Formazione & insegnamento, 23(03), 8276
Designing Gender-Inclusive Didactic Fairy Tales: An Empirical Investigation of 54 Original Tale Texts
Progettare fiabe didattiche gender-inclusive: Indagine empirica sui testi di 54 racconti originali
ABSTRACT
To avoid the unwitting transmission of rigid male and female role models in their early approaches to shared reading, educators and teachers must be provided with the right resources to recognize and correct gender biases and stereotypes, which can go unnoticed, latently supported through the “hidden curriculum.” The best scenario is when an educator or teacher designs tales for children, promoting counter-narratives against the trivialization of what it means to be “male” or “female.” Through content analysis, we analyzed the texts of 54 original inclusive fairy tales, by referring to a checklist created to identify and filter gendered details, conveyed through lexical categories (mainly verbs and adjectives), to statistically assess the level of stereotyping. The survey results show the importance of integrating the promotion of gender equality through the careful selection, if not the writing, of inclusive narratives in school settings.
Per evitare la trasmissione inconsapevole di rigidi modelli di ruolo maschili e femminili nei loro primi approcci alla lettura condivisa, educatori e insegnanti devono essere dotati delle risorse adeguate per riconoscere e correggere pregiudizi e stereotipi di genere che possono passare inosservati, latentemente supportati dal “curriculum nascosto”. Lo scenario migliore si verifica quando un educatore o un insegnante progetta fiabe per bambini, promuovendo contro-narrazioni a contrasto della banalizzazione di cosa significhi essere “maschio” o “femmina”. Attraverso l’analisi del contenuto, sono stati analizzati i testi di 54 fiabe inclusive originali, facendo riferimento a una checklist creata per identificare e filtrare i dettagli di genere, veicolati attraverso categorie lessicali (principalmente verbi e aggettivi), per valutarne statisticamente il livello di stereotipizzazione. I risultati dell’indagine mostrano l’importanza di integrare la promozione della parità di genere attraverso l’attenta selezione, se non la scrittura, di narrazioni inclusive in ambito scolastico.
KEYWORDS
Didactic fairy tales, Gender inclusiveness, Gender stereotypes, Voyant tool, Content analysis
Fiabe didattiche, Inclusività di genere, Stereotipi di genere, Voyant, Analisi del contenuto
AUTHORSHIP
Conceptualization (D. Olivieri); Methodology (D. Olivieri); Data Analysis (D. Olivieri). Section 1 (D. Olivieri and B. Palleschi); Section 2 (B. Palleschi); Sections 3-4 (D. Olivieri); Section 5 (D. Olivieri and B. Palleschi).
COPYRIGHT AND LICENSE
© Author(s). This article and its supplementary materials are released under a CC BY 4.0 license.
CONFLICTS OF INTEREST
The Authors declare no conflicts of interest.
RECEIVED
August 6, 2025
ACCEPTED
October 6, 2025
PUBLISHED ONLINE
November 20, 2025
1. Introduzione
La scuola (e prima ancora il nido) è un ambito importante della vita sociale, e in quanto tale riflette tutti i meccanismi che si possono incontrare nella società, comprese le relazioni di genere, i ruoli sociali di genere e persino gli stereotipi di genere.
Questi ultimi sono definibili come contenuti congelati di conoscenza (Bar-Tal, 1989) e insiemi complessi di convinzioni sulle caratteristiche individuali, che comprendono competenze, abilità, interessi e ruoli attribuiti, rispettivamente, a donne e uomini (Ashmore & Del Boca, 1979). La loro duplice natura, descrittiva e prescrittiva, fa sì che essi contengano elementi di credenze tanto sulle caratteristiche che donne e uomini hanno, quanto su quelle che dovrebbero avere, screditando coloro che si comportano in modo incoerente con ciò che ci si aspetterebbe secondo lo stereotipo dominante (Burgess & Borgida, 1999).
Educatori ed insegnanti, affatto esenti dagli stereotipi di genere (Kollmayer et al., 2016), si trovano in una posizione di potere grazie alla loro autorità e influenza (Schneider, 2004). Non è un segreto che il funzionamento di bambini e bambine a scuola si confronti con gli atteggiamenti degli insegnanti, modellandosi su di essi ed essendone condizionato (Tiedemann, 2002).
Tale condizionamento vede una via di passaggio preferenziale attraverso i primi approcci alla lettura condivisa, quando ad essere stabiliti (spesso involontariamente) sono gli stereotipi tradizionali riguardo ai rigidi modelli di ruolo maschile e femminile, che vengono ulteriormente rinforzati ed elaborati di lettura in lettura.
Rendere gli educatori, gli insegnanti e anche i genitori consapevoli dell’eventuale presenza di stereotipi di genere nei testi che propongono ai bambini appare, dunque, fondamentale per promuovere l’equità di genere e un sano sviluppo identitario.
Se è vero che le diverse culture trasmettono i loro valori attraverso la narrazione e i libri per bambini (Kortenhaus & Demarest, 1993), è altrettanto vero che la presentazione dei personaggi maschili e femminili in ruoli prevalentemente stereotipati costituisce una dichiarazione netta su quella cultura.
I racconti per bambini possono avere scopi, messaggi e significati nascosti o palesi e “la cultura dei media è una forma di pedagogia che insegna comportamenti corretti e impropri, ruoli di genere, valori e conoscenza del mondo” (Kellner & Share, 2005, pp. 371-372). Ad esempio, sappiamo che esporre i bambini non tanto ad una letteratura femminista, quanto egualitaria, riduce il rischio che acquisiscano un pensiero stereotipato, ampliando al contempo il ventaglio delle loro potenziali scelte professionali (cfr. Ashby & Wittmaier, 1978; Trepanier-Street & Romatowski, 1999).
Lo scenario migliore è quando un educatore o insegnante è anche un progettista di racconti per bambini; l’educatore-progettista è, infatti, chiamato a mettersi nei panni dei suoi piccoli fruitori, a immaginare come percepiranno e analizzeranno emotivamente la situazione problematica che lui stesso ha suggerito, ad anticipare il corso del suo pensiero logico per risolverla.
