Formazione & insegnamento, 23(S1), 8158

Between Chrónos and Kairós , towards a generative pedagogy: The relationship between time and talent in the era of immersive environments and digital innovation

Tra Chrónos e Kairós , verso una pedagogia generativa: La relazione tra tempo e talento nell’era degli ambienti immersivi e dell’innovazione digitale

ABSTRACT

In a time marked by systemic accelerations, anthropological mutations and technological innovations, education is called to re-signify its mission, reconfiguring time and relationship as founding axes of a generative pedagogy. This paper explores how school can become a space capable of inhabiting the Kairós – the opportune time for meeting, listening and discovery – in contrast with the standardizing logic of Chronos. A theoretical and practical reflection is proposed on the centrality of the educational relationship in the blossoming of talent, understood not as an innate gift, but as a situated and transformative potential that emerges in the relational fabric. In this framework, hybrid and immersive environments, such as the Eduverse and 3D virtual worlds, represent pedagogical opportunities to restore meaning and depth to the educational experience, promoting participation, agency and well-being. Through references to school practices such as the DADA model and the intentional use of digital technologies, the essay outlines a sustainable, multi-temporal and relational school, oriented towards the integral formation of the person and the construction of shared futures.

In un tempo segnato da accelerazioni sistemiche, mutazioni antropologiche e innovazioni tecnologiche, l’educazione è chiamata a risignificare la propria missione, riconfigurando il tempo e la relazione come assi fondativi di una pedagogia generativa. Il presente contributo esplora come la scuola possa diventare uno spazio capace di abitare il Kairós – il tempo opportuno dell’incontro, dell’ascolto e della scoperta – in contrasto con la logica standardizzante del Chronos. Viene proposta una riflessione teorica e pratica sulla centralità della relazione educativa nella fioritura del talento, inteso non come dote innata, ma come potenziale situato e trasformativo che emerge nel tessuto relazionale. In questo quadro, gli ambienti ibridi e immersivi, come l’Eduverso e i mondi virtuali 3D, rappresentano opportunità pedagogiche per restituire senso e profondità all’esperienza educativa, promuovendo partecipazione, agency e benessere. Attraverso riferimenti a pratiche scolastiche come il modello DADA e l’uso intenzionale delle tecnologie digitali, il saggio delinea una scuola sostenibile, pluritemporale e relazionale, orientata alla formazione integrale della persona e alla costruzione di futuri condivisi.

KEYWORDS

Educational Generativity, Time to Learn, Talents, Eduverse, Pedagogy of Care

Generatività Educativa, Tempo dell’Apprendere, Talenti, Eduverso, Pedagogia della Cura

AUTHORSHIP

This article is the result of the work of a single Author.

COPYRIGHT AND LICENSE

© Author(s). This article and its supplementary materials are released under a CC BY 4.0 license.

ACKNOWLEDGMENTS

This article was published with the support of Fondazione Umberto Margiotta.

CONFLICTS OF INTEREST

The Author declares no conflicts of interest.

RECEIVED

June 30, 2025

ACCEPTED

September 9, 2025

PUBLISHED ONLINE

September 29, 2025

PUBLISHED

1. Introduzione

Nel tempo presente, segnato da transizioni antropologiche, culturali, tecnologiche e ambientali , l’educazione si trova al crocevia tra continuità e cambiamento (Tomarchio et al., 2025). L’iperaccelerazione della società contemporanea, guidata da logiche neoliberiste di efficienza e standardizzazione, ha inciso profondamente sull’esperienza educativa, alterando la percezione del tempo e svuotando spesso la relazione pedagogica del suo spessore esistenziale (Han, 2020). Come ha osservato Longo (2009), la digitalità ha prodotto una mutazione antropologica che investe i processi conognitivi, comunicativi ed emotivi sollecitando la pedagogia a ridefinire le categorie.

In questo scenario di “presentismo” (Hartog, 2003), l’educazione rischia di appiattirsi sul presente immediato, perdendo la capacità di orientare, generare senso. Margiotta (2018) parla, di una “equazione esistenziale” che lega transizione e rapidizzazione, richiamando l’educazione alla sua funzione generativa: trasmissione di saperi, ma anche scoperta di sé, narrazione e apertura al possibile.

