The Empirical Phenomenological Method (EPM) and Its Application within an Educational Research

 

Il Metodo Fenomenologico Empirico (MFE) e la sua applicazione in una ricerca educativa

 

Luigina Mortari

Dipartimento di Scienze Umane Università di Verona – luigina.mortari@univr.it

https://orcid.org/00000-0001-7181-6072

 

Rosi Bombieri

Dipartimento di Scienze Umane Università di Verona – rosi.bombieri@univr.it

https://orcid.org/0000-0002-5795-1582

 

Federica Valbusa

Dipartimento di Scienze Umane Università di Verona – federica.valbusa@univr.it

https://orcid.org/0000-0003-0813-3601

 

Marco Ubbiali

Dipartimento di Scienze Umane Università di Verona – marco.ubbiali@univr.it

https://orcid.org/0000-0002-1458-0953

 

ABSTRACT

The article presents an innovative and rigorously founded research method, particularly suitable for empirical studies in the educational field: the Empirical Phenomenological Method (EPM). After describing the theoretical bases and heuristic actions of the method, its application within an educative research aimed at promoting ethics for citizenship in a primary school will be shown. Attention will be paid to the use of the EPM for the analysis of data relating to a Socratic conversation. The method’s effectiveness in evaluating the outcomes of the implemented activity will be argued. The article offers a contribution in order to respond to the growing need to identify adequate methods to verify the quality of interventions in schools, highlighting their strengths and criticalities. The potential of the EPM will be discussed both in reference to the improvement of educational and teaching practices and in the training and enhancement of teaching professionalism.

 

L’articolo presenta un metodo di ricerca innovativo e rigorosamente fondato che si presta particolarmente agli studi empirici in ambito educativo: il Metodo Fenomenologico Empirico (MFE). Dopo aver descritto le basi teoriche e le azioni euristiche del metodo, ne viene mostrata l’applicazione nell’ambito di una ricerca educativa finalizzata a promuovere l’etica per la cittadinanza presso una scuola primaria. L’attenzione è concentrata all’impiego del MFE per l’analisi dei dati relativi a un’attività di conversazione socratica, e ne viene argomentata l’efficacia nel valutare gli esiti dell’attività implementata. L’articolo mira quindi ad offrire un contributo utile a rispondere al bisogno sempre più rilevante di identificare metodi opportuni per verificare la qualità degli interventi attuati nelle scuole, individuandone punti di forza e criticità. Vengono discusse le potenzialità del MFE sia in riferimento al miglioramento delle pratiche educative e didattiche sia nella formazione e valorizzazione della professionalità docente.

 

KEYWORDS

Qualitative Research, Empirical Phenomenological Method, Data Analysis, Educative Research, Teacher Professional Development

Ricerca qualitativa, Metodo fenomenologico empirico, Analisi dei dati, Ricerca educativa, Sviluppo della professionalità docente

 

CONFLICTS OF INTEREST

The Authors declare no conflicts of interest.

 

RECEIVED

December 28, 2023

 

ACCEPTED

April 26, 2024


 

1. Introduzione

 

Nella letteratura sulla ricerca qualitativa il metodo fenomenologico si è ampiamente affermato (Barritt et al., 1983; Bengtsson, 2013; Cohen et al., 2000; Creswell, 1998; Dahlberg, 2006; Giorgi, 1985; Karlsson, 1993; Moustakas, 1994; Ray, 1994; Van Manen, 1990; Zahavi & Martiny 2019), tuttavia, è stato osservato come restino ancora aperte alcune importanti sfide.

Un primo aspetto da considerare riguarda la tendenza, soprattutto in passato, a riferirsi a fonti secondarie piuttosto che ai testi originari dei fondatori della fenomenologia (Cohen & Omery, 1994).

In particolare, è stato osservato come molti ricercatori citassero i rappresentanti delle varie scuole (“Dutch School, “Duquesne School”, “Heideggerian Hermeneutics School”), senza un riferimento ai testi fondativi della fenomenologia e dell’ermeneutica: la criticità rilevata rispetto a questa tendenza risiede nel fatto che il mancato approfondimento delle fonti originali si è tradotto nell’impiego di approcci e linguaggi distanti dalla specificità del metodo fenomenologico (Cohen & Omery, 1994, pp. 150‍–‍151).

Un’altra sfida è relativa alla necessità di approfondire la riflessione sulla trasposizione dei principi della fenomenologia, nata come metodo filosofico, al campo empirico. Al fine di rispondere a tali sfide, individuando una modalità di applicazione del metodo fenomenologico nelle scienze dell’esperienza, è stata sviluppata, proprio a partire da alcuni concetti husserliani, una teoria originale della fenomenologia empirica, per la fondazione di un metodo innovativo di ricerca empirica: il “Metodo Fenomenologico Empirico” (MFE) (Mortari, 2023; Mortari, Valbusa, Ubbiali, et al., 2023). L’articolo si propone di presentare tale metodo, descrivendone i riferimenti teorici e le azioni euristiche, e portando l’esempio di una sua applicazione nell’ambito di una ricerca educativa finalizzata alla promozione dell’etica per la cittadinanza presso una scuola primaria. Tale ricerca si configura come “educativa” nel senso che persegue al contempo una finalità educativa, poiché si propongono ad alunni ed alunne esperienze educative mirate a coltivare competenze etiche e di cittadinanza, ed una finalità euristica, poiché si raccolgono dati sulle attività realizzate che diventano così oggetto di ricerca.

In particolare, sarà posta attenzione all’impiego del metodo in riferimento a un’attività di conversazione socratica implementata presso tre classi quarte, equivalenti al grado 4 secondo una classificazione in gradi scolastici[1].

Si mostrerà come le azioni euristiche e i principi metodologici del MFE hanno preso forma lungo l’intero percorso di ricerca, sia in riferimento alle modalità di accesso ai dati sia rispetto al processo di analisi delle conversazioni. Si descriveranno i risultati ottenuti e sarà argomentata l’efficacia del metodo nel valutare gli esiti educativi dell’attività realizzata. Si discuteranno anche le potenzialità del MFE in merito alla sua versatilità di impiego per diversi obiettivi didattici e di ricerca, e in relazione alla promozione di competenze riflessive in coloro che si impegnano ad applicarlo. La rilevanza dell’articolo deriva dall’intento di offrire un contributo in risposta alla necessità sempre più urgente in ambito educativo e didattico di accompagnare la proposta di buone esperienze educative e didattiche a una valutazione attenta dei loro esiti (Beverborg et al., 2021), attraverso pratiche di ricerca rigorosamente fondate in riferimenti teorici chiari ed esplicitati. Si auspica così di offrire indicazioni utili sia al miglioramento delle pratiche che allo sviluppo della ricerca.

 

2. Le basi teoriche del Metodo Fenomenologico Empirico: la fenomenologia empirica

 

L’elaborazione della teoria alla base del MFE nasce dall’intento di fare chiarezza rispetto ad alcuni nodi problematici relativi alla legittimità di applicare il metodo fenomenologico, fondato come metodo filosofico, alle scienze umane empiriche. Infatti, la scienza empirica è orientata alla comprensione delle qualità concrete, uniche e singolari dei fenomeni, mentre il metodo della filosofia fenomenologica è stato sviluppato da Husserl (1913/2002) per le scienze eidetiche, che hanno per oggetto le essenze generali e invarianti.

