Formazione & insegnamento, 23(S1), 8216

When Context Becomes a Mirror: Rethinking Practicability Through Reflection

Se il contesto è specchio: Quando la riflessione definisce orizzonti di praticabilità

ABSTRACT

This article explores key perspectives on the concepts of generativity and the centrality of context as developed by Umberto Margiotta, aiming to outline their potential horizons of meaning within contemporary educational research. Adopting an expanded perspective, the discussion seeks to move beyond purely applicative tendencies that risk weakening the transformative power of the constitutive link between theory and practice. Starting from an analysis of the key epistemological intersections within educational research, and through a critical reinterpretation of Margiotta’s pedagogical writings, this contribution outlines some distinctive features of educational contexts—particularly in the form of relational learning environments—conceived as formative settings in which subjectivities are mutually shaped.

L’articolo attraversa alcune delle prospettive del concetto di generatività e di centralità del contesto elaborate da Umberto Margiotta per delineare possibili orizzonti di senso delle stesse dentro la ricerca didattica odierna in una prospettiva allargata, che si propone di rifuggire dalle tendenze unicamente applicative che rischiano di depotenziare l’azione del nesso costitutivo della relazione tra teoria e prassi. A partire da una disamina delle istanze di intersezione dei nodi epistemologici della ricerca didattica, e attraverso una rilettura critica dei testi margiottiani, il contributo delinea alcuni dei tratti peculiari dei contesti educativi nella particolare forma degli ambienti relazionali di apprendimento quali dispositivi formativi di reciproca definizione delle soggettività.

KEYWORDS

Generativity, Relational Learning Environments, Educational Contexts, Educational Research

Generatività, Ambienti relazionali di apprendimento, Contesti educativi, Ricerca didattica, Umberto Margiotta

AUTHORSHIP

This article is the result of the work of a single author.

COPYRIGHT AND LICENSE

© Author(s). This article and its supplementary materials are released under a CC BY 4.0 license.

ACKNOWLEDGMENTS

This article is published with the support of Fondazione Umberto Margiotta, and illustrates some results of a funded research project titled “Insostenibili disuguaglianze. Volti e profili delle povertà Educative tra giustizia, Sistema scolastico e Politiche Inclusive”, part of the PIACERI 2024–2025 research plan at University of Catania.

CONFLICTS OF INTEREST

The Author declares no conflicts of interest.

RECEIVED

July 20, 2025

ACCEPTED

September 9, 2025

PUBLISHED ONLINE

October 2, 2025

1. Una questione di metodo/i

Nel panorama della scienza pedagogica, come notava già qualche anno fa Franco Cambi (2008), il dibattito di natura epistemologica sembra essere giunto quasi ad un punto di stallo in ragione certamente del raggiungimento di una buona dose di maturità del sapere e della scienza educativa, purtuttavia facendo segnare una tendenza alla contrazione dei lavori epistemologici riferiti ai modelli pedagogici in senso trasversale. Questa riduzione dell’attenzione sui modelli educativi sta assumendo una particolare configurazione che, almeno in parte, segna una distanza dalla lezione di Metelli di Lallo (1966) sul congegno molare, che assumeva in sé una sintesi d’integrazione dinamica tra l’aspetto empirico delle logiche sperimentali, quello teorico, dei modelli generali costruiti su dati sperimentali e ideazioni progettuali, e quello utopico, di teoria proiettiva e prospettica (Cambi, 2008). Ciò che sembra rilevarsi nel corso dell’ultimo decennio, infatti, è una tendenza alla chiusura dei diversi settori di ricerca di area pedagogica in sempre più angusti spazi d’indagine, riferiti tanto ai temi di ricerca quanto ai metodi, che rischiano di divenire autoreferenziali e scissi da una più grande prospettiva axiologica.