La generatività educativa implica la capacità di valorizzare la singolarità di ciascuno, intesa come costruzione situata e trasformativa (Delors, 1996; Mortari, 2017). Il talento, infatti, non è un dato innato, ma prende forma nel tempo e attraverso le relazioni.

In questa prospettiva, il contributo intreccia due assi fondanti: tempo e relazione. Il tempo rimanda alla tensione tra Chronos e Kairós, che, secondo Paul Ricœur (1986), si implicano reciprocamente: il primo è misurabile e curricolare, il secondo è il tempo opportuno, dell’attesa e dell’incontro trasformativo. Restituire spazio al Kairós significa riconoscere che l’apprendimento autentico richiede lentezza e ascolto.

La relazione, invece, è il dispositivo che permette la generazione della soggettività e del talento. Educare significa costruire una “comunità educante”, fondata su cura e corresponsabilità (Dozza, 2018; Nussbaum, 2010). In questo quadro, anche le tecnologie digitali e immersive – come i mondi virtuali 3D o l’Eduverso – possono rappresentare un’estensione potenziante della relazione, arricchendo l’incontro educativo e aprendo nuovi spazi di inclusione e co-costruzione del sapere (Baricco, 2018; Ranieri, 2022; Filippone et al., 2023).

Il saggio si articola dunque in tre momenti: un approfondimento teorico sul rapporto tra Chronos e Kairós, una riflessione sulla relazione come dispositivo generativo e, infine, l’analisi di esperienze scolastiche innovative – come le scuole DADA o i mondi virtuali 3D – che mostrano come il tempo della relazione possa diventare tempo generativo del talento.

2. Tempo e talento: tra accelerazione e cura

Il tempo dell’educazione non è mai neutrale: ogni sistema formativo, ogni dispositivo didattico, ogni pratica pedagogica incorpora una visione implicita del tempo, che si traduce in scelte organizzative, curricolari, valutative e relazionali. Come ha evidenziato Ricœur (1986), non esiste narrazione – e dunque non esiste educazione – senza un’intenzionalità temporale, una configurazione che intreccia esperienza vissuta e aspettative. Nel contesto della modernità avanzata, la scuola si è progressivamente assestata su un modello temporale ispirato al Chronos: un tempo lineare, omogeneo, misurabile, che suddivide la giornata in segmenti orari, l’anno scolastico in moduli prestabiliti, e l’apprendimento in tappe standardizzate scandite da prove di verifica, prove INVALSI, esami e crediti formativi.

Questa temporalità, che potremmo definire “amministrativa” o “burocratica”, riflette un modello educativo fortemente performativo, orientato alla misurazione degli output, alla valutazione comparativa e al controllo dei risultati. È il tempo delle competenze da acquisire entro scadenze definite, delle performance da produrre in un tempo utile, della didattica a obiettivi tradotta in tabelle di marcia. In questo orizzonte, il tempo tende a essere percepito come un vincolo da ottimizzare, più che come un ambiente da abitare. Tale visione, pur necessaria per garantire l’organizzazione scolastica, rischia di ridurre l’educazione ad un processo meramente tecnico, ad un semplice meccanismo di input-output, perdendo così di vista la sua dimensione antropologica, relazionale e trasformativa (Benasayag & Schmit, 2013; Frabboni, 2005).

Tuttavia, l’educazione, se concepita come esperienza formativa autentica, si colloca anche – e soprattutto – in una temporalità altra, non misurabile ma vissuta, che si avvicina a ciò che i Greci chiamavano Kairós. Si tratta di un tempo qualitativo, “pregno di senso”, in cui qualcosa accade non per necessità, ma per possibilità. Kairós è il tempo propizio dell’incontro, dell’intuizione, della scoperta; è il momento educativo che sfugge alla pianificazione, ma che lascia traccia. È il tempo in cui si produce una risonanza tra soggetto e mondo, tra educatore ed educando, come suggerito da Hartmut Rosa (2016), in un processo di continua co-costruzione del senso, che rende l’educazione un evento e non solo un compito (Maccarini, 2023).