Anzitutto va precisato che vi è una corposa letteratura sull’impiego della fenomenologia agli approcci empirici, e che è di particolare attualità il dibattito su come interpretare la fenomenologia nel suo senso originario, sviluppando un autentico metodo fenomenologico per la ricerca empirica (Van Manen 2017a, 2017b; Zahavi 2019; Zahavi e Martiny 2019). Tra i principali approcci sviluppati in tal senso si ricorda il metodo fenomenologico descrittivo di Giorgi (2000), che integra il pensiero di Husserl e di Merleau-Ponty; il metodo fenomenologico psicologico di Karlsson (1993), basato sul concetto husserliano di intenzionalità della coscienza;  la “ricerca euristica” di Moustakas (1990), che si riferisce a Husserl soprattutto per i concetti di intenzionalità della coscienza, epochè, riduzione fenomenologica e variazione immaginativa; la “reflective lifeworld research” (Dahlberg, Dahlberg & Nyström, 2007), che tra i concetti teorici di riferimento annovera il concetto husserliano di individualizzazioni delle essenze; l’approccio di Zahavi e Martiny (2019), che considerano fondamentali i concetti di epochè e riduzione ma che allo stesso tempo criticano la tendenza ad una eccessiva ortodossia nella ricerca fenomenologica, auspicando una maggiore flessibilità nella sua applicazione ad ambiti non filosofici. Nel complesso si può affermare che la letteratura in quest’ambito attesta come la fenomenologia possa ispirare in modo proficuo gli approcci di ricerca empirica; tuttavia, ciò che qui si vuole mettere in luce come elemento problematico è che gli approcci fenomenologici empirici esistenti sono stati per lo più elaborati a partire da concetti pensati da Husserl per la fenomenologia come metodo di ricerca eidetica. La proposta qui presentata mira invece a fondare la teoria di una fenomenologia empirica e, di conseguenza, un metodo di ricerca empirica, che si basa su concetti che, a nostro sapere, non sono stati ancora adeguatamente esplorati nella letteratura empirica fenomenologica, e che sono stati specificamente utilizzati da Husserl per descrivere le modalità di conoscenza dell’esperienza concreta.

Partendo dal presupposto che il focus della fenomenologia, come “scienza di “fenomeni”“ (Husserl, 1913/2002, p. 3), è relativo alle esperienze vissute della coscienza, occorre sottolineare come la fenomenologia eidetica sia interessata ai vissuti per coglierne le pure essenze, cioè le qualità generali e necessarie, mentre la fenomenologia empirica miri a esplorare i vissuti nel loro concreto e contingente accadere. Nella realtà dell’esperienza, infatti, non si incontrano essenze generali, ma solo fenomeni che si manifestano come attualizzazioni particolari delle essenze. A tale proposito Husserl precisa come una scienza dell’esperienza abbia come oggetto il flusso dei processi mentali della coscienza “in tutta la pienezza della concretezza con cui si presentano nel loro concreto contesto” (Husserl, 1913/2002, p. 80).

L’atto cognitivo che ricerca l’essenza eidetica è rappresentato dall’intuizione immediata: la mente riceve e comprende l’essenza invariante di un fenomeno cogliendola subitaneamente, in modo intuitivo. Ciò che si vuole qui argomentare è che tale concezione di atto intuitivo non si presta ad essere applicata alla ricerca empirica, la quale richiede di osservare e analizzare attentamente e continuativamente i dati riferiti a un determinato fenomeno nel suo accadere, per comprendere le forme particolari di attualizzazione in cui esso si manifesta.

Pare opportuno quindi sviluppare una fenomenologia empirica ispirata a concetti husserliani differenti da quelli di essenza eidetica e intuizione immediata, per riferirsi invece a due concetti, elaborati nella produzione del primo Husserl, che non sono stati ancora adeguatamente esplorati all’interno della letteratura empirica fenomenologica, e che meglio si prestano a fondare una rigorosa scienza dell’esperienza: i concetti di “essenza concreta” e di “adombramenti successivi”.

Poiché, come precedentemente affermato, nella realtà concreta incontriamo solo fenomeni che si presentano come attualizzazioni particolari delle essenze, è legittimo distinguere tra l’essenza eidetica, che è costituita da un insieme di predicati essenziali che necessariamente appartengono a un dato fenomeno, e l’essenza materiale o essenza del concreto, che è costituita da un insieme di predicati che caratterizzano quel fenomeno unico e singolare nello spazio e nel tempo in cui si manifesta. Husserl (1913/2002) infatti afferma: “Da una parte stanno le essenze materiali, e in un certo senso queste sono le essenze “vere e proprie”. Dall’altra parte sta invece sì un elemento eidetico, ma fondamentalmente diverso: cioè una mera forma essenziale, che pur essendo senza dubbio un’essenza, è un’essenza completamente “vuota” che, in virtù della sua vuota forma, conviene a tutte le essenze possibili” (p. 28). La scienza dell’esperienza non ricerca l’essenza eidetica, ovvero i predicati generali di un fenomeno, ma le sue qualità contingenti, ovvero l’essenza del concreto, al fine di costruire una conoscenza che abbracci quante più forme possibili delle concrete differenziazioni del reale.

Il primo passo nella costruzione di una rigorosa conoscenza empirica è rappresentato quindi dalla raccolta di numerose esperienze vissute, descrivendone l’essenza concreta; tuttavia, per non perdersi nell’estrema differenziazione del reale, è possibile procedere dalla conoscenza delle singole essenze concrete per elaborare l’essenza estesa del concreto, che riassume le qualità comuni ai diversi elementi dell’esperienza individuati nel corso di un’indagine.

Tale processo di conoscenza empirica può prendere forma solo gradualmente: non quindi attraverso l’intuizione immediata, ma grazie a una continua attenzione al reale secondo il metodo degli “adombramenti successivi”. A questo proposito, Husserl (1913/2002) afferma che ogni cosa si offre ““da un lato” o, nella successione, “da più lati”“, ma che ma non può mai offrire tutti i lati contemporaneamente (p. 17). Il metodo degli adombramenti successivi richiede di “capovolgere” il fenomeno, di soffermarsi a considerarne le più numerose sfaccettature possibili. I principi epistemici che orientano l’attenzione secondo tale metodo sono: il principio dell’evidenza, che richiede che il processo di indagine resti fedele alle qualità che appaiono, e solo a ciò che appare, e il principio di ulteriorità, che impone di ricercare le dimensioni del fenomeno che tendono a restare oscurate o velate.

L’assunzione della postura epistemica dell’epochè (Husserl, 1913/2002) si rivela cruciale al fine di una comprensione fedele del fenomeno, che sappia esplorarne gli aspetti evidenti e nascosti mettendo tra parentesi teorie, credenze e ipotesi prestabilite che potrebbero influenzare il processo conoscitivo.

