Formazione & insegnamento, 23(S1), 8140
Reflective Communities ‘Tempest’: A Space To Be Invented in the School of Performance
Comunità riflessive tempesta: Uno spazio da inventare nella Scuola della Performance
ABSTRACT
The Italian Secondary School has recently experienced a period of forced and constrained planning hyperactivity, the result of the effects of Next Generation Europe, which has imposed milestones and performance contracts on School Managers. The strictness of the constraints and the parallelized proliferation of actions, due to the hypertrophy of policy documents, has however sterilised experimentation. The educational policy outlined appears to be unbalanced on technology, if not technocracy, with the humanities often confined within individual remedial intervention, with an idea of humanistic knowledge as instrumental and ancillary to technical knowledge. La scena che educa, a model of reflective community and the first theatre network between schools in Italy, born before this period and grown in the folds of co-designs, can represent an experimental model of pedagogical thinking that hybridises different technical, professional and humanistic knowledge, thanks to theatre's natural tendency to be an integrating background.
La Scuola Secondaria di Secondo Grado italiana ha vissuto ultimamente una fase di iperattività progettuale forzata e contingentata, figlia degli effetti del Next Generation Europe, che ha imposto ai Dirigenti Scolastici milestones e contratti di performance. La rigidità dei vincoli e la proliferazione in parallelo delle azioni, a causa dell’ipertrofia dei documenti di indirizzo, ha però sterilizzato le sperimentazioni. La politica educativa tracciata appare sbilanciata sulla tecnologia, se non sulla tecnocrazia, con le scienze umane confinate spesso dentro l’intervento individuale riparativo, con un’idea del sapere umanistico strumentale e ancillare rispetto alla conoscenza tecnica. La scena che educa, modello di comunità riflessiva e prima rete teatrale tra scuole in Italia, nata prima di questa fase e cresciuta nelle pieghe delle co-progettazioni, può costituire un modello sperimentale di pensiero pedagogico che ibrida saperi tecnici, professionali e umanistici diversi, grazie alla naturale propensione del teatro ad essere sfondo integratore.
KEYWORDS
NGEU, Theatre, Performance, Reflective community, Italian Recovery Plan
Next Generation Europe, PNRR, Comunità riflessive, Teatro, Performance
AUTHORSHIP
This Article is single-authored.
COPYRIGHT AND LICENSE
© Author(s). This article and its supplementary materials are released under a CC BY 4.0 license.
ACKNOWLEDGMENTS
This article was published with the support of Fondazione Umberto Margiotta.
CONFLICTS OF INTEREST
The Author declares no conflicts of interest.
RECEIVED
June 30, 2025
ACCEPTED
September 1, 2025
PUBLISHED ONLINE
September 19, 2025
1. La Scuola nella Tempesta
Il triennio che sta per concludersi rischia di essere probabilmente il più denso di progettazioni all’interno delle strutture e delle attività della Scuola Secondaria di Secondo Grado in Italia, almeno a livello di curricolo esplicito. Il Next Generation Europe, nato per superare l’emergenza pandemica, ha consentito infatti agli Stati membri di costruire Piani nazionali di investimento per raggiungere obiettivi di inclusione e formazione. I governi italiani hanno successivamente declinato questi traguardi all’interno della Missione 4 del Piano Nazionale per la Ripresa e Resilienza (PNRR), costringendo in buona sostanza le scuole a portare avanti macro azioni, dentro un perimetro tracciato in ambito ministeriale.
Mai come in questa fase sono esplose, però, le difficoltà e le contraddizioni all’interno della comunità educante allargata. L’elaborazione del modello di saperi per il futuro sì e scontrato con vari ostacoli, a dimostrazione che la disponibilità di risorse talvolta è solo una delle difficoltà con cui i sistemi formativi devono relazionarsi e che c’è sul tavolo ancora la necessità di riconoscere il principio d’incertezza razionale, in modo da agire con lucidità contro l’illusione razionalizzatrice (Morin, 2001), di cui il sistema a piattaforma centralizzata PNRR può essere indice ed espressione.
