Formazione & insegnamento, 23(S1), 8516
Crossing Walls: Motivation, Commitment, Self-Discovery and the ‘World’
Attraversare i muri: Motivazione, impegno, scoperta di sé e del ‘mondo’
ABSTRACT
This contribution adopts a humanistic, neo-Vygotskian and contextualist perspective to examine how individuals learn to “cross walls” – physical, symbolic and psychological – that characterise contemporary anti-group dynamics, in order to construct the Self and engage meaningfully with the world. Through a theoretical reflection that interweaves group analysis, the ecology of human development and generative pedagogy, the article analyses the constitutive tension between destructiveness and creativity and shows how such tension may be contained and transformed into an educational resource through formative relationships. Particular attention is given to the educational environment as a transitional space in which imagination, reflexivity and freedom can be exercised; to the role of schooling in cultivating each learner’s “small–great talents”; and to the connection between talent development, political responsibility and moral decision-making in the face of the challenges of the twenty-first century. The article argues that educating for freedom and the courage to know enables the passage from the personal to the social and supports the overcoming of the walls of indifference and individualism.
Il contributo si colloca entro una prospettiva umanistica, neovygotskijana e contestualista, e indaga come i soggetti possano “attraversare i muri” – fisici, simbolici e mentali – che caratterizzano i fenomeni anti-gruppo contemporanei, per costruire sé stessi e il proprio rapporto con il mondo. Attraverso una riflessione teorica che intreccia gruppo-analisi, ecologia dello sviluppo umano e pedagogia generativa, l’articolo analizza la tensione costitutiva tra distruttività e creatività e mostra come essa possa essere contenuta e trasformata in risorsa evolutiva attraverso le relazioni educative. In particolare, vengono messi a fuoco: la funzione dell’ambiente educativo come spazio transizionale in cui si esercitano immaginazione, riflessività e libertà; il ruolo della scuola come luogo in cui allenare i “piccoli-grandi talenti” di ciascuno; il legame tra formazione dei talenti, responsabilità politica e decisione morale di fronte alle crisi del Ventunesimo secolo. Si argomenta, infine, che educare alla libertà e al coraggio di sapere significa rendere possibile il passaggio dal personale al sociale e il superamento dei muri dell’indifferenza e dell’individualismo.
KEYWORDS
Anti-group, Educational relationship, Self-discovery, Motivation, Commitment, Talent, Freedom
Anti-gruppo, Relazione educative, Scoperta di sé, Motivazione, Impegno, Talento, Libertà
AUTHORSHIP
This article is the result of the work of a single Author.
COPYRIGHT AND LICENSE
© Author(s). This article and its supplementary materials are released under a CC BY 4.0 license.
ACKNOWLEDGMENTS
This paper was published thanks to the support of Fondazione Umberto Margiotta.
CONFLICTS OF INTEREST
The Author of this paper was acting guest editor at the time of submission. Her proposal was managed by the regular Editorial Team and anonymously reviewed by independent experts.
RECEIVED
October 11, 2025
ACCEPTED
November 25, 2025
PUBLISHED ONLINE
November 26, 2025
1. Introduzione
Il contributo che qui presento si colloca in una prospettiva umanistica, neovygotskijana e contestualista. Assume che la realtà educativa sia co-generata e attraversata da una continua dinamica tra caos e ordine, tra energie di aggressività/regressione e di creatività/cambiamento migliorativo, come ben mostrato dalla riflessione sull’anti-gruppo (Nitsun, 1991, 1996). In tale quadro, la sfida pedagogica consiste nel contenere e orientare queste tensioni nella direzione della sopravvivenza e della trasformazione, sul crinale sempre delicato tra fragilità e responsabilità (Nitsun, 2014; Arendt, 2004).
L’essenza della vita e della creatività di ogni essere umano viene ricondotta alle relazioni educative e alla tensione/motivazione ad “attraversare muri”, ad entrare in contatto, a “scoprire” se stessi e il mondo (Winnicott, 1974, 1975), riconoscendo ed esercitando i propri piccoli-grandi talenti (Margiotta, 2018a, 2018b, 2019). L’incontro e il confronto con l’altro alimentano consapevolezza e coscienza dell’eco-interdipendenza e dell’intergenerazionalità nella costruzione del Sé, aprendo alla possibilità di un progetto di libertà–equità–responsabilità che sia realisticamente praticabile e non solo affermato sul piano retorico.
In questa prospettiva, vivere la vita come esistenza – e non come semplice sopravvivenza adattiva – implica assumere l’impegno di rispondere con l’azione politica e la decisione morale ai problemi sociali e politici del Ventunesimo secolo. Ciò richiede un lungo apprendistato alla riflessività e alla libertà, intese come immaginazione “in pensiero” e “in azione”, come autonomia e coraggio di sapere (Vygotskij, 1990a, 1990b, 2018, 2022; Bruner, 1993). È proprio in questo intreccio tra anti-gruppo e relazione educativa, tra scoperta di sé, motivazione–impegno–talento e formazione alla libertà, che si colloca l’orizzonte teorico–pratico esplorato dal contributo.
2. Il macrosistema: fenomeni anti-gruppo e muri fisici e mentali
Il contesto geopolitico attuale, nel senso di ciò che stiamo divenendo, è attraversato da vistosi e drammatici fenomeni anti-gruppo che prendono la forma di muri fisici e mentali divisivi a livello economico, religioso, etnico, ideologico, psicologico, ‘documediale’, ossia di una montagna di dati e news vere e false che vengono processati, combinati e ricombinati, e che si propongono con ingannevole trasparenza e grande opacità (Ferraris, 2009; 2016; 2021).