2. La fiaba come strumento di costruzione dell’identità di genere
Ogni bambino o bambina, durante il corso del proprio sviluppo, inizia a comprendere il concetto di genere “maschile” e “femminile”, identificandosi con le prime persone che vede ruotare intorno a sé, come ad esempio il genitore dello stesso sesso oppure un caregiver di riferimento nel caso vivesse in una struttura di accoglienza, e riconoscendo in esso/a somiglianze e/o differenze con il proprio corpo. È così che ciascuno di essi tende a seguire e ad assimilare un proprio modello sulla base di ciò che ha appreso e a compiere le prime scelte di appartenenza al gruppo dei “maschi” o a quello delle “femmine” (Bellassai, 2005).
Intorno ai 3–4 anni, i bambini si concentrano sull’identificazione delle differenze e/o sulle caratteristiche che identificano i due sessi, su come dovranno comportarsi in relazione ad esse e optano per alcune scelte comportamentali, sviluppando la concezione che esistano giochi da maschio e giochi da femmina ai quali dedicarsi, in corrispondenza al proprio sesso (Oakley, 1972).
Ma quando questa identificazione non pertiene a un’identità fisica, viene rimandata molto spesso a delle conoscenze apprese, spesso a scuola, attraverso vari canali didattici, uno dei quali è l’utilizzo della fiaba.
La scelta di una fiaba da leggere, soprattutto nella scuola primaria, frequentemente non è spontanea da parte del bambino, ma viene influenzata da una serie di circostanze, quali l’argomento da trattare all’interno del programma scolastico, una ricorrenza in una precisa giornata e la cultura della società in cui si è immersi, che attraverso l’utilizzo dello strumento didattico della fiaba educa le nuove generazioni ai dettami del luogo (Berger & Luckmann, 1966). Un ruolo preponderante è da assegnare all’adulto, poiché funge sia da fruitore di cultura, sia da orientatore dei propri discenti.
Ciascuna fiaba, in termini generali, ha uno scopo ben preciso, ossia quello di veicolare un messaggio, oppure un principio morale. Talvolta, però, può capitare che quest’ultimo, se influenzato dai tabù che permangono all’interno della società, possa far restare ancora di più in penombra la morale e lasciare nei destinatari della fiaba un senso di incomprensione in relazione a questa. Inoltre, pur configurandosi come uno strumento educativo a tutti gli effetti, la fiaba può contenere al proprio interno delle visioni stereotipate, soprattutto in relazione ai generi maschile e femminile, tali da apportare una visione distorta della realtà nel bambino che ascolta e che ne assimila i contenuti.
Per l’educatore, è dunque tanto importante, quanto doveroso, saper optare in maniera consapevole, soprattutto in classe, per una scelta ponderata della fiaba da proporre ai propri discenti, promuovendone una lettura priva di visioni stereotipate e il più inclusiva possibile, che incentivi nei discenti allo stesso tempo:
- lo sviluppo cognitivo, in quanto la fiaba supporta la conoscenza, la comprensione, il modo di agire e la capacità di problem solving dinanzi alle sfide della vita, che ciascuno è chiamato ad affrontare;
- lo sviluppo emotivo, poiché il bambino, attraverso prima l’ascolto e successivamente l’assimilazione e l’accomodamento, sia del contenuto che della morale della fiaba, sviluppa e prende coscienza delle proprie emozioni primarie e secondarie (dette anche complesse). Inoltre, viene rafforzata la capacità di empatia e di resilienza;
- lo sviluppo del pensiero critico, poiché la fiaba può favorire nei bambini il porsi quesiti in relazione alle azioni dei personaggi, alle motivazioni che li hanno spinti a compierle, alle scelte dei protagonisti e alle dinamiche di causa-effetto che queste hanno determinato. Inoltre, viene stimolata anche la formazione di un proprio giudizio e di una propria opinione, in merito a ciò che è stato ascoltato;
- l’esplorazione di tematiche complesse, quali il discernimento tra il bene e il male, il coraggio, la perseveranza e la lealtà, che possono stimolare, all’interno della classe, molteplici spunti di riflessione e discussioni di gruppo;
- l’analisi dei ruoli maschili e femminili, identificando e riflettendo su tutte le caratteristiche e sui comportamenti che vengono a questi associati;
- la decostruzione degli stereotipi, attraverso la proposta di riscrivere la fiaba, ma in chiave alternativa, ossia reinventare il racconto appena ascoltato ribaltandone i vincoli stereotipati, ad esempio scegliendo come protagonista una soldatessa a cavallo che indossa un’armatura, piuttosto che un soldato;
- la promozione della diversità e dell’inclusione, inserendo all’interno della fiaba personaggi sia liberi dagli stereotipi di genere, sia provenienti da altri Paesi, culture, tradizioni, aventi diverse abilità e/o disabilità e altri orientamenti sessuali;
- la partecipazione a una discussione in gruppo su una tematica ben precisa, permettendo a ciascun bambino di esprimere, in merito alla fiaba appena ascoltata, opinioni, dubbi e soprattutto riflessioni personali sugli stereotipi presenti all’interno del racconto;
- la creazione di una fiaba, attraverso il coinvolgimento dei discenti divisi in piccoli gruppi, ciascuno dei quali scriverà e poi presenterà alla classe il proprio prodotto finale, in base a quella che è la loro visione sugli stereotipi, in generale o in particolare;
- l’utilizzo di risorse, attraverso l’uso di materiali (libri, materiale multimediale ecc.) come strumenti utili sia alla comprensione che alla riflessione, accessibili a tutti i discenti, da cui questi possono apprendere, in modo chiaro e preciso, il tema degli stereotipi di genere.
