Formazione & insegnamento, 23(S2), 8272
Circularity and relationships for the city: Living, Educating, Promoting
Circolarità e relazioni per la città: Abitare, Educare, Promuovere
ABSTRACT
This contribution explores, from an intercultural perspective, the educational potential of contemporary cities within the framework of the ecological transition, understood as a dialogical interface between economics and pedagogy. Beginning with a critical reflection on the so-called circular city, compared with related models such as the learning city, the smart city and the fertile city, it emerges that such a city requires an inculturation of sustainability grounded in participatory, bottom-up practices that are attuned to the specific historical, social and cultural background of communities and territories. This process finds its cornerstone in the tripartite action of Dwelling, Educating and Promoting, conceived as forms of care for the environment, for people and for circular relationships. In these terms, circular cities may be configured as generative urban spaces capable of moving from linear economic models towards circular ones, villes interculturelles durables et solidaires.
Il presente contributo esplora, secondo una prospettiva interculturale, il potenziale educativo delle città contemporanee nel quadro della transizione ecologica, intesa come cornice dialogica tra economia e pedagogia. Muovendo da una riflessione critica sulla cosiddetta città circolare, posta a confronto con alcuni modelli affini, quali learning city, smart city, città fertile, emerge come tale città necessiti di un’inculturazione della sostenibilità che muova da pratiche partecipative e bottom-up, aderenti al background storico-sociale e culturale specifico delle comunità e dei territori. Un processo che trova cardine nell’azione tripartita Abitare, Educare, Promuovere, quali forme di cura verso l’ambiente, le persone e le relazioni circolari. In questi termini, le città circolari si possono configurare come spazi urbani generativi capaci di transitare da modelli economici lineari verso modelli circolari, villes interculturelles durables et solidaires.
KEYWORDS
Circular cities, Sustainability, Learning cities, Interculturalism, Dialogue
Città circolari, Sostenibilità, Learning city, Interculturale, Dialogo
AUTHORSHIP
This article is the result of the work of a single Author.
COPYRIGHT AND LICENSE
© Author(s). This article and its supplementary materials are released under a CC BY 4.0 license.
ACKNOWLEDGMENTS
The publication of the journal issue is supported by EurAdice (“European African Diaspora for an inclusive circular economy”), project No. 101102547 and funded under Call ESF-2022-SOC-INNOV (European Commission, European Social Fund). EurAdice is coordinated by the University of Padova.
CONFLICTS OF INTEREST
The Author declares no conflicts of interest.
RECEIVED
August 1, 2025
ACCEPTED
October 6, 2025
PUBLISHED ONLINE
November 20, 2025
1. Abitare tra economia ed ecologia
Nel corso del tempo numerosi sono i modelli interpretativi proposti per leggere ed orientare le relazioni all’interno del tessuto urbano. Il contributo ha un carattere esplorativo e prende in considerazione il potenziale educativo di alcuni approcci alle città, declinandoli secondo la prospettiva interculturale e nell’orizzonte della transizione ecologica.
Abitare la città chiama in causa la riflessione ermeneutica circa il rapporto tra economia ed ecologia. La pedagogica offre un contributo alla formazione delle persone e dei cittadini, sollecitando la promozione dello sviluppo umano integrale e della costruzione di comunità inclusive, interculturali, innovative e sostenibili sul piano sociale, ambientale ed economico.
È possibile definire un modello di città circolare che presta cura ed attenzione alle relazioni e al buon uso delle risorse materiali ed immateriali? L’accostamento critico ad alcuni paradigmi mira a coglierne le caratteristiche e le ricadute sul piano dell’educabilità umana.
La transizione ecologica, richiamata da numerosi documenti nazionali ed internazionali, si configura come un progetto economico, sociale, culturale e spirituale, capace di ispirare un passaggio (dal latino transire) a società segnate da accresciute sensibilità sociali ed ecologiche, capaci di ripensare i principi economici entro un quadro di giustizia ridistributiva e solidale, che contrasti le crescenti disuguaglianze socioeconomiche, implementando l’attenzione all’ambiente e all’uso delle risorse naturali a disposizione.
“Rendere educativamente sostenibili le transizioni implica un grande sforzo di innovazione nei sistemi dell’istruzione e della formazione continua” (Boffo et al., 2023) e interpella la riflessione pedagogica nel dialogo con le altre scienze con l’intenzione di cogliere il contributo per re-immaginare futuri insieme (UNESCO, 2021a) a livello locale e globale.
L’azione del transitare implica il mettersi in cammino e oltrepassare alcuni confini (limes). Limiti non intesi come il punto di non ritorno climatico a cui fanno riferimento i fisici ambientali e i climatologi, cioè i climate tipping points (OECD, 2022), bensì andar oltre limiti dei paradigmi organizzativi e di pensiero attuali. Si prospetta, quindi, il superamento di modelli economici e finanziari self interest e business oriented nel breve periodo, per prendersi cura dei beni comuni, reimparare “la dimensione collettiva dell’esigenza etica” (Giraud, 2015, p. 280).
