l popolo è altrove. Carducci e la ballata romantica

Autori

  • Paolo Giovannetti

Abstract

Ogni considerazione in merito alla presenza della ballata romantica nell’opera di Carducci deve certo prendere le mosse dalla perentoria dichiarazione contenuta nel saggio introduttivo all’edizione del Poliziano volgare, Delle poesie toscane di messer Angelo Poliziano, risalente all’anno 1863:

I romantici tra ’l venti e il quaranta, risuscitando il nome di ballata e applicandolo alle loro imitazioni delle imitazioni della prima maniera di Victor Hugo, commisero uno di quei tanti anacronismi onde resteranno famosi, essi che si vantarono di riportare il vero nell’arte e di ricongiunger questa all’istoria. E la ragione salvi i giovani dalle ballate romantiche; le quali, rappresentando un falso oriente e un falso settentrione, un falso medio evo e una falsa cavalleria, una falsa religione e un falso popolo, e falsi sentimenti e falsissimi ghiribizzi di cervellini che si credevano e volevano apparir grandi e robusti, ad altro non riuscirono in somma che a rinnovare una arcadia tanto più nociva quanto più pretensiosa.

Sono, questi, tra i più noti luoghi comuni dell’antiromanticismo carducciano; e su di essi forse non sarebbe il caso di insistere troppo, se non accadesse che ancora a questa altezza è percepibile una remora in senso lato militante e anzi educativa, documentata già in pagine di un decennio precedenti: a suggerire – con ogni evidenza – l’etimo primo di un’ostilità tanto durevole. È infatti tra il 1853 e il 1855 che Carducci, rivedendo il più antico componimento poetico salvato dalla nebulosa dei suoi puerilia, vale a dire il sonetto A Dio del 1848, esprime forse per la prima volta, con la massima chiarezza, una presa di distanza dai valori diseducativi della letteratura romantica italiana e straniera, nonché dal ‘ballatista’ nostrano per antonomasia, Giovanni Prati:

[...] il metter, ciò è, libri moderni e especialmente inglesi e francesi in mano a la gioventù nuoce, grandemente nuoce, mortalmente nuoce tanto a l’anima che a la mente. Me guastarono a tale che ne risento ancora, Byron, Schiller, Goethe,Victor Hugo, Sue, Guerrazzi e Prati, che d’altronde io rispetto e credo grandi ma non convenienti a la gioventù.

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Pubblicato

2015-01-15

Fascicolo

Sezione

Dialoghi

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