In linea generale, con stereotipo di genere viene definita la mascolinità oppure la femminilità di una persona sulla base di determinate caratteristiche che riguardano precisi elementi caratteriali, attitudini di vita e competenze, nella maggior parte dei casi attribuiti, sia culturalmente che socialmente, all’uomo e alla donna. Talvolta non sono altro che il frutto di pensieri e/o di storie tramandate di generazione in generazione, che narrano concezioni ancora fortemente cristallizzate all’interno di una cultura rimasta ancorata ad epoche storiche ormai remote (Bellassai, 2004). Inoltre, benché alcuni Paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, hanno superato la visione ristretta di tali stereotipie, permane purtroppo una visione ristretta della figura femminile, relegata ai ruoli di cura della casa e della famiglia (Bellassai, 2005); remissiva in tutto e per tutto al volere del marito e/o della sua famiglia; in cui la bellezza viene vista come una minaccia, per cui deve essere tenuta nascosta; in cui un incesto commesso da un uomo deve rappresentare motivo di scandalo soltanto per la donna, oppure considerata merce di baratto all’interno di matrimoni combinati con uomini molto più anziani ma ricchi, soltanto per terzi fini delle famiglie e senza avere diritto di scelta. In relazione a quest’ultimo aspetto, fiabe stereotipate che trattano insitamente tali argomenti venivano utilizzate come veri e propri modelli pedagogici, da cui le fanciulle dell’epoca dovevano trarre sia un insegnamento morale che un modello di comportamento verso l’uomo, da custodire per il resto della vita.
Un altro aspetto da non sottovalutare all’interno delle fiabe è che, molto spesso, sono i personaggi di sesso femminile a non avere alcuna voce in capitolo, poiché non sono altro che giovani fanciulle soggette a remissività, private della libertà di esprimere le proprie opinioni, della capacità di prendere un’iniziativa, in attesa sempre di un avvenire che non sono, però, libere di scegliere. Vengono costantemente derise, umiliate e spesso abbandonate. Qualora, invece, venga rappresentata una trasgressione femminile, questa verrà punita con una pena alquanto severa, oppure con la morte.
Infatti, in relazione a questo, si può affermare che la maggior parte dei grandi dibattiti pedagogici hanno posto la loro attenzione sulla brutalità e sulla crudeltà presenti in alcune fiabe, rese più accessibili attraverso l’inserimento del lieto fine in stile Disney.
In aggiunta, non è singolare trovare, all’interno delle fiabe, il tema dell’esclusione, per cui una qualsiasi persona, per svariati motivi, non viene accettata all’interno di un gruppo. In alcune culture non si viene accettati all’interno della società soltanto per il semplice fatto di essere donna, e quindi non avente alcun diritto. Abbiamo allora rappresentazioni di fanciulle che, per rivalsa, scelgono di fingersi uomini, si travestono da soldati in armatura coprente che non faccia trasparire minimamente le fattezze della femminilità, trionfano in battaglia e tornano a casa vincitrici a sorpresa di tutti, venendo, quindi, rivalorizzate soltanto dopo aver conseguito la vittoria.
Non di rado si tende ad attribuire aggettivi in chiave positiva – come forte, coraggioso, sicuro, avventuroso, dedito al comando, saggio – ad un personaggio maschile, mentre le caratteristiche di bella, graziosa, delicata, luminosa, con i capelli lunghi ad una figura di sesso femminile, per la quale la bellezza simboleggia il bene e la bruttezza il male. In relazione a quest’ultimo aspetto, qualora la donna ricoprisse un ruolo da antagonista, le verranno anche attribuite molto spesso caratteristiche di invidia, vanità e competizione con figure dello stesso sesso (ad esempio la strega che vuole a tutti i costi essere la più bella del reame), mentre, qualora si trovasse in un ruolo da protagonista, spesso sarà descritta come l’“angelo del focolare”, dipendente da qualcuno per sopravvivere (il marito o la famiglia) e privata di spazi personali, come ad esempio poter coltivare una propria passione. A volte solo l’intervento esterno di una terza persona potrà condurla alla salvezza (come ad esempio un principe che si innamora della poverella del paese e la porta a vivere con sé nel suo castello).
Un altro aspetto da non sottovalutare all’interno della fiaba è lo spazio, in quanto vi è un’attribuzione ben precisa di quest’ultimo, sia per la donna che per l’uomo. La prima viene tipicamente relegata a spazi chiusi, in un contesto di vita familiare, quasi privato, come ad esempio una casa o una stanza, mentre il secondo viene inserito in uno spazio aperto, ampio, talvolta anche lontano (ad esempio un mercante che per mantenere la propria famiglia viaggia in lungo e in largo per il mondo).
Anche le figure maschili appaiono spesso intrappolate in ruoli stereotipati, come quando, assumendo il ruolo di protagonista, l’uomo viene descritto come bello, gentile, valoroso, coraggioso, forte, leale, mentre nel ruolo da antagonista viene etichettato come malvagio, feroce, vorace, continuamente in cerca di vendetta o del senso di rivalsa su qualcuno o qualcosa, per essere stato messo in disparte o condannato a vivere nell’ombra (uno degli esempi più palesi di una fiaba di tale tipologia è “Il Re Leone” della Disney, che vede il principe Scar, debole ed emaciato, secondo per linea di successione dinastica, sottomesso al fratello Mufasa, successore al trono, più grande, più bello e più potente di lui).
Tali ruoli, che intrappolano sia la donna che l’uomo all’interno della fiaba, appaiono connotati da rigidità e stereotipie relegate all’epoca storica e al contesto in cui la fiaba viene scritta o ambientata.
L’abbattimento degli stereotipi di genere, attraverso uno dei più potenti mezzi educativi come la fiaba, come vedremo, può essere effettuato educando le nuove generazioni, sia in famiglia che a scuola, mirando a specifici obiettivi di intervento, supportati da appositi strumenti di analisi.
Una volta svincolate da mere trasposizioni stereotipate – ad esempio, attraverso un utilizzo più consapevole, al loro interno, di aggettivi e verbi che sappiano trasmettere al bambino che le ascolta una neutralità di attribuzione – le fiabe appariranno più flessibili, gender-inclusive e capaci di adattarsi a qualunque contesto.