Tra le azioni per innescare e realizzare la transizione ecologica, lo sviluppo di un’economia circolare può sollecitare e orientare il sistema economico complessivo verso nuovi modelli di comportamento, per far prevalere il punto di vista della sostenibilità ambientale e sociale. L’economia circolare offre una prospettiva per leggere la complessità dell’oggi e dare una risposta alla molteplicità delle crisi in atto, ambientale, economica, sociale, valoriale.
Questo paradigma è adottato come asse trasformativo per diverse realtà nazionali ed internazionali, ad esempio l’Unione Europea ne ha fatto un cardine del Green Deal (European Commission, 2019) e l’Italia lo ha declinato all’interno del proprio PNRR - Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (2021) dopo la crisi pandemica. Entrambi questi documenti si pongono l’obiettivo di conciliare lo sviluppo economico e sociale con la sostenibilità, in particolare favorendo la decarbonizzazione, per giungere alla neutralità climatica, e la diffusione del modello dell’economia circolare, per ridurre i rifiuti ed ottimizzare l’uso delle risorse.
La riflessione critica attorno a questo dispositivo economico permette di coglierne il valore ermeneutico e la sua possibile trasposizione culturale in altri ambiti, implementandone il valore di condivisione, prestito, relazione, inclusione, riparazione e rigenerazione. La visione circolare permette di estendere il ciclo vitale dei prodotti e ridurre i rifiuti, i quali vengono mantenuti all’interno del sistema produttivo e riciclati o riutilizzati come nuovo valore, così facendo essi si trasformano da rifiuto a nuova risorsa attivando processi di innovazione e sviluppo di potenzialità.
La visione circolare amplia lo sguardo e richiede creatività ed ideazione per superare il modello dell’economia lineare basata sulla formula "prendere-produrre-smaltire". Il Parlamento Europeo ha assunto un vero e proprio piano strategico di azione per l’economia circolare, fondato su determinati principii:
“riduzione dell’uso dell’energia e delle risorse; mantenimento del valore nell’economia; prevenzione dei rifiuti; progettazione senza rifiuti, priva di sostanze nocive e non inquinante; mantenimento in uso e in circuiti chiusi di prodotti e materiali; protezione della salute umana; promozione dei benefici per i consumatori; rigenerazione dei sistemi naturali” (European Parliament, 2021, n. 21).
La posizione dell’Unione Europea verso il concetto di sistema circolare supera le dimensioni strettamente produttive, promuovendo una visione integrale che evidenzi le interdipendenze a livello economico, sociale ed ambientale. Le politiche per contrastare la crisi economica devono poter incidere anche sulle altre crisi, in primis quella ecologica, di cui il clima rappresenta una componente cruciale che richiama anche implicazioni economiche e tecnologiche, oltre che ripercussioni di tipo sociale.
La circular economy è assunta a livello europeo come strategia anticrisi di lungo periodo. Essa è parte integrante della prospettiva della green economy, capace di imprimere un cambiamento sulle linee guida della politica internazionale, favorendo un complesso insieme di re-visioni critiche del modello di sviluppo dominante, orientando verso un convergente e universale recupero della dimensione sociale, ambientale, etica e valoriale. La ricongiunzione di equilibri umani ed equilibri naturali è parte ineludibile del disegno di una società desiderabile centrata sullo sviluppo umano integrale (Vischi, 2021). Il “compito di governo della transizione non è quello di costruire nuove narrazioni retoriche affascinanti e ispirative, ormai ampiamente disponibili, ma è quello di rendere la società desiderabile una società fattibile” (Zoboli, 2021, p. 73).
È bene ricordare che queste spinte al cambiamento, in particolare l’attenzione alla neutralità climatica e a diminuire l’impatto delle attività umane sul pianeta, ripropongono almeno parzialmente un nuovo divario tra Nord e Sud del mondo. Mentre il contributo maggiore alle emissioni di gas serra viene dai Paesi industriali e dalle grandi economie emergenti, sono gli Stati con le economie più povere a soffrire maggiormente gli effetti del cambiamento climatico, in particolare quando dipendono dalle risorse naturali e dall’agricoltura.
Nei paesi del Nord del mondo la riduzione delle emissioni e l’adattamento rappresentano la rotta principale, questo non è sempre praticabile negli altri paesi, soprattutto non seguendo le stesse strategie, modalità e tempistiche. Si apre una questione di responsabilità e la cooperazione climatica internazionale appare insufficiente a colmare il divario.
La transizione alla sostenibilità fa parte del cambiamento d’epoca in direzione del bene comune, essa richiama alla dimensione inter ed intragenerazionale, si configura come un lento processo di azione collettiva che coinvolge intensamente anche la società civile. Appare evidente che tale transizione debba muoversi a livelli diversi (locale, regionale e globale) con ritmi e strategie differenti, diversificate e declinate secondo le esigenze e le risorse a disposizione. È necessario saper declinare il concetto di sviluppo e di benessere a livello culturale e locale, non è possibile proseguire con un unico modello (spesso ispirato alla cultura capitalista di stampo occidentale) ed esportarlo in ogni territorio, senza considerare le risorse naturali e storiche del luogo e delle comunità.