Dal punto di vista dello sviluppo storico delle diverse aree della ricerca pedagogica, è chiaro che i percorsi di definizione dei singoli settori non sono sovrapponibili poiché ognuno di essi ha proceduto secondo snodi propri. In particolare, nel caso dell’itinerario condotto dalla ricerca didattica (Visalberghi, 1978; Zaniello & De Vita, 2022) le istanze che hanno connotato le prime stagioni erano mosse dalla necessità di “uscire dall’incerto, dall’intuitivo, dall’approssimativo, dal frammentario” per approdare ad “un sapere organico che si serve di un metodo sicuro e tipico per giungere a indicazioni di carattere operativo tali da guidare una crescita verso fini mirati, filosoficamente fondati ma visti poi nella concretezza operativa” (Calonghi, 1993, p. 6). Al netto di questo importante e vitale traguardo, è necessario rilevare come la ricerca educativa contemporanea presenti tratti di una tendenza all’appiattimento delle indagini sulle applicazioni di modelli e strumenti spesso pensati in un altrove distante dai contesti di riferimento. In questo senso, la ricerca didattica non può dirsi immune dai rischi del neo-empirismo esasperato e superficiale di cui scrive Braidotti (2014); il liberismo economico ha imposto una prospettiva antintelletualista che penalizza le scienze umane ridimensionando il portato di tutti quegli aspetti peculiari dell’analisi teorica lasciando sempre più spazio al senso comune, al profitto economico e all’interesse individuale. In un tale scenario a forte spinta produttiva, la teoria viene screditata perché intesa come “una sorta di fantasia o di narcisistico autocompiacimento. Di conseguenza, la versione superficiale del neo-empirismo – spesso coincidente con la mera raccolta dei dati – è diventata la norma metodologica delle scienze umane” (2014, p. 8). Sebbene chiaramente queste affermazioni siano riferite ad ambiti molto vasti di ricerca, nondimeno, non è possibile non notare la vicinanza con alcune delle derive della ricerca didattica più recente che sembra affannarsi intorno all’analisi del dato senza avere chiara la direzione di ricerca o, peggio ancora, senza tenere in debita considerazione le conseguenze delle implicazioni che possono determinarsi dalle scelte metodologiche su tecniche, contesti ed esiti del lavoro.

In una prospettiva di necessario attraversamento dei saperi pedagogici che vada oltre gli steccati disciplinari e settoriali, sono gli stessi maestri e maestre della pedagogia che hanno contribuito a definirne il profilo scientifico a chiarire la necessità di una saldatura tra teoria e prassi, di un circolo virtuoso secondo la lezione di Frabboni (2001), di una irrinunciabile conoscenza e analisi dei modelli educativi, secondo la formulazione elaborata da Baldacci, che considera il modello educativo come lo schema concettuale che “salda in una medesima armatura concettuale l’elemento teleologico (uno o più fini formativi) con quello metodologico (una o più tecniche didattiche), facendo di questi elementi due facce della medesima medaglia pedagogica” (Baldacci, 2010, p. 67).

Esiste un’innegabile problematicità epistemologica della ricerca pedagogica che non può dirsi né unicamente teorica e né empirica perché il dato empirico in senso puro non esiste; esso si dà sempre dentro un dato linguistico e concettuale, è sempre pre-interpretato dentro uno spazio concettuale.

Tra i critici della deriva empirista occupa un posto di rilievo Umberto Margiotta che contribuisce a porre l’attenzione su tale questione interrogandosi sul ruolo e sulla centralità della ricerca pedagogica scrivendo quanto sia necessario che la pedagogia

“torni a studiare i nuovi ruoli e i nuovi paradigmi assunti da quanti producono conoscenza pedagogica. Perché sarà questa la specola – sempre più multilaterale – che accompagnerà le azioni didattiche e pedagogiche, educative e formative nei prossimi anni. La prospettiva chiede uno sguardo multilaterale e relazionale capace di padroneggiare la sintesi progressiva delle cinque seguenti funzioni: Analisi e spiegazione […], Sintesi […], Valutazione […], Prospettiva” (Margiotta, 2018, pp. 12–13).

Dopo aver posto sul tavolo la questione in questi termini, Margiotta chiosa con un’affermazione che ha il profilo di un manifesto programmatico scrivendo “Mai, forse, come in questo secolo l’umanità avrà bisogno di conoscenza pedagogica.” (Margiotta, 2018, pp. 12‍–‍13). Emerge una questione significativa per la ricerca di ambito pedagogico che non può essere lasciata sullo sfondo. Non è certamente possibile ritenere che la fervida stagione di dibattito del secolo scorso abbia chiarito tutte le questioni epistemologiche della scienza dell’educazione; se è vero che il rinnovamento dei temi trattati è un passaggio fisiologico e necessario dovuto alla peculiare accelerazione contemporanea, che pone innanzi costanti sfide alla pratica educativa, per altro verso, tuttavia, non sembrano poche le questioni di metodo su cui ancora la ricerca educativa può e deve continuare a lavorare in senso trasversale e multilaterale per non chiudersi dentro riduzionismi e settarismi che rischiano di svuotarne la spinta utopica al cambiamento e depotenziarne la fattiva azione di rinnovamento educativo.

