attenzionino la riduzione della dispersione scolastica come tematica cogente, sottolinea come tale fenomeno ingeneri conseguenze negative a lungo termine che vanno ad inficiare non solo il potenziale del singolo ma impattano anche sulla società tutta. La dispersione accademica contribuisce a limitare opportunità lavorative e produttive, incrementando disuguaglianza sociale ed emarginazioni ostacolando lo sviluppo e il benessere degli individui e della società.

 

4. Azioni di prevenzione formativa: Competenze, formazione, tutorship

 

L’urgenza di intervento concreto sul drop-out universitario è avvalorata dai dati Istat relativi all’anno 2022, i quali evidenziano una stretta correlazione tra il livello di istruzione e il tasso d’occupabilità: tra gli under 35 con un titolo conseguito da 1 a 3 anni, il tasso di occupazione raggiunge il 74,6% tra i laureati (+‍6,6 e +‍7,1 punti rispetto al 2021), superando di 4 punti il livello pre-crisi economica del 2008 (Istat, 2022).

Nel panorama internazionale, nel novero delle modellizzazioni degli interventi in relazione al drop-out accademico, si segnala la systematic review e meta-analysis: What Works? Interventions Aimed at Reducing Student Dropout in Higher Education (Ibsen & Rosholm, 2024) nella quale si identificano dieci differenti tipologie di interventi categorizzati in cinque macrocategorie – illustrate nella Tabella 1.

 

1. Feedback and support

Comprendenti le differenti tipologie supporto al percorso accademico quali tutoraggio e mentoring.

2. Peer group

Comprendenti le attività di comunità di apprendimento, gruppi di studio e sostegno alla vita accademica fornite da pari.

3. Academic skills upgrade

Comprendenti il miglioramento delle competenze accademiche attraverso, ad esempio, corsi di studio preparatori di base per consolidare le materie fondative.

4. Institutional settings and requirements

Comprendenti gli interventi che l’istituzione universitaria può mettere in atto per agevolare le carriere degli studenti (es. modifica delle politiche di ammissione).

5. Specific courses

Comprendenti un’ampia gamma di corsi volti ad agevolare il passaggio dalla scuola secondaria di secondo grado al mondo universitario, quali: gestione del tempo e delle risorse, tecniche di studio, conoscenza dell’ambiente universitario, informazioni sui servizi offerti dall’università, orientamento alla vita universitaria, sviluppo delle competenze accademiche e di ricerca (es. University 101).

 

Gli interventi sulla dispersione universitaria, per essere efficaci a lungo termine, necessitano di coniugare approcci sistemici e sinergici tra discipline e istituzioni, al fine di migliorare le carriere e le opportunità dei futuri professionisti. In questo scenario le università ricoprono un ruolo centrale e sono sollecitate ad agire considerando una concezione integrale della formazione da perseguire mediante il loro operato accademico. Ciò ha portato molti atenei ad adottare strategie progettate per fornire agli studenti strumenti e servizi mirati a favorire il successo accademico entro i tempi previsti. Tuttavia, il disagio universitario, come l’abbandono, è un fenomeno multilivello che può manifestarsi in molteplici forme, influenzando pesantemente il percorso di studi e ostacolando il raggiungimento del titolo di laurea. Questo affaticamento può derivare da fattori personali, come la difficoltà nell’adottare un metodo di studio efficace o nel conciliare gli impegni lavorativi con quelli accademici, e da fattori contestuali, come situazioni critiche a livello personale o familiare che mettono in discussione la carriera intrapresa (Zago et al., 2014).