In questa prospettiva la lettera enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune di Papa Francesco (2015) ha contribuito ad alimentare la riflessione a diversi livelli, dalle conferenze internazionali (COP) all’attivismo dei movimenti popolari. Nella prospettiva di Bergoglio il mondo è inteso come un poliedro dove ognuno è valorizzato, poiché “il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma” (Francesco, 2013, n. 235). Nella tensione tra locale ed universale è necessario integrare le diverse prospettive senza scadere nel “sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto” (Evangelii Gaudium, n. 228)
L’attenzione alla cura dell’ambiente e al buen vivir, cioè al ben-essere e ben-stare umano in armonia con la natura e gli altri esseri viventi, può rendere l’economia circolare “una strategia emblematica per attuare lo sviluppo sostenibile, per una resilienza che possa essere trasformativa” (Sandrini, 2022, p. 146), cioè capace di generare nuove prassi per immaginare, costruire comunità ed abitare i territori.
Secondo il rapporto della Commissione Brundtland per sviluppo sostenibile si intende
“far sì che esso soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere alle loro. [...] Lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali” (United Nations, 1987, p. 15).
Il documento pone in luce la centralità della partecipazione di tutti, un impegno attivo e concreto verso lo sviluppo sostenibile. Pur nascendo con altri obiettivi, anche l’enciclica Laudato si’ sottolinea l’importanza di “unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale” (Francesco, 2015, n. 13), evidenziano i rischi di una “economia globalizzata, [che] tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità” (Francesco, 2015, n. 144).
Anche l’Agenda ONU 2030 (2030 Agenda for Sustainable Development) si inserisce in questa prospettiva, nei suoi 17 obiettivi vi è una articolata e sistemica strategia che legittima diverse linee di progetto per una società migliore, inclusiva e democratica.
Un futuro prospero richiede un approccio integrale che chiama in causa l’educazione e la ricerca scientifica, l’economia e la politica, il patrimonio storico, culturale e spiritualità delle diverse comunità e territori. L’economia circolare sta emergendo come uno strumento operativo per guidare la transizione ecologica, al punto che la circolarità tende a fondersi con - o addirittura a sostituire - la sostenibilità (Prendeville et al., 2018). Essa riassume l’obiettivo di mantenere nel lungo periodo e contemporaneamente equità (sostenibilità sociale), redditività (sostenibilità economica) e tutela ecologica (sostenibilità ambientale) necessarie allo sviluppo umano, aprendo alla possibilità di un orizzonte valoriale che richiami l’etica della cura inter ed intra-generazionale.
“La cura che si prende a cuore l’altro esce dal perimetro del calcolo, del misurabile, del negoziabile. Si ha cura per l’altro perché di questo agire si sente la necessità. Qui sta la qualità ‘donativa’ della cura” (Mortari, 2017, p. 560), nel farsi prossimo, vicino. Sulla scorta di questa prossimità emerge una rinnovata idea di cittadinanza attiva, consapevole, solidale e globale, aperta al confronto fra culture e modi di abitare la terra, nell’accezione heideggeriana del prendersi cura (Heidegger, 1991). La cultura della cura apre al dialogo e all’incontro, contrastando dinamiche quali l’eccessivo sfruttamento delle risorse, l’individualismo, la globalizzazione dell’indifferenza e la cultura dello scarto (Francesco, 2015).
“Condividere, riparare, rigenerare sono verbi che indicano la via della transizione ecologica. Essa deve essere letta in una prospettiva interculturale perché taglia trasversalmente tutte le parti e i saperi della compagine sociale, configurandosi come educazione alla cittadinanza planetaria” (Malavasi, 2022, p. x).
L’idea di cittadinanza globale e la sua declinazione pedagogica in Educazione alla Cittadinanza Globale consente di comprendere e riconcettualizzare vecchi problemi, quali “sfide legate alla convivenza fra diversità o una relazione sostenibile con l’ambiente, richiede di modificare il modo in cui le persone pensano e agiscono” (Tarozzi, 2023, p. 241). Fin dall’antichità esiste una tensione tra la cultura e l’ambiente, evidenziando le correlazioni tra organizzazione sociale e pianificazione territoriale che emergono dalle varie modalità di abitare e concepire l’appartenenza comunitaria e territoriale. Il territorio configurandosi in struttura sociale, che rispecchia le culture di appartenenza, realizza nuovi rapporti con l’ambiente naturale a favore dello sviluppo personale e comunitaria, dell’innalzamento dei livelli d’istruzione, dell’educazione al benessere (Iavarone, 2017).
