At School with the Collective Version of Folk Tales: A Participatory Research

 

A scuola con la versione collettiva della fiaba di tradizione popolare: Una ricerca-formazione

 

Claudia Chellini

INDIRE, Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (Firenze, Italy) – c.chellini@indire.it

https://orcid.org/0000-0001-5324-1236

 

Catia Cantini

INDIRE, Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (Firenze, Italy) – c.cantini@indire.it

https://orcid.org/0009-0004-2567-9643

 

Caterina Librandi

INDIRE, Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (Firenze, Italy) – c.librandi@indire.it

https://orcid.org/0009-0008-2877-2842

 

ABSTRACT

This study explores the pedagogical potential of utilizing collective version of traditional folk tales within a school setting, specifically as a workshop-based approach to foster students’ socio-emotional development. The analysis draws upon findings from a qualitative empirical research project, employing participatory research methodologies, conducted by INDIRE during the 2023‍–‍2024 academic year. Following a concise overview of collective version method and the research design, the paper examines teachers’ perceptions regarding the role of folk tales in education, both before and after their engagement in the workshop. Notably, the collective version activity yielded observations across three key dimensions: fostering non-judgmental attitudes, promoting a sense of group belonging, and enhancing inclusive practices.

 

Questo contributo propone una riflessione sull’uso a scuola della versione collettiva della fiaba di tradizione popolare come spazio laboratoriale per l’educazione socio-affettiva degli alunni, a partire dagli esiti emersi da una ricerca empirica qualitativa condotta dall’INDIRE nell’anno scolastico 2023/2024 con gli approcci della ricerca-formazione. Dopo una breve illustrazione del metodo della versione collettiva e della ricerca, si discute la percezione sul ruolo che la fiaba può avere nel contesto educativo, espressa dai docenti prima e dopo l’attività laboratoriale. In particolare, a seguito del lavoro con la versione collettiva, sono emerse osservazioni su tre dimensioni: la sospensione del giudizio, la possibilità di sentirsi parte del gruppo, l’inclusione.

 

KEYWORDS

Fairy Tale, Participatory Research, Collective Version

Fiaba, Ricerca-Formazione, Versione Collettiva

 

CONFLICTS OF INTEREST

The Authors declare no conflicts of interest.

 

AUTHORSHIP

Section 1 (C. Chellini), Sections 2‍–‍4 (C. Cantini); Section 5 (C. Librandi); Sections 6‍–‍8 (C. Chellini).

 


RECEIVED

April 3, 2025

 

ACCEPTED

April 20, 2025

 

PUBLISHED

April 30, 2025



 

1. Introduzione

 

L’etimologia ci racconta che spremere ed esprimere sono sostanzialmente la stessa parola (Cortelazzo & Zolli, 1980). Derivando entrambi dal verbo latino exprimere che significa “far uscire premendo”, si sono però specializzati.

‘Spremere’ è una forma che potremmo dire semplificata: ha perso la ‘e’ iniziale e il suono complesso x si è appianato in s, lasciando così solo un leggero ricordo della preposizione latina che indica il movimento verso fuori. ‘Spremere’ indica l’atto fisico.

Anche ‘esprimere’ ha visto lo scioglimento della x in s, ma ha mantenuto la forma latina con la preposizione iniziale ben chiara. ‘Esprimere’ è usato in senso figurato: indica la manifestazione o la rappresentazione di pensieri, emozioni, sentimenti e ha a che fare con i linguaggi, con l’arte, con ciò che coinvolge tutta la persona. Esprimersi significa in questo senso far emergere qualcosa di sé esponendolo alla vista altrui,

 

“arrivare a manifestare la propria unicità; dire quel che soltanto noi possiamo dire; rivelare agli altri il nostro sentimento delle cose della vita; dire la nostra parola. Ognuno ha la sua parola, ognuno ha il suo sentimento della vita, ognuno ha qualcosa di originale da dire. Ciascuno avverte che c’è qualcosa che soltanto lui, soltanto lei, può dire. E che se io o tu che leggi queste mie parole non diciamo quello che soltanto noi possiamo dire, quella nostra parola non verrà mai udita, letta, ascoltata… nel mondo. Questo lo avvertiamo tutti: ciascuno di noi è portatore di una unicità che deve potersi dire” (Scaramuzzo, 2019, pp. 57-58).

 

Ma se da una parte sentiamo che è necessario, dall’altra manifestare la nostra unicità è avvertito, anche nel senso comune, come un rischio, tanto che si dice che ci si “mette a nudo” quando si palesa un proprio pensiero, si mostra un proprio stato d’animo o si racconta un proprio sentimento. È come dire che ci si trova senza protezioni di fronte agli altri, al loro giudizio, e anche al proprio. Eppure, la capacità di esprimersi è alla base della capacità di sviluppare relazioni sociali soddisfacenti, in cui scambio e reciprocità sono i fattori messi in gioco.

In questa ambivalenza si giocano gli affetti. Chiamiamo così quei regolatori della vita psichica a cui Freud (1976) assegna un primato sui processi cognitivi, “quella categoria di ordine superiore sotto cui rientrano sia i sentimenti che le emozioni” (Matthis, 2002, p. 237). La questione dell’affettività e del suo rapporto con l’apprendimento è ampia e molto frequentata da studiosi di diverse discipline (Contini, 1992; Damasio, 1994; Goleman, 1995; LeDoux, 1996; Cambi, 1998; Ianes, 2007; Gardner, 2013; Immordino-Yang, 2017; Lucangeli, 2019), qui vogliamo soltanto ricordarla, nel suo rapporto con l’espressione di sé, come sottolinea lo psicoanalista argentino Luis Chiozza:

 

“Sebbene gli affetti non abbiano bisogno di essere convertiti in parole per raggiungere la coscienza, l’esperienza non solo dimostra che sentiamo il bisogno di trovare nomi per gli affetti ineffabili, ma anche, che tentiamo di identificare e dare nome agli oggetti e ai “luoghi” percettivi in connessione ai quali questi affetti emergono” (Chiozza, 2002, p. 230).