Nelle maglie di questa complessità, feconda di indicazioni critiche e trasformative per i patti educativi territoriali futuri, si sono consolidate, però, alcune esperienze significative, che possono animare una nuova fase per la costruzione di architettura e città che realizzino l’idea di educazione diffusa (Mottana & Campagnoli, 2020).
Questo articolo lavora sui documenti, sull’analisi delle indicazioni ministeriali e prova a colmare l’assenza di letteratura e di studi rispetto a questo fenomeno così impattante e così recente. Cerca poi di ricostruire nella prima parte il tracciato culturale e legislativo nazionale entro cui si sono mossi i finanziamenti e i progetti, con un’analisi dei limiti e delle possibilità. Nella seconda parte si crea, invece, uno spazio per il racconto di una pratica territoriale locale, osservata in prima persona, che può diventare stimolo per immaginare percorsi educativi futuri.
1.1. La progettazione educativa all’epoca del contratto di performance del PNRR
Il PNRR ha generato a più riprese ondate di finanziamenti vincolati a diversi obiettivi, cedendo la governance finanziaria e la regia per creare reti alle Istituzioni scolastiche, che si sono dovute misurare in tempi molto stretti con la gestione complessa di fondi e progettualità. Due gli indirizzi forti verso cui sono stati destinate le risorse: ripensare le aule e i laboratori o qualificare l’azione di affiancamento per la parte più vulnerabile della popolazione scolastica e del territorio. Una serie di sfide e una dinamica di ingaggio nuovi, per molti aspetti, sicuramente densi di possibili analisi di prospettiva sulla responsabilità tanto pedagogica quanto economico- finanziaria dei progetti di welfare per l’inclusione.
In questo articolo il focus principale sarà sugli interventi finalizzati alle strategie antidispersione e alla riduzione dei divari territoriali, vista la loro maggiore pertinenza ai temi pedagogici. Appare interessante, infatti, valutare l’onda che sta generando un investimento così massiccio, ancora in via di esaurimento, in una fase storica di transizione ecologica e digitale, che di per sé induce a una dinamica trasformativa.
Prima di ogni valutazione è utile riassumere le coordinate economiche e cronologiche. Le risorse sono state diluite nel tempo con la scadenza dell’ultima tranche prevista per il 15 settembre 2025; in due fasi principali (scandite a loro volta da milestones di gestione e di traguardi) e attraverso due decreti (con l’invito, e non l’obbligo, a costruire team multidisciplinari di progettazione il più possibile allargati alle risorse umane e progettuali del territorio):
- DM 170/2022: che ha individuato le scuole con una popolazione più fragile, concentrandosi di fatto sulla Secondaria di Secondo Grado con indirizzi tecnici e professionali: 3198 istituti sono stati chiamati a gestire 500 milioni di euro, ripartiti in base al numero di allieve e allievi e a coefficienti di fragilità collegati anche ai risultati delle prove INVALSI.
- DM 29/2024: sono state coinvolte in questo caso tutte le istituzioni scolastiche, un allargamento legato probabilmente a motivi di urgenza di spesa. Nella seconda tranche anche le istituzioni che erano già state beneficiarie con il primo decreto. 790 milioni di euro, di cui 40 destinati ai Centri per l’Istruzione per gli Adulti (CPIA), il totale.
Se ci limitiamo solo al finanziamento riservato al contrasto delle fragilità arriviamo a una cifra di 1290 milioni di euro: una cifra non irrilevante, se consideriamo che il fondo per la povertà educativa, approvato dal decreto Milleproroghe, prevede per il prossimo triennio solo 3 milioni di euro l’anno. Da qui l’interesse per questo fenomeno che ha intersecato la vita delle Scuole.
Nello schema PNRR gli Enti locali hanno avuto visibilità scarsa e parziale dei progetti, soprattutto nei grandi centri cittadini, mentre i Comuni e le Regioni di fatto continuavano a gestire le quote proprie (vecchie e nuove) di finanziamento destinate all’inclusione e alla coesione, con problemi di co-progettazione che hanno creato ridondanze o, all’opposto, aree scoperte di fragilità non intercettate.