2. Abitare la città
Emblematica e necessaria è un’analisi sul modo in cui le città sono progettate e come le persone le abitano; l’organizzazione della città moderna per taluni aspetti appare incline al depauperamento relazionale, mentre emergono movimenti dal basso che producono senso per l’esistenza e rivalutano la dimensione comunitaria degli spazi vissuti dove costruire identità e saperi relazionali. Si può pensare e costruire la sostenibilità a partire dalla città, essa può porsi come “motore di sostenibilità” (Birbes, 2017), infatti l’incontro tra la varietà di ricchezze che abitano la città può generare nuove sintesi, inattese e talvolta anche conflittuali. Stare nei conflitti e trovare diverse soluzioni per rispondere alle esigenze delle persone e dei luoghi possono avviare processi di innovazione ed inclusività, a partire dalle risorse materiali ed immateriali presenti.
La riflessione attorno all’economia circolare e alle città circolari apre ad una dimensione interdisciplinare, per contribuire alla crescita culturale delle comunità e dei territori (Fondation Ellen MacArthur, 2012). L’educazione e la formazione sono tra le risorse più preziose per una transizione ecologica equa, solidale ed inclusiva. Una pedagogia circolare è, quindi, chiamata a sviluppare una riflessione critica circa il sapere economico e i suoi modelli interpretativi ed organizzativi della realtà, ponendo attenzione alle interconnessioni con gli altri ambiti della vita umana e svolgendo un’azione di denuncia verso le sue disfunzioni e distorsioni, quando si riduce a massimizzazione dei profitti, anche a scapito delle risorse naturali, sociali e culturali, smarrendo la sua vocazione originaria di “gestione della casa”.
La nozione di valore si sta estendendo a diversi ambiti, come la creazione di valore ambientale e sociale, dentro un approccio relazionale e di partnership. È interessante richiamare la riflessione sul rapporto tra prezzo e valore dei beni ambientali (Pareglio, 2011), dove il prezzo di un bene rappresenta in modo sintetico l’esito di un confronto realmente avvenuto; quindi, il valore che le parti soggettivamente assegnano al bene si traduce, con lo scambio, in un prezzo. A differenza del valore, il prezzo è un fatto storicamente verificatosi, oggettivo. Esiste dunque una divaricazione tra il valore intrinseco di un bene pubblico e il prezzo che il mercato è in grado di attribuirgli, risultando il primo superiore al secondo.
La dottrina economica si è impegnata su questo punto, fino ad assegnare ai beni ambientali, in modo sostanzialmente concorde, un valore economico totale: esso è dato da un insieme di componenti distribuite lungo un gradiente, che parte dal valore attribuibile al bene per il suo
uso e giunge fino al valore attribuibile al bene in sé. Le componenti valoriali legate all’uso (valore d’uso reale e valore d’uso opzionale) sono entrambe apprezzate dal mercato, anche se per la determinazione della seconda vi sono più incertezze. Le componenti valoriali non legate all’uso (valore altruistico, valore di lascito, valore di esistenza) non sono invece apprezzate dal mercato, e dunque la misura è assai più problematica. Inoltre, è da considerarsi anche una nuova categoria economica, che testimonia ulteriormente l’incapacità del mercato di cogliere appieno il valore dell’ambiente: le cosiddette esternalità (Maillefert & Robert, 2017).
Le esternalità ambientali possono essere positive e negative, esse derivano da “decisioni economiche che deprimono la disponibilità (quantitativa e qualitativa) di risorse naturali e dunque il benessere degli individui che ne sono afflitti, senza che intercorra un pieno ristoro monetario” (Pareglio, 2011, p. 41). Il valore di beni e servizi è influenzato dalla disponibilità e richiamano procedure democratiche e partecipative, inclusive e di giustizia sociale.
La svolta della circular economy prospetta una trasformazione delle politiche economiche e sociali con attenzione alle scelte di valore, che si traducono in scelte di produzione e consumo, nonché apre alle effettive possibilità di cooperazione e di movimenti culturali dal basso che trovano nel tessuto sociale ed in strumenti partecipativi una reale efficacia nel processo decisionale.
In un testo curato da Malavasi (2011), dal titolo L’ambiente conteso. Ricerca e formazione tra scienza e governance dello sviluppo umano, emerge chiaramente la necessità di un dialogo multi ed interdisciplinare sull’ambiente, proteso alla transdisciplinarietà. I numerosi autori dei saggi, provenienti da diversi settori disciplinari e afferenti a diverse facoltà, convergono sull’esigenza di collegare strettamente ecologia umana ed ecologia dell’ambiente, per far sì che la sostenibilità rappresenti una sorta di capitale sociale orientato al bene comune.