È dentro questa breve nota di metodo che l’articolo attraversa alcune delle prospettive dei concetti di generatività e di centralità del contesto elaborate da Umberto Margiotta per delineare possibili orizzonti di senso delle stesse dentro la ricerca didattica odierna in una prospettiva allargata; quest’ultima volta verso la necessità di rifuggire dalle tendenze unicamente applicative che rischiano di svuotarla di quella già richiamata doppia faccia della medaglia dei modelli educativi e didattici.

2. Generatività e centralità del contesto

A dispetto di una solida impalcatura connessa con istanze di trasformazione, cambiamento e proiezione oltre lo stato attuale delle cose, il concetto di generatività è variabile, complesso e mutevole in ordine ai contesti di esperienza e di conoscenza, ai valori e alle prospettive tipiche dei diversi ambiti d’indagine delle scienze umane (Dario, 2014). La generatività è intrisa di slanci verso il futuro, dimensione trasformativa dell’esistente e di sfide legate al possibile che guardano oltre tutte le forme di stagnazione e autoreferenzialità (Amietta et al., 2011). La peculiare declinazione del concetto che ha elaborato Umberto Margiotta ha assunto nel corso del tempo una dimensione di elevata complessità capace di agire profondamente in termini di prospettive e gemmazione quasi rizomatica (Deleuze & Guettari, 1980) recuperando e valorizzando l’apertura metodologica a un pluralismo di modelli e metodi della ricerca educativa. Nel lavoro di Margiotta la generatività è un concetto polisemico che lo studioso curva rispetto a molteplici possibili nessi (Minello & Margiotta, 2011) e, nel panorama di tali correlazioni, uno degli aspetti che può ritrovare nella congiuntura contemporanea una proiezione articolata è sicuramente quello del contesto educativo. Se la rilevanza degli spazi dedicati alla didattica è ormai un dato acclarato dalla letteratura scientifica (Iori, 1996; Rossi, 2009; Strongoli, 2019; Vanacore & Gomez Paloma, 2020), tuttavia essa assume tratti significativi dal punto di vista educativo quando viene ad essere intesa dentro una dimensione relazionale d’impronta generativa. A proposito di questi aspetti, Margiotta pone l’attenzione sulla qualità educativa dello spazio e riconosce quale suo presupposto di fondo il fatto che essa non vada ricercata unicamente:

“Nella prossimità fisica e sociale ma soprattutto negli idonei processi generativi che si determinano tra la socialità primaria (relazioni comunitarie, di gruppo e sociali) e quella secondaria (dimensione culturale, lavorativa e civile), tra il mondo familiare e quello comunitario, tra la dimensione interna e quella esterna della vita del soggetto. […]. La nostra ipotesi di fondo è che l’anello di congiunzione possa essere costituito dalla prospettiva della generatività educativa e formativa che consente di legare il mondo sociale primario con quello secondario e governarne gli intrecci morfogenetici reciproci operando primariamente sulla formazione dell’identità nei soggetti in transizione (preadolescenti e adolescenti)” (Margiotta, 2017, p. 12).

Questa breve citazione, ricchissima di sollecitazioni in termini proiettivi, apre la disamina verso ulteriori chiavi interpretative plurali e multilivello. Innanzitutto lo spazio è, secondo Margiotta, un luogo sia metaforico e sia concreto di riconoscimento reciproco tra i soggetti della relazione educativa, tanto quando assume i tratti dello spazio pubblico e tanto quando esso è inteso come contesto educativo. Se nella ricerca didattica Loris Malaguzzi ha, in questo senso, segnato il passo definendo lo spazio come “il terzo educatore” (Edwards, 1993), oggi, dentro le dinamiche complesse cui le comunità educative sono esposte in termini di una sempre maggiore valorizzazione e relativa attenzione agli spazi mediali e multimediali, la ricerca educativa deve rinsaldare questa consapevolezza prestando particolare attenzione alla progettazione degli spazi educativi da intendersi come dispositivi formativi (Ellerani, 2023).