In un contesto in cui l’educazione contemporanea è posta sotto pressione e sollecitata ad apportare cambiamenti radicali, stimolata da una varietà di culture e orientamenti politici, emerge la necessità di promuovere nei giovani la capacità di immaginare una società diversa e di trovare mezzi adeguati per realizzarla. È necessario che le giovani generazioni siano educate all’imprenditività: “una competenza che sostiene l’innovazione in quanto aiuta gli individui, non solo nella loro vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società, ma anche nel posto di lavoro, ad avere consapevolezza del contesto in cui operano e a poter cogliere le opportunità che si offrono” (Costa, 2016, p. 195). Questo obiettivo deve essere perseguito nella ricerca nuovi approcci che possano sostenere l’efficacia educativa e valorizzare il talento individuale, inteso non solo come dote innata, ma anche come capacità di adattarsi e prosperare in contesti mutevoli. Minello sottolinea la necessità di “riattivare, nei giovani, la facoltà di pensare in grande, per progettare una società diversa e trovare i mezzi adeguati per realizzarla, senza ricadere nell’utopismo delle vecchie ideologie” (Minello, 2020, p. 225). Proprio questo bisogno di visioni alternative generative si configura come fertile se pensato accostato al fenomeno dei silenti, congelati in un arido stallo esistenziale. Le ricadute dell’abbandono universitario si riverberano anche nell’inferiore capitale umano preparato che viene immesso nel sistema produttivo, che rischia di fossilizzarsi e perdere di innovazione e dinamicità, lasciando scoperte posizioni lavorative che richiedono competenze specifiche che non sono possedute dalla forza lavoro disponibile e inoccupata. Impattando il drop-out sul comparto lavorativo e sociale diviene necessario per la riflessione pedagogica sottolineare come sia rilevante la messa in campo di azioni anche a livello nazionale, oltre che pianificare azioni formative personalizzate. Agli interventi istituzionali è necessario si affianchino riflessioni e poi azioni formative atte a supportare lo studente a rischio di drop-out e prevenirne la fuoriuscita. Per agire in maniera efficace è opportuno che l’organizzazione universitaria sviluppi quindi consapevolezza riguardo alla complessità dei fattori coinvolti all’interno del fenomeno e non si arrocchi nel reiterare prassi consolidate. Innovare la didattica integrandola con differenti strumenti di interazione e con il coinvolgimento di differenti stakeholders universitari si configura come un’azione concreta di engagement dello studente. Coinvolgere lo studente all’interno della comunità universitaria rappresenta uno strumento di prevenzione della dispersione, per fare ciò è necessario agire strategicamente su più fronti: attivare una messa a sistema con regia pedagogica sui servizi di supporto accademici al fine di renderli integrati nel sistema curricolare, coinvolgere i docenti attivandoli verso pratiche di counseling didattico e fornendo loro strumenti pedagogici idonei a scardinare il silenzio, integrando figure di monitoraggio educativo (mentoring da parte di studenti senior o PhD students) e fornendo una formazione psico-pedagogica ad hoc per il personale tecnico-amministrativo che si occupa dei servizi di supporto alla didattica (Clerici et al., 2019). Nello specifico le azioni di tutorship e mentoring, ovvero l’affiancamento agli studenti di figure (individuali o di gruppo) in grado di supportare lo studente durante il percorso universitario, si sono dimostrate altamente efficaci per intercettare le posizioni a rischio drop-out e al contempo come duplice (per tutor e studente) occasione di empowerment (Da Re, 2017). L’affiancamento di un tutor è risultato efficace anche nel supportare la costruzione di una futura identità professionale e di un efficace metodo di studio (Piazza & Rizzari, 2020). Inoltre, promuovere attività di autovalutazione delle capacità possedute rappresenta un’occasione per attivare processi riflessivi sul proprio status di competenze acquisite, ma comprendere anche le capacità di studio messe in atto (self-regulated study skills), facendo emergere più consapevolmente quelle che possono essere le esigenze di supporto allo studio (Da Re, 2017).

Azioni formative a lungo termine comportano un investimento in consapevolezza e riflessione sul proprio sé che richiede alla persona di divenire/essere artefice di sé stesso, mettendosi attivamente in gioco: “È il soggetto, in quanto irripetibile singolarità, che si impegna in un cammino unico, guardando alle sue risorse, a ciò che ha già vissuto e a ciò che sta vivendo nella realtà materiale che connota il percorso esistenziale” (Mariani, 2021, p. 20). Stimolare e mantenere questa volontà alla formazione si configura come un obiettivo della riflessione pedagogica in relazione al fenomeno degli abbandoni e dei silenzi universitari e comporta un auto-investimento nel futuro, non solo professionale, ma anche personale che lo studente deve voler compiere su sé stesso. Un ruolo cruciale nello sviluppare questa volontà è ricoperto dall’orientamento, che per essere realmente efficace deve lavorare attivamente sull’agevolare un allineamento degli studenti con il percorso di studi maggiormente idoneo alle proprie inclinazioni e non assecondare stereotipi o aspettative genitoriali. Un orientamento preventivo risulta efficace anche in relazione alla grande disponibilità di corsi di laurea, l’esperienza accademica richiede un radicale cambio di mindset per gli studenti che hanno appena terminato il percorso di scuola secondaria di secondo grado e la mancanza di motivazione non può che rendere ulteriormente sfidante intraprendere questo percorso formativo e compiere una scelta consapevole e duratura (Piazza & Rizzari, 2020).