Va precisato che il MFE intende declinare in contesto empirico tale mossa epistemica definita da Husserl per le scienze eidetiche, e che attinge ai contributi di altri autori quali Heidegger e Merleau-Ponty, oltre che agli autori che nei tempi più recenti hanno approfondito l’applicabilità del metodo fenomenologico e dei concetti husserliani al campo empirico (Van Manen 2017a, 2017b; Zahavi 2019; Zahavi and Martiny 2019).

L’epochè è qui intesa come imperativo epistemico che il ricercatore mira a perseguire, come ideale a cui tendere, nella consapevolezza dell’impossibilità effettiva di svuotare completamente la mente da ogni contenuto pregresso.  

È importante specificare che l’elaborazione del MFE, pur riferendosi in modo particolare ai concetti originari husserliani delineati, non deriva da un’adesione acritica al suo pensiero, ma prende le distanze da alcune sue declinazioni e attinge agli sviluppi successivi della fenomenologia. Chiaro è il riferimento al contributo di Heidegger, in particolare laddove l’autore specifica come oltre all’essenza valida atemporalmente vi sia un’essenza intesa come localmente e temporalmente determinata (1944/1988, p. 57). Centrale è anche il riferimento a Stein (1961/1999), quando, nel riflettere su come poter conoscere la realtà dell’anima, sottolinea come il calarsi nel concreto rappresenti un passo necessario.

Inoltre, Husserl presuppone la possibilità di un accesso diretto ai contenuti di coscienza: si ritiene invece che nell’atto di percezione interna ci sia sempre costruzione dell’oggetto cui si fa riferimento, da considerare secondo la prospettiva di una gnoseologia enattiva (Mortari, 2023) inestricabilmente legata al contributo di Merleau-Ponty (1945/1965).

 

3. Il Metodo Fenomenologico Empirico

 

A partire dalle basi teoriche delineate, prende forma il MFE. Va precisato che il metodo presentato è frutto di precedenti studi teoretici ed empirici (Mortari & Saiani, 2013; Mortari, 2019b) che hanno permesso di mettere progressivamente a punto precise azioni euristiche e puntuali principi metodologici di riferimento, che vengono di seguito riportati.

Azioni euristiche:

 

·     (A) avere accesso a dati concreti singolari: individuare gli strumenti più adeguati al fine di esplorare i vissuti dei partecipanti a un’indagine circa il fenomeno oggetto di studio, in modo che sia possibile raccogliere dati singolari e concreti utili alla ricerca dell’essenza del fenomeno stesso;

·     (B) raccogliere una pluralità di vissuti: coinvolgere una pluralità di partecipanti che abbiano esperienza diretta del fenomeno indagato (informatori significativi), secondo il campionamento mirato (Merriam, 2002), al fine di raccogliere differenti attualizzazioni del fenomeno;

·     (C) definire l’essenza singolare concreta di ogni vissuto: identificare le qualità singolari e concrete di ogni esperienza vissuta così raccolta; descrivere ogni dato attraverso un’etichetta descrittiva che esprima la sua essenza singolare concreta; realizzare un elenco di tali etichette descrittive;

·     (D) costruire classi di dati simili: elaborare, a partire dall’elenco di etichette descrittive realizzato, un raggruppamento delle etichette con significato simile all’interno di classi; in questo modo, le etichette descrittive che esprimono essenze singolari concrete con significato simile sono incluse in classi differenti;

·     (E) formulare il primo livello di essenze estese: definire con un concetto (etichetta di categoria) l’essenza di ogni classe di essenze concrete singolari. L’essenza così individuata esprime le qualità comuni a più attualizzazioni del fenomeno, ed è quindi definita come “estesa”;

·     (F) costruire una gerarchia di essenze: procedere all’identificazione delle somiglianze tra essenze estese di primo livello; elaborare classi di essenze estese che esprimono significati simili; definire con un concetto l’essenza di ciascuna classe estesa così individuata (etichetta di macrocategoria). Ripetere questa operazione fino a raggiungere il livello di essenza più generale possibile attraverso un’indagine empirica. Grazie a questo processo prende forma una “gerarchia di essenze” (Husserl, 1913/2002, p. 32) – che include tutte le essenze individuate, dalle più concretamente dense fino a quelle più estensivamente astratte. Elaborare il coding system finale, che – includendo le etichette, le categorie e le macrocategorie elaborate – riflette i rapporti gerarchici tra le essenze individuate, che vanno da quelle più singolari e concrete a quelle più condivise e astratte;

·     (G) recuperare e descrivere i dati assolutamente unici: porre in evidenza eventuali dati sporgenti, ovvero quei dati caratterizzati da una particolare complessità di contenuto e da una indissolubilità semantica tali per cui la codifica all’interno del coding system ne ridurrebbe le potenzialità espressive. I dati unici, quindi, non sono codificati all’interno del coding system, ma vengono descritti e commentati nel rapporto finale della ricerca;

·     (H) elaborare la teoria descrittiva: descrivere le qualità del fenomeno indagato, a partire dalle essenze più estese sino a quelle più concrete, prendendo in esame anche i dati sporgenti;

·     (I) implementare il principio di ricorsività: ritornare continuamente ai dati originari e alle etichette descrittive e concettuali elaborate nel corso delle azioni euristiche c, e e f, al fine di verificare con costanza la tenuta del coding system e la fedeltà al fenomeno indagato.

 

Principi metodologici:

 

·     primo principio metodologico (α): identificare variazioni quantitativamente significative del fenomeno;

·     secondo principio metodologico (β): effettuare un’analisi dettagliata di ogni esperienza vissuta per portarne alla luce l’essenza concreta singolare;

·     terzo principio metodologico (γ): supervisionare riflessivamente i processi cognitivi alla base delle azioni euristiche.

 

Va precisato che le azioni euristiche sono tipicamente fenomenologiche, cioè derivano direttamente dall’applicazione nel dominio empirico di alcuni concetti husserliani, mentre i principi metodologici e l’uso della terminologia (in particolare rispetto ai termini “etichette” e “categorie”) per identificare i prodotti dell’analisi sono comuni ad altri approcci di ricerca empirica, come la content analysis (Neuendorf, 2017), la grounded theory (Glaser & Strauss, 1967; Charmaz, 2014) e l’analisi tematica (Clarke & Braun, 2021).

Il prodotto del processo di analisi dei dati effettuato secondo il MFE è un “grappolo” di essenze, che può essere percorso sia in ordine ascendente (dalle essenze più concrete a quelle più estese) sia in ordine discendente (dalle essenze più estese a quelle più concrete).