 

Abbiamo cioè bisogno di esprimere i nostri affetti che, in quanto “coessenziali alla vita cognitiva”, (Valbusa & Mortari, 2017, pp. 15-16), sono indistricabili dai nostri pensieri e dalle nostre opinioni, marcando e qualificando in modo specifico le esperienze che viviamo (Damasio, 1995). Poter far uscire, cioè esprimere, questo intrico a scuola incide sul benessere e sulla motivazione e ha quindi un ruolo fondamentale per l’apprendimento (Mariani, 2006).

Un potente strumento che favorisce l’espressione di sé è la fiaba tradizionale, un racconto simbolicamente pregnante, colto e popolare, che ha attraversato secoli di storia mutando e rimanendo sempre riconoscibile, dotato di una particolare forza proiettiva (Bettelheim, 2005; Campbell, 2012). Offre cioè la possibilità di articolare in una cornice di senso le rappresentazioni fantasmatiche per le quali è difficile, se non impossibile, trovare parola: ogni bambino, ma anche ogni adulto, ri-narrando una fiaba tradizionale, racconta qualcosa del proprio “universo dell’anima” (Chesterton, 1909, p. 102).

Dobbiamo a questo punto fare due precisazioni.

Per fiabe di tradizione popolare intendiamo le fiabe che, comparse per la prima volta in forma scritta tra il XVI e il XVII secolo nelle opere Le piacevoli notti di Giovan Francesco Straparola, Il cunto de li cunti di Giambattista Basile, Le contes de ma mère l’Oye di Charles Perrault, furono poi ascoltate nei vari idiomi europei, raccolte e pubblicate da studiosi e letterati a partire dall’Ottocento. Escludiamo quindi dal nostro discorso le fiabe autoriali, come quelle di Andersen, che, seppur conosciute e amate da moltissimi, non hanno il portato culturale collettivo di quelle di tradizione popolare.

Dal punto di vista metodologico vogliamo invece evidenziare che la fiaba, presente nelle attività di entrambi i gradi della scuola del primo ciclo, è di solito utilizzata come un oggetto utile per un fine a lei estrinseco, come ad esempio: cogliere gli oggetti o gli eventi descritti come stimolo per l’invenzione di storie o per altri esercizi  (Acler & Fabiani, 2013; Cambi et al., 2010), estrarre e nominare le parti della struttura narrativa di una storia (Bruno, 2018), trattare determinati argomenti (Fraccaro et al., 2007; Franchino & Roncaglione, 2012; Piovesana, 2007), osservare e nominare emozioni e stati d’animo che gli attanti dovrebbero significare (Aldi, 2014; Bruno, 2016). Si tratta dell’uso coscienziale e strumentale di un genere narrativo che invece trova la sua ricchezza nel rapporto fra elementi strutturali ed elementi simbolici, che nel loro intreccio seguono vie diverse da quelle della coscienza e consentono così, nella ri-narrazione, di articolare anche questioni che altrimenti potrebbero rischiare di non arrivare a essere dette e pensate (Gasparini, 1997).

Un metodo che valorizza questa caratteristica precipua della fiaba di tradizione popolare è quello della versione collettiva che mira a costruire uno spazio che consente agli alunni la libera espressione di sé, in modo mediato e non intrusivo (Chellini, 2024). Il metodo consta di tre fasi principali.

Nella prima si procede alla lettura in classe di una fiaba tradizionale e, successivamente, alla richiesta agli alunni di scrivere e/o disegnare la storia, interamente o in parte. È importante in questa fase che l’insegnante non dia spiegazioni né alcuna indicazione su come realizzare gli elaborati. Nella seconda fase l’insegnante compone la versione collettiva utilizzando esclusivamente parole e disegni degli alunni, seguendo alcune regole, di cui quelle fondamentali sono che ogni alunno sia rappresentato e che l’insegnante non corregga in nessuna parte ciò che i bambini hanno prodotto. Infine, si restituisce agli alunni la nuova fiaba, nella versione ri-narrata dalla classe grazie al paziente e attento lavoro del docente (Carli et al., 2021).

Il metodo agisce su due livelli: non solo i singoli alunni possono “manifestare la propria unicità” ri-narrando la fiaba con parole e/o disegni, ma vedono che quell’unicità è parte integrante della narrazione di tutti, anche con gli errori o le imprecisioni o le invenzioni linguistiche e narrative che la caratterizzano. D’altra parte, la classe nel suo complesso scopre la propria competenza narrativa, che migliora e si approfondisce ad ogni versione collettiva realizzata. Come ha mostrato una ricerca sperimentale realizzata nella scuola primaria (Baralla, 2003), un ciclo di cinque versioni collettive di fiabe tradizionali ha effetti apprezzabili non solo nell’ambito socio-affettivo e motivazionale, ma in quello degli apprendimenti scolastici, accompagnandosi allo sviluppo della capacità di comprensione e di produzione di messaggi nell’ambito della comunicazione sia orale che scritta, con un miglioramento anche nella correttezza ortografica.

Il metodo della versione collettiva non necessita di un esperto esterno, può essere realizzato dagli insegnanti stessi all’interno della didattica quotidiana, definendo i tempi, i ritmi e la lunghezza del percorso e quali fiabe proporre, in base alle esigenze della classe e della propria programmazione. Certamente è necessaria una formazione che accompagni i docenti nell’esplorazione del mondo delle fiabe di tradizione popolare e nella costruzione della versione collettiva, con le sue regole e le sue opportunità.