Potremmo già avere le basi per dire che una buona chance è diventata un’occasione sprecata, ma lasciamo alle argomentazioni il compito di mettere in luce gli angoli bui del Piano.
Per avere un quadro chiaro del perimetro teorico e prassico di questa fase, è opportuno dare qualche riferimento più preciso di macrosistema e cronosistema (Bronfenbrenner, 1986) disegnato dai decreti: l’utilizzo delle risorse, infatti, ha dovuto seguire una grammatica prescrittiva precisa, entro cui ogni realtà ha cercato di trovare una sua libertà di pensiero, di azione e di ricerca. Ha sicuramente influito il numero di connessioni ecosistemiche presenti nel territorio già prima del lancio del NGEU, ascrivibili spesso ad accordi di rete o patti educativi territoriali.[1]
Ciascuna istituzione scolastica ha dovuto innanzitutto porsi come obiettivo generale il cosiddetto target: in base al contesto la piattaforma centralizzata ha calcolato un numero minimo di persone da raggiungere, o più correttamente di attestati da rilasciare a margine della frequenza alle attività (a loro volta regolate da coefficienti minimi di partecipazione sul monte ore totale).
Ogni Dirigente Scolastico, firmando un contratto di performance, ha assunto su di sé l’obbligo di rispettare tutte le condizioni previste dall’accordo, raccogliendo anche l’invito a coinvolgere il più possibile l’associazionismo, i servizi sociali, scolastici ed educativi, le famiglie. L’obiettivo era riportare nell’alveo istituzionale quei segmenti di adolescenza con bisogni educativi speciali, spesso confluiti nel mondo NEET. Gli altri obblighi sono stati connessi a minimali e massimali di spesa: non oltre il 20% per le attività di progettazione e monitoraggio del Team, il massimo del 10% per i laboratori di orientamento delle famiglie che dovevano coinvolgere almeno 3 genitori, una quota rilevante (almeno il 30%) per azioni di affiancamento individuale, sintetizzate spesso con termini come coaching e mentoring, probabilmente con una sottovalutazione delle problematiche connessa alla sovrapposizione lessicale di modelli diversi di affiancamento individuale, poco conosciuti dalle Scuole. Il Piano prevedeva, pur senza indicazioni tassative di impatto economico relativo, anche la possibilità di investire su laboratoriali co-curricolari tenuti da esperti, presentati come ulteriori occasioni, da leggere nell’ottica di ampliare il campo di possibilità (Contini, 2006) per studenti e studentesse più vulnerabili rispetto alle pratiche più tradizionali di didattica. (Ministero dell’Istruzione e del Merito, 2024)
Se una sola di queste voci nella rendicontazione risulta come non rispettata, la struttura amministrativa delle scuole è impossibilitata a procedere al pagamento delle attività agli esperti e ai tutor, anche se hanno concluso i corsi e svolto il loro lavoro seguendo le regole d’ingaggio, per le quali i decreti hanno prescritto una procedura di selezione competitiva aperta.
1.2. L’algoritmo, la tecnocrazia e il coniglio dal cilindro
Un forte investimento sulla personalizzazione e sull’individualizzazione degli interventi, l’introduzione o il consolidamento di un lessico legato all’orientamento narrativo e all’apertura di spazi per la valorizzazione dei talenti: ad una prima occhiata sembra che il sistema scolastico, tra l’introduzione delle varie figure di tutor e mentor, il tratteggio di un ecosistema di azioni di supporto e la produzione del capolavoro, abbia trovato in questa fase un dinamismo trasformativo che muove nel segno del Capability Approach, delle intelligenze multiple e della formazione del talento (Margiotta, 1993). L’obiettivo principale di questa ‘nuova’ didattica ‘rigenerata’ dal PNRR sembrerebbe, almeno nelle premesse, far proprie anche quelle istanze che tradizionalmente fanno fatica ad entrare nel curricolo implicito della Secondaria di Secondo Grado, come l’approccio olistico alla formazione e l’accoglienza delle varie diversità (Olivieri, 2019).