In conclusione, soprattutto se rivolte a bambini della scuola pre-primaria e primaria, le fiabe dovrebbero:
- sensibilizzare discenti, genitori, educatori e insegnanti sui temi relativi alla parità di genere;
- rompere gli schemi, ormai ben consolidati, di concezione dei ruoli maschili e femminili tradizionali;
- promuovere un’educazione inclusiva alla diversità.
3. La scuola come ambiente di socializzazione ai ruoli di genere
“Eccoli, dunque, bambini e bambine, già etichettati e obbligati a conformarsi all’immagine loro imposta; ciò che ci si aspetta da loro è già instillato nelle loro menti. Sono pronti ad accettare, se non tutti i tipi di pregiudizio e discriminazione, almeno la disparità tra i sessi, come una cosa ovvia” (World Federation of Teachers’ Unions, 1983, p. 19).
Partiamo da un presupposto: non è mai troppo presto per parlare ai bambini di stereotipi di genere, considerato l’andamento che assume lo sviluppo stesso dell’identità di genere durante l’infanzia.
Se a 12 mesi il comportamento e gli interessi dei due sessi sono quasi indistinguibili, per cui entrambi impazziscono per gli stessi giocattoli, intorno ai 2 anni i bambini iniziano a rendersi conto dell’esistenza di differenze fisiologiche tra maschi e femmine, e prima del terzo compleanno la maggior parte di loro può facilmente etichettarsi come “maschio” o “femmina”.
Dai 3 ai 6 anni i bambini mostrano di abbracciare stereotipi di genere addirittura più forti rispetto agli adulti: a 4 anni emerge una comprensione stabile della propria identità di genere, sostenuta dall’apprendimento per modelling e imitazione di comportamenti legati al ruolo di genere, ossia a fare “quello che fanno i ragazzi” e “quello che fanno le ragazze” (Brown et al., 2011). Questa fase inflessibile è, fortunatamente, compensata dall’eccezionale malleabilità del cervello infantile, aperto ad influenze a lungo termine sulle abilità e sui ruoli associabili al genere di appartenenza.
Il picco di rigidità viene raggiunto a 5 anni, quando le norme di genere condivise dalla comunità di appartenenza appaiono già molto evidenti (OECD, 2020). In questa fase, bambini e bambine non solo credono ciecamente agli stereotipi, ma mostrano di usare tale conoscenza come unica risorsa per trarre inferenze sugli altri individui (Berk, 2003).
A partire dai 7 anni, entrando nella media infanzia, gli stereotipi di genere diventano più flessibili, soprattutto per le ragazze (Golombok & Fivush, 1994). Laddove i ragazzi restano ancorati a modelli maschili, le ragazze si impegnano maggiormente in attività sia femminili che maschili, in virtù dell’universale riconoscimento, a queste ultime, di un indiscusso prestigio.
Le differenze di genere vengono, di fatto, amplificate dalle due diverse culture, in cui ragazzi e ragazze sono immersi fin dalla nascita: ciò contribuisce al modo in cui i loro circuiti emotivi e cognitivi vengono cablati.
Come afferma Michel per UNESCO (1986, p. 23), “Più il bambino è piccolo, meno è attrezzato per resistere ai potenti stereotipi che lo inclinano a vedere il sesso opposto come dotato di attributi, qualità o difetti convenzionali”.
L’adesione acritica agli stereotipi di genere può limitare scelte e ambizioni fin dalla tenera età, in termini di aspirazioni di carriera (educazione, cura e insegnamento per le femmine, mestieri fisicamente attivi, occupazioni tecniche e relative al mondo dei trasporti per i maschi), e prima ancora di identificazione “genderizzata” con specifiche materie scolastiche, a discapito di altre (come, ad esempio, la presunta predisposizione dei maschi, rispetto alle femmine, per le scienze esatte, una convinzione normalizzata, alla quale gli studenti sentono la pressione di doversi conformare per confermare la propria mascolinità o femminilità ed evitare la sanzione sociale).
E per quanto le idee espresse all’età di 4 anni potrebbero non riflettere il futuro dei singoli bambini, certamente creano un’immagine “genderizzata”, che si riflette nella composizione complessiva della forza lavoro.
Per non parlare dell’impedimento, imposto al maschio dalle norme di genere, di esprimere le proprie emozioni, se non attraverso rabbia, violenza e aggressività. Il lavoro per prevenire e affrontare le conseguenze della violenza domestica, del suicidio maschile, dell’oggettificazione della donna e della cosiddetta “mascolinità tossica”, spesso si scontra proprio con gli effetti delle norme di genere apprese in giovanissima età.
Posto che a livello di scuola primaria la conoscenza dei ruoli di genere è già stabilita, sebbene ancora flessibile (Robinson, 2014), appare urgente anticipare un intervento di contrasto allo sviluppo degli stereotipi di genere fin dalla scuola dell’infanzia, se non dal nido, per risparmiare notevoli sforzi nel tentativo di ridurre il loro impatto negativo più avanti nella vita (Zemore et al., 2000).
Tale intervento di contrasto non riguarda solo i bambini, ma anche educatori e insegnanti, se è vero che evidenze sulla socializzazione di genere nella prima infanzia suggeriscono l’esistenza di aspettative di genere legate al comportamento, che trovano espressione nella tendenza a premiare e punire maschi e femmine in modo diverso (Koepke & Harkins, 2008; Sette et al., 2013). Tale tendenza contribuisce a modellare un atteggiamento differenziale verso lo studio, tipicamente costruito su opposti binari: se i maschi appaiono preoccupati di preservare un’immagine di sé come coinvolti con riluttanza e disimpegnati (Younger & Warrington, 1996), privilegiando una sorta di “risultato senza sforzo” (Jackson, 2002), le femmine tendono, invece, ad essere grandi lavoratrici, come riflesso di un’immagine femminile caratterizzata da diligenza e obbedienza (Bian et al., 2017).
È dunque evidente che gli stereotipi di genere abbiano un’influenza negativa sia sui ragazzi che sulle ragazze, sebbene queste ultime – rappresentate come appartenenti al “sesso debole” – ne siano colpite più duramente.