Viviamo in una condizione di incertezza e di allarme creato da competizioni, attacchi informatici (Malware, phishing attacks, MitM – Man in the Middle, Zero-Day attacks, etc.), guerra dei talenti (Capobianco, 2018), guerra contro le parole, guerre ibride, guerre di aggressione, massacri – dove la posta in gioco sono le nostre menti (Colon, 2024).
Ciò che ci lega eci accomuna – a livello personale e geopolitico – è l’ansia per i cambiamenti epocali di questo Ventunesimo secolo, la paura del fallimento e della stagnazione (Erikson, 1987) di fronte a un nuovo che avanza e che sembra fuori controllo.
Per rappresentare la mia concezione della situazione attuale, propongo la definizione che, nel volume The Anti-Group (1991), Morris Nitsun – rappresentante di primo piano della gruppo-analisi dà del concetto di anti-gruppo e la riferisco alla dinamica fra grandi gruppi nel sistema globale.
Nitsun definisce in questo modo il concetto di anti-gruppo:
“È un termine ampio che descrive l’aspetto distruttivo del gruppo, che ne minaccia l’integrità e lo sviluppo. Non si tratta di una “cosa” statica, che accade in tutti i gruppi allo stesso modo, ma di un insieme di atteggiamenti e impulsi, consci e inconsci, che si manifestano in maniera diversa in differenti gruppi. Credo che la maggior parte, se non tutti i gruppi, contengano un anti-gruppo ma che, mentre in alcuni gruppi questo si risolve con relativo agio, in altri può minacciare e distruggere le basi del gruppo stesso. A causa di ciò, io ritengo importante – se non essenziale – essere in grado di comprenderne le origini. Credo anche che occuparsi con successo dell’anti-gruppo possa rappresentare un punto centrale nello sviluppo del gruppo. Aiutando il gruppo a contenere il suo particolare anti-gruppo, non solo si riducono le possibilità di acting out distruttivi, ma il gruppo si rafforza e il suo potere creativo viene liberato” (Nitsun, 1991, pp. 7-8, traduzione di chi scrive).
Ritengo che, anche riguardo alle dinamiche globali, si possa parlare di anti-gruppo, non tanto nel senso di una “cosa” statica, che accade in tutte le macro-aree e mega-gruppi del sistema-mondo e in tutte le epoche allo stesso modo, ma di un insieme di atteggiamenti e impulsi, consci e inconsci, che possono innescare cambiamenti epocali nelle condizioni dell’esistenza umana e nelle dinamiche di potere in senso regressivo e distruttivo (nelle/contro tali mega-gruppi), oppure anche costruttivo e creativo (nelle/per gli stessi), quanto a capacità di sopravvivenza e trasformazione.
Che queste polarizzazioni rappresentino differenti aspetti dello stesso tutto ci pare chiaro, meno facile è prendere in carico la problematicità in atto e chiederci come sia possibileattivare una tensione costruttiva che possa contenere il potenziale distruttivo, riconoscere e trasformare l’aggressività, rimettere in circolo le risorse creative; perché esiste un filo sottilissimo tra fenomeni anti-gruppo e attivazione delle componenti creative.
Secondo Morris Nitsun, caratteristiche che possono attivare dinamiche anti-gruppo sono: una leadership autocentrata e/o abbandonica piuttosto che di servizio; competizioni-rivalità-conflittualità; invidia ossia ‘vedere contro’; utilizzare le risorse del gruppo in vista di interessi individuali; alleanze segrete e sotterranee; forze centrifughe che, anziché riportare al centro del gruppo sia le energie insite in tensioni e aggressività sia le energie creative per elaborarle e metterle in circolo, le disperdono esternamente (Nitsun, 1991; Dozza, 2000, pp. 47–90).
In particolare, nel volume Beyond the Anti-Group: survival and transformation (2014), Nitsun si concentra sul conflitto tra creatività e distruttività – proprio dei gruppi così come degli uomini e delle società in generale – ed evidenzia la forza e la generatività che deriva dal riconoscimento, elaborazione, contenimento delle conflittualità (Nitsun, 1996, p. 45) e dall’impegno e cura per tenere insieme sociale e personale.
È quanto Hannah Arendt – nel volume Responsabilità e Giudizio – esprime con estrema chiarezza commentando l’immagine della ragazza ‘nera’ stretta tra la folla del bullismo ‘bianco’: “Il problema, dunque, non è come eliminare la discriminazione, ma come tenerla dentro i confini della sfera sociale, in cui è legittima, e come evitare che trapassi nella sfera politica e in quella personale, in cui invece è distruttiva” (Arendt, 2004, p. 61).
Margiotta commenta la visione di Hannah Arendt come segue:
“La crisi della responsabilità, cioè, è nella separazione tra sociale e personale. E la crisi della pedagogia comincia quando il suo discorso non riesce più a tenere insieme sociale e personale tale che il sociale sia politico quanto il personale. Come accompagnare quel viaggio di andata e ritorno, ciclico, ricorsivo, continuo che consente a ciascuno di passare dal personale al sociale? […] A ben vedere è lo stesso di ciò che si chiede alla libertà. Perché nessuno è libero da solo. La libertà è fatta di legami. La responsabilità è il sentimento stesso della libertà” (Margiotta, 2019, pp. 14-15).
