Formazione & insegnamento, 23(S1), 7910
Talent in Times of Crisis: A Historical, Pedagogical, and Introspective Reflection on Transitions
Il talento nelle crisi: Una riflessione storica, pedagogica e introspettiva sulle transizioni
ABSTRACT
This contribution, starting from a critical reflection on the contemporary existential and epistemological condition, explores the pedagogical potential of historical crises, interpreting them as generative contexts of talent. The study aims to argue how crises, if supported by appropriate didactic, formative and cultural interventions, can take shape as pedagogical and heuristic dispositives. The research uses a theoretical framework that integrates constructivism and trans-disciplinary approaches, applying methodologies such as role-playing and debate to design and analyse training paths based on case studies. The investigation highlights how critical contexts can turn out to be fertile scenarios of possibilities, in which difficulties can evolve into generative opportunities for developing talents and nurturing creative resources. Historical awareness emerges in this context as a transformative space capable of combining past understanding, orientation in the present and future planning, configuring crises as catalysts for individual and collective potential growth.
Il presente contributo, muovendo da una riflessione critica sulla condizione esistenziale ed epistemologica contemporanea, esplora le potenzialità pedagogiche delle crisi storiche, interpretandole come contesti generativi di talento. Lo studio si propone di argomentare come le crisi, se sostenute da adeguati interventi didattici, formativi e culturali, possano configurarsi come dispositivi pedagogici ed euristici. La ricerca utilizza un quadro teorico che integra costruttivismo e approcci transdisciplinari, applicando metodologie quali role-playing e debate per progettare e analizzare percorsi formativi basati su case studies. L’indagine evidenzia come i contesti critici possano rivelarsi fecondi scenari di possibilità, in cui le difficoltà possono evolvere in opportunità generative per lo sviluppo di talenti e nutrimento per le risorse creative. La coscienza storica emerge in questo contesto come spazio trasformativo capace di coniugare comprensione del passato, orientamento nel presente e progettualità futura, configurando le crisi come catalizzatori di crescita potenziale individuale e collettiva.
KEYWORDS
Crisis Pedagogy, Didactics of History, Talent, Transitions, Crisis
Pedagogia della crisi, Didattica della storia, Talento, Transizioni, Crisi
AUTHORSHIP
This article is the result of the work of a single author.
COPYRIGHT AND LICENSE
© Author(s). This article and its supplementary materials are released under a CC BY 4.0 license.
ACKNOWLEDGMENTS
This article was published with the support of Fondazione Umberto Margiotta.
CONFLICTS OF INTEREST
The Author declares no conflicts of interest.
RECEIVED
March 31, 2025
ACCEPTED
April 10, 2025
PUBLISHED ONLINE
August 7, 2025
1. Il disorientamento contemporaneo: tempo, spazio e identità in crisi
Decifrare le congiunture storiche e sociali in corso riuscendo a trovare una collocazione nella propria realtà è un processo di importanza rilevante al fine di evolvere e concretizzare i talenti individuali e collettivi. Il tempo presente, caratterizzato da crisi diffuse, accelerazioni improvvise e da uno stato di permanente transizione, genera però negli individui un profondo senso di disorientamento, condizione generale che contribuisce a diffondere una percezione astorica della realtà, in cui diventa sempre più complesso concepire e posizionare sé stessi in un contesto temporale e spaziale definito. Il progressivo corrodersi di queste dimensioni che regolano l’esperienza umana, processo intensificatosi rapidamente durante il recente periodo pandemico, incarna una trasformazione profonda che ridefinisce i parametri tradizionali del vissuto (Iavarone, 2023, p. 17). L’erosione del rapporto tra uomo, spazio e tempo mina la capacità degli individui di concepirsi come soggetti storici dotati di agency sulla realtà circostante, compromettendo ulteriormente la possibilità di scoprire, esprimere e affermare i propri talenti. Il passato, ridotto a una serie di immagini avulse, decontestualizzate e prive di connessioni con la contemporaneità, perde la sua funzione identitaria strutturante e orientante, rendendo ardua la lettura delle sottotracce e delle dinamiche sottostanti agli eventi in corso. La radicata predisposizione all’immediatezza