Tale “grappolo” di essenze prende progressivamente forma sulla base della rete di significati emergenti nel corso del processo di analisi: la lettura del percorso in ordine ascendente e discendente  porta alla luce i diversi gradi di generalità delle essenze (dalle essenze concrete singolari alle essenze concrete estese, e viceversa), rendendo evidente come il prodotto dell’analisi attesti la fedeltà al fenomeno, intesa come costante ancoramento alla sua datità originaria. Va precisato che nel pensiero di Husserl ciò che è importante nell’ambito della ricerca eidetica è l’essenza universale, mentre le differenze singolari non hanno rilevanza (Husserl, 1913/2002, p. 315). La proposta alla base del MFE riprende il modello husserliano di una “gerarchia di essenze”, ma declinandolo in una scienza d’esperienza che mira alla ricerca dell’idea massimamente estesa prestando al contempo attenzione ad ogni declinazione delle varianti particolari (Mortari, 2023), attribuendo quindi medesima rilevanza alla dimensione più e meno estesa delle essenze individuate dal processo di analisi.

L’applicazione del MFE ha come risultato una teoria descrittiva del fenomeno indagato, che non pretende alcun valore assoluto perché è fedelmente fondata sui vissuti raccolti. L’impossibilità di raggiungere quel livello di astrazione e generalizzazione che garantirebbe un valore scientifico alla conoscenza ottenuta non è da intendere come una carenza del metodo: infatti è proprio in questo atto di fedeltà al dato che sta la prova del rigore scientifico dell’EPM.

 

4. Applicazione del MFE in una ricerca educativa

 

Si intende ora mostrare un’esemplificazione di come il MFE è stato applicato all’interno di “MelArete: A scuola di amicizia e gratitudine” (Mortari, Ubbiali, & Bombieri, 2023)[2], un progetto educativo e di ricerca mirato a promuovere l’etica per la cittadinanza nei contesti scolastici secondo l’approccio della ricerca educativa: proponendo buone esperienze educative a bambini e ragazzi e al contempo raccogliendo dati utili a studiarne gli esiti.

Tale ricerca ha preso forma con l’obiettivo di offrire un contributo nell’ambito delle sfide che sempre più interpellano l’attuale mondo educativo e scolastico: individuare proposte in grado di promuovere nelle giovani generazioni risorse utili a una crescita armoniosa come individui e come cittadini che sappiano coltivare il bene per sé, per l’altro e per lo spazio comune (Consiglio d’Europa, 2018; 2018 a; 2018b; Ubbiali, 2023; Tedesco, 2019; Unione Europea, 2017), e valutare l’efficacia di simili interventi per individuarne punti di forza e possibilità migliorative (Geboers et al., 2013).

Il nome del progetto, cioè MelArete, deriva da due parole della lingua greca antica: meléte, che significa cura, e areté, che significa virtù; la locuzione “a scuola di amicizia e gratitudine” mette in evidenza le virtù sulle quali il percorso proposto si focalizza e l’intento di promuoverne l’apprendimento nel contesto scolastico. Le radici teoriche che ne hanno guidato l’ideazione si riferiscono alla filosofia greca antica, e in particolare a una visione delle virtù come possibile oggetto di apprendimento attraverso il pensiero attraverso il dialogo, il ragionamento e la concettualizzazione, secondo quanto esemplificato da Socrate nei dialoghi platonici, e facendo esperienza di esse, secondo quanto suggerito da Aristotele nell’Etica Nicomachea. L’intento del progetto è quindi quello di proporre attività riflessive ed esperienziali (conversazioni socratiche, scrittura riflessiva, discussioni di situazioni dilemmatiche) volte a promuovere l’etica per la cittadinanza, mettendo a tema l’amicizia intesa come pratica di cura eticamente orientata al bene comune (Mortari, 2006, 2008, 2021). L’amicizia non è qui interpretata secondo il senso più comune attribuito a tale termine, quindi come legame relazionale di forma privata, ma è fortemente connotata in senso comunitario, secondo la tradizione classica che la definisce come virtù civica. Più nello specifico, il riferimento è alla visione di amicizia di Aristotele che, nell’Etica Nicomachea, la intende come virtù politica che comprende in sé tutte le altre virtù.

Il percorso educativo, realizzato nell’anno scolastico 2021‍–‍2022, ha coinvolto 72 alunni di tre classi quarte di una scuola primaria del Nord Italia, prevedendo complessivamente sei incontri in ogni classe fra ricercatori e bambini. L’attività oggetto dell’analisi che verrà di seguito presentata è una conversazione socratica sull’amicizia, realizzata nel corso del secondo incontro. La domanda di ricerca relativa a questa specifica attività era la seguente: come si qualifica l’esperienza dell’amicizia nel pensiero dei bambini coinvolti in un’attività di conversazione socratica?

Di seguito viene descritta l’applicazione delle azioni euristiche e dei principi metodologici del MFE nel processo di raccolta e analisi dei dati raccolti.

 

4.1. Azione euristica A: accedere a dati concreti e singolari

 

Lo strumento scelto per raccogliere i dati è stato la conversazione socratica, proposta nel corso di un incontro così strutturato: dopo la lettura di un racconto che narra di alcune esperienze di amicizia tra piccoli animali, è stato dedicato uno spazio alla libera espressione dei pensieri dei bambini e, partendo dalle loro idee, il ricercatore ha focalizzato l’attenzione sul tema dell’amicizia, proponendo a ciascuno di darne una definizione scritta. In questa fase sono state raccolte complessivamente 69 definizioni scritte. Dopo l’attività di scrittura riflessiva e la condivisione delle definizioni, i bambini sono stati coinvolti in una conversazione socratica sull’amicizia. La scelta di proporre la lettura di un racconto prima della conversazione è stata motivata dall’opportunità di introdurre il tema affrontato tramite uno strumento per i bambini molto familiare, il racconto. Tale scelta si è rivelata proficua nell’implementazione delle attività relative alla precedente edizione del progetto (Mortari, 2019a; Mortari & Ubbiali, 2017; Mortari et al., 2020; Mortari & Valbusa, 2020, 2023). I bambini hanno potuto in questo modo sperimentare un accompagnamento graduale alle attività che li avrebbero poi visti coinvolti in modo più attivo, le definizioni scritte e la conversazione. La scrittura delle definizioni ha rappresentato uno spazio di pensiero volto a stimolare la riflessività individuale (Mortari, 2009), poi ulteriormente sviluppata grazie al confronto con i compagni guidato dal ricercatore durante la conversazione socratica.

Il compito del ricercatore nel condurre la conversazione socratica è ispirato al metodo maieutico, che chiede di aver cura di non influenzare il pensiero dei bambini ma di svolgere un ruolo di facilitatore, stimolandoli a esplicitare i loro pensieri, a motivarli e ad approfondirli, e ponendo attenzione a promuovere un clima di ascolto e rispetto (Mortari, 2019b).

La domanda che ha guidato la conversazione era centrata sulla definizione di amicizia: una domanda quindi aperta, mirata a raccogliere sia dati eidetici che narrativi. I dati raccolti sono costituiti sia da descrizioni di cosa fosse per i bambini l’amicizia, sia da narrazioni di episodi vissuti ed esempi che essi identificavano come esperienze di amicizia.