4. Progettare fiabe didattiche gender-inclusive: analisi dell’intrusività degli stereotipi di genere nel curricolo nascosto
La scelta di adottare l’approccio narrativo risiede nella necessità di formare educatori, educatrici e insegnanti capaci di promuovere contro-narrazioni, che vadano a contrastare la banalizzazione del tradizionale resoconto relativamente a cosa significhi essere “maschi” o “femmine” (Valente, 2011).
Le fiabe non sono semplici strumenti di intrattenimento, “ospiti” dell’impresa didattica, ma programmi educativi universali e basilari per l’educazione pre-primaria e primaria, che dovrebbero essere stabilmente presenti nei curricoli come strumenti didattici di formazione proattiva. Parliamo di formazione proattiva, poiché sarebbe improprio valutare l’impatto dell’apprendimento narrativo utilizzando gli stessi criteri che utilizziamo per l’apprendimento scolastico sistematico.
Progettare una fiaba didattica, ponendo attenzione alle questioni di genere, è un processo di creazione di un micro-modello pedagogico.
Il segreto del fascino delle fiabe sta nell’identificazione con il/la protagonista della storia, attraverso un rapporto emotivo diretto, che innesca la partecipazione agli eventi narrati.
Ad essere essenziali, nell’apprendimento di tipo narrativo, prima ancora dei contenuti fattuali, sono i significati culturali, che nell’ambiente narrativo si intrecciano con le trame o storylines.
In una comunità di apprendimento narrativo, l’adulto si vedrà assegnati tre ordini di responsabilità:
- sviluppare un tema, apportando materiale idoneo ad affrontarlo;
- pianificare secondo regole di logica, obbedendo alla forma estetica del gioco e della finzione nel contatto con i bambini;
- sollevare problemi sulle trame delle storie e sui temi, a livello di relazioni di ruolo.
Una fiaba è un mezzo per introdurre il bambino nel mondo dei destini umani, affinché tragga informazioni su una realtà che ancora non conosce e sulle caratteristiche di un futuro a cui ancora non sa pensare.
Grazie al racconto fiabesco è possibile coinvolgere il bambino, in forma accessibile e senza eccessivi moralismi, nella risoluzione di problemi, nella discussione e valutazione delle azioni degli eroi, nel costruire la propria posizione, personali punti di vista e possibili, precoci “traiettorie di vita”.
Per comprendere in che misura i nostri corsisti di Scienze della formazione risentano inconsciamente degli stereotipi di genere e necessitino, quindi, di una formazione specifica in tal senso, ci siamo chieste in che misura la rappresentazione dei protagonisti delle fiabe, prodotte al Laboratorio di Pedagogia speciale dell’Università Niccolò Cusano, sia frutto di un immaginario “genderizzato” o “a-genderizzato”. In particolare:
- se la presenza/assenza del nome del/della protagonista nel titolo della fiaba abbia una relazione con il suo genere di appartenenza;
- se esiste una relazione tra il genere del/della protagonista e la sua rappresentazione dicotomica come: caratterizzato/a prevalentemente con attributi fisici; attivo/a o passivo/a; coraggioso/a o timoroso/a; forte o debole; tendente a manifestare emozioni positive o negative; tendente al conformismo sociale o all’anticonformismo; tendente a curare o all’essere curato/a; tendente a porre domande o a rispondere; tendente a soccorrere gli altri o ad aver bisogno di essere soccorso/a; tendente a insegnare o a imparare.
Le variabili dipendenti dello studio includono, dunque, il numero di protagonisti maschili e femminili e la loro caratterizzazione binaria nella serie di aspetti dicotomici summenzionati.
A livello metodologico, lo studio ha utilizzato come tecnica principale il text mining, ossia l’analisi del discorso e l’analisi quali-quantitativa del contenuto del corpus composto dai testi delle 54 fiabe prodotte al Laboratorio di Pedagogia speciale tra novembre 2023 e luglio 2024, tramite il sistema open source e web-based Voyant, per la lettura e analisi computazionale, sviluppato da Stéfan Sinclair (McGill University) e Geoffrey Rockwell (Università di Alberta).
Nello specifico, l’analisi del testo consente di individuare al suo interno concetti chiave, tendenze e relazioni nascoste, rilevando eventuali modelli ricorrenti tramite identificazione della frequenza dei termini (corrispondente all’analisi lessicale) o dei collegamenti associativi esistenti tra le parole, sotto forma di collocazioni (termini che appaiono vicini ad altri termini) e correlazioni (termini la cui frequenza varia in sintonia).
Gli approcci complementari, noti come analisi del contenuto e analisi del discorso, sono tra gli approcci più comuni allo studio degli stereotipi di genere presenti nei testi didattici, in particolare quelli portatori, al loro interno, di relazioni di potere (Blumberg, 2007; 2008; 2014). La relazione tra i generi, infatti, viene tipicamente considerata come una relazione di potere sociale tra uomini e donne. Il metodo più semplice di analisi prevede la codifica del testo, il conteggio di parole e occorrenze (con particolare attenzione a verbi e aggettivi) e la loro presentazione in tabelle (Cohen et al., 2007). Ovviamente, al di là degli asettici dati numerici, essenziale resta l’interpretazione umana.
La ricerca è stata condotta secondo le seguenti fasi: 1) lettura approfondita in close-reading delle 54 fiabe; 2) implementazione dei dati in distant reading tramite Voyant, con conteggio frequenze per categoria di rappresentazione degli stereotipi di genere; 3) analisi statistica e interpretazione dei risultati in scalable reading.
Ai fini della nostra ricerca abbiamo prodotto una checklist analitica per identificare gli stereotipi di genere, tramite confronto statistico tra le caratteristiche attribuite ai protagonisti maschili e femminili, presenti nei testi delle fiabe prodotte al laboratorio di Pedagogia speciale.
Attingendo a checklist analitiche già precedentemente proposte da Hamilton et al. (2006), da Michel (1986) e da Dunnigan (1980), abbiamo creato un elenco di criteri, atti a estrapolare i dettagli di genere dalle nostre fiabe. Sulla base di questo elenco di criteri, ogni testo è stato analizzato, riga per riga, ricostruendo le 54 storie dal punto di vista del “genere”.