esercita inoltre effetti destabilizzanti sulla percezione del futuro, avvertito come inattuabile, spaventoso e portatore di minacce incognite. L’individuo si ritrova così imprigionato e sospeso in un presente anestetizzato, privo di connessioni con un passato sistematizzante e di prospettive speranzose per il futuro, in un isolamento ermetico che vanifica e mortifica il potenziale talentuoso. L’accelerazione, un tempo emblematica del progresso e dell’emancipazione umana, si configura oggi come un’incubatrice di insicurezze, frustrazioni e stati depressivi, fenomeni particolarmente incisivi sulle nuove generazioni che, costrette a ritmi sempre più frenetici, sono pervase da un’ansia performativa costante e private della loro dimensione riflessiva, espressiva e progettuale. L’esasperante conflitto in atto tra individuo e temporalità riduce la percezione del tempo a mero Chronos, ovvero a una successione quantificabile di istanti che si fanno però sempre più sfuggenti e anonimi, precludendo la possibilità di esperire il Kairos, momento qualitativo e opportuno, essenziale per l’espressione autentica delle potenzialità individuali (Natoli, 2002, pp. 7-8). Il pervasivo sentimento di impotenza che contraddistingue l’epoca corrente richiama oltretutto quelle che Spinoza ha definito passioni tristi, circostanza in cui ogni azione sembra essere subordinata a una logica utilitaristica, influenzando in modo conformistico le generazioni più giovani inibendone gli slanci creativi. (Benasayag & Schmit, 2004, p. 20).
2. Un’analisi delle cause del disorientamento contemporaneo
La condizione generalizzata di stordimento e incertezza che la società odierna sta vivendo affonda le sue radici in una molteplicità di cause interconnesse e poliedriche. All’interno di questa cornice problematica, è frequentemente richiamato il concetto di Frenetic Standstill elaborato da Hartmut Rosa, il quale descrive una paradossale condizione di stasi frenetica in cui l’apparente dinamismo della modernità si traduce in un’incapacità sostanziale di generare cambiamenti significativi, lasciando l’individuo in un perenne stato di immobilismo (Rosa, 2013; Astone, 2015). Nella sua disamina della crisi contemporanea, Byung-Chul Han supera però ulteriormente la diagnosi proposta da Rosa e offre una prospettiva alternativa. Egli ritiene che l’epoca dell’accelerazione sia un retaggio del passato e un fenomeno ormai superato. A suo avviso, le criticità attuali scaturiscono da discrepanze e disallineamenti collettivi che, alterando la percezione del chronos, lasciano emergere l’assenza di un ritmo regolatore, necessario per dare logica, direzione ed equilibrio alla dimensione umana spazio-temporale (Han, 2017, pp. VI-VII; Chiesi, 2023, p. 38). A questo stato di frastornamento soggettivo, ormai comune, concorre anche il flusso incessante di informazioni che travolge gli individui, rendendo più gravoso e arduo destreggiarsi consapevolmente nelle complessità del presente (Chomsky & Herman, 1988). La Shock Doctrine, teorizzata da Naomi Klein, rivela inoltre un meccanismo perverso in cui, servendosi di questo saturante diluvio mediatico-informativo, crisi e caos vengono strumentalizzati per fini economico-politici, generando un sovraccarico cognitivo che ostacola la comprensione delle criticità in atto e compromette il benessere collettivo (Klein, 2007). Una rilevante parte della letteratura critica contemporanea converge nel riconoscere nella crisi il paradigma fondante della nostra epoca. Numerose analisi recenti descrivono una realtà socioculturale permanentemente instabile, caratterizzata da uno stato di emergenza e instabilità cronico che ha suggerito la definizione di età della crisi (Bevernage & Lorenz, 2013, p. 83). Il quadro concettuale qui delineato trova un precedente significativo nella nozione di Risikogesellschaft, introdotta da Ulrich Beck nel 1986 (Beck, 1992). A questo impianto teorico dialoga con le recenti osservazioni di Giorgio Agamben, il quale sottolinea come lo stato di eccezione sia sempre più normalizzato, trasformandosi progressivamente in un paradigma regolativo delle esistenze contemporanee (Agamben, 2018, pp. 175-236). La radicalizzazione retorica dell’emergenza e della criticità, declinata in termini di imminente collasso, rinforza l’habitus presentista che, adottando una prospettiva catastrofista per decodificare e interpretare il mondo attuale, designa una fenomenologia sociale dominata dall’urgenza e dalla perpetua aspettativa di una minaccia incombente (Hartog, 2022, p. 210).