Ben presto, però, l’entusiasmo viene smorzato, partendo già dall’arco temporale di breve raggio complessivo coperto dall’investimento. Affinché una progettazione sia pedagogicamente orientata ci vuole un periodo di tempo lungo, articolato nelle fasi riassunte da Tolomelli (2019) nel framework riguardante le competenze pedagogicamente fondate dell’educatore e che può essere esteso al campo progettuale dei docenti coinvolti nei Team antidispersione. Un primo momento attento, che non può essere breve, di analisi dei bisogni legati al contesto, che diventa fondamentale per mettere tra parentesi il narcisismo dell’educatore stesso, onde evitare che prenda il sopravvento una rappresentazione lontana dalla realtà. Un momento successivo in cui tarare le attività, cercando di evitare sovrapposizioni con l’esistente. Un ulteriore momento successivo per definire obiettivi realistici, ma non banali, mossi dalla prospettiva dello spazio di prossimità vygotskijano. In buona sostanza bisogna sfuggire al meccanismo dell’algoritmo e perseguire una dinamica a spirale tra ricerca e azione in senso euristico (Tolomelli, 2019).
L’analisi delle istruzioni operative ministeriali invece si incastra in uno schema abbastanza rigido, con un livello di condizionalità di così difficile gestione da smorzare la carica sperimentale dei processi innescati da questi finanziamenti (Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici, 2024), tanto da configurare proprio la schematicità evocata poco fa come algoritmo. In aggiunta, sembra complicare il quadro l’assenza di spazio e risorse specifiche per la formazione dei docenti che danno la disponibilità a svolgere attività di affiancamento, recupero, potenziamento.
Una platea ristretta di insegnanti ha seguito il corso ministeriale online per diventare tutor per l’orientamento (riforma che ha avuto poi notevoli difficoltà a entrare nella carne viva della scuola, anche per una certa dose di contraddizione tra i contenuti e-learning molto improntate alla progettualità esistenziale e dell’orientamento narrativo, a fronte della direzione di recupero del mismatch con il mercato del lavoro, auspicato con varie interviste dal Ministro Valditara) .
Fuori da questa isola, in mezzo a questa tempesta di indicazioni controverse, il consolidamento delle abilità di analisi e di lettura dei bisogni è stata lasciata un po’ all’autoformazione o all’improvvisazione, sulla scorta del sentire e dell’esperienza individuale. L’aspetto della cura della relazione e la pensabilità di una formazione specifica sul tema rimangono due obiettivi ancora da focalizzare, in un contesto complesso in cui, a giorni alterni, sono arrivati l’invito ad adeguarsi allo spirito del cosiddetto decreto Caivano e contemporaneamente la sferzata per portare a termine le azioni ecosistemiche dell’antidispersione per non far scattare l’allarme dell’inadempienza rispetto alle milestones di spesa.
Nella migliore delle ipotesi è stato demandato alle scuole più virtuose il compito di ritagliare spazi, tempi e risorse per trovare una soluzione nelle pieghe dei decreti e delle istruzioni.
Su un progetto fondativo come il mentoring, a cui sono state destinate importanti risorse, i Team di progettazione si sono trovati davanti a un bivio: o affidarsi a personale formato esterno, decisione che determinava una serie di delicatezze e un tempo di conoscenza lungo per creare relazioni significative con gli studenti mentee, o di optare per il personale interno, non formato specificamente. Proprio questa platea di docenti, immersi nelle relazioni del contesto, ha accettato, in una parte delle scuole destinatarie dei fondi, di mettersi in gioco, facendo leva sull’esperienza e sulla percezione positiva di sé, maturata in anni di coordinamento delle classi o all’interno delle funzioni strumentali.