Nello specifico abbiamo rilevato le seguenti caratterizzazioni come pertinenti alla nostra ricerca:
- attivo/a, passivo/a, coraggioso/a, timoroso/a, tendente a salvare, tendente a essere salvato/a (tratte da Hamilton et al., 2006);
- presenza del nome del/della protagonista nel titolo della fiaba, descrizione incentrata sull’aspetto fisico, atteggiamento di cura, insegna/impara, domanda/risponde (tratte da Michel, 1986);
- infine, dal canadese Dunnigan (1980) sono state considerate tre categorie di classificazione del comportamento sociale ed emotivo: emozioni positive vs. negative, resistenza alle pressioni sociali vs. conformismo sociale, debolezza di carattere (codardia, dipendenza, ecc.) vs. forza di carattere (coraggio, tenacia, ecc.).
I dettagli di genere sono stati, così, identificati e filtrati, considerando quali principali elementi oggetto dell’analisi del contenuto: i personaggi, le azioni dei personaggi (verbi) e gli attributi dei personaggi (aggettivi). Queste categorie lessicali costruiscono le immagini dei protagonisti delle storie, maschi e femmine, associando loro qualità e tratti che dovrebbero essere desiderabili e tipici, oppure indesiderabili e atipici, per ciascun genere.
Il criterio delle dicotomie (sia in termini di aperta contrapposizione, sia in termini di presenza/assenza) consente di verificare agilmente in che misura femmine e maschi vengono posti agli estremi opposti, potente indicatore di stereotipizzazione.
L’unità analitica rappresentativa dell’elemento genderizzato è il/la protagonista, indipendentemente dal fatto che venga definito in forma umana, animale, o come oggetto personificato come maschio o femmina. Se in una storia i personaggi sono animali (ad es. un cane come simbolo maschile e una capra come simbolo femminile), e la storia mostra la capra che viene ingannata dal cane, si potrà concludere che il racconto è “genderizzato” se il testo descrive il maschio come intelligente e la femmina come stupida. Nel caso in cui sia difficile determinare un/una unico/a protagonista, si procederà a contare il numero di scene in cui ciascun personaggio appare: il personaggio principale è quello che compare più volte e il cui nome compare in carattere più grande nella sezione “Cirrus” di Voyant (Turner-Bowker, 1996).

Figura 1. Esempio di schermata Voyant, con Cirrus rappresentato sulla sinistra, Lettore con il testo caricato della fiaba al centro e grafico degli Andamenti sulla destra (fonte: https://voyant-tools.org/).
Le azioni svolte dai protagonisti (e dai personaggi più in generale) sono tipicamente descritte attraverso i verbi utilizzati nella storia, laddove gli attributi dei personaggi sono i tratti personali (diversi dalle azioni), inclusi emozioni e aspetto fisico, capaci di rimandare un’immagine ben precisa.
È evidente come le dicotomie aiutino a mostrare i personaggi maschili e femminili in una forma semplificata, attraverso una serie di contrasti selezionati in base a precedenti ricerche internazionali, parzialmente riadattate sulla base delle nostre esigenze di ricerca e anche in virtù della caratterizzazione apertamente inclusiva delle fiabe prodotte.
L’inclusività dei racconti, esplicitamente richiesta, ha fatto sì che dicotomie come dentro casa/fuori casa (tutti i protagonisti delle fiabe prodotte si collocano nella sfera sociale, senza essere relegati ad una chiusura domestica), così come status elevato/status basso o avere/non avere proprietà non avessero alcun peso, né ruolo nelle fiabe prodotte dai nostri corsisti.
Discorso diverso vale, invece, per le caratterizzazioni basate sulla quantità di azioni eseguite da ciascun personaggio (attivo/a, passivo/a, forte, debole, ecc.). Nello specifico, l’attività è caratterizzata da azioni o attività energiche, laddove la passività è esemplificata dalla mancanza di partecipazione diretta alle azioni. Il termine “attivo/a” va, quindi, interpretato includendo il dare piuttosto che ricevere consigli, guidare piuttosto che seguire, decidere piuttosto che accondiscendere, ecc.
Va, infine, sottolineato che, poiché ogni storia è diversa, è possibile che non tutti i criteri sopra indicati siano sempre applicabili. È quindi del tutto accettabile che alcuni criteri, essendo assenti in alcune storie, debbano essere lasciati vuoti/in bianco (n.a. = criterio non applicabile).
Passando all’analisi dei nostri dati, l’ipotesi nulla (H0) è stata articolata come assenza di relazione statisticamente significativa tra il genere del/la protagonista e (rispettivamente):
- la presenza o assenza del suo nome nel titolo della fiaba (H0a);
- la sua caratterizzazione o meno con attributi fisici (H0b);
- la sua rappresentazione come tendente a curare (H0c); attivo/a (H0d) o passivo/a (H0e); tendente a insegnare (H0f) o a imparare (H0g); caratterizzato/a da emozioni positive (H0h) o negative (H0i); tendente al conformismo sociale (H0j) o all’anticonformismo (H0k); coraggioso/a (H0l) o timoroso/a (H0m); forte (H0n) o debole (H0o); tendente a porre domande (H0p) o a rispondere alle domande (H0q), a salvare/prestare soccorso (H0r) o ad essere salvato/a (H0s).