 

4.2. Azione euristica B: raccogliere una pluralità di esperienze vissute

 

La ricerca ha visto la partecipazione di tre classi quarte di una scuola primaria, coinvolgendo nel complesso 72 alunni. Il gruppo di ricerca, anche sulla base di precedenti esperienze di ricerca educativa nella scuola primaria, ha ritenuto idonea questa numerosità ai fini di rispondere al primo principio metodologico (α), che richiede di ottenere una variazione quantitativamente significativa del fenomeno, che in questo caso è l’esperienza di amicizia dei bambini emersa nel corso di un’attività di conversazione socratica.

 

4.3. Azione euristica C: definire l’essenza concreta e singolare di ogni esperienza vissuta

 

Al fine di garantire la massima fedeltà al fenomeno indagato, le conversazioni socratiche sono state audioregistrate e trascritte parola per parola, avendo cura di anonimizzarle. Il primo step dell’analisi si è svolto individuando le unità di conversazione significative rispetto all’esperienza di amicizia; per ciascuna di tali unità di significato è poi stata formulata un’etichetta che descrivesse l’essenza singolare da essa espressa (principio metodologico α). Inizialmente tale lavoro è stato svolto in autonomia da due ricercatori, che si sono poi confrontati per individuare la formulazione delle etichette descrittive più fedele ai dati originari; i casi dubbi sono stati discussi con il gruppo di ricerca in momenti dedicati. La Tabella 1 mostra un esempio del processo di etichettatura: nella prima colonna sono riportati degli esempi dei dati originari, nella seconda colonna le relative etichette descrittive. Le etichette descrittive sono state successivamente quantificate in modo da poter valutare la frequenza con la quale erano rappresentate all’interno dei dati raccolti.

 

Excerpt conversazioni

Etichette descrittive (essenza concreta singolare)

“Bisogna volerlo e impegnarsi tutti e due a giocare insieme e poi si diventa amici”

L’amicizia richiede l’impegno di tutti

“Io vorrei fare un esempio dell’argomento che ha tirato fuori G. con i bulli. Eee, che mi ha fatto venire in mente una cosa, che mi ha fatto, vorrei fare un esempio di un bambino che non è proprio colpa sua, ma perché i suoi genitori non c’hanno tempo, non gli stanno accanto, e non lo educano bene e quindi lui fa un po’ quello che gli pare”

Riflettere sulle ragioni di chi si comporta da bullo

Tabella 1. Esempio del processo di elaborazione delle etichette descrittive

 

4.4. Azione euristica D: costruire classi di dati simili. Azione euristica E: formulare il primo livello delle essenze estese

 

Dopo aver realizzato un elenco delle etichette descrittive, si è proseguito raggruppando quelle riferite a significati simili di “amicizia” in classi, che esprimono l’essenza concreta estesa da esse condivisa. Tale essenza concreta estesa è definita con un’etichetta di categoria. Mentre le etichette descrittive sono il più possibile aderenti ai dati originari, le etichette di categoria prendono forma attraverso un lavoro di progressiva astrazione. La Tabella 2 mostra un esempio di questo processo: nella prima colonna si osservano le unità di conversazione significative, nella seconda le etichette descrittive (essenze concrete singolari) e nella terza le etichette di categoria (essenze estese di primo livello).

 

Esempi di dati

Etichette descrittive (essenze concrete singolari)

Etichette di categoria (essenze estese di primo livello)

“Tutti possono essere amici”

Si può essere amici di tutti

 

Essere aperti

 

 

“Puoi essere amico di una persona un po’ cattiva, un bullo…”

Si può essere amici di un bullo

“Poi magari migliorare il pensiero degli altri. Tipo, se il gioco, è molto divertente arriva un bambino e ti dice un’altra idea, magari quel gioco può diventare ancora più divertente”

Essere aperti a nuove idee

 

Tabella 2. Esempio del processo di elaborazione delle etichette descrittive e di categoria

 

4.5. Azione euristica E: costruire una gerarchia di essenze

 

Una volta individuate le etichette di categoria, si è proseguito con un ulteriore processo di astrazione, che consiste nel raggruppare le essenze concrete estese di primo livello in essenze concrete estese di secondo livello, o macrocategorie.

Nella Tabella 3 si può osservare il coding system finale, che offre una descrizione sintetica di come l’amicizia è concepita dai bambini coinvolti nella ricerca, evidenziando la gerarchia delle essenze individuate: dalle essenze più singolari e concrete a quelle più estese e astratte.

Nelle prime due colonne sono riportate rispettivamente le etichette descrittive, che esprimono le essenze singolari concrete, e le relative frequenze; nella seconda e terza colonna rispettivamente le etichette di categoria, che esprimono le essenze estese di primo livello, e le relative frequenze; nella quinta colonna le macrocategorie, che esprimono le essenze estese di secondo livello. L’ordine in cui sono presentate categorie e macrocategorie è legato alla frequenza con cui i relativi dati sono emersi dalle parole dei bambini, a partire quindi dalle macrocategorie e categorie più frequentemente rappresentate all’interno dei dati fino a quelle rilevate in misura minore.

 

Etichette descrittive

N

Categoria (Essenze estese di primo livello)

N

Macrocategoria (Essenze estese di secondo livello)

-         Aiutare

-         Essere aiutati

-         Aiutarsi

10

Aiutare

 

44

Le qualità dell’amicizia

-         Avere cose in comune

-         Scambiarsi

-         Condividere soluzioni

-         Fare insieme

6

Condividere

 

-         Rispettarsi reciprocamente

-         Rispettare l’altro

5

Rispettare

 

-         Fidarsi dell’altro

-         Fidarsi reciprocamente

5

Avere fiducia

 

-         Confidare all’altro

-         Confidarsi reciprocamente

5

Confidare

 

-         L’amicizia cambia

-         L’amicizia ci cambia

5

Cambiare

 

-         Voler bene

-         Volersi bene

4

Voler bene

 

-         Essere felici

-         Provare amore

-         Provare fratellanza

4

Provare buoni sentimenti

 

-         Interrogarsi sulle ragioni dell’altro

-         Empatizzare

8

Comprendere l’altro

 

39

Le condizioni dell’amicizia

-         Essere aperti a tutti

-         Essere aperti a nuove idee

-         Essere amici di un bullo

8

Essere aperti

 

-         L’amicizia richiede di conoscersi

-         Per essere amici occorre conoscere il carattere dell’altro

-         Per essere amici non basta conoscersi virtualmente

6

Conoscersi

 

-         Comportarsi bene

-         Non agire contro l’altro

3

Comportarsi bene

 

-         L’amicizia richiede l’impegno di tutti

-         L’amicizia richiede impegno reciproco

3

Impegnarsi

 

-         Non tradire

-         Non abbandonare

3

Essere leali

 

-         L’amicizia richiede tempo

-         L’amicizia richiede di trovare tempo per incontrarsi

2

Trovare tempo

 

-         Non dare voti

2

Non giudicare

-         Non escludere

-         Non escludere nessuno

2

Non escludere

 

-         Sentirsi liberi

-         Essere liberi di essere o meno amici

2

Sentirsi liberi

 

-         Essere troppo diversi

-         L’amicizia tra maschi e femmine è più difficile

3

Essere troppo diversi

 

6

Fattori che ostacolano l’amicizia

-         Non piacersi

-         Provare gelosia

-         Non essere veri amici

3

Vivere sentimenti e atteggiamenti negativi

Tabella 3. Coding system finale relativo alle conversazioni socratiche sull’amicizia

 

4.6. Azione euristica F: recuperare e descrivere i dati assolutamente unici

 

Tutti i dati emersi dalle conversazioni sono stati elaborati all’interno del coding system, non sono stati riscontrati dati unici che richiedessero di essere descritti e commentati separatamente.