Un luogo emblematico per leggere la circolarità relazione è la città, dove oggi la maggior parte della popolazione mondiale abita (United Nations Department of Economic and Social Affairs, 2019). La parola città ha molteplici significati, essa può designare un luogo concreto e materiale, ma anche una rappresentazione mentale, che unisce percezioni, emozioni, comportamenti e credenze diverse. Nella letteratura francese questa distinzione è resa utilizzando due diverse parole: ville e cité (Le Goff, 1997). Per l’urbanista Sennett (2018) è impossibile comprendere l’aspetto fisico (ville) di una città senza considerare la cultura, il modo di vivere proprio dei soggetti (cité) che l’hanno costruita e che l’hanno abitata. Egli denuncia la diffusione globale della città chiusa, segregata e sottoposta ad un controllo antidemocratico, proponendo un altro modo di costruire ed abitare: una città aperta, capace di cogliere il mutare del tempo e le dinamiche che la attraversano. Le due dimensioni della città si intrecciano e influenzano l’un l’altra, in una circolarità che diviene forza propulsiva e trasformativa, che alimenta e definisce le relazioni tra gli elementi materiali ed immateriali, tra costruito e vissuto. Il carattere inquieto della vita urbana costituisce una “definizione di modernità e al tempo stesso designa un intreccio di relazioni e culture, tanto che la logica della biodiversità si può applicare anche al tessuto urbano” (Sennett, 2018, p. 56).
La sostenibilità del territorio è essenziale per generare il futuro delle città, nelle diverse possibili conformazioni che essa può assumere. Ad esempio si definisce “città circolare” una città che promuove attivamente il passaggio da un modello lineare a uno circolare, seguendo gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile definiti dall’ONU,
“le città circolari sono impegnate a ridurre le emissioni, favorire la biodiversità e ridurre le diseguaglianze sociali applicando i principi di economia circolare e di sostenibilità ambientale e sociale. In una città circolare si cerca di ridurre al minimo l’estrazione di risorse, focalizzandosi invece sul recupero di materiali di scarto. Così questi non sono rifiuto, ma diventano risorsa” (ICLEI, 2021).
Al fine di realizzare questo modello, il pensiero sistemico e la collaborazione tra attori devono essere favoriti determinando vantaggi dal punto di vista ambientale, economico e sociale.
La città, la polis, si configura come spazio paradigmatico in cui si svolge la vita umana, essa muta nel tempo, si trasforma sia sul piano materiale sia sul piano culturale. È il luogo della relazione con l’altro, gli altri e con il mondo. La relazione è una caratteristica fondativa dell’uomo, “la stessa identità della persona si origina nella e attraverso le relazioni con gli altri e con la realtà. Relazioni che costituiscono, in modo necessario, l’umanità dell’uomo” (Potestio, 2023, p. 10). Attraverso il principio dialogico di Buber (1923) l’essere umano può mostrare sé stesso originatosi come coscienza che resta dopo il susseguirsi delle esperienze contingenti che avvengono nel tempo storico. La relazione autentica parte da un orientamento della persona verso un “tu”, cioè l’altro, da cui scaturisce un “noi” e apre alla possibilità di creare una rete di relazioni che genera una comunità autentica e piena. La vita felice, o vita buona, implica la dimensione politica, ossia la costruzione di relazioni sociali e politiche che portano l’individuo a manifestare pienamente la propria socievolezza attraverso azioni consapevoli e intenzionali. In questa dimensione la città assume un significato di apertura originaria dell’uomo, il movimento delle relazioni umane genera un processo di costante trasformazione circolare che porta la costituzione delle identità e testimonia l’unicità di ogni persona nel divenire delle sue relazioni con gli altri, nella comunità e con il mondo. Possiamo affermare che si genera e rigenera attraverso la relazione con altre realtà, questo deve condurre ad aumentare la consapevolezza delle proprie potenzialità e decidere attraverso azioni sempre più libere e responsabili per il bene comune all’interno di formazioni sociali guidate da una prospettiva educativa, migliorativa.
3. Città intelligenti e fertili
Un altro modello interpretativo ed organizzativo valorizza l’innovazione e la tecnologia al servizio della città, per renderla intelligente.
“La complessità del progetto di rifondare le città attraverso concezioni e dispositivi smart può essere espressa con l’immagine della costruzione di una città fertile che richiede analisi multisettoriali e strumenti partecipativi, chiama in causa scelte politiche e innovazione tecnologica, progettualità educativa e competenze per la sostenibilità” (Malavasi, 2012, p. 19).
Vivere nella società plurale implica riflettere sul contributo potenziale di ogni persona all’interno del tessuto sociale per la promozione di tutti e ciascuno. La partecipazione del cittadino, a livello personale e in aggregazioni sociali, è fondamentale nella costruzione di una città progettata per dare risposta ai suoi bisogni in modo efficace ed efficiente. In questa prospettiva, nel panorama internazionale si è sviluppato e diffuso il modello della smart city, di cui in letteratura troviamo diverse definizioni, non senza qualche distorsione e fiducia incondizionata nella tecnologia (Beretta, 2014).