 

2. La ricerca-formazione e il metodo della versione collettiva

 

Questo contributo propone una riflessione sull’uso della fiaba a scuola come spazio laboratoriale per l’educazione socio-affettiva degli alunni, a partire dagli esiti emersi da una ricerca empirica qualitativa condotta dall’INDIRE nell’anno scolastico 2023‍–‍2024 con gli approcci della ricerca-formazione: “una caratterizzazione metodologica del fare ricerca nelle scuole e con gli insegnanti, principalmente ed esplicitamente orientata alla formazione/trasformazione dell’agire educativo e didattico e alla promozione della riflessività dell’insegnante” (Asquini, 2018, p. 9). La scelta di operare con i docenti muove dal riconoscimento della centralità della relazione educativa nei processi di apprendimento e dunque della figura del docente quale primo agente decisionale di cambiamento. Occorre stimolare nei formatori un pensiero critico e riflessivo che alimenti l’adozione di approcci euristici per la messa a punto di progettualità educative in grado di produrre buone ricadute sull’apprendimento degli alunni e sul loro investimento affettivo. La ‘riflessione nel corso dell’azione’ consente al docente di far fronte alle sfide quotidiane ricorrendo a quel genere d’improvvisazione che si apprende dall’esperienza consapevole (Schön, 1993) e la formazione del pensiero critico non può essere promossa da una procedura formale: essa è piuttosto il risultato di un processo informale in cui l’individuo incarna un ruolo attivo: un habitus mentale che gli consente l’agire deliberato e non abitudinario (Dewey, 1910). La formazione coinvolge due livelli di apprendimento: accanto all’apprendimento superficiale e gli argomenti studiati, c’è un apprendimento collaterale, più profondo, in cui si struttura la conoscenza. Spesso i docenti concentrano l’attenzione sullo specifico argomento che l’alunno sta studiando, ma esiste anche un apprendimento sottostante che porta alla costruzione di abiti mentali permanenti di grandissima importanza. I contenuti che abbiamo appreso possono essere dimenticati nel tempo: non così gli abiti mentali, che una volta strutturati restano impressi, influenzando il nostro modo di pensare e di agire. Si tratta quindi di traguardi tra i più preziosi e duraturi della formazione scolastica.

In questa prospettiva epistemica, la ricerca INDIRE offre l’occasione di parlare dei processi e degli strumenti di intervento che possono promuovere l’innovazione educativa e didattica tramite la fiaba. Tra i suoi molti usi possibili, ci si è concentrati sul metodo didattico della versione collettiva della fiaba di tradizione popolare, risorsa narrativa che si distingue per alcune peculiarità. Come accennato, la fiaba di tradizione popolare, benché sia stata immortalata da autori di grandissimo calibro ha un portato culturale ben più esteso e radicato di quello del racconto autoriale: narrata e rinarrata nei secoli, essa ha attraversato epoche, popoli e costumi, passando di bocca in bocca, dalla Scandinavia ai Balcani, dai Monti Urali all’Oceano Atlantico. Tra oralità e scrittura, essa ha viaggiato nello spazio e nel tempo, ponendosi quale fondamentale terreno d’incontro tra “colto” e “popolare”, alimentando uno scambio continuo e fecondo. La sua versatilità è inscritta nella sua stessa struttura, che dà non solo una cornice alla trama delle storie ma anche la possibilità di addentrarsi in modo personale nell’inesauribile foresta di simboli di cui è portatrice. Il simbolo, di per sé ambiguo e sfuggente, nella fiaba di tradizione popolare si carica di una densità semantica e di una polisemia tali da conferire alle storie una profondità che apre il campo a innumerevoli interpretazioni e significati. Ciò si rintraccia difficilmente nel racconto d’autore, dove invece l’artefice della narrazione veicola un messaggio preciso, il proprio. Per quanto evocativo e ben scritto possa essere, il racconto autoriale non ha la stessa pregnanza simbolica e la stessa apertura al possibile di una fiaba di tradizione popolare, la quale in origine non aveva probabilmente alcuna necessità di autori, tanto che l’arcaico cantastorie non rivendicava quasi mai la paternità di ciò che raccontava (Conese, 2012): la storia era autrice di se stessa e a lui bastava la soddisfazione di narrarla. La fiaba non va confusa con la favola, con le favole dell’antichità, come quelle di Esopo o di Fedro, arrivate sino a noi per via letteraria:

 

“Le favole sono scritte con un fine morale […]; la fiaba è invece un racconto, tramandato a voce di generazione in generazione […], non ha necessariamente un intento morale, ma può essere un semplice intrattenimento per i bambini, spesso con un proprio valore culturale e letterario” (Treccani, 2018).

 

Perché ci interessa tutto questo? Perché viviamo in un’epoca di passioni tristi (Benasayag, 2013) segnata dalla cultura del narcisismo (Lasch, 1981). L’odierno disagio giovanile non è che un segno di questa crisi, che non risparmia l’infanzia. Un dramma noto (Miller, 2008): il bambino, sottoposto a pressioni di ogni sorta, è spinto ad adattarsi agli stereotipi imposti dagli altri (genitori, insegnanti, mass-media, ecc.) e, per conformarsi alle aspettative, può reprimere e rimuovere i propri bisogni, rinunciando così a cercare il suo vero Sé, con il rischio di non imparare poi a riconoscere e gestire le emozioni, proprie e altrui. Possiamo educarlo in modo da farlo diventare “un bravo bambino”, come piace a noi, ma questo implica il costringerlo alla gabbia interiore di un falso Sé, oppure possiamo trascurarlo e negargli l’amore, la comprensione, le attenzioni e le cure di cui ha bisogno, con altre conseguenze negative. In ogni caso, viene reciso un elemento vitale per la sua crescita: l’autenticità. Storie ordinarie di analfabetismo emotivo (Galimberti, 2007), tra giudizi e sensi di colpa. In tale scenario, la scuola non può sostituirsi alla famiglia, prima agenzia formativa, ma può contrastare il dilagare di tale disagio, impegnandosi nell’adozione di approcci educativi più rispondenti ai bisogni d’oggi, compresi quelli della sfera socioaffettiva. Il metodo della versione collettiva della fiaba di tradizione popolare offre ai docenti un’opportunità in più per promuovere il benessere degli alunni e coinvolgerli in un processo di apprendimento inclusivo e collaborativo. Questo metodo mira a costruire un contesto in cui le fantasie dei bambini possano emergere liberamente senza essere sottoposte a nessuna censura o intervento di riformulazione didattica, con un lavoro – individuale e di gruppo – che si rivolge non tanto alle abilità coscienziali di decodifica, né ai processi di attenzione e memoria, quanto piuttosto agli aspetti immaginativi connessi con le dimensioni inconsce di cui tutti siamo portatori. Ogni bambino, indipendentemente dal suo rendimento scolastico, può così partecipare alle attività senza alcun tipo di vantaggio o svantaggio rispetto agli altri. “Si crea così una zona franca dalle gerarchie insite in ogni classe che a volte inchiodano il bambino in una posizione di emarginazione o inferiorità” (Carli et al., 2021, p. 35) dettata da limitazioni di ogni sorta: scolastiche, familiari, economiche, sociali, linguistiche, fisiche e mentali. Prima di iniziare, i bambini vengono informati che non saranno giudicati, né valutati. Il metodo prevede come sopra accennato che nella versione collettiva ricreata in classe sia dato spazio alla voce di tutti i bambini, nessuno escluso, con almeno un elaborato per ciascuno: così tutti possono esprimersi liberamente e trovare spazio nel gruppo. La ricerca in oggetto, di natura interdisciplinare, si è avvalsa di apporti provenienti da più campi del sapere – educativo, psicologico, teatrale – e ha condotto alla realizzazione di un percorso formativo su “la fiaba popolare come spazio laboratoriale per l’educazione socioaffettiva”, volto a favorire la conoscenza dei possibili usi della fiaba a scuola con particolare riferimento al metodo citato. Parte integrante del percorso è stato un laboratorio di approfondimento dal titolo Crescere giocando con la versione collettiva in concomitanza del quale si è costruito un percorso di ricerca che ha visto protagonisti gli stessi insegnanti. Il loro contributo è stato essenziale: ha permesso di raccogliere dati preziosi sull’efficacia del metodo in ambito scolastico, di migliorare le pratiche educative e condividere le esperienze maturate con l’intera comunità scolastica.