 

4.7. Azione euristica G: elaborare la teoria descrittiva

 

Si giunge infine all’elaborazione di una teoria descrittiva del fenomeno dell’amicizia per come è emerso nell’attività sperimentata. In sintesi, l’analisi dei dati ha fatto emergere che l’amicizia si configura come esperienza che deve qualificarsi secondo caratteristiche particolari per essere definita tale, che può instaurarsi e consolidarsi solo a precise condizioni, e che può andare incontro a determinati ostacoli. Nello specifico, la macrocategoria “le qualità dell’amicizia” esprime gli aspetti caratterizzanti dell’amicizia, la quale si qualifica come esperienza fortemente connotata in senso etico, in particolare per il suo declinarsi in termini di aiuto (ricevuto e rivolto all’altro), condivisione (nel senso di avere cose in comune, scambio reciproco, ricerca di soluzioni insieme, fare insieme), rispetto (ricevuto e rivolto all’altro), fiducia (verso l’altro e reciproca) e bene (verso l’altro e reciproco). Altre caratteristiche chiave sono la possibilità di confidarsi (confidenza verso l’altro e reciproca), il cambiamento (nel senso che l’amicizia cambia e nel senso che siamo noi stessi cambiati dall’esperienza di amicizia), e il provare buoni sentimenti (felicità, amore e fratellanza). La macrocategoria “le condizioni dell’amicizia” esprime gli elementi che favoriscono l’instaurarsi e il consolidarsi dei rapporti di amicizia; anche in questo caso sono emersi diversi aspetti che connotano l’amicizia in termini etici, di cittadinanza e socio-emotivi, in particolare rispetto al comprendere le ragioni dell’altro (interrogandosi sulle possibili motivazioni dei suoi comportamenti ed esercitando l’empatia), e all’essere aperti anche a chi non è intimo amico (mostrando amicizia verso tutti, verso chi si conosce poco e addirittura verso chi compie atti di bullismo), a idee nuove e diverse dalle proprie. L’amicizia richiede poi conoscenza (conoscenza reciproca, conoscenza del carattere dell’altro, conoscenza diretta e non solo virtuale), buon comportamento (comportarsi bene e non agire contro l’altro), impegno (di tutti e reciproco), lealtà (non tradire e non abbandonare), tempo (l’amicizia richiede tempo ed è necessario trovare un tempo per incontrarsi), non giudizio (non dare voti), inclusione (non escludere in termini generali e non escludere nessuno), libertà (sentirsi liberi nella relazione con l’altro e sentirsi liberi di scegliere se essere o meno amici). Infine, la macrocategoria “fattori che ostacolano l’amicizia” si declina nell’essere troppo diversi (in termini generali e in termini di differenze tra maschi e femmine) e nel vivere sentimenti e atteggiamenti negativi (non piacersi, vivere sentimenti di eccessiva gelosia e atteggiamenti da amici “non veri”). Le scarse occorrenze relative agli ostacoli dell’amicizia possono rivelare come il pensiero dei bambini nel corso dell’attività si sia orientato a riflettere su ciò che caratterizza e facilita il legame di amicizia, e a concepire le possibili difficoltà tra amici concentrandosi su come superarle piuttosto che sugli elementi di ostacolo.

 

4.8. Azione euristica H: implementare il principio di ricorsività

 

Il processo di analisi dei dati si è caratterizzato per un continuo ritorno ai dati originari, al fine di garantire la massima fedeltà e aderenza al fenomeno indagato. Anche in riferimento all’elaborazione di etichette descrittive, di categoria e di macrocategoria, si è lavorato a un costante processo riflessivo individuale, in coppia e in alcuni momenti dedicati in team, in modo da verificare la tenuta del coding system che prendeva via via forma, e di apportare le opportune modifiche ove necessario.

 

4.9. Azione trasversale. Supervisionare riflessivamente i processi cognitivi alla base delle azioni euristiche.

 

Il ricercatore, sia nel corso dell’implementazione delle attività proposte ai bambini sia nel processo di analisi dei dati, ha mantenuto l’impegno di scrittura di un diario di ricerca. Tale strumento permette di rispondere al terzo principio metodologico (γ), che richiede di supervisionare riflessivamente i processi cognitivi alla base delle azioni euristiche. Nel diario di ricerca trova spazio la “vita della mente” (Arendt, 1978) del ricercatore, che vi annota osservazioni, riflessioni, dubbi, criticità, e modi in cui ha trovato delle soluzioni alle problematiche incontrate. Oltre a favorire la qualità delle azioni euristiche impiegate, lo strumento del diario aumenta la consapevolezza dei propri preconcetti e quindi la messa in atto dell’epochè; inoltre, i momenti di confronto con altri ricercatori diventano occasione utile anche per condividere alcune pagine del diario dedicate ai momenti più critici del processo di ricerca, favorendo così spazi di riflessione condivisa (Mortari, 2009; Johns & Hardy, 1998; Knights, 1985) che garantiscono maggiore aderenza ai dati oggetto di analisi (Mortari, Valbusa, Ubbiali, et al., 2023).

 

5. Discussione

 

Dalla presentazione del MFE e dall’esemplificazione di una sua applicazione si evince come l’obiettivo di giungere a una conoscenza rigorosa di un fenomeno secondo tale metodo si riveli particolarmente complesso, prevedendo un insieme di azioni euristiche e tecniche di analisi che richiedono un costante lavoro riflessivo al ricercatore. Va però precisato che il MFE non è inteso come un insieme rigido di procedure direttamente e sistematicamente applicabili, ma è concepito come un set di linee guida flessibili che fungano da supporto al ricercatore, in linea con un approccio ampiamente condiviso in letteratura che intende attenuare l’eccessiva tendenza alla rigida codifica di procedure per condurre ricerche empiriche fenomenologiche (Bengtsson, 2013; Dahlberg, 2006; Dahlberg & Dahlberg 2019; Van Manen, 1990; Zahavi & Martiny, 2019). Risulta quindi importante, nel seguire i principi del MFE, prestare attenzione all’obiettivo della maggiore comprensione possibile di un fenomeno, senza cadere in un esagerato tecnicismo che rischia talvolta di rappresentare un ostacolo più che un aiuto a tale comprensione.

La rigorosità del metodo è supportata dalle basi teoriche che sono state delineate per fondare una fenomenologia empirica, con particolare riferimento alla produzione husserliana originaria.