3. Attraversare i muri e cercare il contatto: la nostra condizione esistenziale
Cambiamo prospettiva. Teniamo a riferimento teorico-metodologico la teoria di campo di Kurt Lewin (1963; 1972) e l’ecologia dello sviluppo umano di Urie Bronfenbrenner (1986) e immaginiamo di passare dal Macrosistema (l’insieme di sistemi interconnessi tipici di una certa cultura, che marcano lo sviluppo umano), agli Esosistemi (situazione ambientali anche lontane, in cui un bambino può anche non trovarsi), ai Mesosistemi (ossia le interconnessioni tra due o più situazioni ambientali a cui un bambino partecipa direttamente), fino al Microsistema, ossia il complesso di interrelazioni all’interno del contesto immediato di vita di un bambino e di un essere umano.
Proviamo, infine, ad ‘atterrare’ nel nostro piccolo-grande mondo ‘interno’, quello che si costruisce a partire dalle prime settimane, mesi, anni di vita (e prima ancora).
Dobbiamo riconoscere che la tensione/motivazione di attraversare muri/di entrare in contatto/di scoprire se stessi e il mondo di fuori è la nostra condizione esistenziale fin dalla nascita.
È qui che incominciamo a prendere fra le dita i ‘fili’ dei talenti (dispositivi relazionali che si sviluppano come costruzioni dinamiche e sistemiche in dialogo continuo con il contesto storico-culturale-sociale) e a tesserli, a sbrogliare i ‘nodi’, a superare ‘muri’, a crescere raccogliendo forza dalle generazioni passate, sperimentando la vita intorno, superando barriere, creando varchi (che possono permettere una ristrutturazione cognitiva, emotiva, affettiva dello spazio/tempo di libero movimento in senso fisico e psicologico).
Donal W. Winnicott, descrivendo questo nostro ‘mondo’ scrive:
“Nei primi stadi dello sviluppo emozionale del bambino una parte vitale è l’ambiente che in realtà il bambino non ha ancora separato da sé. Le modificazioni principali hanno luogo nel separarsi dalla madre come una figura ambientale percepita oggettivamente” (Winnicott, 1974, p. 189).
Nelle prime settimane e nei primi mesi il lattante vive un rapporto di fusione-indistinzione con la madre o la figura materna, un rapporto di dipendenza, in cui esiste solo se la madre lo mantiene e lo sostiene e in cui il processo di crescita può arrestarsi o deformarsi se le cure materne vengono a mancare per troppo tempo. Se questa relazione è sufficientemente buona, si crea uno ‘spazio/tempo privilegiato’ in cui faticosamente e lentamente il ‘me’ e l’‘Altro da me’ si allenano a distinguersi, fino a che la ‘presenza’ materna può essere percepita come esperienza interiore e/o proiettata su un oggetto – l’oggetto transizionale – che rappresenta le cure materne (il raso di una coperta, un peluche, una musica, una ninna nanna) e che permette di supportare/sopportare l’allontanarsi e/o la temporanea perdita del controllo della figura materna, particolarmente prima di addormentarsi.
Certo, l’oggetto transizionale è un’illusione, ma è anche qualcosa di reale.
In questa illusione, in questo fare come se (fosse la madre), Winnicott vede la prima idea di gioco. E chiama dimensione transizionale quell’area intermedia tra il me e il mondo (la realtà condivisa) in cui stanno il gioco, l’immaginazione, l’arte, la religione, la cultura (Winnicott, 1975, pp. 275–280). È l’area in cui ci si esercita – il genere e l’essere umano – ad ‘attraversare i muri’.
Lev S. Vygotskij, nell’ultimo capitolo di Pensiero e Linguaggio (1990b) e, in particolare, negli inediti Taccuini pubblicati in Russia nel 2017, evidenzia come l’arte (musica, pittura, letteratura, teatro, massimamente la poesia) condensi “un complesso di sensi che si riverbera all’infinito nella mente di ciascun essere umano” (Mecacci, 2022, p. 19). Rappresenta il filo rosso, sotterraneo, della mente umana, ossia “il mondo dei pensieri, dei concetti e dei sentimenti, proprio dell’uomo”: una realtà intima che agisce sulla realtà esterna (Vygotskij, 1990a, p. 23). A sua volta, l’immaginazione ‘cristallizzata’ in racconti, fiabe, opere d’arte, cultura materiale e immateriale, se compresa, ‘rientra in circolo’ e si combina in nuove invenzioni. “Ne risulta così una duplice e reciproca dipendenza tra immaginazione ed esperienza”, dove l’esperienza (quella vissuta in situazione e quella mediata) “nutre” immaginazione e pensiero; l’immaginazione, a sua volta, si fa motore dell’azione e dell’esperienza in un processo a spirale aperta (Vygotskij, 1990a, pp. 11–25).
In prospettiva pedagogica, lo spazio transizionale di cui parla Winnicott (1974, 1975) – e che è nutrito, come mostra Vygotskij, dal continuo scambio circolare tra immaginazione ed esperienza – costituisce la matrice di quelle future forme di impegno e di eccellenza che, sul piano storico-culturale, possiamo leggere come piccoli–grandi talenti in dialogo con il contesto di vita (Margiotta, 2018a, 2018b, 2019).
4. L’essenza della relazione educativa: riconoscere il desiderio, far emergere e ‘allenare’ i talenti
Winnicott (1975), nel saggio “La psicosi e l’assistenza al bambino”, rappresenta con estrema chiarezza come il vedersi/sentirsi ben visto dalla madre e dalle figure significative sia ciò che dà la forza di ‘attraversare muri’ e di ‘entrare in contatto’ con l’Altro da sé senza che vi sia perdita di sé.