 

3. Il percorso formativo

 

Il percorso, a partecipazione libera, si è rivolto principalmente ai docenti, a cui sono state fornite informazioni e strumenti utili sull’uso della fiaba a scuola e in particolare sul metodo della versione collettiva (Tabella 1). Come sopra accennato, le attività si sono svolte online nell’A.S. 2023‍–‍2024 e hanno previsto due sessioni: la prima, propedeutica, aperta a tutti; la seconda, laboratoriale, rivolta a un gruppo ristretto di docenti selezionati su base volontaria tramite candidatura. Per partecipare, agli aspiranti sono stati chiesti alcuni requisiti minimi, ossia la disponibilità a: frequentare gli incontri; realizzare nelle proprie classi le attività proposte nel laboratorio; documentare le attività svolte usando gli strumenti di rilevazione messi a punto dall’INDIRE. Pochi i criteri di selezione dei candidati: alta percentuale di alunni con difficoltà di apprendimento o immigrati nella propria classe; distribuzione geografica. Nel laboratorio, si è prestata ampia attenzione alle specificità dei diversi contesti scolastici di provenienza, condivisi e discussi con un confronto assiduo tra i partecipanti in tutte le fasi di lavoro. Al temine delle attività, gli elaborati prodotti da docenti e i loro alunni sono stati caricati sulla piattaforma INDIRE e analizzati, sia con i docenti che dai ricercatori: per una rigorosa documentazione dei processi messi in atto e dei risultati. Questi ultimi, ancora in fase di elaborazione, sono qui presentati in sintesi in anteprima.

 

Percorso

Prima sessione

Seconda sessione

Destinatari

Docenti di scuole di ogni ordine e grado

Docenti di scuola primaria e secondaria di primo grado

Durata

Da giugno 2023 a gennaio 2024

Da ottobre 2023 a marzo 2024

Obiettivi

Far conoscere gli usi della fiaba a scuola e in particolare la fiaba antica a popolare come strumento di lavoro per l’educazione socioaffettiva degli alunni.

Far esperire ai docenti uno strumento che permetta loro di lavorare in modo autonomo sulla dimensione socioaffettiva degli alunni all’interno della programmazione didattica.

Modalità di erogazione

Asincrona

Sincrona

Articolazione

Otto moduli, ciascuno con videolezione registrata della durata di circa mezz’ora, per la spiegazione degli argomenti trattati.

Sei incontri di due ore ciascuno in plenaria e tre incontri di due ore ciascuno suddivisi in sottogruppi di quattro docenti.

Metodi

Lezione frontale

Didattica attiva e laboratoriale

Strumenti

Piattaforma web con ambiente di navigazione ad accesso libero su registrazione contenente:

·        pacchetto di lezioni videoregistrate;

·        apparato documentale comprensivo di materiali di studio, slide e immagini;

·        bibliografia ragionata;

·        compiti ed esercitazioni (facoltativo);

·        questionario finale, semi strutturato.

Ambiente web con tracciamento delle attività svolte dai corsisti, con funzioni di download e upload, per scaricare i materiali di studio e caricare eventuali compiti dei docenti.

Ambiente di navigazione ad accesso protetto destinato alle attività laboratoriali, con apparato documentale, bibliografia ragionata e alcuni strumenti operativi, tra cui: uno schema didascalico delle sequenze delle fiabe trattate (in formato testuale e figurativo); un documento Excel per accompagnare i docenti nella costruzione delle versioni collettive a partire dagli elaborati dei bambini, con dei punti di raccolta di quanto (elaborati dei bambini; prime bozze e versioni collettive definitive) Inoltre: una scheda di documentazione iniziale, un diario di bordo e una scheda di documentazione finale.

Contenuti/Attività

Fra i temi trattati, la fiaba antica e popolare come spazio di espressione di sé: oggetto dinamico sospeso tra sogno notturno e coscienza, tra psicoanalisi e Propp, che ne analizzò schemi e struttura, individuando trentuno funzioni narrative dei personaggi che formano la struttura costante delle fiabe. Il programma ha previsto poi una riflessione su: gli strumenti di lettura della narrazione fiabesca; suggerimenti sulle fiabe antiche e popolari che è possibile leggere in classe; l’importanza dell’uso della voce e delle soluzioni espressive; il metodo della versione collettiva, tra esperienze e strumenti.

Attività laboratoriali. Per ciascuna fiaba: lettura con successiva discussione sulla sua struttura narrativa e il suo portato simbolico. I formatori forniscono gli strumenti conoscitivi e operativi per la costruzione della versione collettiva realizzata dai docenti partecipanti. In ogni fase, è dato spazio alla condivisione delle esperienze tra i docenti.

Tabella 1. Articolazione del percorso formativo.