A un tale ordine di considerazione, tuttavia, è necessario aggiungere una postilla di disposizione meramente pratica, quasi prosaica, poiché, a dispetto della vasta letteratura sul tema, ciò cui assistiamo nella didattica quotidiana ci impone di riconoscere e affermare a gran voce che non tutti gli spazi sono educativi. Nella nota descrizione di un’aula scolastica condotta da John Dewey più di un secolo fa, nella quale constatava con rammarico come tutto fosse “fatto per ‘ascoltare’” (1976[1899], p. 32), ci sono non pochi punti di contatto con alcune realtà didattiche odierne, che spesso si limitano a sostituire la lavagna di ardesia con quella multimediale in nome di una presunta innovazione circoscritta soltanto ai mezzi e non ai metodi o alle tecniche (Ciari, 1971); il centro nodale continua a essere la cattedra, che è intesa come un polo di comando in grado garantire l’esercizio di una vigile sorveglianza e di disporre eventuali punizioni al fine di consentire un disciplinamento sociale dei corpi (Foucault, 1975).

Mantenendo la rotta delle posizioni deweyane, è necessario considerare che, così come non tutte le esperienze sono educative, parimenti, non tutti gli spazi educano (Strongoli, 2023); poiché essi non sono elementi neutri o meri sfondi scenografici per una scena che accade e si risolve tutta in primo piano. Gli oggetti che si possono toccare, gli spazi che si possono vivere e le interazioni con essi sono variabili intervenienti del processo di apprendimento che è pragmatico, esperienziale e determinato dall’interazione di corpi e ambienti in una forma biunivoca poiché esso provoca cambiamenti sugli elementi materiali, sociali e culturali e da questi viene trasformato costantemente (Massa, 1992; Ferrante, 2016; Barone, 1997). Il potenziale educativo o diseducativo degli spazi si attiva, dunque, a prescindere dalla consapevolezza degli attori in campo. Da qui diventa evidente come la qualità dello spazio sia una questione centrale nella progettazione di tutte le esperienze educative. Lo spazio in grado di educare è quello che smette di essere inteso come mero contenitore o sfondo e si trasforma in quella complessa e stratificata categoria educativa che è l’ambiente. Affinché gli spazi siano autenticamente educativi è necessario che essi assumano il profilo di quegli ambienti di apprendimento in chiave socio-costruttivista in grado di consentire accesso e manipolazione delle conoscenze (Varisco, 2002; Castoldi, 2020). Prima di addentrarci ulteriormente nell’analisi aggiungiamo un ulteriore tassello proveniente dai contributi di Margiotta su questo tema e in particolare dall’editoriale a La formazione dei talenti come nuova frontiera nel quale lo studioso si chiede:

“Nei contesti di apprendimento formale, informale e non formale in che modo il soggetto sviluppa, promuove e accredita i suoi talenti? Non si tratta più di esercitarsi in ingegnerie tecnologiche, sociali o istituzionali (la riforma della scuola, la flipped classroom, il curricolo verticale e quant’altro). Se la vera intelligenza dell’uomo consiste nel rendere intelligente il suo habitat, il profondo potenziale, la insondata, straordinaria risorsa di intelligenza che i giovani costituiscono a se stessi e a noi è data, in questo inizio di millennio, dal fatto che la loro intelligenza chiama connessione e lavora alla connessione: connessione con gli altri, con il lontano, con l’aldilà, con i morti, con il passato, con l’avvenire. Con l’accrescimento delle connessioni, non è tanto lo spazio a restringersi, quanto il senso dell’umano a espandersi”. (Margiotta, 2018, p. 11).

Il riconoscimento della centralità del contesto educativo e la reciprocità tra soggetti e habitat è una questione nodale che viene affrontata richiamando l’attenzione sul senso di un’umanità che deve, prima di tutto, riconoscere il potenziale intelligente e generativo del contesto. Nella fase contemporanea della transizione ecologica una tale attenzione chiama gli esseri umani alle loro responsabilità di uso indiscriminato dell’ambiente proprio in totale mancanza di questa reciprocità delle definizioni dei soggetti e degli ambienti. In una siffatta direzione di ricerca, è auspicabile condurre indagini sulla possibilità e l’opportunità di riconoscimento della doppia matrice che abita e agisce la categoria ambiente dentro le maglie del discorso pedagogico e della pratica educativa per favorire la reciprocità con le soggettività coinvolte nei processi di apprendimento (Strongoli, 2021).