Questa esperienza di vedersi/sentirsi ben visti sostiene la motivazione a fare-comportarsi in modo da essere ben visti e ben vedersi integrando nel Sé tre bisogni di base: il bisogno di competenza, il bisogno di autonomia e il bisogno di stare con gli altri. Questa dinamica ci accompagna per tutta la vita anche quando, con la crescita, i muri dell’infanzia, della preadolescenza, dell’adolescenza, dell’età adulta sono stati attraversati e/o sono stati ridimensionati alla luce dell’esperienza di vita. E prende forme diverse nel processo di crescita:
- di motivazione affiliativa, soprattutto nella scuola primaria;
- di orientamento alla realizzazione del Sé: di scoperta di parti di sé, di riflessione sulle proprie emozioni per meglio comprendere e costruire la propria identità, anche di genere, in trasformazione;
- di corresponsabilizzazione-crescita in autonomia e responsabilità, sia nella forma di conflittualità/distinzione/difficoltà di rapportarsi con gli adulti, soprattutto con le figure genitoriali, sia nella forma di cooperazione nell’organizzazione e pianificazione del lavoro con i pari e con gli adulti.
Ciò che preme sottolineare, quanto all’essenza della relazione educativa, è che Winnicott esplicita in maniera esemplare lo scopo del proprio lavoro come psicoanalista e pediatra e, al contempo, sottolinea che questo è esattamente quanto una madre, una famiglia e un ambiente sufficientemente buono, quindi anche un educatore, un insegnante, un allenatore sportivo possono spontaneamente fare. Scrive:
“Mi piace pensare al mio lavoro in questo modo, e pensare che se lo faccio abbastanza bene, il paziente troverà il suo proprio sé e sarà in grado di esistere e di sentirsi reale. Sentirsi reale è più che esistere; è trovare una maniera di esistere come se stesso, e di entrare in rapporto con oggetti come se stesso, e di avere un sé entro cui ritirarsi e rilassarsi” (Winnicott, 1974, p. 199).
E, nel capitolo di Gioco e realtà intitolato “La funzione di specchio della madre e della famiglia nello sviluppo infantile”, Winnicott afferma che la funzione dell’ambiente è, in estrema sintesi, quella di contenere e aver cura del processo di crescita attraverso una relazione sufficientemente buona, fatta di contatto di pelle e di tonalità muscolare (nell’abbraccio, nel cullare, nel tenere fra le braccia) di sguardi e di attenzioni che rafforzano la sensazione di esistere, di essere ben visti e di potere. In tal modo si può creare quel terzo spazio, quell’area intermedia che è dapprima lo spazio dei fenomeni transizionali, poi del gioco, della parola, della musica e di tutto l’ordine del simbolico.
Questo modo di entrare in contatto con chi è lì per essere ben-visto fonda l’essenza della relazione educativa e formativa e nutre la motivazione ad esprimere le personali risorse e i propri piccoli-grandi talenti. Si potrebbe dire che il ‘vedersi ben–visti’ apre lo spazio in cui il desiderio di esistere come soggetti competenti può organizzarsi in propensioni relativamente stabili a pensare, sentire e agire, che Margiotta tematizza, in chiave pedagogica, come processo di emersione e raffinamento dei talenti nella trama delle relazioni e dei contesti (Margiotta, 2018a, 2018b, 2019).
Umberto Margiotta guarda alla formazione dei talenti come all’ “orizzonte e fondamento del farsi dell’essere umano” nel Ventunesimo secolo. E scrive:
“Per definizione, soltanto pochissimi diventano numeri uno, e non è neppure necessario diventarlo, per avere una vita piena e felice. Però una cosa è certa: non lo diventano per il talento, o non solo per il talento, ma soprattutto grazie alla fatica che fanno. Alle rinunce. Alla determinazione e all’ostinazione. Ma soprattutto al fatto che si ‘inventano il lavoro’. […] Il talento non è innato e […] non può nemmeno essere confuso con il potenziale di apprendimento e di sviluppo di ciascuno di noi. Il talento si configura piuttosto come il risultato di un viaggio […] l’insieme delle caratteristiche di intelligenza, volontà, cultura, carattere che segnalano la nostra unicità (Margiotta, 2018a, pp. 9–10).
In altre parole, il talento è il frutto del potere formativo e educativo dei processi storico-culturali, dei contesti culturali e sociali e dei loro linguaggi. In quanto tale, può dipendere dalle sostanziali opportunità che la vita e i contesti di vita negano, oppure offrono (Patera, 2002; Consiglio Nazionale Giovani, 2022; Liotta, 2024).
La volontà e la capacità di ‘allenare’ i nostri piccoli e grandi talenti ci definisce e fa fruttare le caratteristiche che ci distinguono.
Può trattarsi anche di un difetto, di un limite che si desidera superare per farne il fulcro della scoperta di sé. Proprio “in questo modo si impara a vivere la vita come esistenza e non solo come bisogno” (Orsenigo & Pirone, 2023, p. 168). Perché, mentre il bisogno è legato ad una necessità, il desiderio apre uno spazio di libertà: “se il bisogno è legato alla soddisfazione, il desiderio apre alla relazione” e porta sempre con sé una povertà, che è un tesoro (Castaldi, 2023, p. 56).
Un esempio particolarmente incisivo è quello del Fosbury flop – che traggo dal volume Elogio dell’ignoranza e dell’errore di Gianrico Carofiglio (2024).