I t-test per cercare differenze significative tra le variabili di intervallo considerate, caratterizzanti rispetto alla presenza di stereotipi di genere, si sono rivelati significativi – portando al rifiuto dell’ipotesi nulla – per le seguenti caratteristiche:
- le protagoniste femmine sono caratterizzate fisicamente (t = -1,96; p = 0,05; gdl = 52), tendono a insegnare piuttosto che a imparare (t = -2,49; p = 0,016; gdl = 52) e ad essere passive (t = -1,96; p = 0,05; gdl = 52);
- i protagonisti maschi, dal canto loro, sono caratterizzati come attivi (t = 1,96; p = 0,05; gdl = 52), forti (t = 3,28; p = 0,002; gdl = 52) e orientati ad imparare (t = 2,32; p = 0,02; gdl = 52); tuttavia non è vero il contrario, ossia pur essendo tendenzialmente rappresentate come più deboli rispetto ai maschi, tale caratterizzazione per le protagoniste femmine non raggiunge la significatività statistica (t = -1,46; p = 0,15; gdl = 52);
- analogamente, sebbene le protagoniste femmine siano rappresentate come tendenti a rispondere, più che a porre domande (t = -2,08; p = 0,04; gdl = 52), tuttavia non è vero il contrario, ossia i protagonisti maschi non sono rappresentati come più tendenti a porre domande rispetto alle protagoniste femmine (t = 0,83; p = 0,41; gdl = 52);
- infine, per quanto riguarda l’atteggiamento di cura, definito come nutrire e proteggere, supportare e incoraggiare, tale caratterizzazione mostra una tendenza alla significatività per le protagoniste femmine, che però non viene realmente raggiunta (t = -1,88; p = 0,07, gdl = 52), analogamente a quanto emerge per la tendenza a salvare il prossimo, che invece implica la liberazione da una condizione di confinamento o pericolo (t = -1,82; p = 0,07; gdl = 52).
Di seguito si riporta la tabella esplicativa delle medie emerse per ciascuna caratterizzazione considerata, distinte in base alla variabile di raggruppamento “Protagonisti maschi versus protagoniste femmine”.
Caratterizzazione | Genere prot | N | Media | Dev std. | Errore std. Media |
Protag titolo | M | 31 | ,58 | ,502 | ,090 |
F | 23 | ,78 | ,422 | ,088 | |
Aspetto fisico | M | 31 | ,39 | ,495 | ,089 |
F | 23 | ,65 | ,487 | ,102 | |
Cura | M | 31 | ,35 | ,486 | ,087 |
F | 23 | ,61 | ,499 | ,104 | |
Attivo/a | M | 31 | ,61 | ,495 | ,089 |
F | 23 | ,35 | ,487 | ,102 | |
Passivo/a | M | 31 | ,39 | ,495 | ,089 |
F | 23 | ,65 | ,487 | ,102 | |
Insegna | M | 31 | ,32 | ,475 | ,085 |
F | 23 | ,65 | ,487 | ,102 | |
Impara | M | 31 | ,74 | ,445 | ,080 |
F | 23 | ,43 | ,507 | ,106 | |
Emoz pos | M | 31 | ,35 | ,486 | ,087 |
F | 23 | ,22 | ,422 | ,088 | |
Emoz neg | M | 31 | ,65 | ,486 | ,087 |
F | 23 | ,78 | ,422 | ,088 | |
Conf soc | M | 31 | ,65 | ,486 | ,087 |
F | 23 | ,65 | ,487 | ,102 | |
Anticonf | M | 31 | ,35 | ,486 | ,087 |
F | 23 | ,35 | ,487 | ,102 | |
Coraggioso/a | M | 31 | ,42 | ,502 | ,090 |
F | 23 | ,57 | ,507 | ,106 | |
Timoroso/a | M | 31 | ,45 | ,506 | ,091 |
F | 23 | ,35 | ,487 | ,102 | |
Forte | M | 31 | ,81 | ,402 | ,072 |
F | 23 | ,39 | ,499 | ,104 | |
Debole | M | 31 | ,71 | ,461 | ,083 |
F | 23 | ,87 | ,344 | ,072 | |
Domanda | M | 31 | ,68 | ,475 | ,085 |
F | 23 | ,57 | ,507 | ,106 | |
Risponde | M | 31 | ,29 | ,461 | ,083 |
F | 23 | ,57 | ,507 | ,106 | |
Salva | M | 31 | ,45 | ,506 | ,091 |
F | 23 | ,70 | ,470 | ,098 | |
È salvato/a | M | 31 | ,58 | ,502 | ,090 |
F | 23 | ,39 | ,499 | ,104 |
Tabella 1. Statistiche descrittive sulle differenze di genere (variabile di raggruppamento: M vs. F) nelle caratterizzazioni dei/delle protagonisti/e delle 54 fiabe prodotte al Laboratorio di Pedagogia speciale tra novembre 2023 e luglio 2024.[1]
Il/la protagonista è il personaggio centrale della storia, che quindi può essere vista attraverso i suoi occhi: se da un lato dal nostro campione di fiabe emerge una significativa differenza in termini di maggiore attribuzione del genere maschile, rispetto a quello femminile, al protagonista della fiaba, dall’altro non emerge invece alcuna significatività relativamente al fatto che il/la protagonista venga nominato/a nel titolo.
È pur vero che le figure femminili appaiono sottorappresentate. Tale squilibrio tra maschi e femmine come personaggi principali mostra che la maggior parte delle storie è raccontata da una prospettiva maschile, incentrata sui maschi e a beneficio di questi ultimi. Un vero paradosso, se consideriamo la peculiare composizione, quasi interamente femminile, dei partecipanti al laboratorio.
Per quanto riguarda la dicotomia attivo-passivo, ad emergere è una chiara caratterizzazione, che subisce lo stereotipo di genere della passività femminile, contrapposta all’attività maschile. I personaggi maschili sono descritti sia come “attivi”, sia come “più attivi” delle femmine, nel caso in cui sia i maschi che le femmine svolgano ruoli attivi nelle storie. Inoltre, vengono descritte più azioni per i personaggi maschili, rispetto ai personaggi femminili. I maschi sono spesso descritti come gli agenti, mentre le femmine, anche quando sono le protagoniste, sono spesso ritratte come vittime o succubi (tramite aggettivazioni come “spaventata” o “ferita”).