 

Oltre ai docenti, il gruppo di lavoro ha coinvolto: un’esperta nel metodo della costruzione della versione collettiva di fiabe di tradizione popolare, un’esperta di educazione all’espressività (voce/teatro), due ricercatrici INDIRE e una collaboratrice tecnica alla ricerca. Al percorso, si sono iscritti in tutto 183 docenti, quasi interamente donne: 12 sono state scelte per partecipare anche al laboratorio. Al termine, è stato somministrato un questionario finale e rilasciato un attestato di partecipazione. 

 

4. Strumenti di formazione e strumenti di ricerca

 

Per lo sviluppo degli strumenti, si è proceduto a una progettazione che tenesse insieme le istanze della formazione e della ricerca; perciò, alcuni strumenti sono stati trasversali a entrambe le dimensioni (Tabella 2). Per la formazione, sono stati combinati i format dell’e-learning con i metodi della lezione frontale e della didattica laboratoriale, anche per stimolare i docenti alla riflessione e all’autoanalisi. Per la ricerca, sono stati ideati e costruiti degli strumenti di rilevazione che consentissero la raccolta di informazioni e dati quali-quantitativi per osservare, analizzare e documentare le attività svolte e le loro ricadute in termini di cambiamento: sugli alunni e sui docenti.

 

Strumenti

Descrizione

Banca dati dei corsisti

Contiene le anagrafiche dei docenti.

Scheda descrittiva iniziale

Compilata da ogni docente all’inizio del laboratorio, essa contiene informazioni generali sul contesto scolastico e alcune caratteristiche della classe: numero di alunni ripartito per genere, provenienza e bisogni educativi. In tutto, sono state raccolte 12 schede di documentazione iniziale che hanno arricchito la conoscenza delle specificità dei diversi contesti scolastici dei docenti coinvolti, discussi dagli stessi corsisti durante gli incontri laboratoriali.

Diario di bordo

Scritto da ogni corsista dopo ogni incontro, il diario di bordo, di tipo semi strutturato, contiene impressioni, analisi e considerazioni dei docenti sull’andamento del lavoro in classe, anche con attenzione alle reazioni dei bambini e agli eventuali cambiamenti osservati a livello relazionale nel rapporto tra: gli alunni tra di loro; gli alunni verso il docente; il docente verso gli alunni. In tutto, sono stati compilati e raccolti 72 diari, 6 per docente: 3 incentrati sulla lettura della fiaba in classe e tre sulla restituzione finale della versione collettiva. Questo materiale, che è stato prezioso ai fini della ricerca, ha contribuito all’analisi dei processi messi in atto e dei risultati, anche con particolare riferimento alle ricadute sugli alunni.

Strumento operativo

Strumento in formato Excel fornito ai docenti per supportarli nell’attuazione del metodo, con particolare riferimento alla delicata fase di costruzione della versione collettiva, svolta a partire dalla selezione e “cucitura” dei molti elaborati creati in classe dai bambini.

Punti di raccolta

Cartelle nell’area di formazione online contenenti una copia digitale degli elaborati dei bambini e dei documenti di assemblaggio messi a punto dai docenti nelle diverse fasi di lavoro per costruire le versioni collettive delle fiabe: prime bozze e versioni definitive. Ogni versione collettiva è stata corredata da centinaia di testi e disegni originali dei bambini: una miniera di materiale “grezzo” di grandissimo interesse: per analisi, riflessioni e valutazioni su aspetti centrali del metodo della versione collettiva, anche con riferimento ai processi e le strategie educative.

Scheda di documentazione finale

La scheda, di tipo semi strutturato, è stata somministrata ai corsisti al termine del laboratorio per rilevare quali stimoli ha suscitato in loro l’esperienza della versione collettiva in termini di: metodi di insegnamento/apprendimento; modalità di verifica degli esiti conseguiti; motivazione nella partecipazione alla vita scolastica; rapporto con gli alunni; eventuali cambiamenti osservati in loro a livello di: abilità sociali ed emotive, comportamenti sociali positivi, motivazione, altro, risultati scolastici. Le 12 schede di documentazione finale raccolte hanno stimolato e arricchito le attività di riflessione, analisi e autoanalisi condotte sui processi messi in atto e sui risultati, anche con riferimento alle ricadute sui docenti stessi.

Tabella 2. Strumenti trasversali alla ricerca-formazione usati nel laboratorio.

 

In fase di progettazione, per una classificazione delle competenze socio-emotive, si è preso a riferimento il Modello SEL (Social and Emotional Learning), che indentifica e promuove cinque aree di competenza: autoconsapevolezza; autogestione; consapevolezza sociale; capacità relazionali; capacità di prendere decisioni responsabili. Introdotto nel 1994 dal CASEL (Collaborative for Academic Social and Emotional Learning, gruppo di ricercatori americani, tra cui Daniel Goleman), questo modello, la cui efficacia trova ampio riscontro nella letteratura internazionale, riconosce l’apprendimento sociale ed emotivo come parte integrante dell’educazione e dello sviluppo. Esso può essere definito come il processo attraverso il quale giovani e adulti “acquisiscono e applicano le conoscenze, le abilità e le attitudini per sviluppare identità sane, gestire le emozioni e raggiungere obiettivi personali e collettivi, sentire e mostrare empatia per gli altri, stabilire e mantenere relazioni di supporto e prendere decisioni responsabili e attente” (CASEL, 2020, tr. nostra). Le competenze socio-emotive, o affettive, sono alla base di molte altre competenze fondamentali, sia di vita che di lavoro, come l’empatia, la capacità di ascolto e di cooperazione. Anche l’OCSE se ne è occupato, con studi e ricerche che ne confermano l’importanza (OECD, 2024). Eppure, nel curricolo della scuola italiana, l’educazione socio-emotiva stenta a penetrare nella prassi didattica: “l’educazione socio-emotiva viene generalmente semplificata, gestita in modo sporadico e spesso banalizzata con attività poco rispondenti alla profondità e all’ampiezza dell’ambito” (Volterrani, 2022, p. 2). Il futuro ha bisogno di persone consapevoli, critiche e creative, resistenti, capaci di mettersi in gioco e di reagire alle sfide di un mondo in continuo cambiamento.