Ebbene, Dick Fosbury nasce nel 1947 nell’Oregon ed è un ragazzo magro, alto, alquanto sprovvisto di doti atletiche o di talenti particolari. È stato un ingegnere, è morto nel 2023, e lascia in eredità una storia di intelligenza, perseveranza e coraggio.
Scrive Carofiglio:
“Al liceo provò diverse discipline, fra le quali il football americano, il nuoto, il basket, il baseball, ma non si distinse in nessuna di esse. Decise dunque di dedicarsi all’atletica e, per la sua conformazione fisica, pensò di essere adatto al salto in alto. Anche in questa specialità però non diede alcuna particolare prova di sè. Negli anni Sessanta le tecniche adottate nelle competizioni di salto in alto erano la sforbiciata e il salto ventrale, il cosiddetto straddle. Quest’ultima in particolare prevede che l’atleta scavalchi l’asticella con la schiena rivolta verso l’alto, mantenendo il corpo in una posizione orizzontale durante il volo.
Utilizzando queste tecniche Fosbury, nonostante i suoi sforzi, […] giunse a definirsi ‘uno dei peggiori saltatori in alto dello Stato’. Decise dunque di provare qualcosa di radicalmente diverso. In un incontro di atletica aveva infatti casualmente scoperto che, sollevando i fianchi e inclinando la schiena, riusciva a saltare più in alto che con i metodi tradizionali. Sviluppò questa intuizione fino ad elaborare una nuova tecnica che in seguito sarebbe stata chiamata Fosbury flop, all’inizio certamente non in un’accezione benevola. Flop significa infatti ‘caduta’, ma anche e soprattutto ‘fallimento’, ‘fiasco’. […] ‘Il ragazzo si romperà il collo’, fu il commento di un allenatore” (Carofiglio, 2024, pp. 57–58).
Fosbury perfezionò la tecnica, e durante le Olimpiadi di Città del Messico nel 1968, portò il suo flop alla ribalta mondiale stabilendo il nuovo record olimpico e conquistando la medaglia d’oro. La sua vittoria fu un trionfo personale e segnò anche l’inizio di una nuova èra nel salto in alto, perché “il Fosbury flop divenne la tecnica dominante nel salto in alto” (Carofiglio, 2024, p. 59).
5. La scuola, espressione e cardine del processo di sviluppo individuale e sociale
La scuola può “mirare al conformismo e all’immobilismo, alla mortificazione della mente individuale, o può essere il luogo per generare persone libere e creative”. (Mecacci, 2022, p. 25).
Lo spostamento verso la learnification (Biesta, 2004, 2022, 2023), espressione del neoliberalismo, sta ridisegnando i fini dell’educazione; come conseguenza, la pratica dell’educazione rischia di canalizzare gli studenti verso fini predefiniti, di ridurli al loro valore economico, di ‘eclissare l’immaginazione’ e “l’attitudine a riconoscere concretamente le pluralità e le differenze e il talento nell’immaginare un mondo diverso da quello che è” (D’Agnese, 2025, p. 21).
Il potere di penetrazione della learnification, così come quello delle ‘narrazioni’ preconfezionate della storia e della realtà, è grande e perciò diventa duro, per insegnanti impegnati, colti e liberi, oltrepassare il muro. Quando i fini dell’educazione vengono tradotti quasi esclusivamente in risultati di apprendimento misurabili, lo spazio transizionale dell’immaginazione si restringe e tende a essere colonizzato da immagini e scenari già dati, preparando proprio quella ‘eclissi dell’immaginazione’ che impoverisce la capacità di riconoscere le pluralità e di pensare mondi possibili (Biesta, 2004; Han, 2017; D’Agnese, 2025).
Scrive Pietro Boscolo:
“Spesso, quando si parla di motivazione scolastica, si tende a vedere l’insegnante come una sorta di ‘regista’, in grado di influire sulla motivazione dell’allievo come dall’esterno. In realtà, l’insegnante interagisce con l’orientamento motivazionale dell’allievo sia nel modo in cui struttura la classe – il tipo di attività didattiche che propone o impone, l’uso dell’autorità, lo ‘stile’ di valutazione – sia, in forma indiretta ma non meno incisiva, con le proprie convinzioni e la propria motivazione professionale” (Boscolo, 2002, p. 90).
Secondo Margiotta, una delle evidenze della ricerca pedagogica contemporanea sta nel fatto che “la scuola ha relegato in spazi secondi e terzi il corpo, l’autonomia organizzativa, il rischio di fare, disfare, scegliere, provare conseguenze dei gesti, assumere compiti, eseguire opere, impegnarsi in ‘capolavori’”(Margiotta, 2016, p. 10). E aggiunge che promuovere una scuola dei talenti comporta autonomia di pensiero e di scelta, orientamento responsabile e agentivo. Comporta creatività pedagogica. E la pedagogia è generativa (Margiotta, 2014; 2015; 2017; Ellerani, 2017, Mannese, 2023)quando, co-costruendo contesti educativi dà forma alla costruzione del Sé e alla libertà di pensiero (Cappa, 2020) come integrazione dialettica di partecipazione-cooperazione e individuazione-autonomia. Precisiamo che, in senso molto generale, definiamo la Pedagogia “un sistema disciplinare che indaga i dispositivi di generazione dell’umano” (Margiotta, 2015, p. 34), “si confronta con altre discipline e trova nelle traiettorie non lineari una linfa vitale” (Margiotta, 2018, p. 17); definiamo la Generatività in Pedagogia come uno ‘sguardo’/un ‘paradigma’ multiprospettico, pluri e interdisciplinare, che accoglie la complessità e la multidimensionalità dell’essere umano, tale che “quando l’apprendimento sembra funzionare, si denota un accoppiamento strutturale in cui l’insegnante e i suoi ragazzi, i ragazzi fra loro e/con l’insegnante, i soggetti con l’ambiente sperimentano una reciproca interrelazione che li forma tutti” (Dario, 2016, p. 263).