3. Dagli spazi agli ambienti relazionali

Circoscrivere la densità connotativa e denotativa del termine e della categoria ambiente dentro gli studi di ambito pedagogico è un’impresa che può assumere i tratti di uno sforzo velleitario, data la profonda stratificazione e i pluriversi che si sono incrociati nel corso del tempo sul tema. Può essere, in parte, dirimente la sinossi condotta già da Bertolini, oltre quaranta anni fa, che considera l’ambiente come

[B]acino di cultura antropologica, scritta dalla stessa collettività di territorio; […] come testimone della storia personale di ogni allievo; […] come fonte di informazione e di istruzione (una specie di primo libro di lettura); […] come terreno di indagine/scoperta cognitiva (una specie di quaderno della ricerca); e […] come teatro dell’arte, sede di situazioni imprevedibili, inedite, straordinarie” (Bertolini, 1980, p. 5).

A questo stato dell’arte, chiaramente limitato allo spazio temporale del suo inquadramento, la congiuntura storica contemporanea aggiunge un ambiente che presenta sostrati e declinazioni semantiche e rappresentative particolarmente ampi e ricchi di complessità.

Le molte forme in cui l’ambiente si dà e le morfologie didattiche che, a sua volta, esso determina sono sfide che possono essere colte dentro la già richiamata prospettiva di centralità del contesto di Margiotta, che, tuttavia, non può mai darsi senza il riconoscimento della reciprocità delle soggettività e di quelle dimensioni relazionali che hanno potere generativo.

Nel panorama della ricerca educativa, è possibile prendere le mosse da una prima distinzione concettuale dell’ambiente per poi approdare a una proposta di sintesi. La prima differenziazione possibile è quella tra ambiente categoria della forma e categoria del contenuto (Strongoli, 2021; 2023). Rispetto alla forma, l’ambiente possiede tutte quelle caratteristiche cui si è accennato a proposito del contesto quindi si parla di ambienti educativi, scolastici, formativi, d’insegnamento e di apprendimento. In questo senso, l’ambiente come spazio scolastico, frutto di una progettazione educativa, diventa una vera e propria categoria costitutiva della didattica. La declinazione dell’ambiente come categoria di contenuto, invece, risponde all’idea di un’educazione ambientale, sostenibile, alla sostenibilità, cioè di un’educazione che si occupa dell’ambiente come tema da trattare e intorno al quale elaborare teorie e pratiche educative volte a formare soggetti consapevoli della necessità di tutelare appunto l’ambiente naturale.

Questa distinzione, tuttavia, non è necessariamente destinata a rimanere tale, cioè separata nei modelli, nei metodi e soprattutto nelle pratiche educative. La proposta degli ambienti relazionali di apprendimento salda in sé gli aspetti dell’ambiente categoria della forma e del contenuto come contesto e presunto oggetto esterno da tutelare, al fine di superare questo dualismo nell’ambito di una prospettiva ecodidattica (Strongoli, 2021). Come chiarito dalla proposta ecodidattica, infatti, progettare ambienti relazionali di apprendimento significa adottare almeno due principi di fondo d’impronta ecologica e sistemica (Bateson, 1972) quali pluralismo e transattività, che consentono di intendere, percepire e rappresentare l’ambiente come naturale e culturale insieme (Strongoli, 2023). Individuare e definire la transattività e il pluralismo quali principi di fondo conduce verso l’identificazione della principale peculiarità che costituisce la progettazione degli ambienti d’apprendimento ecodidattici, cioè la relazionalità. La dimensione relazionale nell’ambiente di apprendimento assume diverse declinazioni; innanzitutto, l’ambiente diventa relazionale quando a regolare i rapporti tra i soggetti coinvolti non è l’asimmetria, che può recare in sé l’attivazione di forme di esercizio del potere, bensì la reciprocità, intesa tanto come riconoscimento delle peculiarità delle soggettività, quanto nei termini di una collocazione dentro coordinate spaziali determinate da situazionalità e datità dell’esperienza.

Rispetto al secondo aspetto della relazionalità di questi ambienti di apprendimento, essa assume una dimensione metodologica poiché, in senso transattivo e in contrapposizione a forme di mera causalità lineare di se e allora, la logica che agisce è quella della circolarità costruttiva. Se, infatti, la progettazione didattica è costruita sulla relazione, allora la possibilità di partecipare è una forma di riconoscimento reciproco, perché si assume quale principio cardine che nessuno esista fuori da una relazione. In questo senso, la progettazione didattica deve prendere in carico la configurazione di molte forme di partecipazione, tra le quali certamente occupa un ruolo fondamentale quella periferica (Lave & Wenger, 1991), al fine di consentire il coinvolgimento decisionale tanto dei membri competenti, che occupano posizioni centrali, quanto dei soggetti meno esperti ponendo in essere pratiche d’insegnamento segnate da decentramento e riconoscimento e scevre da controllo e potere.