 

5. Cosa sono per lei le fiabe? La percezione dei docenti prima della formazione

 

L’analisi qui presentata si basa sulle risposte fornite da un gruppo di 183 docenti ed educatori che hanno chiesto di partecipare al progetto di ricerca-formazione sul metodo della versione collettiva di fiabe di tradizione popolare. L’esame delle risposte fornite offre interessanti spunti di riflessione sul ruolo e la percezione delle fiabe nel contesto educativo contemporaneo. La domanda “Cosa sono per lei le fiabe?” è stata posta come campo di testo libero, permettendo ai partecipanti di esprimere liberamente le proprie opinioni e concezioni. Sono emerse diverse dimensioni che riflettono la multifunzionalità e la ricchezza attribuite alle fiabe. Quattro si propongono come particolarmente significative: le fiabe sono percepite come strumento di conoscenza di sé e di crescita, come oggetto culturale, come mondo fantastico e ponte fra realtà e immaginazione, come fonte di piacere. È importante notare che molte risposte sono state categorizzate in più dimensioni, riflettendo la natura poliedrica delle fiabe. Queste risposte sono state codificate indicando l’area disciplinare, il grado e la città di afferenza dell’insegnante.

 

5.1. La fiaba come strumento di conoscenza di sé e di crescita

 

Questa dimensione, che include sia la crescita dei bambini che degli adulti, è stata menzionata in circa il 30% delle risposte, emergendo come uno degli aspetti più rilevanti. Gli insegnanti vedono le fiabe come un potente mezzo per esplorare e comprendere le emozioni, sviluppare l’identità e affrontare le sfide della crescita (Bettelheim, 2005; Gasparini 1999a; Campbell, 2012):

 

“Le fiabe sono uno strumento educativo molto efficace, in quanto accompagnano la crescita e lo sviluppo infantile. Attraverso una modalità giocosa il bambino scopre il proprio mondo interiore ed emotivo, comprende i sentimenti, anche quelli più complessi” (Sostegno – infanzia – Napoli).

 

Questa visione non si limita solo ai bambini: “Le fiabe sono uno strumento di esplorazione e conoscenza di sé, uno spazio di riflessione, un ‘catalogo dei destini umani’ come dice Calvino” (Primaria - Belgio).

Questa prospettiva evidenzia come le fiabe possano fungere da specchio per l’animo umano, offrendo opportunità di riflessione e crescita personale a tutte le età. Molti hanno inoltre enfatizzato il ruolo delle fiabe nell’aiutare a comprendere e gestire le emozioni.

 

“La fiaba è un mondo incantato e fantastico nel quale è presente sia l’ombra che la luce del mondo che ci circonda. Stimola l’immaginazione ed esorcizza le paure perché nelle fiabe c’è sempre un significato profondo che muove qualcosa in chi legge o ascolta. Offre sempre soluzioni ai problemi della vita o almeno ti aiuta ad affrontarle” (Area linguistica espressiva – primaria – Bologna).

 

5.2. La fiaba come oggetto culturale

 

Circa il 20% delle risposte ha evidenziato il ruolo delle fiabe come veicolo di trasmissione culturale (Bascom, 1954; Fischer, 1963; Chiavarelli, 2009). Le fiabe sono viste cioè come portatrici di valori e tradizioni che si tramandano di generazione in generazione: “Sono dei racconti popolari che incarnano una cultura, i suoi archetipi e il suo linguaggio simbolico” (Lingue straniere – secondaria di primo grado – Prato).

Questa visione sottolinea l’importanza delle fiabe non solo come strumenti educativi, ma come veri e propri artefatti culturali, mediatori fra l’essere umano e la realtà (Vygotskij, 2008; Cole, 2004), che preservano e trasmettono l’identità collettiva: le fiabe sono viste come “narrazioni che aiutano a comprendere la complessità della realtà e guidano nella risoluzione dei problemi e dei conflitti” (Area linguistico espressiva – primaria – San Giorgio a Cremano, NA).

 

5.3. La fiaba come mondo fantastico e ponte fra realtà e immaginazione

 

Come scrive Bruno Bettelheim ne Il mondo incantato “la forma e la struttura delle fiabe suggeriscono al bambino immagini per mezzo delle quali egli può strutturare i propri sogni ad occhi aperti e con essi dare una migliore direzione alla propria vita” (2005, pp. 12-13). La fiaba si pone cioè come ponte fra realtà e immaginazione. Circa il 20% del nostro campione vede infatti le fiabe come “posti magici dove costruire realtà diverse” (Italiano – primaria - Vercelli), “pianeti fantastici dove ognuno è libero di raccontare il proprio immaginario” (Sostegno – secondaria di primo grado – Potenza), evidenziando la capacità delle narrazioni fiabesche di ampliare gli orizzonti mentali e offrire nuove prospettive sulla realtà, nutrendo la creatività e l’espressione personale.

 

5.3.1. La fiaba come fonte di piacere

 

Sebbene menzionata meno frequentemente (circa nel 10% delle risposte), la dimensione del piacere emerge come un aspetto significativo dell’esperienza delle fiabe. Nelle parole degli insegnanti le fiabe sono “piacevoli letture che possono mirare al coinvolgere, partecipare e drammatizzare e lasciare negli educandi piacevoli momenti” (Sostegno – primaria - Milano). Questa prospettiva sottolinea l’importanza del piacere connesso con l’ascolto delle fiabe, che le rende strumenti educativi particolarmente efficaci.

Il piacere associato alle fiabe non si limita all’intrattenimento superficiale, ma si estende a una forma più profonda di godimento intellettuale ed emotivo.

 

“Sono cresciuta con le fiabe, all’inizio da uditrice, poi da giovane lettrice. Da adulta, le fiabe non hanno mai smesso di affascinarmi e mi hanno accompagnata nel mio percorso di crescita personale e professionale, offrendomi spunti di riflessione su ciò che si cela nelle profondità dell’essere umano” (Area umanistica – primaria – Milano).

 

Il piacere derivante dalle fiabe non si esaurisce quindi all’infanzia, ma rimane e si approfondisce con l’età, trasformandosi in una fonte di arricchimento personale duraturo.