In questa prospettiva, il tempo educativo diventa spazio di cura, di ascolto e di attenzione verso la singolarità dell’altro. Educare al Kairós significa aprire varchi di possibilità nella rigidità del Chronos, sospendendo l’urgenza della prestazione per accogliere la complessità del divenire soggettivo. Del resto la cura educativa è un modo d’essere con l’altro che ha bisogno di tempo lento, di silenzi generativi, di pensiero riflessivo (Mortari, 2006), e la scuola, intesa come comunità educativa, dovrebbe allora riconoscere l’importanza di questa temporalità esperienziale e relazionale, che è prerequisito per ogni apprendimento autentico e trasformativo.

Il paradigma dell’accelerazione sociale, teorizzato da Rosa (2005), evidenzia come la modernità tardi-capitalistica abbia imposto ritmi sempre più veloci ai processi vitali, sostituendo i cicli naturali e corporei con quelli artificiali e digitali. L’ingresso massivo delle tecnologie nella quotidianità scolastica – dai registri elettronici alla didattica digitale integrata – ha acuito questo scollamento tra il tempo vissuto e il tempo organizzato. Come osserva Longo (2009), la “dislocazione del tempo biologico” causata dalla pervasività digitale può produrre effetti paradossali: iperattivazione mentale ma ridotta interiorizzazione, accesso continuo all’informazione ma impoverimento dell’esperienza.

È in questo scenario che emerge con urgenza la necessità di ripensare i tempi educativi come tempi di senso e di soggettivazione. Il talento, inteso non come dote innata ma come possibilità evolutiva inscritta nella relazione educativa (Margiotta, 2018), ha bisogno di un tempo che lo accolga e lo coltivi. Non si manifesta sotto pressione né in risposta a una richiesta esterna, ma matura attraverso percorsi tortuosi, non lineari, fatti di soste, esitazioni, fallimenti e rilanci. “Non vi è talento senza tempo”, e ciò implica la costruzione di contesti educativi capaci di sospendere l’urgenza, di proteggere l’imprevedibile, di valorizzare l’attesa (Margiotta, 2018). La scuola generativa è quella che sa tessere trame temporali aperte, che non impongono ma accompagnano, che non uniformano ma liberano.

In questo orizzonte si inserisce una pedagogia della cura del tempo, che trova consonanza con le riflessioni di Joan Tronto (1993) sulla cura come attività che include tutto ciò che facciamo per mantenere, continuare e riparare il nostro mondo. Una scuola che cura il tempo è una scuola che non solo insegna, ma che custodisce i processi di crescita, che rispetta i tempi soggettivi dell’apprendere, che riconosce la dimensione affettiva, emotiva e simbolica dell’educazione.

Infine, occorre sottolineare come il tema del tempo possa essere riletto alla luce delle innovazioni pedagogiche e tecnologiche contemporanee. I nuovi ambienti di apprendimento – virtuali, ibridi, immersivi – se progettati con consapevolezza pedagogica, non devono replicare le logiche accelerazioniste del mondo digitale, ma possono diventare luoghi di rigenerazione temporale. Possono cioè offrire esperienze di apprendimento che, pur mediate dalla tecnologia, restituiscono tempo all’esperienza, alla riflessione, alla scoperta. Come affermano D. Randy Garrison, Terry Anderson e Walter Archer (2000) nel loro Community of Inquiry Framework, le tecnologie educative possono sostenere una “presenza cognitiva” e una “presenza sociale” che nutrono il pensiero critico e la relazione, restituendo profondità all’atto di apprendere.

In definitiva, educare al tempo significa educare alla vita e riconoscere che ogni soggetto ha un tempo proprio per fiorire, e che la funzione più alta della scuola non è quella di riempire il tempo degli alunni, ma di liberarlo affinché ciascuno possa scoprire il proprio ritmo, il proprio Kairós, la propria vocazione.

3. La relazione come fucina del talento

Nel quadro della pedagogia generativa, la relazione educativa rappresenta la condizione fondativa per l’attivazione del talento individuale. Non si tratta, infatti, di un semplice canale funzionale alla trasmissione del sapere, ma di uno spazio simbolico ed esistenziale in cui prende forma l’identità del soggetto e in cui il suo potenziale può essere riconosciuto, evocato, accompagnato e sostenuto. La relazione è ciò che rende possibile l’educazione nella sua accezione più piena: un processo trasformativo che mette in gioco il sé e l’altro in un’alleanza dinamica e orientata alla crescita. In tale prospettiva, il talento non è da considerarsi un attributo stabile o innato, ma un “possibile” che si attualizza attraverso l’incontro educativo.