Di tutt’altro percorso parliamo, se ci spostiamo nell’ambito delle cosiddette scienze dure e materie professionalizzanti. Balza agli occhi la quantità di risorse investite sui temi relativi all’ intelligenza artificiale, alla didattica STEM, al tema dell’innovazione e al potenziamento delle competenze multilinguistiche. Il DM 65/2023 è il decreto specifico che ha permesso alle scuole di finanziare corsi di lingua e di approfondimento tecnologico sia per il corpo docente che per gli alunni e le alunne. Indicativo il passaggio delle indicazioni ministeriali in cui si chiede di immaginare una formazione sulle metodologie, che appaiono, però, come tecniche fredde e decontestualizzate da ogni collegamento con la sfera più personale ed emotiva implicata nella didattica. Una visione della formazione che sembra andare più nella cornice funzionalista della Scuola come luogo di rendicontazione (Baldacci, 2019) e dell’apprendimento inteso come learnification (Biesta, 2023). Tanto impegno formale e programmatico sulla tecnica, sulle tecniche e sulle tecnologie, nessun riferimento esplicito al tema della formazione in termini di empowerment connesso alla valorizzazione dell’energia desiderante (Tolomelli, 2015).
Nella scelta stessa di preferire le competenze STEM alle più trasversali STEAM, sembra consolidarsi la sensazione di un’esaltazione quasi fideistica del fare tecnologico, come se potesse esistere una scienza senza coscienza, con gli effetti deleteri già individuati da Rabelais molti secoli fa nel suo romanzo più celebre.
Nonostante il PNRR chieda anche un approccio preventivo alla dispersione e immagini uno schema multifattoriale di intervento che ricorda i ragionamenti di Bronfenbrenner, nei pesi e nei contrappesi continua a dominare una sensazione di sapere diviso in baso a gerarchie di valore dettate dallo spirito del Tempo. Possono allora questi piani, progettati come silos, aiutare a realizzare gli ambiziosi traguardi del Lifecomp?
Alle considerazioni iniziali sulle possibilità offerte da questo triennio di finanziamenti, vanno giustapposte, se non contrapposte, le letture critiche che uniscono i vuoti lasciati da questi provvedimenti, tanto da avere la sensazione finale di un appiattimento dell’ agire etico sul fare tecnico (Galimberti, 2000). Le interpretazioni più fosche sulle dinamiche economiche e sociali, infatti, non esitano a parlare di un momento storico di tecnocrazia totalitaria mercantile, falsificazione del mondo, peste emozionale del patriarcato produttivista (Ghirardi Sauvageon, 2024).
Nonostante due decenni di vita delle Raccomandazioni europee sulle competenze chiave di cittadinanza che danno pieno titolo alla competenza sociale e personale nel quadro dei saperi e delle abilità, ci troviamo ancora profondamente in linea con quanto Morin rileva a proposito dell’insegnamento della condizione umana e dell’insegnamento pertinente: ‘’l’iperspecializzazione impedisce di vedere il globale (che frammenta in particelle) nonché l’essenziale (che dissolve)’’ (Morin, 2001, p. 41).
L’astrazione generata dalla frammentazione della conoscenza rema in direzione opposto alla logica olistica ed ecosistemica, che invece è cifra essenziale del pensiero della complessità e del postmoderno.
Da più parti continua ad essere lanciato l’allarme sul tema della relazione, visto il numero crescente di episodi di malessere psicologico e relazionale: ‘’È urgente un’alfabetizzazione emotiva e relazione degli adulti: il ritorno, cioé, a una dimensione che rimetta al centro gli aspetti emotivi. [...] Non basta più insegnare e educare, bisogna ‘’entrare in relazione’’ [...] Siamo chiamati a offrire relazione di cura, non intesa come cura di un malato, ma come cura delle emozioni e dei bisogni di ragazzi e ragazze, sempre meno legittimati e autenticamente ascoltati e accolti’’ (Lancini, 2025, pp. 65-69).
Sono in prima persona le studentesse e gli studenti stessi a chiedere di incontrare adulti significativi, in grado di saper gestire le relazioni: emerge non solo nei blog, nelle interviste, sui social, nelle canzoni, ma ormai anche in quasi tutti i discorsi di apertura degli anni accademici nel momento in cui intervengono gli studenti e le studentesse. Il tema della formazione rispetto alle abilità socio-emotive è un po’ il convitato di pietra della Scuola italiana.