In quest’orizzonte riflessivo, le categorie di transizione, rottura e criticità, imponendosi come nucleo epistemologico attorno al quale si organizzano le principali dinamiche socio-politiche, culturali e commerciali, assumono una rilevante funzione tipologico-classificatoria per la lettura e l’analisi dei sistemi umani. Uniti in un quadro teorico e lessicale condiviso, che include concetti come decadenza, rovina, collasso, estinzione e declino di civiltà, concetti come crisi e transizione hanno sviluppato un carattere polisemico intrinseco, la cui ambiguità genera frequenti sovrapposizioni e sfumature nei loro confini teorici (Colloca, 2010, Starn, 1971). L’uso assiduo e inflazionato di questi costrutti teorico-terminologici, ridotti frequentemente a slogan allarmistici sulla perdita dei valori, ne erode il valore analitico, rendendo problematica la circoscrizione della loro semiosfera analitica e l’utilizzo della crisi e della transizione come categorie analitico-interpretative per l’analisi multilivello delle vicende globali e soggettive. L’attuale incapacità di orientarsi o anche solo discernere tra i modelli esplicativi, come il declinante tramonto ciclico delle civiltà trattato da Oswald Spengler (Spengler, 2008), le crisi albeggianti postulate da José Ortega y Gasset (Ortega y Gasset, 2023) e i cupi interregni di transizione formulati da Antonio Gramsci nei suoi Quaderni dal carcere (Gramsci, 1975, p. 311), rivela una comune impasse interpretativa della condizione storica attuale. Comprendere la crisi richiederebbe inoltre l’abbandono di rassicuranti ma fallaci illusioni che intravedono in queste congiunture una giusta penitenza per redimere gli errori umani, abbracciando invece la consapevolezza che tali eventi siano frutto di complesse interazioni di fattori storici, antropici e naturali (Zizek, 2020, p. 17). Una consolidata mentalità teleologica e rassegnata alimenta un’impotenza razionalizzata che, pur consentendo l’analisi e la scomposizione dei problemi, paralizza gli individui sulla soglia dell’azione, impedendo loro di realizzare un cambiamento concreto. In un mondo coevo segnato da catastrofi, reali o immaginate, si è radicata la convinzione di vivere nell’orizzonte di un’eterna e scontata sopravvivenza. Questa visione post-tragica, con il suo tono fatalista, ha reso l’etica e l’azione storica umana un superfluo eccesso privo di incisività, riducendo questi aspetti in una consapevolezza sterile incline che conduce alla resa piuttosto che a una consapevole volontà di intervenire per il cambiamento (LaCapra, 2014, pp. IX-XV).
In assenza di un robusto quadro interpretativo e di definiti criteri valutativi, la temporalità si sfilaccia e perde le sue connessioni, assumendo una forma frammentata e discontinua. L’epoca corrente si configura come un contenitore oberato e de-strutturato, dove convergono una moltitudine di dati eterogenei, privi però di una struttura unificante in grado di attribuire loro un significato coerente. Il sovraccarico cognitivo derivante da questa situazione, unito all’assenza di un criterio analitico che faccia da cerniera, impedisce di cogliere i nessi vigenti tra eventi, processi, criticità e temporalità, rendendo difficile la decodifica e l’attribuzione di senso al divenire storico, con le sue fratture e contingenze (Han, 2017, pp. 23-24). Ad acuire tali problematiche, si aggiunge la crescente difficoltà di sviluppare una coscienza storica, la cui formazione è definita da Wineburg come un “unnatural act” in contrasto con l’istinto umano e amplificato da fenomeni come il presentismo imperante (Wineburg, 2001). In un’era dominata dal progresso tecnico e dalla delega dello spirito critico e della memoria alla rete e all’intelligenza artificiale, la didattica della storia affronta sfide considerevoli. La percezione della disciplina come un semplice insieme di fatti lineari, date e nomi in successione, unita alla convinzione che la sua conoscenza sia un esercizio mnemonico futile, insidia fortemente l’interesse per la materia e rinfocola le accuse di vacuità, incidendo ulteriormente sulla capacità di riuscire a collocarsi nello spazio e nel tempo interpretandone le correnti. La fine delle grandi narrazioni (Lyotard, 1981), la superficialità di molte analisi, il diffondersi di paradigmi psico-emotivi vittimistici, che giustificano le azioni presenti sulla base di ingiustizie passate, rischiano di circoscrive il ruolo della storia a uno strumento di rivendicazione politica e soggettiva, piuttosto che adoperarlo come un mezzo di comprensione critica e d’azione.