Come sottolineano Luigina Mortari, Federica Valbusa e Marco Ubbiali (2020), “l’educazione è relazione” nella misura in cui implica un aver cura dell’altro nella sua irriducibile unicità. Educare, allora, è molto più che trasmettere conoscenze: è abitare uno spazio di presenza autentica, dove l’altro possa essere visto e accolto come portatore di desideri, emozioni, domande e risorse. Questo sguardo pedagogico, radicato nella fenomenologia e nell’etica della cura, si oppone radicalmente a ogni logica di oggettivazione dell’alunno, trattato non come soggetto da comprendere, ma come oggetto da istruire. In tal senso, la relazione educativa assume una dimensione epistemologica, affettiva e politica: è il luogo in cui si ridefiniscono i confini del possibile per ogni soggetto.

Il talento, quindi, non è una proprietà individuale da isolare e misurare, ma una realtà situata, che emerge solo all’interno di una trama relazionale significativa. Come evidenziato da Martha Nussbaum (2011), la fioritura umana non può essere ridotta a esiti misurabili in termini di performance, ma deve essere interpretata come una “capacità” di vivere una vita che abbia valore per chi la vive. In questa prospettiva, il talento si configura come una capability, ovvero come una libertà sostanziale di sviluppare ciò che si ha motivo di valorizzare, sulla base del contesto relazionale, sociale e culturale in cui si è inseriti (Sen, 1999). La pedagogia generativa, allora, è chiamata a farsi promotrice di ambienti in cui queste capacità possano emergere, essere riconosciute e coltivate.

Ma perché ciò accada, è necessario che il contesto educativo sia permeato da relazioni autentiche e non strumentali, relazioni che sappiano essere accoglienti senza essere compiacenti, che siano capaci di offrire contenimento senza soffocare, che favoriscano l’emergere della soggettività senza determinarla dall’esterno. Massimo Baldacci e Antonino Titone (2025) avanzano una critica severa alla scuola orientata al merito, che tende a identificare il valore della persona con la sua prestazione. Propongono, invece, una scuola della persona, in cui il riconoscimento del talento non passi per la selezione, ma per la valorizzazione delle differenze, dei tempi e dei linguaggi attraverso cui ogni soggetto può esprimere la propria unicità (Michelini, 2023).

Fondamentale, in questo senso, è anche l’idea di presenza educativa. La presenza dell’educatore è presenza generativa se è capace di far emergere l’altro nella sua unicità, senza mai sostituirsi a lui, senza mai ridurlo a un progetto estraneo alla sua interiorità (Mortari, 2017). L’educatore “autenticamente presente” non impone forme, ma crea le condizioni perché forme nuove possano emergere. Questo significa sospendere il giudizio, accogliere l’incertezza, sostare nel tempo dell’altro senza fretta di valutare o correggere. È una pedagogia dell’ascolto, della cura, dell’attesa, che trova il suo fondamento non nella tecnica ma nell’etica della relazione.

In quest’ottica, la scuola si configura come una “comunità educante” (Dozza, 2018), un contesto allargato e partecipato in cui l’educazione non è solo responsabilità dell’insegnante, ma frutto della cooperazione tra molteplici soggetti: studenti, docenti, famiglie, territorio, servizi. È nella coralità delle relazioni educative che si rende possibile un ambiente capace di sostenere e nutrire la crescita integrale della persona. La comunità educante diventa così spazio generativo per eccellenza, dove l’interdipendenza si traduce in corresponsabilità educativa e dove ogni attore può contribuire a far fiorire il talento, non come competenza da certificare, ma come dimensione esistenziale da accompagnare.

Tale processo richiede tempo, continuità e fiducia reciproca. Richiede anche un’alleanza educativa forte, capace di resistere alle pressioni performative e standardizzanti che spesso condizionano la scuola contemporanea. Ma soprattutto richiede una visione pedagogica che riconosca nella relazione il luogo primario dell’apprendimento, della trasformazione e della generatività. Parafrasando Baldacci (2020), educare è far esistere l’altro come soggetto pensante e agente, e ciò implica creare le condizioni perché egli possa prendere parola, agire, scegliere e immaginare un futuro in cui sentirsi protagonista.