In conclusione, l’analisi di queste quattro dimensioni principali rivela una concezione ricca e sfaccettata delle fiabe nel contesto educativo. Le fiabe emergono non solo come semplici racconti, ma come potenti strumenti pedagogici capaci di contribuire allo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale degli individui di tutte le età. La loro capacità di fungere da ponte tra realtà e fantasia, di trasmettere valori culturali, di facilitare la conoscenza di sé e di offrire piacere e coinvolgimento emerge come un aspetto particolarmente apprezzato dagli insegnanti. Questa visione complessa e articolata delle fiabe sottolinea l’importanza di un approccio pedagogico che sappia valorizzare appieno il potenziale educativo di questi racconti antichi e sempre attuali, riconoscendone la rilevanza non solo nell’educazione infantile, ma come strumento di crescita e riflessione lungo tutto l’arco della vita.

 

6. Il lavoro di costruzione delle versioni collettive

 

Il laboratorio Crescere giocando con la versione collettiva si è svolto in nove incontri online con 12 insegnanti delle classi IV e V della scuola primaria operanti in tutto il territorio nazionale. L’obiettivo era duplice: guidare i docenti nell’acquisizione del metodo e degli strumenti utili a realizzare in autonomia la versione collettiva in classe e osservare eventuali cambiamenti degli alunni in termini di motivazione e investimento sull’apprendimento. Le fiabe scelte sono tre, due fiabe popolari e una antica: La bella Caterina, ovvero La novella de’ gatti (Nerucci, 1880), Rana rana (Zanazzo, 1907) e La Bella prigioniera (Straparola, 2000). Per le prime due, trattandosi di due dialetti molto conosciuti e vicini all’italiano, si è proposta la lettura in lingua originale, per la terza, invece, si è considerato che l’italiano del Cinquecento di Straparola avrebbe potuto rappresentare per gli alunni della primaria un ostacolo al godimento della fiaba: si è proposta quindi la ri-narrazione presente in una raccolta realizzata per avvicinare i bambini alle fiabe italiane antiche (Gasparini, 1999b).

Per ciascuna fiaba il percorso ha visto le seguenti tappe:

 

·       Primo incontro: si è letta la fiaba e si sono forniti elementi di interpretazione della storia e strumenti narratologici utili per la versione collettiva.

·       Prima attività: le docenti hanno letto la fiaba agli alunni, raccolto gli elaborati e realizzato una bozza della versione collettiva.

·       Secondo incontro: le docenti sono state divise in quattro sottogruppi nei quali si sono analizzate nel dettaglio le bozze di versione collettiva.

·       Seconda attività: le insegnanti hanno letto la versione collettiva agli alunni.

·       Terzo incontro: dedicato alla discussione dell’esperienza.

 

7. Alcuni risultati

 

Gli strumenti utilizzati per la raccolta e l’analisi dei dati emersi dal laboratorio sono di tipo narrativo e fanno riferimento all’approccio della narrative inquiry (Clandinin & Connelly, 2000), che mira, attraverso la narrazione dell’esperienza, a descrivere e comprendere il significato e il valore attribuito dagli individui (o dai gruppi sociali) alla situazione oggetto della ricerca. Nel caso specifico, l’intento è stato quello di stimolare la narrazione e la riflessione degli insegnanti relativamente alla loro esperienza della versione collettiva, tramite un diario di bordo semi-strutturato e tre appuntamenti online. La domanda che ha guidato l’analisi è stata: l’esperienza della versione collettiva ha modificato le opinioni sulla fiaba dei docenti?

Dagli interventi durante gli incontri del laboratorio e dai diari di bordo, è emerso a livello complessivo che il lavoro con la versione collettiva ha mostrato nuovi modi di guardare alle fiabe.

In particolare, vogliamo soffermarci su tre questioni: la sospensione del giudizio, sentirsi parte del gruppo, l’inclusione.

 

7.1. La sospensione del giudizio

 

La versione collettiva richiede la sospensione della funzione superegoica (Freud, 1977), cioè di quell’istanza psichica che, derivante dall’interiorizzazione dei codici di comportamento, divieti, ingiunzioni, schemi di valore attuati nel rapporto con l’autorità genitoriale, inibisce l’emergere delle istanze pulsionali (De Masi, 1989). Tale sospensione (seppur ovviamente parziale e circoscritta nel tempo) ha lo scopo di consentire a queste istanze di trovare espressione e si traduce nella dichiarata assenza di giudizio e di valutazione o di spiegazione, insieme all’astensione dell’insegnante dal fornire ai bambini indicazioni che indirizzino i disegni o gli scritti.

L’esempio che forse meglio mostra questo fenomeno è stato raccontato durante l’incontro finale dedicato a Rana rana da un’insegnante di IV primaria, che ha posto l’attenzione sulla sospensione del giudizio e della valutazione e sul “senso di libertà” che questo porta con sé. E ha parlato dei disegni di Giovanna (il nome è di fantasia) affetta da un’alopecia molto grave a causa di una malattia: nei suoi elaborati di ri-narrazione della fiaba, le teste dei personaggi sono dei piccoli cerchi senza capelli. Pochi giorni prima, in occasione di un gemellaggio con un’altra scuola la maestra aveva chiesto ai suoi alunni di disegnare il proprio avatar e Giovanna si è disegnata con i capelli lunghi come aveva prima.

 

“Mi ha colpito e ho detto, come è possibile? Dopo due anni va a fare il proprio disegno, il proprio schema corporeo, e si disegna così, quando invece in tutti i disegni adesso fa solo delle teste rotonde? (…) Quindi è solo per dirvi come anche piccole cose, possono mettere il soggetto in uno stato di maggiore libertà, maggiore spontaneità. E io penso che questo senso di gioia che poi loro manifestano in classe, è molto legato a questo” (W- IV-3b[1]).

 

Nella sua riflessione riportata nel diario di bordo, un’altra insegnante di IV primaria rafforza e amplia il concetto: “I bambini tra di loro hanno imparato a non giudicarsi” (DB-IV-2d).

 

7.2. Sentirsi parte del gruppo

 

Tutte le insegnanti hanno riportato come i bambini durante il lavoro si siano sentiti parte integrante del gruppo classe. Questo si è evidenziato soprattutto nel momento della restituzione della versione collettiva: “Si è creato un clima iniziale di silenzio che è sfociato, a fine lezione, in un tripudio di applausi e complimenti vicendevoli” (W-IV-2b).