6. Libertà: avere il coraggio di sapere
In questa prospettiva, l’eclissi dell’immaginazione qui considerata non è un semplice impoverimento interiore, bensì l’esito congiunto della colonizzazione neoliberale dei fini educativi – che riduce l’educazione a learnification – e delle trasformazioni documediali del quotidiano, che saturano lo sguardo di ‘non cose’ e narrazioni preconfezionate (Biesta, 2004; Ferraris, 2021; Han, 2017, 2022; D’Agnese, 2025).
Viviamo in una società che sta creando disuguaglianze incredibili quanto a ricchezze concentrate nelle mani di pochi e povertà estreme ampiamente distribuite.
È una società iperconnessa, dove la costante attenzione a dati e info sbiadisce il potere concreto delle cose e ‘pialla’ la differenziazione tra vero e falso, dove i selfie e i messaggini, le nostre ricerche sul WEB, le non cose – come li definisce il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han (2022) – servono a profilarci e a “predisporre” il mondo in cui viviamo.
La curiosità e il desiderio di sapere sono la strada maestra per immaginare un mondo altro. Ma la nostra epoca sembra averli anestetizzati. Propone massicce dosi di immaginazione preconfezionata, un brodino estinto che non ha bisogno di pensiero e di pause per riconoscere l’intensità e la “proprietà” del desiderio e della curiosità, perché produrre e consumare diventano forma della realizzazione umana (Han, 2017). In questo modo, non c’è bisogno di superare barriere, di mobilitare volontà e motivazione: bisogna accelerare per avere più tempo; quindi, basta consumare e/o possedere (anche perché di solito i prodotti dell’immaginazione preconfezionata sono ad obsolescenza programmata).
Se, come dicevamo, Vygotskji ci mostra un percorso a spirale aperta del pensiero che, da immaginazione-in-pensiero si fa immaginazione-in-azione per ritornare al pensiero verso livelli sempre più elevati di ricchezza e di espressività, in quest’epoca di ‘eclissi dell’immaginazione’ il percorso rischia di risolversi in un “viaggio all’esterno”, che si consuma senza dover ritornare al pensiero.
L’umanità, per cercare di gestire in positivo i fenomeni anti-gruppo che stanno modificando gli equilibri geopolitici e condizionando la vita, dovrebbe riconoscere di essere parte di un ‘viaggio’ ciclico a spirale aperta dal sociale al personale per ritornare al sociale. Si tratta di un viaggio fatto di legami, che porta i soggetti a collocare eventi, interazioni, negoziazioni, linguaggi, credenze, in uno spazio/sistema condiviso di segni, mediatori, relazioni intersoggettive, manifestazioni pubbliche di concezioni e valori.
È uno spazio dove “ogni legame è un racconto di sé nell’altro e dell’altro in sé” (Margiotta, 2018, p. 15), dove chi dà ascolto dà e si dà il tempo e il modo per ‘entrare in contatto’, oltrepassare i muri e anche ridimensionarli.
Il concetto di sé sociale (Bruner, 1990) che si costruisce attraverso lo scambio intersoggettivo e con il contesto condensa la storia del passato nel presente e, nel far significato, fa comunità culturale da un lato, permette l’individuazione dall’altro.
Al riguardo, Bruner in La ricerca del significato (1992) scrive che devono essere presi in considerazione nella costruzione del Sé due concetti generali:
“Il primo principio è la riflessività, la nostra capacità di volgerci al passato e di modificare il presente alla luce di questo passato […]. Il secondo principio universale è la nostra ‘incredibile’ capacità intellettuale di immaginare alternative, di concepire altri modi di essere, di agire e di lottare. E quindi, se in un certo senso è vero che siamo ‘creature della storia’, d’altro canto siamo pure agenti autonomi” (Bruner, 1993 1a, pp. 107–108).
Quindi, avere il coraggio di sapere cosa? Quali sono le nostre risorse più preziose? Crediamo che siano: (a) la cultura, intesa come consapevolezza di sé e del mondo e come ragione pratica, interessata a comprendere e trasformare il presente guardando all’umano, senza farsi illusioni di facili equilibri e soluzioni; (b) l’educazione, l’istruzione, la formazione nella scuola e nei contesti formali e non formali intenzionalmente educativi, che possono svolgere la funzione di ‘area transizionale’/spazio di sviluppo tra ciò che una società è e ciò che può diventare, se sa creare le condizioni per attivare e coltivare riflessività e capacità di immaginare alternative e se sa valorizzare l’agentività e i talenti di ciascuno; (c) la libertà, intesa come presenza attiva, impegno di rispondere con l’espressione artistica, l’azione politica e la decisione morale ai problemi politici e sociali (Margiotta, 2005; Gramigna, 2024; Cagol, 2025).
In altre parole, avere il coraggio di sapere che la libertà civile (libertà come individuazione) non può esistere senza la libertà politica (libertà come partecipazione) e che la libertà politica è tale solo se si accompagna alle garanzie civili; avere il coraggio di sapere che l’individualismo, la centratura sugli interessi particolari, così come un potere incontrollato e autarchico affidato dall’indifferenza di massa alle istituzioni attivano potenti fenomeni anti-gruppo.