Infine, è nella densità affettiva della relazione educativa che si apre lo spazio per una scuola autenticamente generativa: una scuola che non si limita a preparare al futuro, ma che rende vivibile e significativo il presente, una scuola che non coltiva il talento come risorsa economica da spendere sul mercato, ma come espressione umana da valorizzare nella sua integralità, una scuola che crede che il tempo dell’educazione sia tempo del possibile, dell’imprevisto, della fioritura, una scuola che, nel prendersi cura della relazione, si prende cura dell’umano.

4. Ambienti ibridi e mondi immersivi come contesti generativi

Nel panorama educativo contemporaneo, caratterizzato da rapide trasformazioni culturali, tecnologiche e sociali, la scuola è chiamata a ripensare radicalmente i propri spazi, tempi e linguaggi. In particolare, l’ibridazione degli ambienti di apprendimento e l’emergere di nuovi scenari didattici come l’avvento di mondi virtuali 3D nella didattica e nella didattica speciale – che favoriscono esperienze di apprendimento immersivo – pongono nuove sfide ma anche inedite possibilità per la costruzione di contesti formativi autentici e generativi. La pedagogia è oggi interpellata a confrontarsi con scenari che superano la dicotomia tradizionale tra reale e virtuale, fisico e digitale, in favore di un approccio ecologico, che considera l’ambiente come relazione educativa incarnata (Lave & Wenger, 1991; Rivoltella, 2020).

Gli ambienti ibridi, per loro natura, intrecciano elementi fisici e digitali, sincronici e asincronici, individuali e collettivi, dando forma a ecologie dell’apprendimento in cui il soggetto è attivamente coinvolto nella co-costruzione di senso. Tali ambienti possono essere intesi come contesti generativi nella misura in cui stimolano processi di esplorazione, riflessività, espressione del sé e costruzione di competenze complesse (Siegel, 2021; Morin, 2001). La generatività, in senso pedagogico, non coincide con la semplice produzione di contenuti o prestazioni, ma si manifesta nella capacità di attivare la soggettività dell’alunno, promuovere la sua agency e favorire la sua partecipazione significativa a un’esperienza formativa trasformativa (Delors et al., 1996).

In questo scenario, il concetto di Eduverso – inteso come universo educativo immersivo, relazionale, narrativo – acquisisce una rilevanza particolare. Esso non si limita a designare l’utilizzo del metaverso in chiave tecnologica, ma rappresenta un paradigma educativo emergente che integra immersione, interattività e personalizzazione dell’apprendimento (Filippone et al., 2023). A differenza del virtuale spettacolarizzato, centrato sul consumo passivo e sulla gamification fine a se stessa, l’Eduverso – se fondato su principi pedagogici solidi – può divenire un ambiente etico, in cui si apprendono non solo contenuti ma modi di essere nel mondo, attraverso il dialogo, la narrazione e la cooperazione (Gee, 2003; Jenkins, 2009).

Il tempo all’interno di questi ambienti non è più quello lineare scandito dall’orologio scolastico, ma assume la qualità del tempo vissuto, soggettivo e qualitativo, vicino alla concezione di Kairós proposta da Ricœur (1986): un tempo opportuno, che permette all’alunno di abitare l’esperienza secondo il proprio ritmo, attivando la riflessività e l’intenzionalità. In ambienti educativi immersivi come quelli offerti da piattaforme quali FrameVR, CoSpacesEdu o Mozilla Hubs, il tempo diventa una variabile flessibile che si adatta ai bisogni formativi dello studente, sostenendo percorsi di apprendimento personalizzati e dinamici (Ashan et al., 2025; Damaševičius & Sidekerskienė, 2024).

Le evidenze empiriche suggeriscono che l’uso intenzionale di ambienti virtuali immersivi in ambito educativo favorisca l’attivazione di processi cognitivi superiori: pensiero critico, creatività, problem solving e metacognizione. In particolare, la progettazione di escape room educative, esperienze di digital storytelling e simulazioni 3D contribuisce a creare situazioni di apprendimento situato, nelle quali la conoscenza viene costruita in modo contestuale e significativo (Brown et al., 1989). Inoltre, l’elemento narrativo si rivela essenziale per facilitare l’integrazione tra cognizione ed emozione, tra memoria episodica e progettualità, restituendo all’apprendimento la sua dimensione esperienziale e trasformativa (Bruner, 1990; Mortari, 2006).