“Le analisi sugli esiti di percorsi formativi di apprendimento socio-emotivo e i loro riverberi nell’azione didattico-educativa dei docenti sono poche e poco note, benché i risultati della ricerca scientifica abbiano chiaramente messo in evidenza l’importanza degli interventi specifici dedicati agli insegnanti, i quali sembrerebbero sviluppare un maggiore senso di autoefficacia, con effetti positivi sul benessere, sulle capacità di resilienza e di coping” (Mura et al., 2023, p. 5).
L’altro grande assente nei vari documenti ufficiali del Ministero legati al PNRR è lo spazio, però, per un coinvolgimento diretto del corpo studentesco (o almeno della sua rappresentanza) nell’immaginare attività o laboratori che sarebbero dovuti servire a dare una svolta non solo agli edifici scolastici, ma anche alle architetture di pensiero didattico. C’è un invito a coinvolgere qualsiasi stakeholder territoriale della Scuola, ma mai un riferimento ad alunne e alunni, che in tale prospettiva sembrano esclusivamente spettatori passivo (ancora una volta). Eppure nel 2021 quello che allora era il Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri (2022) nelle Linee Guida per la partecipazione dei bambini e delle bambine e dei ragazzi e delle ragazze, pubblicate dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, ne raccomandava la partecipazione sin dalla tenera età e in tutte le fasi dei progetti pubblici con meccanismi precisi e significativi. Anche in questo caso la ricerca proverà a raccontare se c’è stata qualche sperimentazione in tal senso e che impressione hanno ricevuto i ragazzi e le ragazze di questo investimento pubblico che li ha attraversati.
Il commento generale n. 12 del Comitato Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescente aveva ribadito infatti che le opinioni espresse dai bambini e dagli adolescenti possono aggiungere rilevanti prospettive ed esperienze e dovrebbero essere parte dei processi decisionali, politici e legislativi, finanche nella valutazione degli esiti di tali processi.
Le azioni antidispersione, stando all’indicazione, sembrano essere ecosistemiche a corrente alternata: i progetti di potenziamento e affiancamento separano ancora le persone più fragili dai compagni apparentemente meno in difficoltà e continuano ad essere pensate solo dal mondo degli adulti, con gli effetti di verticalità e ghettizzazione che possono derivare da una tale prescrizione, a meno che i Team di progettazione non tirino fuori un coniglio dal cilindro.
2. Comunità riflessive tempesta: La scena che educa
La scena che educa, primo network teatrale scolastico in Italia, è un progetto coordinato dall’associazione culturale Altre velocità, che ha fatto sistema tra docenti, famiglie e Dirigenti Scolastici di scuole di ordine e grado diverso di Bologna, inserendosi nella forma giuridica della rete di scopo; pur presentando ancora in alcune azioni dei limiti di capillarità sociale, già solo recuperando semplicemente il tempo per la pratica riflessiva, ha consentito in questi primi tre anni di attività a un gruppo di docenti diversi tra loro e a quattro scuole di pensare insieme al rapporto tra scuola, teatro e città.
Il lavoro collettivo, nato prima del mandato istituzionale del PNRR, ha consentito, una volta emanati i decreti con i finanziamenti, di unire le forze per investire al meglio le risorse di cui le scuole sono state destinatarie. Essenziale per creare un modello ecosistemico è stato il lavoro preliminare che Lanzara, riprendendo Keats, definisce di negative capability, riconcettualizzato poi nell’ambito della progettazione come ‘’agire che per così dire nasce dal vuoto, dalla perdita di senso e di ordine, ma che è orientato all’attivazione di contesti e alla generazione di mondi possibili’’ (Lanzara, 199, p. 13).
La scena che educa ha coinvolto le classi, portandole a mettersi più volte da punti di vista prospettici diversi, cercando di trovare un modo per stare nell’incertezza. Il fare e vedere teatro, il pensare al teatro con un approfondimento sulla costruzione fisica di uno spazio teatrale e sulle conseguenze di questa configurazione per le politiche culturali di una città; o con una guida al lavoro di programmazione economico-culturale che determina l’organizzazione di una stagione teatrale. E ancora con altre declinazioni del pensare e del pensarsi grazie al teatro, con esercizi di narrazione di storie a partire da video di spettacoli di danza, con un lavoro sulla scrittura sul teatro in sperimentazioni di redazioni; con laboratori di scrittura a quattro mani di recensioni teatrali a seguito di gemellaggi culturali tra scuole; laboratori interattivi sul rapporto tra genitorialità e spettatorialità (il cui nome scelto è stato Di- vento, corso per diventare genitori tempesta grazie al teatro). Famiglie, corpo docente, studenti e studentesse variamente distribuite nei plessi e negli ordini: in pieno spirito con l’idea pedagogica per cui più strade si aprono, più è possibile riconoscere il diritto alla differenza (Contini, 2006), uscendo dalla pericolosa monodimensionalità delle stereotipie.