La componente tecnologica rappresenta potenzialità e, al tempo stesso, pone il rischio di creare segregazione e disuguaglianze se non inserita all’interno di una rete valoriale e umana, capace di cogliere la complessità dell’oggi e delle tensioni che attraversano le città, dall’urbanistica ai problemi ambientali, dalle migrazioni ai servizi, dalle povertà allo sviluppo delle potenzialità dei singoli e dei gruppi
Si richiama il concetto di resilienza urbana, cioè la capacità degli individui, delle comunità e delle istituzioni, delle imprese e dei diversi sistemi presenti all’interno di una città di sopravvivere, adattarsi e crescere. Tale costrutto, nato nell’ambito tecnico della fisica e delle scienze dei materiali, viene applicato anche all’ecologia, considerando la capacità di un sistema di resistere a stress e sollecitazioni, affrontando e gestendo i cambiamenti (adattamento).
Nell’ambito delle scienze umane la resilienza è considerata una competenza che è possibile acquisire ed implementare, una strategia che permette di attraversare una (o più) crisi e prevenirne altre (mitigazione).
In un mondo interconnesso, globalizzato e in rapido cambiamento risulta ineludibile riflettere sulla resilienza, la sostenibilità e la vivibilità delle città, evidenziando “l’urgenza di ripensare in maniera organica alle pratiche e ai contesti per l’apprendimento permanente” (Boffo & Biagioli, 2023, p. 292). L’UNESCO (2021b) ha promosso “la costruzione di città sane e resilienti attraverso l’apprendimento permanente”, che sappiano affrontare le sfide complesse di shock acuti, quali eventi catastrofi o disastri improvvisi, che si sommano a “stress cronici già presenti sul territorio, ovvero pressioni che indeboliscono il tessuto di una comunità nel tempo” (Braga, 2023, p. 357).
La tecnica e le tecnologie possono rafforzare i processi partecipativi dei cittadini, favorendo l’accesso alle informazioni e ai servizi, ma è necessaria una componente umana ed etica che imprima un indirizzo ponendo al centro le persone e le comunità, implementando la democratizzazione. Uno dei rischi delle smart cities riguarda una valutazione inadeguata degli effetti delle soluzioni tecnologiche adottate, che possono diventare un ulteriore elemento di demarcazione delle diseguaglianze tra fasce forti e fasce deboli, tra chi è online (ha accesso alle informazioni e detiene il potere) e chi è offline (escluso e deprivato di capability). La letteratura richiama numerosi esempi, in tempi e regioni del mondo diverse, in cui si assiste “all’affermarsi di città a due velocità, con qualcuno che corre, decide, governa, e qualcun’altro che insegue, arranca, rimane a guardare” (Beretta, 2014, p. 33). Al contrario uno dei driver della transizione green è sintetizzabile nello slogan “LNOB - Leave No One Behind” (United Nations, 2015; Unione Europea, 2019), che incarna l’impegno dei diversi stakeholders sia a raggiungere i più poveri e fragili, sia ad affrontare le cause profonde delle crescenti discriminazioni e disuguaglianze, che ostacolano la capacità delle persone di agire, non mettendole in condizione di realizzare ciò che sono e ciò che sanno fare per avere una vita degna secondo i propri valori. Il principio LNOB accoglie la prospettiva promossa e coltivata dalla pedagogia interculturale, “secondo cui non si può eludere l’alto compito di educare alla cittadinanza globale in una chiave pluralista aperta e basata sul riconoscimento dell’altro” (Fiorucci, 2020, p. 13).
La città circolare deve necessariamente essere anche intelligente, assumendo la tecnologia nella prospettiva dell’innovazione sociale, in cui le interconnessioni sono le relazioni tra persone, istituzioni e contesti (naturali ed antropici), ponendo attenzione alla costruzione di comunità e, insieme, alle fragilità sociali ed ambientali. Emerge il ruolo centrale del capitale umano e relazionale nello sviluppo urbano, per l’inclusione, la coesione e la partecipazione sociale. Proprio il richiamo agli strumenti partecipativi evidenzia l’importanza di formare smart citizens, informati, attivi, creativi e competenti, capaci di un autentico senso di appartenenza alla comunità, al territorio e alle culture che lo abitano. Le comunità sono sollecitate a ripensare, dal basso, l’essere in comune e il vivere insieme, le modalità di convivenza con l’altro e con l’ambiente, nella complessità di un mondo sempre più interconnesso.
Morin (1994) in Terra-Patria, utilizza il termine comunità di destino ad indicare le strette interconnessioni ed interdipendenze tra le persone e l’ambiente, proponendo un modello di governance partecipativo e democratico proteso verso il bene comune e l’innalzamento della qualità della vita. Papa Francesco condivide questa prospettiva utilizzando l’immagine evangelica della tempesta sedata (Mc 4, 35-41) ed affermando che “siamo sulla stessa barca” (Francesco, 2020, n. 30 e 32), espressione ripresa da Ceruti (2020) per approfondire lo sguardo sulla complessità nell’orizzonte di un umanesimo planetario come progetto comune del e per l’umanità.