Identificare la competenza in maniera chiara aiuta a comprendere al meglio l’orizzonte formativo cui tendere, si parla pertanto di persona competente quando è in grado di attivare medesime conoscenze ed abilità all’interno di differenti contesti e al contempo coniugandole e traducendole in maniera pertinente a seconda dei contesti (Birbes, 2012). Emergono come rilevanti, per un buon professionista di domani e studente di oggi, non solo le competenze teorico-pratiche ma anche l’essere in grado di padroneggiare equilibratamente le soft skills, quelle competenze trasversali che possono essere spendibili in differenti contesti di vita (Bornatici, 2020) e le Life Comp “che possono aiutare le persone a diventare più resilienti e a gestire le sfide e i cambiamenti nella loro vita personale e professionale in un mondo in continua evoluzione” (Sala et al., 2020).

L’integrazione delle life skills nello sviluppo dei talenti rappresenta un approccio strategico fondamentale per prevenire e ridurre il fenomeno del drop-out accademico, promuovendo una formazione integrale che unisca abilità tecniche e relazionali, capacità di problem solving e gestione delle emozioni (Malavasi, 2022), skills utili nel futuro lavorativo come nel vivere appieno l’esperienza universitaria.

 

5. Coltivare i talenti, educare all’auto-imprenditività

 

Riconoscere e formare a coltivare i talenti assume una valenza fondamentale nell’ambito pedagogico, richiedendo un approccio integrale e recettivo delle diverse istanze di sviluppo degli individui.

La concezione del talento è caratterizzata dalla necessità di affrontare una molteplicità di compiti specifici di sviluppo, tra cui la formazione dell’identità, l’iniziazione alle dinamiche relazionali, la costruzione del sé:

 

“Il talento costituisce una frontiera della vita umana. Fase autonoma e prolungata dello sviluppo, deve far fronte ad una molteplicità di compiti specifici di sviluppo. E le situazioni di disagio, di blocco o di disadattamento scattano quando il soggetto non riesce a conseguire un risultato apprezzabile, in primo luogo ai suoi occhi. Durata più lunga e laboriosa del processo, dilatarsi del tempo, moratoria nelle responsabilità” (Margiotta, 2019, p. 8).

 

L’individuo, esercitando il proprio talento, costruirà la propria autodeterminazione e influenzerà significativamente il suo ambiente sociale. Questo processo non solo permette all’individuo di sviluppare una forte identità personale e professionale, ma contribuisce anche alla trasformazione e all’arricchimento del contesto in cui opera: “il talento richiede non sono qualità personali, ambienti adatti, ma anche la capacità di essere imprenditori di se stessi, di saper valorizzare il proprio dono e di fare le scelte opportune” (Cinque, 2013, p. 158). Sviluppare quindi competenze autoriflessive sul talento predispone ad azioni di progettualità auto-imprenditoriali che attivano nello studente un’agency auto capacitante: “Formare e orientare allo sviluppo della propria agentività richiede all’azione educativa un approccio trasformativo dello studente che possa far leva sulla maturazione di una competenza imprenditoriale in una prospettiva di lifelong learning” (Costa, 2016, p. 196).

Nel contesto europeo l’opportunità di coltivare i talenti viene affrontata, a titolo esemplificativo, dal

documento Entrepreneurship Competence in Vocational Education and Training: Case Study: Italy nel quale si esamina in maniera approfondita lo sviluppo della competenza imprenditoriale all’interno del sistema di istruzione e formazione professionale in Italia. Tale competenza viene definita come l’abilità di tradurre idee in azioni concrete, incorporando elementi essenziali quali creatività, innovazione, gestione del rischio, pianificazione e gestione di progetti. Il case study Italia si focalizza su come l’integrazione delle competenze imprenditoriali nei percorsi formativi professionali possa potenziare tali competenze tra i giovani, interrogandosi sull’efficacia delle politiche educative e dei programmi di formazione posti in atto.