La terza declinazione che assume la relazione negli ambienti d’apprendimento ecodidattici è relativa alle scelte di metodi e tecniche didattiche coerenti con i valori stessi della relazionalità (Strongoli, 2023). Come si è chiarito brevemente con la nota di metodo, al plurale, posta in apertura, è necessario che la pratica didattica, in questo caso quella della progettazione didattica in contesti scolastici, si interroghi sugli orizzonti verso i quali guardare, sui valori che si propone di veicolare poiché, parimenti al contesto, anche le tecniche adottate nelle attività didattiche non sono neutre. Non possono “stare indifferentemente al servizio di Dio e di Satana, come un semplice strumento che può essere adoperato bene o male” (Ciari, 1971, p. 27); i valori educativi sono immanenti alle tecniche didattiche (Baldacci, 2004), che, a loro volta, sono connesse con i modelli e con la cultura didattica di riferimento. Assumendo questa consapevolezza dell’inevitabilità della veicolazione di valori e riferimenti in tutte le dimensioni coinvolte nella progettazione didattica, diventa chiaro come non possano essere lasciati sullo sfondo i curricoli impliciti che, nel panorama degli ambienti relazionali di apprendimento, fondati su pluralismo e transattività, non possono non essere orientati nei termini di partecipazione e cooperazione. Queste ultime sono le caratteristiche distintive attraverso le quali la relazionalità prende forma in senso didattico: la partecipazione richiama immediatamente all’attenzione sia la dimensione legata alla legittimazione periferica cui si è accennato e sia l’apertura verso orizzonti di carattere politico nel senso di una pratica educativa democratica (Dewey, 1916) che guarda al contesto intendendolo come quello spazio pubblico richiamato in apertura con le parole di Margiotta. Costruire e progettare ambienti d’apprendimento che consentano la partecipazione significa agire in aderenza a un principio democratico che guarda al coinvolgimento di tutte e tutte nel processo di apprendimento, poiché non poter prendere parte alle pratiche che sono considerate rilevanti da una comunità significa, di fatto, non poter apprendere. Sull’altro versante, il cooperativismo dà forma alla relazionalità in modo quasi fisiologico perché nelle pratiche educative cooperative ciò che si configura è un’azione di tipo ecosistemico che attiva e sviluppa comunità di apprendimento, all’interno delle quali si costruiscono conoscenze, abilità e competenze (Ellerani, 2020), e comunità di pratiche (Wenger, 1998; Alessandrini, 2007) nelle quali si possano co-costruire e condividere percorsi ecodidattici (Strongoli, 2021).

Nell’ambito di questi temi ricchi di declinazioni possibili e fronti di ricerca, il lascito di Margiotta alla comunità scientifica pedagogica mostra una generatività in senso rizomatico, cioè la possibilità di trovare declinazioni ulteriori utili a orientare il discorso pedagogico e la pratica educativa in una congiuntura storica votata alla rapidità di azione e svuotata della possibilità e dell’opportunità della stasi e del tempo lento cui ci richiama Francesch (2009). La ricerca didattica, in particolare, può trarre molta profondità di prospettiva dalla lezione margiottiana di praticare forme educative in grado di rendere intelligente l’habitat e di riconoscere la centralità del contesto e dell’ambiente dotati di tridimensionalità e non appiattiti sul mero riscontro del dato empirico.

Esistono condizionamenti reciproci che riguardano le molte dimensioni che abitano e definiscono la ricerca educativa e non possono essere lasciati sullo sfondo delle pratiche e delle indagini didattiche; il pluralismo, allora, deve essere una cifra distintiva tanto della progettazione degli aspetti di contesto in senso ecologico quanto delle scelte di metodo. Rispetto alla prima dimensione ecologica a essere richiamata è la necessità di guardare all’educabilità delle soggettività e alla capacitazione dei contesti che ne espandono i potenziali correlati a un’estensione delle forme e dei metodi che possono e devono traguardare l’idea stessa di società (Ellerani, 2023); in ordine alla questione di metodo, è la lezione di Feyerabend (1964) a ricordare che si può essere buoni empiristi soltanto se si è pronti a operare con molte teorie alternative anziché con un singolo punto di vista tutto chiuso in quella esperienza. Pertanto, la scienza dell’educazione tutta non può sottrarsi alla generatività di dispositivi ed esiti di ricerca che contribuiscano intenzionalmente alla riduzione dei divari sociali, culturali ed economici.

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