Un esempio particolarmente significativo di tale approccio è rappresentato dall’esperienza delle scuole DADA (Didattiche per Ambienti Di Apprendimento), dove l’organizzazione per ambienti disciplinari, laboratori e spazi flessibili si integra con l’uso di tecnologie inclusive e metodologie attive. In questi contesti, lo studente non è visto come un semplice destinatario della lezione, ma come un attore riflessivo coinvolto in una comunità di pratica, dove la responsabilità, la libertà e il riconoscimento delle proprie inclinazioni diventano leve educative (Cecalupo & Fattorini, 2023; Dato et al., 2021). I compiti autentici, il cooperative learning e l’approccio per progetti favoriscono l’emergere di forme di talento che non si esauriscono nella performance, ma si esprimono nella capacità di creare connessioni, di comunicare in modo efficace e di generare nuove prospettive.

Il talento, in questa prospettiva pedagogica, non è sinonimo di eccellenza misurabile, ma di possibilità generativa: è l’abilità di immaginare alternative, di resistere all’omologazione, di dare forma a mondi possibili (Nussbaum, 2011). Gli ambienti ibridi e immersivi, se progettati con cura pedagogica, diventano quindi luoghi in cui il talento può emergere non come privilegio, ma come diritto educativo; non come eccezione, ma come espressione del sé in relazione con gli altri. Come sottolineano Chipa e Moscato (2010), l’ambiente educativo è tanto più generativo quanto più è in grado di mettere in risonanza le dimensioni affettiva, cognitiva ed etica del soggetto in apprendimento.

L’integrazione consapevole delle tecnologie nell’ecosistema scolastico richiede, pertanto, un’elevata competenza pedagogica, capace di orientare l’innovazione verso finalità educative chiare: promuovere il ben-essere, l’inclusione, la cittadinanza attiva e lo sviluppo delle capabilities (Sen, 1999; Nussbaum, 2011). In questo senso, l’ambiente generativo è un ambiente che abita il tempo dell’altro, che ascolta, che accoglie, che valorizza la diversità come risorsa. È lo spazio della relazione intenzionale, della narrazione condivisa e della trasformazione possibile.

Gli ambienti ibridi e immersivi, quindi, possono rappresentare una delle espressioni più avanzate di una pedagogia generativa e trasformativa, capace di coniugare tecnologia e umanità, innovazione e cura, narrazione e riflessione. In essi si realizza un tempo educativo altro, in cui la relazione e il talento si incontrano, si nutrono a vicenda e danno vita a nuove forme di apprendere, di essere e di convivere.

5. Scuola sostenibile e pluritemporale: pratiche ed esempi

Ripensare la scuola in chiave generativa significa attribuirle una nuova funzione epistemologica e culturale: non più luogo esclusivamente deputato alla trasmissione standardizzata del sapere, ma spazio-tempo formativo in cui prende forma un’ecologia complessa dell’apprendere. In tale visione, la scuola si configura come un organismo vivente, dinamico e situato, capace di adattarsi ai bisogni delle soggettività in apprendimento, valorizzandone la molteplicità dei tempi, delle esperienze e delle potenzialità. Questo implica la decostruzione del paradigma lineare e sincronico del tempo scolastico, che da sempre ha orientato l’organizzazione istituzionale verso ritmi rigidi, prestazioni standard e logiche valutative seriali, per dare spazio a una pluralità di temporalità educative, in cui possano coesistere apprendimento formale e informale, attività cognitive e riflessive, momenti di interiorizzazione e pause generative (Frabboni, 2005; Mortari, 2017).

Una scuola può dirsi sostenibile, nel senso pedagogico del termine, quando sa riconoscere e onorare i tempi soggettivi dell’apprendimento, ponendo al centro il benessere cognitivo ed emotivo dello studente. La sostenibilità educativa, infatti, non si esaurisce nel rispetto delle risorse ambientali o materiali, ma si esplicita anche come cura del tempo, come attenzione alla qualità della presenza educativa, alla dimensione dialogica dell’insegnare, alla co-costruzione lenta e profonda del sapere. Questo approccio si radica in una pedagogia dell’ascolto e dell’interdipendenza, capace di generare ambienti relazionali accoglienti e cognitivamente fertili, in cui la conoscenza non viene “erogata”, ma vissuta in forme incarnate e situate (Boffo et al., 2022; Biesta, 2015).