Il documento si colloca come una disamina significativa sulle modalità attraverso le quali il sistema di istruzione e formazione professionale del paese si sta evolvendo per includere e promuovere l’imprenditività, sottolineando l’importanza cruciale di queste competenze nel preparare i giovani ad affrontare un mercato del lavoro in costante trasformazione (Cedefop, 2023).

All’interno della riflessione è opportuno tratteggiare una distinzione essenziale tra imprenditorialità e imprenditività, differenziate dal diverso obiettivo che le caratterizza. Se l’imprenditorialità si focalizza sull’avvio e la gestione di un’attività imprenditoriale, l’imprenditività si dedica allo sviluppo di competenze trasferibili in vari contesti, supportando l’individuo in un quadro di apprendimento continuo e in economie in rapido mutamento, valorizzando la libertà attraverso la partecipazione attiva e l’assunzione di responsabilità, differenziandosi per il suo ambito d’applicazione, prevalentemente educativo, rispetto a quello economico dell’imprenditorialità (Morselli & Cremonesi, 2013; Morselli, 2016).

Per la riflessione pedagogica, il talento è strettamente connesso alla creatività, poiché l’espressione creativa è spesso il mezzo attraverso il quale il talento trova spazio per manifestarsi e svilupparsi. La creatività, infatti, non diviene solo occasione di esercizio di problem solving, ma favorisce anche lo sviluppo di innovazione e flessibilità, competenze fondamentali nell’attuale società in rapido cambiamento. Promuovere l’espressione del talento e della creatività negli studenti si configura come orizzonte essenziale per la loro crescita autonoma e per il progresso della collettività (Gramigna, 2020). Nel contesto dei rapidi cambiamenti che hanno caratterizzato la società contemporanea, il lavoro e l’educazione sono stati costretti a reinventarsi in nuove forme (Minello, 2012; 2022). L’educazione è così chiamata a confrontarsi con una frammentazione dei bisogni e degli interessi esistenziali, ingenerando difficoltà nel formulare una prospettiva unitaria dell’educazione stessa (Minello, 2020).

All’interno di questo scenario, emerge l’importanza di adottare prospettive altre che scardinino meccanismi che si sono rivelati inefficaci a dialogare con i nuovi bisogni emergenti negli studenti universitari. Uno approccio che mira a modificare la didattica accademica è quello denominato Slow teaching il quale identifica nella lentezza un’opportunità per la costruzione reciproca e collaborativa di ambienti di apprendimento e conoscenza, trasformando l’aula in un vero e proprio laboratorio di ricerca: “L’insegnamento lento si concentra sull’essere presenti, sulla qualità dell’attenzione, dell’autoconsapevolezza collettiva e dell’autoriflessione” (Gola, 2022, p. 49).

Sviluppare il talento in spazi e con tempi idonei, richiede agli studenti di essere in grado di attivare la propria intelligenza valorizzativa, divenendo una componente fondamentale per il successo educativo e professionale. Essa non si limita alla semplice acquisizione di conoscenze, ma implica la capacità di applicarle in modo efficace e innovativo, contribuendo al bene comune. Il talento deve essere visto come una risorsa sociale, capace di apportare benefici collettivi attraverso il suo utilizzo adeguato. Un’opportuna strategia di valorizzazione dei talenti non solo risponde alle esigenze individuali, ma rappresenta anche una strategia anticrisi a livello sociale (Thatchenkery, & Metzker, 2006). Prevenire abbandoni universitari e incremento degli studenti silenti richiede all’Università come istituzione di essere consapevole che la propria funzione formativa non si può limitare alla trasmissione di conoscenze, ma include la formazione integrale dell’individuo attraverso l’interazione tra esigenze professionali e ricerca scientifica (Margiotta, 2000).