Sono molteplici gli aspetti che possono renderlo un caso di studio per la didattica del futuro: il lavoro sulla dimensione del corpo dentro un sistema che lo ha messo a tacere già da tempo portando avanti una cultura mortifera (Manuzzi, 2006 ), la moltiplicazione delle prospettive e l’esplorazione dei conflitti interni e dei ruoli (Bonato, 2016), l’importanza della dinamica del gioco (Nussbaum, 2011), la dimensione della scena come sfondo integratore di saperi tecnici, professionali, filosofici, psicologici, pedagogici, letterari, politici.
Il teatro, nella sua dimensione fisica e metaforica, può rappresentare ancora uno degli incontri più significativi con il mondo, sia che questo rendez-vous avvenga come esito di una richiesta voluta e precisa per costruire la propria identità, sia che avvenga a seguito di un percorso in cui chi educa esercita una mera funzione di puntamento dell’attenzione verso un oggetto del mondo dato (Biesta, 2023). Gli studenti e le studentesse come destinatari e protagonisti delle azioni che non li devono lasciare in una condizione di passività rispetto alla proposta, ma che possono essere attivati in una dinamica che parte dalla loro intenzionalità o irrompe nel loro orizzonte di senso, attivando possibilità che contribuiscono a determinare una visione del proprio posto nella polis e nel mondo.
Non potendo esaurire nel corso di un articolo il racconto di ciascuna azione, il focus è sull’ultima attività elencata (corso di formazione per diventare genitori tempesta) e sulla comunità di pensiero che l’ha ideata, perché è possibile rintracciarvi significatività educativa e trasformativa.
Sono state organizzate due edizioni di più incontri per le famiglie, non solo della scuola, ma di tutta la città per riflettere sui temi dell’adolescenza e della genitorialità attraverso le parole chiave del teatro e l’accostamento tra guardare uno spettacolo e assistere alla crescita dei figli. Si è realizzata in buona sostanza la raccomandazione delle istruzioni operative del PNRR ad andare oltre la progettazione per istituto e a pensare a ecosistemi che possano sopravvivere alla fine del piano. Possibilità che, viste le tempistiche serrate del Piano, sarebbero state probabilmente inattuabili senza un network già consolidato.
La metafora della tempesta trova una corrispondenza interessante con il tema della comunità riflessiva. I docenti delle quattro scuole della rete hanno trovato nelle maglie della rete stessa, prima, e del PNRR, poi, una possibilità per dare gambe a un’idea di Scuola e di mondo che era stata sviluppata in uno scambio progressivo costante. La spirale crescente tra pensiero e azione, tra ipotesi confermative e trasformative, ha preso forma anche grazie a quel finanziamento, andando a raggiungere un pubblico più ampio del bacino rappresentato dalle scuole che hanno partecipato all’elaborazione.
Il senso di collettività generato ricorda la suggestione della tempesta che Michela Murgia inserisce nel titolo di uno dei suoi ultimi lavori: il pronome della collettività noi associato al lemma tempesta, per la costruzione di reti e per valorizzare la forma della comunità di pensiero e di azione per cambiare la narrazione sulla realtà troppo condizionata dall’individualismo, ‘’senza eroi a cui dare il compito di essere migliori di noi.” (Murgia, 2019). Un’immagine presente anche nel repertorio lirico, un uso della prima persona plurale e il senso di agency a partecipazione diretta nel mondo e sul mondo: ‘’Solleviamo silenzio e tempesta/ E questi ci formano entrambi’’ (Rilke, 2019)