All’interno di questa cornice teorica si colloca il modello DADA, che rappresenta una delle esperienze più significative di riconfigurazione della scuola in chiave ecosistemica. In questo modello, la mobilità degli studenti tra ambienti disciplinari appositamente allestiti non costituisce una semplice innovazione organizzativa, ma un vero e proprio cambiamento epistemologico. Il tempo scolastico viene destrutturato, il setting didattico si adatta alle esigenze pedagogiche, e lo studente diviene soggetto attivo, capace di scegliere, organizzare, orientare il proprio apprendimento in modo progressivamente autonomo. L’architettura scolastica stessa si trasforma in dispositivo pedagogico, spazio di agency e responsabilità condivisa, in cui l’apprendimento è scandito da tempi lunghi, dilatati, in cui si coltiva la riflessione e si valorizza il percorso, non solo l’esito (Cecalupo & Fattorini, 2023).

Questa visione si arricchisce ulteriormente con l’integrazione consapevole e pedagogicamente orientata delle tecnologie digitali. Lungi dal rappresentare una modalità accelerata e performativa dell’insegnamento, gli strumenti digitali possono configurarsi come opportunità per restituire tempo, generare lentezza, favorire forme di apprendimento asincrono, riflessivo e collaborativo. Ambienti interattivi innovativi, come i box digitali interattivi (Filippone et al., 2024), o escape room educative sviluppate in realtà virtuale con piattaforme come FrameVR (Bevilacqua & Filippone, 2023), aprono spazi di esplorazione in cui gli studenti possono ritornare sui contenuti, interagire con materiali complessi, co-creare narrazioni, costruire significati condivisi. In questi contesti, la tecnologia non detta il ritmo ma si pone al servizio del tempo interiore dell’allievo, permettendo una didattica personalizzata, auto-regolata, significativa (De Freitas & Veletsianos, 2010).

Al centro di questa rivoluzione temporale ed ecologica si colloca la relazione educativa, intesa non come semplice co-presenza fisica, ma come esperienza intenzionale e generativa di incontro, cura e riconoscimento. L’insegnante, in questa prospettiva, non è tanto colui che “impartisce” contenuti, quanto colui che sa “abitare” il tempo dell’altro, che accetta la complessità della crescita e l’imprevedibilità del processo formativo. Si tratta di una figura pedagogica capace di sostare nel dubbio, di attendere l’altro nel suo processo di maturazione, di modulare il ritmo dell’interazione educativa secondo le esigenze relazionali ed emotive dello studente (Mortari, 2017). Come evidenzia Baldacci (2020), una scuola autenticamente democratica e inclusiva deve emanciparsi dalla logica premiale del merito individuale e abbracciare una pedagogia della responsabilità, che ponga ciascuno nelle condizioni di realizzare il proprio talento in relazione con gli altri e nel rispetto della pluralità delle traiettorie di crescita.

Tale visione implica una riformulazione profonda del concetto di talento, non più inteso come dotazione individuale da misurare, ma come emersione situata e relazionale, frutto di un intreccio tra opportunità, contesto, supporti educativi e tempi di sviluppo. Una scuola generativa è dunque una scuola che favorisce la fioritura umana, che riconosce il potenziale di ciascuno e lo accompagna verso forme di autorealizzazione che siano anche socialmente responsabili. In questo senso, la scuola si fa luogo di felicità possibile, di cittadinanza attiva, di costruzione di futuro a partire da un presente condiviso, incarnato e trasformativo (Nussbaum, 2011; Sen, 1999).

6. Conclusioni: per una pedagogia generativa del tempo e della relazione

Nel corso di questo contributo sono state esplorate le coordinate di una pedagogia generativa capace di rispondere alle sfide educative contemporanee, in un’epoca attraversata da accelerazioni sistemiche, transizioni multiple e nuove forme di marginalità. L’educazione, oggi più che mai, è chiamata a confrontarsi con un mutamento paradigmatico: non è più sufficiente trasmettere saperi né garantire competenze operative, ma occorre generare possibilità di vita, futuri condivisi, agency trasformativa. In questa prospettiva, la scuola deve fuoriuscire dal modello trasmissivo-lineare per divenire spazio generativo, dove il tempo non è più mero contenitore dell’azione didattica, ma dimensione sostanziale dell’esperienza educativa (Ricœur, 1986; Mortari, 2017).