Le città contemporanee sollecitano una riflessione pedagogica sul legame fra individui, comunità e forme spaziali, al fine di valorizzare le possibilità creative e attive per fare esperienza del mondo e trovare un proprio posto in esso (Ceruti & Mannese, 2020).
Le città sono chiamate ad essere luoghi di vita generativi e trasformativi, “dove l’uomo e l’umano trovino un nuovo e più attraente baricentro” (Mannese, 2021, p.2), possano trovare spazi fisici e sociali di realizzazione e crescita, sperimentino la partecipazione attiva e una responsabilità condivisa verso il mondo e l’ambiente in tutte le sue dimensioni, quella casa comune che richiama il senso di appartenenza ed un coinvolgimento emotivo. La prospettiva della città circolare amplia la sua azione verso l’humanum e la dimensione formativa, diventano città delle possibilità (Vischi, 2014), cioè capaci di riconoscere ed accogliere i bisogni educativi, impegnandosi nella progettazione di possibili risposte, valorizzando le risorse umane e culturali presenti nel territorio.
Proseguendo nei diversi modelli di città troviamo l’espressione città educativa, che evidenzia l’apporto della riflessione pedagogica attorno alle diverse dimensioni e ai molteplici fattori dello sviluppo del capitale umano, configurando una progettualità pedagogica diffusa, che crea reti e relazioni tra le diverse realtà ed agenzie del territorio urbano, creando ponti tra identità ed appartenenze per superare le disuguaglianze e le discriminazioni.
Nella riflessione circa il progetto di rifondare la città attraverso disposizioni intelligenti e modalità relazionali inedite si intravede l’immagine della città fertile che richiede apertura alla vita e slancio verso l’altro, essa “genera innovazione di processo e di sistema nella produzione di beni e servizi che mettono al centro la persona e l’ambiente, il rispetto della legalità e le peculiarità dei territori” (Malavasi, 2013, p. 89).
Nel contesto della società della conoscenza la città fertile è una learning city, tale costrutto trova ampia diffusione nella letteratura delle scienze umane in dialogo con la pianificazione territoriale, specialmente nei lavori dell’OECD sull’apprendimento permanente (1992) e ha avuto un incremento nell’elaborazione avviata dall’UNESCO, in particolare dalla prima conferenza internazionale di Beijing (2013). Le Learning city assumono l’educazione come bene comune globale, che presuppone processi partecipativi e generativi per la governance democratica. Esse si basano sulla collaborazione e su valori condivisi quali il rispetto della vita e dell’ambiente, l’uguaglianza dei diritti e la giustizia sociale, la diversità culturale, la solidarietà internazionale e la comune responsabilità per un futuro sostenibile (UNESCO, 2015).
Si prefigurano città fondate sul concetto di cittadinanza attiva e sullo sviluppo delle competenze di cittadinanza per tutti, in cui i processi di apprendimento permanente si svolgono in diversi contesti (formali e non formali) da parte di tutti i suoi abitanti, rispondendo ai loro bisogni e desideri, puntando all’umanizzazione dei contesti del vivere comunitario. La strada per l’attuazione dei principii di sostenibilità richiede un confronto ed una progettazione interdisciplinare, per evitare i rischi di riferirsi esclusivamente alla transizione ecologica. Nella città è necessario una revisione organizzativa e di politiche che affrontino le conseguenze della crisi climatica, sia per quanto concerne la biodiversità biologica sia nella sua declinazione sociale. Oltre ad una conversione ecologica si rende necessaria una trasformazione sulle questioni connesse alla conoscenza e alla formazione.
Il documento Learning City e OSS (UNESCO, 2017) si definisce “una guida all’azione per integrare l’apprendimento permanente come un fattore chiave per raggiungere i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile” e mira ad implementare collaborazioni e reti per il comune raggiungimento di città più sostenibili, intelligenti e fertili, abitate da comunità generative in cui le differenze sono vissute come ricchezza.
4. Promuovere comunità interculturali
L’attenzione alle città come luoghi privilegiati di apprendimento risiede nel fatto che assumono sempre più un ruolo decisivo nell’acquisizione di conoscenze e competenze lungo tutto l’arco della vita, sia a livello personale sia nelle aggregazioni sociali, influenzando lo sviluppo di modelli organizzativi e produttivi.
Ma quale idea di sviluppo promuovono le learning city? Come perseguire la costruzione di comunità fertili? La risposta non è e non potrà mai essere univoca, perché la loro configurazione ed il loro orientamento devono essere intimamente connessi con la cultura e le persone che abitano un determinato ambiente e contesto.
I luoghi contano, le persone contano: occorre ridisegnare un orizzonte, coltivare una visione, progettare una strategia, promuovere le comunità affinché sia possibile un futuro più equo e solidale anche per le generazioni future. “Una learning city è una comunità capace di percepire, comprendere, prevenire ed orientare attivamente il cambiamento; è il luogo del dialogo interculturale; è una città creativa e sostenibile” (Braga, 2023, p. 361) nell’orizzonte lifelong learning.