3. L’Ipotesi di ricerca
Alla luce dello stato generale illustrato, con una società globalizzata che utilizza emergenze, transizioni e crisi in modo sempre più ordinario e opportunistico, è evidente quanto sia necessario fornire, in particolare alle fasce più giovani della popolazione, gli strumenti per muoversi e decifrare la situazione corrente, consentendo loro di comprendere gli andamenti generali e cogliere quel kairos necessario alla concretizzazione dei talenti. La crisi si impone non soltanto come fenomeno contingente, ma come categoria analitica di straordinaria rilevanza epistemologica e pedagogica. Lungi dal costituire un momento esclusivo di discontinuità o di stasi, essa, riprendendo una terminologia di matrice bachtiniana (Diddi, 2009), si configura come un cronotopo critico in cui l’individuo è chiamato a confrontarsi con dinamiche multifattoriali, sviluppando, attraverso un processo euristico, competenze adattive e una rinnovata plasticità esistenziale. Questo spazio-tempo criticizzato, intriso di potenzialità trasformativa, diviene il teatro di un’esperienza educativa che trascende la semplice trasmissione di saperi, assumendo i contorni di un’impresa emancipativa, capace di ridefinire i paradigmi stessi della formazione umana. La letteratura sulla resilienza ha meticolosamente esplorato il ruolo della crisi quale catalizzatore di adattamento e crescita ed elemento chiave per costruire la propria capacità di ripresa e rilancio. Contributi significativi, come quelli di Brenè Brown, hanno ridefinito il modo in cui guardiamo alle vulnerabilità, intese non più come sintomi esclusivi di fragilità ma risorse fondamentali per costruire un’esperienza di vita intensa e significativa. Nei suoi lavori, la Brown ribadisce che la resilienza non è un tratto immutabile o innato, bensì un’abilità che può essere coltivata e sviluppata attraverso pratiche intenzionali e una trasformazione del modo di pensare (Brown, 2010). Nonostante il prosperare dinamico di questo ambito di studi, permangono però alcune rilevanti lacune, soprattutto in merito agli aspetti metodologici e prasseologici. Manca, in altre parole, una riflessione sistematica su come le crisi possano essere decodificate, interpretate e soprattutto trasformate in opportunità di apprendimento. Mentre gli storici hanno concentrato i loro sforzi nel definire cause, modalità ed esiti delle crisi del passato, discipline quali la psicologia, la sociologia e la filosofia della storia hanno indagato gli aspetti più concettuali, interiori e collettivi legati a tali contingenze. Restano tuttavia ancora da esplorare e attuare le potenzialità educative di un tale ambito, soprattutto per ciò che concerne le modalità attraverso cui la crisi può diventare un’occasione di apprendimento e crescita, educando il talento e delineando nuovi spazi pedagogici. L’esperienza della crisi, con la sua profonda implicazione esistenziale, solleva interrogativi cruciali per il campo dell’educazione. In un’epoca segnata da emergenzialità e catastrofismo, diventa essenziale sviluppare una pedagogia che sappia accogliere la vulnerabilità umana e favorire la ricostruzione di significato. Il legame inscindibile tra crisi e educazione, così come l’influenza reciproca tra trauma sociale e pedagogia, emerge con particolare forza in contesti di sofferenza collettiva. l’integrazione tra pedagogia e scienze sociali si rivela in questo quadro indispensabile per comprendere e elaborare la crisi storica in ambito educativo, esplorandone le dimensioni politico-culturali e trasformandola da esperienza distruttiva a opportunità di crescita e rinnovamento (Felman & Laub, 1992, pp. 1–7). Le discipline umanistiche, che per loro natura più di altre potrebbero offrire strumenti concettuali e interpretativi per affrontare tale complessità, con una spiccata capacità di accompagnare una riflessione critica in tal senso, sembrano spesso relegare in secondo piano la loro funzione pedagogica più autentica, ovvero