3. Creare nuovi sentieri nel bosco dell’incertezza.
Le modalità di costruire dinamiche di relazione e di azione sul territorio da parte de La scena che educa sembrano corrispondere alle tre caratteristiche fondamentali del pensiero nell’epoca delle molteplicità delle transizioni e delle velocità dei cambiamenti: riflessività, creatività e responsabilità (Pignalberi, 2015). Le figure di insegnamento diventeranno sempre più complesse perché dovranno rivestire sempre più funzioni e dovranno pensarsi in termini di educazione diffusa (Mottana & Campagnoli, 2020), prestando attenzione al pericolo di inerzia che può derivare dall’eccessiva istituzionalizzazione delle competenze di progettazione: probabilmente il modello della comunità riflessiva legata al teatro può funzionare se mantiene la natura di cronotopo della provocazione dialogica (Matusov, 2015). Se tiene sempre a mente che in fondo gli alunni e le alunne sono anime che cercano la felicità (Contini, 1988), se tiene a mente che una competenza specifica si può acquisire solo diventando membri di una comunità di pratiche.
Il PNRR ha rimesso in discussione in termini prevalentemente neo-centralisti il lavoro che da più parti stava crescendo rispetto ai patti educativi territoriali, nati come risposta all’emergenza della pandemia e del distanziamento. Il senso di fatica e saturazione della macchina, più volte è stato denunciato da organi di rappresentanza della Scuola come l’Associazione Nazionale dei Dirigenti Scolastici. Non è un caso che in Parlamento, nel pieno dell’attuazione dei progetti antidispersione che i Dirigenti Scolastici hanno dovuto adottare senza possibilità di scegliere o modulare, siano nati due progetti di legge che mettono in discussione questa impostazione. Nelle due proposte (il DDL S. 28, presentato il 13 ottobre 2022, assegnato alla Commissione permanente Cultura e patrimonio culturale, istruzione pubblica del Senato e la proposta di legge 1311 depositata alla Camera) il baricentro del welfare legato alla povertà educativa e alla comunità educante viene riportato nell’ambito della co-progettazione effettiva tra Scuole, Enti Locali ed associazionismo. Con la proposta, discussa già nelle audizioni in Senato, vengono infatti istituiti meccanismi di premialità e penalizzazione di alcune quote all’interno delle risorse assegnate, se non c’è reale condivisione progettuale tra istituzioni e associazioni per almeno metà delle azioni. La complessità della situazione, però, ci aiuta a conoscere meglio il bosco, che rimane sullo sfondo, se si continua a percorrere il sentiero routine (Lanzara, 1993). Dentro i Team di progettazione, così come nella comunità riflessiva tempesta a cui ha lavorato La scena che educa, sia prima che durante la fase PNRR, sia dentro che fuori da quella cornice normativa, ci si è trovati a dover guardare meglio i materiali del bosco.
La ricerca pedagogica auspicabilmente dovrà lasciare il sentiero battuto e cercare la sua ginestra leopardiana, a cui oggi tocca svettare in mezzo alla distesa delle piattaforme e degli algoritmi, opponendosi alla dinamica di rapidizzazione e convergenza (Ellerani, 2023). Occorrerà trovare dentro questa spinta a occuparsi di dispersione, anche se maturata in modo coatto e burocratico, un’occasione per pensare comunque alla marginalità e alla devianza come opportunità e non come limite (Tolomelli, 2022) o ghetto. Partendo magari da quelle situazioni di pensiero riflessivo condiviso, come i Team di progettazione e la comunità territoriale legata al teatro appena descritta, che sono cresciute in forma democratica (la vulgata contemporanea direbbe resiliente), nonostante l’etero-direzione del processo e degli obiettivi maturati nella logica del contratto di performance e della prestazione intellettuale a cottimo, che sembra affacciarsi sempre di più come logica per il mondo della formazione e della ricerca.
Endnotes
Gli accordi di rete sono stati disciplinati dalla Legge 107/2015, mentre il patto educativo territoriale è stato introdotto dal Piano Scuola 2020-2021. ↑
References
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