Va precisato che tali fondamenta teoriche, come descritto nel paragrafo 2, comprendono anche il riferimento ai contributi di altri autori, quali ad esempio Heidegger e Arendt. Va riconosciuto che vi è stato un importante sviluppo nell’ambito degli studi che, anche in tempi recenti, attesta come la fenomenologia possa rappresentare un riferimento prezioso per gli approcci di ricerca empirica. Tuttavia, molti di questi approcci sono stati elaborati a partire da concetti pensati da Husserl per la fenomenologia come metodo di ricerca eidetica: l’originalità del MFE sta invece nell’intento di fondare una teoria di una fenomenologia empirica e un metodo di ricerca empirica sulla base di due concetti (essenza concreta e adombramenti successivi) specificamente utilizzati da Husserl per descrivere le modalità di conoscenza dell’esperienza concreta. Tali concetti, a nostra conoscenza, non sono ancora stati adeguatamente sviluppati e valorizzati nell’ambito della ricerca fenomenologica.

Il MFE condivide alcune somiglianze, in particolare rispetto ad alcune procedure relative all’analisi e clusterizzazione dei dati, con altri approcci di ricerca qualitativa, anche se non strettamente fondati sul piano fenomenologico, come l’analisi tematica (Clarke & Braun, 2021; Terry et al., 2017) e la grounded theory (Charmaz, 2014; Glaser & Strauss, 1967; Strauss & Corbin, 1998). Tuttavia, la sua specificità risiede nel fondare le pratiche di ricerca in un quadro teorico rigoroso, quale quello presentato in questo articolo.

L’applicazione del MFE nel processo di analisi dei dati raccolti attraverso una conversazione socratica, realizzata nell’ambito di una ricerca educativa, si è mostrata particolarmente adeguata ai fini della valutazione dell’efficacia educativa dell’intervento proposto. In particolare, la costante attenzione, riflessività individuale e in gruppo, e ricorsività nel corso dell’intero processo di analisi hanno permesso di portare all’evidenza una teoria descrittiva molto ricca, e fortemente ancorata alle parole vive dei bambini coinvolti. Tale ricchezza testimonia come, grazie all’attività implementata, il pensiero dei bambini sia stato stimolato a esplorare e riflettere sulle molteplici sfumature di significato dell’esperienza di amicizia. In riferimento alla finalità del progetto implementato, ovvero la promozione dell’etica per la cittadinanza, i risultati emersi suggeriscono come i bambini, se supportati da opportune attività, sappiano cogliere e soffermarsi a pensare a vari aspetti dell’amicizia interpretata come esperienza comunitaria. All’interno della teoria descrittiva emersa sono infatti presenti numerosi riferimenti all’amicizia intesa non solo come legame di forma privata, ma anche come apertura all’altro, al diverso, a idee nuove che non coincidono con la propria, e alla comprensione delle ragioni dell’altro. Tali aspetti sono considerati cruciali per gli obiettivi dell’educazione alla cittadinanza (Geboers et al., 2013; Banks, 2004).

Il lavoro di analisi qui presentato si è concentrato sui contenuti espressi dai bambini nel corso di una conversazione socratica sull’amicizia, ma numerosi sono gli ulteriori possibili sviluppi dell’applicazione del metodo, che si presta ad essere impiegato per diversi scopi che il ricercatore o l’insegnante può ritenere rilevanti in un particolare contesto. Ad esempio, si potrebbe mirare a una comprensione delle mosse conversazionali che hanno caratterizzato lo scambio tra i bambini e con il ricercatore. Questa declinazione del processo di analisi permetterebbe di approfondire alcuni aspetti della qualità della comunicazione e della relazione nel corso dell’attività, e di cogliere in modo più specifico anche le caratteristiche degli interventi del ricercatore o dell’insegnante, offrendo così indicazioni utili al miglioramento delle loro competenze educative e di ricerca.

Ancora, il MFE potrebbe essere impiegato nell’ambito di ulteriori attività volte a promuovere competenze trasversali: è qui stato presentato un esempio relativo alla promozione dell’etica per la cittadinanza, ma si pensi anche a tutte quelle attività progettuali a cui si riconosce oggi particolare rilevanza, come la promozione delle competenze socio-emotive e delle life skills (OCSE, 2018; OMS, 1994; Sala et al., 2020). Nell’ambito della ricerca sugli strumenti mirati a valutare, ad esempio, le competenze socio-emotive (Bar-On & Parker, 2000), va evidenziato come l’applicazione del MFE, ovviamente in riferimento a dati qualitativi, possa offrire un contributo particolarmente prezioso, poiché si fonda su processo di analisi attento a valorizzare ogni tratto dell’esperienza viva dei partecipanti, aprendo anche a prospettive e significati inediti su un dato fenomeno.

Altra applicazione utile può riguardare la promozione di competenze più specificatamente disciplinari, andando ad esempio ad esplorare in profondità i vissuti e il mondo di significati degli alunni in riferimento ad un particolare argomento trattato o che si andrà a trattare, o ai collegamenti tra differenti discipline e argomenti. Inoltre, oltre alla conversazione socratica, il metodo si presta ad essere utilizzato anche in riferimento ad altre tipologie di strumenti, come ad esempio proposte di scrittura riflessiva, in base a ciò che l’insegnante ritenga più idoneo rispetto ai propri obiettivi e alle attitudini dei propri alunni.

Se da un lato il MFE richiede un tempo dedicato, di cui può essere difficile disporre  quando si opera all’interno dei contesti scolastici, è importante considerare come, ove le variabili contestuali lo permettano, esso possa offrire un ampio ventaglio di possibilità utili non solo al ricercatore, ma anche all’insegnante, secondo una visione che ne valorizza il profilo come ricercatore pratico (Ciraci et al., 2021). Si coltiva in questo modo un’auspicabile alleanza tra ricercatore pratico e ricercatore accademico, mirando a fondare una comunità di ricerca.

Utilizzare il metodo per analizzare i dati raccolti da attività centrate su temi considerati rilevanti per il suo particolare contesto classe, può infatti permettere all’insegnante di accedere a una comprensione approfondita dei vissuti degli alunni e di alcune dinamiche relazionali, di scoprire le potenzialità del loro pensiero, poiché tutte le esperienze espresse dai bambini sono considerate analiticamente e dettagliate all’interno del report di ricerca finale (comprensivo del coding system e degli eventuali dati sporgenti), e anche di rilevare eventuali criticità a partire dalle quali poter progettare attività educative e didattiche mirate. Inoltre, l’applicazione di tale metodo, secondo i principi metodologici di ricorsività e supervisione dei processi cognitivi che sottostanno alle azioni euristiche, rappresenta un potente stimolo alla riflessività, favorendo una maggiore consapevolezza del proprio stile dialogico, del proprio approccio ai singoli e al gruppo, delle proprie precomprensioni rispetto alla vita in classe (Rubie‐Davies et al., 2012).