Abbiamo messo in luce come l’educazione debba operare un ripensamento radicale della temporalità: da un lato liberandosi dalla tirannia del Chronos, che riduce il tempo a unità misurabili, competenze certificabili e percorsi standardizzati; dall’altro recuperando la qualità del Kairós, inteso come tempo vissuto, opportuno, densamente relazionale. Solo in questo tempo “accogliente” diventa possibile costruire esperienze che aprono alla riflessione, alla sospensione, alla trasformazione (Galimberti, 1999; Ricœur, 1986). Una scuola che abita il Kairós è una scuola che rallenta, ascolta, genera senso. Questo significa anche riconoscere il diritto degli studenti a vivere l’apprendimento nei propri tempi, con le proprie risonanze interiori, e non secondo le scadenze imposte da logiche produttivistiche.

All’interno di questa nuova ecologia temporale, la relazione educativa si configura come asse fondativo dell’intero processo formativo. Una relazione che non può essere delegata alla buona volontà del singolo insegnante, ma che deve essere pensata come intenzionalità sistemica, come postura pedagogica che intreccia ascolto, progettualità, co-costruzione del significato (Dozza, 2018; Mortari, 2006). Il talento, in questa visione, non è mai una proprietà individuale che attende di essere scoperta, ma un processo emergente che nasce e si sviluppa nella relazione con l’altro, nella cura quotidiana, nell’incoraggiamento sottile che dà forma all’identità personale. È attraverso il riconoscimento che il soggetto si autorizza a esistere nel proprio valore, ed è solo nella reciprocità delle relazioni significative che si apre lo spazio per una crescita autentica e sostenibile (Nussbaum, 2011; Sen, 1999).

In questa prospettiva, gli ambienti educativi devono essere ripensati non solo come contesti fisici o digitali, ma come ecosistemi relazionali e temporali che sostengono la generatività. Le esperienze condotte nelle scuole DADA, nei mondi virtuali educativi e nei percorsi di narrazione immersiva digitale mostrano come l’integrazione consapevole del digitale possa costituire un fattore abilitante per una pedagogia della relazione e della cura (Cecalupo & Fattorini, 2023; Dato et al., 2021). Quando orientata da intenzionalità educativa, la tecnologia non è un fattore di disumanizzazione, ma uno spazio in cui il tempo si dilata, la soggettività si esprime, le relazioni si moltiplicano. Come osserva Longo (2009), l’interazione con l’ambiente digitale può aprire a un nuovo orizzonte antropologico, a condizione che venga strutturata come esperienza riflessiva e dialogica.

Una scuola generativa è dunque una scuola che accetta la complessità dei processi formativi, che non riduce il talento a un indicatore di performance, ma lo riconosce come emergenza situata e condivisa, come frutto di una lunga e delicata trama di tempi, incontri, occasioni. È una scuola che sa progettare ambienti capacitanti, in cui l’insegnante è guida, mentore, facilitatore di percorsi di senso. È una scuola che assume la tecnologia non come fine, ma come mezzo per abilitare nuovi linguaggi, nuove connessioni, nuove possibilità di apprendimento. È una scuola che si prende cura del tempo: non solo del tempo cronologico, ma del tempo interno degli studenti, del tempo necessario per diventare, per fallire, per cambiare.

In definitiva, il talento non è un punto di partenza ma un traguardo plurale, costruito nella relazione e nel tempo lungo dell’educazione. Non si nasce talentuosi, ma si diventa tali all’interno di contesti educativi che sanno riconoscere, coltivare, valorizzare le potenzialità del soggetto (Margiotta, 2018). La scuola che immaginiamo e auspichiamo è quella che, abitando il tempo e la relazione con consapevolezza e profondità, sa farsi spazio generativo di felicità, benessere, giustizia e responsabilità. Solo così l’educazione potrà assolvere il suo compito più alto: quello di restituire alla persona la possibilità di essere pienamente umana nel tempo che le è dato di vivere.

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