Per la dicotomia emozioni positive/negative, i testi delle 54 fiabe analizzate raffigurano protagonisti maschi e femmine indistintamente come affettuosi ed emotivi, aggressivi e combattivi, indipendentemente dal genere loro attribuito, senza restituire immagini caricaturali e senza riflettere pregiudizi convenzionali. Analogamente, la rappresentazione testuale delle caratterizzazioni di conformismo e anticonformismo, ossia del modo in cui il/la protagonista si comporta di fronte alle pressioni sociali, non presenta stereotipi di genere, per cui indipendenza e resistenza, così come rassegnazione e cedevolezza dinanzi all’autorità, vengono mostrate come caratteristiche tanto maschili, quanto femminili.
Per la dicotomia forte-debole, le protagoniste femmine sono solo tendenzialmente viste in modo convenzionale, ossia come “fisicamente inadatte”, laddove invece i protagonisti maschi sono chiaramente ancora descritti come “il sesso forte”, anche se, trattandosi di fiabe inclusive, che affrontano a volte lo specifico tema della disabilità, è contemplata la possibilità che ci siano casi di salute maschile imperfetta. Nello specifico, la debolezza di carattere appare nei testi delle fiabe sotto forma di codardia, confusione, dipendenza, impotenza ed evasività, mentre la forza di carattere si esprime come coraggio, equilibrio, capacità di dare ordini e senso di responsabilità. Anche in questo caso un buon indicatore di assenza di stereotipi di genere è il modo in cui debolezza e forza di carattere sono equamente suddivisi tra personaggi maschili e femminili. Nel nostro caso emerge un maggiore equilibrio, in tal senso, per quanto riguarda la componente di debolezza, mentre la componente di forza appare fortemente genderizzata.
Infine, è degno di nota come il comportamento di salvataggio, tendenzialmente attribuito alle protagoniste femminili del nostro corpus di fiabe, possa essere considerato un buon tentativo di rottura dello stereotipo di genere legato alla “fanciulla indifesa” che attende di essere liberata da un “cavaliere in armatura scintillante”. Ma è anche possibile che, semplicemente, i nostri corsisti abbiano trattato i concetti di “cura” e “salvataggio” in stretta analogia l’uno con l’altro, senza considerarne le sfumature di significato.
5. Conclusioni
È importante fornire a educatori, educatrici, insegnanti e genitori – ossia coloro che filtrano la conoscenza, modellandola attraverso la propria visione del mondo – le giuste risorse per riconoscere e correggere pregiudizi e stereotipi di genere, che possono passare inosservati nelle scuole, sostenuti latentemente attraverso il cosiddetto “curricolo nascosto” (Basow, 2004).
La checklist creata per questa indagine può essere agilmente utilizzata per effettuare analisi comparative tra personaggi maschili e femminili, alla ricerca dell’eventuale presenza di eccessivi stereotipi di genere nella letteratura per l’infanzia che viene selezionata e proposta fin dal nido.
Non è necessario che siano presenti stereotipi rientranti in tutte le categorie identificate nella lista di controllo che abbiamo proposto, affinché la storia possa essere definita come “genderizzata” o “a-genderizzata”.
Facendo attenzione a evitare interpretazioni troppo meccaniche, l’attribuzione di tratti caratteriali e di attività convenzionali e non convenzionali a entrambi i sessi non dovrebbe discostarsi oltre il 10–20% dalla distribuzione ideale del 50% (ossia, dovrebbe arrivare massimo al 60–70%).
Nel nostro caso, delle 19 categorie analizzate, solo 6 sono emerse come significativamente caratterizzanti i personaggi maschili e femminili in senso convenzionale, pari al 31%, contro il 69% di caratterizzazioni non convenzionali. Essendo la distanza da una distribuzione equilibrata di tratti tra personaggi maschili e femminili solo del 19%, il nostro campione di 54 fiabe inclusive dimostra di rientrare perfettamente nei limiti indicati dalla letteratura internazionale come accettabili.
Va detto che, anche nel caso in cui tale equilibrio risultasse disatteso, è possibile rilevare l’adozione di misure compensative come quando, ad esempio, pur comparendo nel testo meno personaggi femminili che maschili, alle prime viene data maggiore enfasi sul piano qualitativo, descrivendole con più tratti caratteriali.
Per produrre letteratura non sessista per bambini, Michel (1986) suggerisce un equo rapporto tra personaggi femminili e maschili, con un’equa distribuzione dei ruoli in vari aspetti della vita e delle qualità buone e cattive. Idealmente, entrambi i generi dovrebbero essere trattati negli stessi termini, possibilmente non caratterizzati da soli attributi fisici, ma valorizzandone le caratteristiche di personalità, sia positive che negative.
È chiaro che le storie esenti da stereotipi non saranno sempre accolte calorosamente dai bambini, che nella fascia d’età 3–6 anni abbracciano tipicamente una rigida conoscenza su come dovrebbero essere e comportarsi i maschi e le femmine. Questo perché, a causa del limitato sviluppo cognitivo, i bambini piccoli tendono ad interpretare le regole come requisiti obbligatori; ciò potrebbe renderli meno tolleranti nei confronti di comportamenti di genere che non corrispondano agli stereotipi di genere e ai ruoli con cui sono stati cresciuti (Su et al., 2021).
Tuttavia, il rischio di avallare pregiudizi e stereotipi sulla base di un semplice discorso evolutivo è troppo grande, poiché si tratta di influenzare il progressivo sviluppo delle capacità sociali ed emotive, l’attribuzione di un senso al mondo e lo sviluppo dell’identità (King, 2020).
In un’ottica preventiva, promuovere, a casa come a scuola, l’equità di genere attraverso un’attenta selezione, se non addirittura la scrittura, di testi inclusivi godibili e orientati alla contemporaneità, appare, in tale ottica, un ottimo ausilio da integrare nella didattica.
Endnotes
Originariamente le 54 fiabe sono state catalogate 28 con protagonista maschio, 20 con protagonista femmina e 6 con doppio protagonista (M e F). In una successiva fase di analisi, per queste ultime sei fiabe è stato attribuito il ruolo di protagonista al personaggio principale che, tra i due identificati, compare per primo nel testo, determinando una classificazione definitiva di 31 fiabe con protagonista maschile e 23 fiabe con protagonista femminile. ↑
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