L’interculturalità, in una prospettiva di sviluppo sostenibile, contribuisce ad aumentare la consapevolezza collettiva delle specificità culturali e a rafforzare le capacità degli attori locali di affrontare le differenze culturali e di considerarle nella definizione di soluzioni ai problemi di sviluppo. Attraverso questa prospettiva interculturale è possibile inculturare la circolarità e la sostenibilità entro il tessuto sociale, politico, economico ed educativo delle città e dei territori.
La scelta del verbo “inculturare” richiama un’azione proattiva del soggetto, protagonista del processo per far penetrare il paradigma circolare in un determinato ambiente socioculturale, invitando a porre un dialogo aperto e rispettoso delle diverse culture di appartenenza, creando sinergie tra valori delle società accoglienti, background storico e prospettive future. Secondo questa accezione, il termine inculturazione include l’idea di crescita e di reciproco arricchimento tra persone e gruppi, che può nascere dall’incontro della sostenibilità, intesa nell’accezione di sviluppo durevole, con un ambiente sociale e le culture autoctone. Questa inculturazione presuppone che dall’incontro di varie prospettive scaturiscano diverse declinazioni di città e comunità circolari, è ineludibile un processo integrale che coinvolga tutte le dimensioni dell’essere umano e della società per uno sviluppo che non sia unico, ma che assuma forme diverse e multiple.
È, quindi, auspicabile un rinnovato incontro tra culture e politica, modelli economici e formazione volto a produrre azioni e stili di comportamento fecondi per l’ambiente e per le persone. Esiste una grande diversità di approcci alla comprensione delle questioni economiche, sociali e soprattutto ambientali dello sviluppo a seconda delle aree culturali (Elamé, 2020). Bisogna anche interrogarsi sul significato delle conoscenze veicolate tramite le rappresentazioni sociali, ad esempio riferite all’ambiente e alle povertà, in quanto esse influenzano (e, talvolta, determinano) l’interpretazione della realtà, cioè il modello della realtà afferente al funzionamento delle società e cultura di appartenenza. Si tratta di utilizzare il capitale culturale del nostro pianeta in modo equo, solidale ed efficiente, sia dal punto di vista economico, sociale ed ecologico. La responsabilità interculturale significa sempre garantire che i bisogni culturali e interculturali siano soddisfatti (Elamé, 2004).
La settima edizione dell’EY Smart City Index 2025 analizza le città capoluogo italiane evidenziando come gli interventi di miglioramento partecipato nelle città hanno promosso innovazione ed inclusione sociale, “il cittadino non è più un semplice spettatore, ma un protagonista attivo della trasformazione urbana” (EY, 2025. p. 6). È necessario “ripartire dalla città” (Musaio, 2021) per promuovere comunità che diventino inclusive e generative. Per far questo serve un accostamento interdisciplinare che sappia integrare i diversi contributi e promuovere le potenzialità di nuovi stili educativi. La pedagogia in dialogo con l’economia riflette sull’impatto degli stili di vita delle persone in vista di un’economia al servizio dello sviluppo umano integrale. Guardare al bene comune nella città significa prendere atto di un rinnovato senso di appartenenza e partecipazione, due dimensioni che si alimentano in un circolo virtuoso, coinvolgendo aspetti emotivi, culturali e spirituali.
Una città della prossimità richiama la cura delle risorse naturali ed umane, richiede progettazione ed attuazione di processi di rigenerazione urbana per il bene comune e costruisce la comunità, nella condivisione e nel dialogo delle differenze. Una città che supera la dicotomia centro-periferie per riscoprire, anche e soprattutto nelle grandi metropoli, la dimensione del quartiere, delle relazioni corte in cui ritessere legami, reti ed alleanze per rispondere anche al bisogno diffuso di inclusione e la necessità di colmare il divario delle disuguaglianze.
Raccogliere la sfida della pedagogia circolare comporta una interazione feconda con la ricerca educativa e pedagogica. Rispetto ai processi di trasformazione sociale e culturale, è bene ricordare, come sottolinea Grange (2024, p. 77), che è necessario osservare la città per “pensare le trasformazioni, interpretarle, governarle dinamicamente e consapevolmente”.
La transizione verso una pedagogia circolare rappresenta un’occasione concreta di incontro fra la riflessione sull’educabilità umana e la città, richiede un orizzonte dialogico fertile tra discipline e ambiti del sapere.
Le città sono vive, si possono plasmare e crescere su diversi modelli e paradigmi, ma ognuna ha una sua identità in divenire, che nasce dall’incontro tra le persone e le culture che abitano in esse, da chi arriva, passa, resta. Lo scambio culturale tra comunità ed appartenenze, le reciproche influenze che scaturiscono dall’incontro modificano la fisionomia e le identità delle città; queste transizioni culturali necessitano di una regia che sappia ascoltare le diverse anime che abitano le città per educare e promuovere le potenzialità, rendendo ogni città aperta e generativa, a suo modo. Abitare, Educare, Promuovere.
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