 

“Si dicevano l’un l’altro che erano stati bravi, si sono scambiati commenti e si sono chiesti se la storia ci fosse tutta o se avessero saltato dei pezzi. ‘Chi ha scritto la parte sul cane, quando il re dice del cane da caccia e del cane da guardia? Perché io proprio non me la ricordavo!’ ha chiesto G. […]. È di J.! I compagni l’hanno applaudito e ringraziato. Si sono proprio sentiti tutti parte del gruppo” (DB-V-4b).

 

“Ho restituito la storia lunedì. E sono entrata in classe pensando di farlo alla prima ora […]. Invece mi hanno bloccato e mi hanno detto ‘Ci dispiace maestra, ma noi la vogliamo ascoltare durante la pausa’. Quindi alle 10:30 si sono posizionati in modalità cinema, quindi, tutti intorno alla digital board, si sono seduti con il loro panino, in ascolto. E poi si erano organizzati e io non sapevo che si erano organizzati […]: si erano divisi in gruppi, maschietti da una parte, femminucce dell’altra e quando c’era il ritornello[2] di Rana rana, lo dicevano loro” (W-V-6b).

 

Senso di coesione, apprezzamento reciproco, vissuto in comune, questi gli elementi chiave sottolineati, fattori cruciali come mostra la letteratura (Bandura, 1977; Elias et al., 1997; Hamre & Pianta, 2006; Wenger, 2006; Ryan & Deci, 2017; OECD, 2024), per lo sviluppo del processo di apprendimento.

 

7.3. Inclusione

 

Come già detto uno dei criteri di scelta delle partecipanti al laboratorio Crescere giocando con la versione collettiva è stata la percentuale di alunni con difficoltà di apprendimento o non italofoni presenti nella classe, in quanto il metodo ha tra i suoi obiettivi quello di costruire uno spazio scolastico in cui tutti possano esprimersi, ciascuno con il proprio linguaggio e le proprie caratteristiche, e avere un ruolo nella narrazione della classe.

 

“Un alunno, inserito quest’anno a settembre, ha tenuto un sorriso dall’inizio alla fine, gioioso e felice, il suo disegno è stato quello d’apertura e questo atteggiamento mi ha colpita molto in quanto spesso è nei suoi pensieri e si isola. Il bambino autistico, si è alzato in piedi, ha alzato le braccia al cielo felice quando ho concluso la storia” (DB-V-1f).

 

“Una alunna (ipovedente) ha raccontato che a casa, ogni volta che io pubblico la versione collettiva della fiaba sulla classroom, lei organizza una ‘serata fiaba’: i suoi familiari si siedono sul divano e lei racconta la fiaba scorrendola sul tablet” (DB-IV-10d).

 

“C’è stata una criticità: la mancata consegna da parte di un’alunna di cui non mi ero resa conto. È venuto fuori solo al momento della restituzione. Lei è intervenuta dopo il racconto dicendo che non c’era il suo disegno ma d’altronde non me lo aveva consegnato. Non ha motivato […]. Però questa volta le è pesato. L’ha vissuta questa mancanza. Il suo disegno bello, coerente con la storia, ricco di dettagli” (DB-V-5d).

 

Dalla volta successiva, la bambina ha sempre partecipato alle versioni collettive e sempre con elaborati accurati.

È importante aggiungere che in ciascuna delle tre versioni collettive che ogni insegnante ha realizzato in classe sono presenti disegni e testi di bambini che, provenienti da famiglie non italofone, hanno diversi gradi di confidenza con l’italiano. Da una parte, infatti, la fiaba di tradizione popolare ha una struttura narrativa e simbolica che parla al bambino (come anche all’adulto) sia nella sua completezza, sia in una singola parte (Bettelheim, 2005); dall’altra la capacità espressiva, se ovviamente acquista vigore dalla competenza nella lingua e nel disegno, può però prescinderne. Un piccolissimo esempio. Nella fiaba Rana rana, si racconta che un re dà una palla d’oro a ciascuno dei tre figli dicendo loro di andare in cima al monte e lanciarla: dove la palla cadrà, lì i giovani troveranno la sposa. Un bambino di V primaria aggiunge: “I tre figli ascoltavano suo padre tutto tutto”. Dal punto di vista sintattico-grammaticale è evidente il doppio anacoluto di questa frase che però si distingue per l’efficacia con cui mostra i tre ragazzi attenti alle parole del re.

 

8. Conclusioni

 

Per necessità di sintesi, abbiamo presentato qui alcuni dei principali risultati emersi dall’analisi dei dati raccolti nell’ambito della ricerca-formazione sul metodo della versione collettiva della fiaba di tradizione popolare. In particolare, ci si è concentrati su tre dimensioni messe in luce dalle docenti stesse nella loro attività di riflessione sulla pratica. La prima riguarda la sospensione del giudizio, che ha favorito la libertà espressiva degli alunni e potenziato le altre dimensioni. “Si sono disposti tutti davanti allo schermo” scrive una docente di IV “come per assistere ad una prima, vicini, come a voler ricostruire un senso di comunità” (DB-IV-3b). E una collega ribadisce: “In particolare mi hanno colpito le reazioni dei bambini con difficoltà, che vedendo i loro lavori far parte di una presentazione ufficiale si sono sentiti gratificati e al pari degli altri bambini” (DB-IV-2b). Ogni alunno, che avesse o meno delle difficoltà o dei disagi, ha potuto vedere che la propria narrazione è parte integrante di quella collettiva. Come in un’orchestra, la musica di ciascuno strumento è necessaria perché possa esserci la sinfonia.

 

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[1] La codifica dei testi afferenti al laboratorio è così formata: la prima parte indica se le parole sono state dette durante gli incontri online (W) o sono scritte nel diario di bordo (DB), la seconda indica la classe, la sigla alfanumerica il numero d’ordine assegnato.

[2] Si tratta del dialogo ripetuto cinque volte nella fiaba fra il protagonista, Nicolino, e una ranocchia: “– Rana, rana / – Chi è cche mme chiama? / – Nicolin che ppoco t’ama. / – M’amereai quanno bbella me vedrai. Che vôi da me? – je fece la ranocchia” (Zanazzo, 1907, p. 165).