L’insegnante potrebbe anche valutare l’opportunità di condividere i risultati dell’analisi, o parte di essi, con i propri alunni, a seconda di specifici obiettivi educativi e didattici. Lavorare con i bambini su quanto emerso a livello di gruppo classe, grazie al contributo di tutti, rispetto a un’attività focalizzata su un particolare tema, si può rivelare importante su più fronti: ingaggiare l’interesse e far sentire valorizzato il loro pensiero, poiché al cuore del lavoro di analisi vi sono le parole impiegate dai bambini stessi; stimolare la riflessività a partire da alcuni dati particolarmente significativi; promuovere competenze critiche soffermandosi a osservare alcune comunicazioni intercorse; portare l’attenzione sulle potenzialità della collaborazione, poiché la teoria descrittiva che risulta dall’analisi è tanto più profonda quanto maggiore è stata la partecipazione attiva di tutti all’attività svolta.

Infine, l’intero percorso di analisi e i risultati potrebbero fornire all’insegnante dati utili per un confronto e una condivisione con altri docenti, ampliando così, grazie all’apporto di più punti di vista, le possibilità di una maggiore comprensione di alcuni tratti dell’esperienza degli alunni.

Dagli spunti delineati si evince come l’applicazione del MFE si riveli quindi particolarmente utile non solo per accedere a una conoscenza approfondita e rigorosa di un certo fenomeno, ma anche perché permette di coltivare le competenze riflessive e di ricerca degli insegnanti, proprio nel mentre essi sono impegnati in un processo di analisi della riflessività dei propri alunni. Oltre a questo, la condivisione dei dati ricavati grazie alla sua applicazione con gli alunni e con i colleghi può fungere da ulteriore stimolo alla riflessività, coinvolgendo in un circolo virtuoso i diversi attori coinvolti nei processi scolastici (Fabbri, 2009).

 

6. Conclusioni

 

In conclusione, è importante precisare che il MFE consente di accedere a una conoscenza il più possibile approfondita di un fenomeno all’interno di un contesto unico e singolare, ma non permette di giungere a una teoria descrittiva che abbia una validità generale. Tuttavia, a partire da una profonda conoscenza situata, è possibile ricavare indicazioni utili a una maggiore comprensione dello stesso fenomeno in contesti simili, quindi, rispetto all’esempio della ricerca qui presentato, è possibile offrire alcune chiavi di lettura per orientare le pratiche educative e didattiche a scuola che coinvolgono bambini della stessa fascia d’età. Ulteriori approfondimenti si rendono necessari per valutare l’applicabilità del metodo in contesti educativi non scolastici e in riferimento a ricerche educative che coinvolgano soggetti di differenti fasce d’età.

Come precedentemente affermato, tale metodo non è inteso come insieme di procedure rigidamente applicabili, ma come set di linee guida che orientino il ricercatore e/o l’insegnante: tale visione del metodo è in linea con un approccio che mira a valorizzare le competenze riflessive e di ricerca dei professionisti che operano nell’ambito della scuola, che non sono chiamati a una mera applicazione di un metodo elaborato da altri, ma che sono stimolati a trovare le modalità più opportune di declinarlo a seconda dei bisogni emergenti nei propri contesti reali.

A tale riguardo è stato argomentato come il MFE possa rappresentare una risorsa particolarmente duttile, prestandosi ad essere impiegato all’interno di vari ambiti disciplinari e per svariati obiettivi educativi e didattici.

Come si è potuto osservare, l’applicazione del metodo implica molte energie dedicate al lavoro riflessivo: tale lavoro, svolto individualmente, grazie alla costante scrittura del diario, e in gruppo, grazie al confronto in coppia e, nei casi più delicati, anche in team, si configura come elemento qualificante per garantire l’esercizio dell’epochè e la fedeltà ai dati originari raccolti. Gli spazi di riflessione condivisa sono rilevanti lungo tutto il processo di analisi: nella fase inziale in riferimento alla scelta di etichette descrittive il più possibile ancorate ai dati; nell’elaborazione del primo livello di essenze concrete estese, in riferimento alle modalità di raggruppamento di etichette descrittive con significato simile e nella scelta delle parole più adatte per definire le categorie; nell’elaborazione del secondo livello di etichette estese, per il rischio che il lavoro di progressiva astrazione comporti una perdita di aderenza al fenomeno oggetto d’indagine; infine, nel caso presentato di una conversazione socratica, nell’acquisizione di maggiore consapevolezza del proprio stile dialogico e di conduzione della conversazione. È importante mettere in luce come tale lavoro riflessivo si connoti anche come sforzo etico: essere guidati dal principio di fedeltà, impegnandosi nella ricerca di parole che esprimano aderenza ai dati, rappresenta un atto di rispetto nei confronti dei partecipanti alla ricerca.

Queste caratteristiche del metodo, che richiedono tempi ed energie dedicate, possono essere difficili da coniugare con le richieste di efficientismo che sempre più spesso gravano sul mondo della ricerca così come su quello della scuola. Al contempo, sono proprio tali specificità a favorire nei ricercatori e negli insegnanti lo sviluppo di preziose competenze riflessive (Crotti, 2017; Striano et al., 2018), che garantiscono da un lato la rigorosità delle conoscenze ottenute sul piano della ricerca, e dall’altro la valutazione e la qualità delle pratiche educative e didattiche implementate nei contesti reali.

Certamente, il MFE è un metodo di ricerca complesso, di non immediata fruizione e che richiede tempo e formazione. Un tempo e una formazione che spesso i docenti non hanno. Ribadendo la necessità di formare i docenti alla pratica euristica in quanto dimensione essenziale per la professionalità, è bene anche sottolineare quanto sia necessario rinsaldare il rapporto tra l’università, con i suoi ricercatori di professione, e il mondo della scuola, animato da pratici sempre più impegnati “in prima linea” su numerosi fronti didattici e verso nuove emergenze educative. Infatti, chiedere a un docente di fare ricerca non significa pretendere che diventi ricercatore professionista, poiché il suo compito essenziale non è di fare ricerca ma di educare insegnando; piuttosto gli viene chiesto di costruire un bagaglio di competenze sufficienti per poter sottoporre a un esame rigoroso le pratiche educativo-didattiche agite al fine di favorire un continuo miglioramento delle pratiche stesse (Mortari, 2009). Proprio la necessità di giungere a visioni sull’esperienza educativa “rigorosamente fondate” (per usare una espressione husserliana) richiede la costruzione di una solida alleanza tra ricercatori di professione e docenti: i primi custodiscono la rigorosità metodologica e procedurale, i secondi l’adeguatezza e la sensatezza del procedere euristico che viene così messo alla prova dalla sua significatività verso una concreta esperienza educativa. Prende così forma una concezione clinica della ricerca educativa (Bulterman-Bos, 2008).

 

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[1] INVALSI dal 2017 utilizza la classificazione in gradi per identificare le classi che partecipano alla valutazione. Tale classificazione rispecchia il modello americano, per cui ciascun grado corrisponde a un’età, ed è impiegata anche in altri Paesi al fine di favorire le possibilità di confronto su un piano internazionale.

[2] L'esperienza educativa presentata in questo articolo rappresenta la seconda edizione del progetto “MelArete”. La prima edizione era intitolata “MelArete: A scuola di virtù” e si focalizzava su coraggio, generosità, rispetto e giustizia.