7. Per concludere
Vorrei ricondurre a una conclusione i cinque punti che ho trattato.
Ho evidenziato alcune tra le tante vistose e drammatiche criticità che marcano il periodo storico-culturale in cui viviamo: fenomeni anti-gruppo che prendono la forma di muri fisici e mentali e frenano le speranze di futuro.
Ho proposto, nel secondo paragrafo, un cambio di prospettiva per sottolineare come la motivazione di attraversare i muri, di correre il rischio di entrare in contatto con il ‘mondo di fuori’ sia la nostra condizione esistenziale fin dalle prime settimane, mesi, anni di vita. È qui che incominciamo a prendere fra le dita i ‘fili’ dei nostri piccoli e grandi talenti e a tesserli, a sbrogliare i “nodi”, ad attraversare i ‘muri’, a scoprire, poi narrare (Formenti, 1996) e narrarci il mondo fuori e dentro di noi – dove il sociale e intimo è parte della storia – soprattutto se ci sentiamo riconosciuti e “ben visti”.
Il terzo aspetto affrontato riguarda l’essenza della relazione educativa, che sta nel riconoscere, far emergere e “allenare” i piccoli-grandi talenti di ciascuno, sapendo che i talenti non sono innati, piuttosto sono il frutto del potere formativo e educativo dei processi storico-culturali, della generatività dei contesti di educazione e di vita e dei loro linguaggi (Margiotta, 2018).
Generatività che, nel quarto paragrafo, guarda alla scuola – e alle opportunità intenzionalmente educative del contesto di vita – come al cardine del processo di sviluppo individuale e sociale, perché la scuola e il sistema formativopossono essere orientati a ‘conformare’ e mortificare le menti, oppure a formare persone libere e creative.
Questo, per sostenere, nel quinto paragrafo, che: cultura e educazione ci possono offrire la possibilità di comprendere, riflettere, immaginare alternative e che il coraggio di sapere, di essere soggetti autonomi e insieme capaci di adesione attiva ci permette di attraversare i muri dell’indifferenza, dell’individualismo, della dipendenza passiva e di rispondere con l’azione politica e la decisione morale (Tomarchio, 2015; Cagol, 2025) ai problemi che la democrazia e la libertà ci pongono.
Vorrei, infine, riportare alla mente due strofe di poesia che Francesco De Gregory cantava anni fa (1972):
“Ma Signora Aquilone,
Non le sembra un po’ idiota questa sua occupazione?”
Lei mi prese la mano e mi disse: “Chissà,
Forse in fondo a quel filo c’è la mia libertà”.
Forse in fondo a quel filo – il filo dei talenti possibili a ciascuno, che si dipana nel tempo e nei contesti storico-culturali – c’è anche la nostra personale autonomia e la libertà individuale e collettiva, se sapremo difenderla dalle deviazioni individualistiche e dalle imposizioni totalitaristiche, se sapremo coltivarla e prendercene cura, se avremo il coraggio di sapere.
References
Biesta, G. J. J. (2023). Oltre l’apprendimento: Un’educazione democratica per umanità future. Milano: FrancoAngeli.
Biesta, G. J. J. (2022). Riscoprire l’insegnamento. Milano: Raffaello Cortina.
Biesta, G. J. J. (2004). Against learning: Reclaiming a language for education in an age of learning. Nordisk Pedagogik, 23, 70–82. https://doi.org/10.18261/ISSN1891-5949-2005-01-06
Boscolo, P. (2002). La motivazione ad apprendere tra ricerca psicologica e senso comune. Scuola e città(1), 81–92. https://www.edscuola.it/archivio/antologia/scuolacitta/boscolo_2.pdf
Bronfenbrenner, U. (1986). Ecologia dello sviluppo umano. Bologna: Il Mulino.
Bronfenbrenner, U. (1986). Ecologia dello sviluppo umano. Bologna: Il Mulino.
Bruner, J. S. (1993). La ricerca del significato. Bollati Boringhieri.
Bruner, J. S. (1990). Comment on Kenneth Gergen’s “The construction of self in the post-modern age”. Psychologische Rundschau, 41, 206–207.
Cagol, M. (2025). Gli stoici e la pedagogia delle emozioni. In M. Cagol, F. Corni, & L. Dozza (Eds.). Esperienza, emozione, immaginazione. Milano: FrancoAngeli.
Capobianco, R. (2018). La scuola dei talenti nella società delle competenze. Formazione & insegnamento, 16(2), 49–58. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/2927
Cappa, F. (2020). Tracce per una creatività pedagogica. Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education, 24(57), 107–113. https://doi.org/10.6092/issn.1825-8670/1139
Carofiglio, G. (2024). Elogio dell’ignoranza e dell’errore. Einaudi.
Castaldi, M. C. (2023). Desiderare bene per desiderare il bene: Percorsi di autorealizzazione tra generatività pedagogica e cura del talento. Attualità pedagogiche, 5(1), 51–58. https://www.attualitapedagogiche.it/ojs/index.php/AP/issue/view/6
Colon, D. (2024). La guerra dell’informazione: Gli stati alla conquista delle nostre menti. Einaudi.