 

6. Conclusioni

 

Affrontare l’abbandono universitario attraverso una prospettiva pedagogica richiede una riflessione profonda e articolata, finalizzata alla realizzazione di azioni sia correttive sia preventive, che considerino non soltanto il singolo studente, bensì le reti di relazioni e l’istituzione accademica nel suo complesso. Gli interventi adottati dalle università nel corso degli anni per accompagnare e monitorare il percorso degli studenti, nonché per intercettare e prevenire il fenomeno dell’abbandono e dei cosiddetti silenzi, sono molteplici e diversificati (Zago et al., 2014; Da Re, 2017; Clerici et al., 2019). Tra queste iniziative, si annoverano l’attivazione di programmi di supporto accademico e psicologico, la promozione di ambienti di apprendimento inclusivi, l’implementazione dell’orientamento in entrata, rinnovate prassi di integrazione sociale e sostegno finanziario. Tali interventi rappresentano un approccio multidimensionale che include diversi dispositivi e professionisti. Inoltre, programmi di tutoraggio e mentorship facilitano gli studenti nel superare le difficoltà iniziali, permettendo loro di compiere scelte consapevoli riguardo ai percorsi di studio e carriera (Da Re, 2017). L’organizzazione di attività volte a favorire l’integrazione sociale contribuisce a ridurre il senso di isolamento (Cambi, 2006) e a incrementare il benessere cercando di arginare le fragilità emergenti tra gli studenti della generazione post-pandemica. Questa molteplicità di proposte necessita di una messa a sistema pedagogica che formi e accompagni lo studente a usufruire di tali opportunità attraverso lo sviluppo di consapevolezza del proprio talento e la costruzione di competenze auto-riflessive. Queste iniziative devono essere progettate non solo allo scopo di migliorare i tassi di successo dei corsi, ma devono diventare occasioni di empowerment, rappresentando un investimento sulla qualità della vita dei futuri professionisti (Cassells, 2018).

Il contributo riflessivo pedagogico sul tema degli studenti silenti evidenzia la necessità di un impegno educativo verso lo studente che non si ascrive solo all’acquisizione di competenze ma alla creazione di una spinta motivazionale e imprenditiva che lo accompagni nella costruzione di una volontà alla carriera. Questa rinnovata necessità richiede una preparazione di impronta pedagogica a tutti i docenti, senza discriminazione di indirizzo scientifico, al fine di supportare la costruzione dei talenti non solo sul piano didattico ma in generale sul piano educativo. La messa a sistema degli interventi chiama in causa anche l’orientamento (Alessandrini, 2011; Boffo, 2014; Pellerey, 2017; Boerchi, 2024) che è chiamato ad intervenire, non solo per aumentare la consapevolezza della scelta universitaria da parte dello studente, ma anche per formare al radicale cambio di mindset che è richiesto dall’esperienza accademica. Le fragilità presenti nel corpo studentesco (Twenge, 2018; Chistolini, 2021; Dagani et. al. 2023) rivelano l’esigenza di un’educazione al benessere universitario, per far sì che l’esperienza di studi si configuri come realmente formativa e arricchente.

A tal fine, l’università è chiamata a trasformarsi ma anche nel proprio approccio verso gli studenti più vulnerabili. Alla luce dei cambiamenti epocali attuali, l’università deve riscoprirsi come un luogo di libertà e dialogo, dove la possibilità di crescere, imparare, domandare, sbagliare e incontrarsi sia centrale. Questa prospettiva pone l’educazione critica, intesa nel suo senso etimologico, come un punto focale imprescindibile: “Contribuendo così alla crescita e maturazione di uomini e donne liberi e responsabili, che siano in grado di sviluppare un proprio pensiero critico e di giocare la propria personale partita nel mondo contemporaneo in tutti gli ambiti scientifici, formativi, sociali, politici e professionali, contribuendo così a pieno titolo alla vita democratica” (Magni, 2023, p. 22).

L’istituzione accademica è chiamata ad evolvere in relazione a nuovi bisogni e a nuovi scenari, ma non può dimenticarsi della sua funzione formativa: identificare gli studenti silenti solo come un dato che peggiora il proprio posizionamento nelle classifiche internazionali, e non come una persona che necessita di cura educativa, disattenderebbe la promessa pedagogica che è insita in ogni studente (Malavasi, 1995).

 

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