Consiglio Nazionale Giovani (2022). Rapporto 2022: La povertà educativa in Italia. Un’educazione di qualità per uscire dal circolo vizioso della trasmissione intergenerazionale della povertà. https://consiglionazionalegiovani.it/wp-content/uploads/2022/10/CNG_Poverta%CC%80EducativaInItalia.pdf
Dario, N. (2016). Il meta-dispositivo della generatività. Formazione & insegnamento, 14(2), 249–268. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/1999
Dozza, L. (2000). Setting e dinamiche anti-gruppo nei gruppi di formazione. In M. Contini (Ed.). Il gruppo educativo: Luogo di scontri e di apprendimenti (pp. 47–90). Carocci.
D’Agnese, V. (2025). Pedagogie per i nuovi tempi: Eclissare l’immaginazione. Una prospettiva deweyana sulla mentalità educativa neoliberale.
Ellerani, P. (2017). Generatività e innovazione educativa: Percorsi di ricerca e pratiche formative. Milano: FrancoAngeli.
Erikson, E. H. (1987). I cicli della vita: Continuità e mutamento. Roma: Armando.
Ferraris, M. (2021). Documanità: Filosofia del mondo nuovo. Laterza.
Ferraris, M. (2016). Documedialità: Una ragion pratica per il web. https://infonews.notartel.it/index.php/2016/10/14/home_n3_2016/
Ferraris, M. (2009). Documentalità: Perché è necessario lasciar tracce. Laterza.
Formenti, L. (1996). La storia che educa: Contesti, metodi, procedure dell’autobiografia educativa. Adultità(4), 83–121.
Gramigna, A. (2024). Umberto Margiotta interpreta John Dewey: A proposito di libertà e liberalismo. Formazione & insegnamento, 22(3), 10–16. https://doi.org/10.7346/-fei-XXII-03-24_02
Han, B. C. (2022). Le non cose: Come abbiamo smesso di vivere il reale. Einaudi.
Han, B. C. (2017). Il profumo del tempo: L’arte d’indugiare sulle cose. Vita e Pensiero.
Lewin, K. (1972). Teoria e sperimentazione in psicologia sociale. Bologna: Il Mulino.
Lewin, K. (1963). Il bambino nell’ambiente sociale. Firenze: La Nuova Italia.
Liotta, E. (2024). Verso un’esplorazione critica delle definizioni di povertà educativa: Limiti e questioni aperte. Q-Times, 16(1), 203–214. https://www.qtimes.it/?p=through-a-critical-exploration-of-the-definitions-of-educational-poverty-limits-and-open-questions
Mannese, E. (2023). Manuale di pedagogia generativa e sistema-mondo: Epistemologie e comunità pensanti per l’homo generativus. Lecce: Pensa MultiMedia.
Margiotta, U. (2019). Responsabilità pedagogica e ricerca educativa: Intelligenza collaborativa, formazione dei talenti e tecnologie dell’artificiale. Formazione & insegnamento, 17(1), 13–18. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/3407
Margiotta, U. (2018). Editoriale. La formazione dei talenti come nuova frontiera. Formazione & insegnamento, 16(2), 9–13. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/2923
Margiotta, U. (2018). La formazione dei talenti: Tutti i bambini sono un dono, i talenti non sono un dono. Milano: FrancoAngeli.
Margiotta, U. (2017). Editoriale. Generative education: Vent’anni dopo il Rapporto Delors. Formazione & insegnamento, 15(2), 11–15. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/2333
Margiotta, U. (2016). I futuri della scuola e la ricerca pedagogica. Formazione & insegnamento, 14(2), 9–15. https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/1827
Margiotta, U. (2015). Teoria della formazione: Ricostruire la pedagogia. Roma: Carocci.
Margiotta, U. (2005). John Dewey: Democrazia, liberalismo e azione sociale. Democrazia, liberalismo e azione sociale. Lecce: Pensa MultiMedia.
Mecacci, L. (2022). Prefazione. La mente umana: Cinque saggi (pp. 7–33). Milano: Feltrinelli.
Nitsun, M. (2014). Beyond the anti-group: Survival and transformation. Routledge.
Nitsun, M. (1996). The anti-group: Destructive forces in the group and their creative potential. Routledge.
Nitsun, M. (1991). The anti-group: Destructive forces in the group and their therapeutic potential. Group Analysis, 24(1), 7–8. https://doi.org/10.1177/0533316491241003
Orsenigo, J. & Pirone, I. (2023). Oltre il sentimentalismo, il moralismo e l’ideale: Desiderare è una questione politica. Attualità pedagogiche, 5(1), 165–176.
Patera, S. (2002). Povertà educativa: Bisogni educativi interdetti e forme di esclusione. Milano: FrancoAngeli.
Tomarchio, M. (2015). Coltivare l’essere che trasforma le cose: Pedagogia militante e progettualità educativa. In M. Tomarchio & S. Ulivieri (Eds.). Pedagogia militante: Diritti, culture, territori: Atti del 29° convegno nazionale SIPED (Catania 6-7-8 novembre 2014) (pp. 24–36). Pisa: ETS.
Vygotskij, L. S. (2022). La mente umana: Cinque saggi. Milano: Feltrinelli.
Vygotskij, L. S. (2018). Vygotskij’s notebooks: A selection. Springer.
Vygotskij, L. S. (1990). Immaginazione e creatività nell’età infantile. Editori Riuniti.
Vygotskij, L. S. (1990). Pensiero e linguaggio. Laterza.
Winnicott, D. W. (1975). Dalla pediatria alla psicoanalisi. G. Martinelli.
Winnicott, D. W. (1974). Gioco e realtà. Roma: Armando.