quella di guidare gli individui nella comprensione e nella navigazione delle sfide esistenziali e collettive. La storia si afferma come disciplina centrale per la “pedagogia della crisi” teorizzata da Fabbri (Fabbri, 2019), a patto che si doti di strumenti educativi e approcci innovativi. Le metodologie didattiche adoperate devono superare la semplice ricostruzione cronachistica degli eventi, trasformando la disciplina in un laboratorio di interpretazione critica. Uno spazio che non si limita a esaminare le dinamiche di cambiamento conseguenti alle criticità, ma le connette alle molteplici dimensioni che lo studio del passato riflette sulla contemporaneità, evitando al contempo di scivolare in una visione anacronisticamente presentista o giustificazionista. Uno stretto rapporto vige tra la formazione individuale e la strutturazione di una coscienza storica (Levrero, 2017), quest’ultima porta d’accesso privilegiata alla dimensione etica e politica, asserzione che si rivela particolarmente significativa quando si focalizza l’attenzione sulla comprensione delle congiunture critiche e delle trasformazioni che hanno segnato il cammino dell’umanità nel tempo, nonché sul ruolo attivo dei talenti in questo processo. L’acquisizione del sapere si configura, in tale prospettiva, come un processo dinamico e rigenerativo, dando vita a quelle che Umberto Margiotta ha definito forme capacitanti (Marcone, 2020, p. 612). L’approccio proposto può generare un duplice empowerment che, operante simultaneamente a livello collettivo e individuale, consente al singolo di ripensare il proprio rapporto con il tempo, lo spazio e gli altri. L’individuo diviene così consapevole della propria dimensione storica, con un passato e una prospettiva futura, realizzabile attraverso la coltivazione autentica dei propri talenti al di fuori di logiche utilitaristiche e percorsi formativi innovativi, modellati in particolare sulle necessità degli studenti (Margiotta, 2017).
4. Metodologie e fondamenti teorici
Le crisi storiche, ponendo sotto pressione comunità e soggetti, sono, al di là delle problematicità espresse, occasioni che vedono emergere i talenti umani, predisposizioni a cui spesso si aggrappa anche il senso di resilienza degli uomini stimolandone adattabilità, creatività e innovazione. Eventi quali conflitti bellici, pandemie, catastrofi naturali e sconvolgimenti politici agiscono come catalizzatori di mutamenti radicali, sia a livello macrostrutturale (sociale, economico, tecnologico) che microstrutturale (interiore, psicologico). Simili avvenimenti e processi, di fatto, segnano discontinuità nella trama storica, mettendo in discussione paradigmi consolidati, aprendo nuove prospettive e chiudendo cicli ormai obsoleti. Il passato offre un patrimonio sconfinato di scenari, contingenze, personalità e comunità che hanno superato con difficoltà e sacrifici, talvolta estremi, ostacoli ed eventi tragici, offrendo al contempo anche esempi di cadute e scelte che hanno avuto conseguenze nefaste. Una didattica della crisi storica non può prescindere da un’indagine critica di tali errori, poiché essi rappresentano un’occasione per comprendere i meccanismi attraverso i quali le decisioni prese in contesti di incertezza e rischio hanno influenzato il presente. L’analisi delle congiunture negative permette di esplorare le reazioni della società e degli individui di fronte alle avversità, evidenziando i processi di adattamento e le strategie messe in atto per superare le difficoltà. Dal punto di vista metodologico, il percorso si struttura attraverso una didattica che riflette sulle diverse forme dell’ambiguità che si dispiegano in congiunture critiche (a livello individuale, collettivo e temporale), a titolo di esempio l’analisi di fonti contrastanti, allo scopo di far maturare agli studenti un’esperienza di partecipazione attiva e di immedesimazione introspettiva nella pratica storica. Ci si propone inoltre di affrontare le questioni esposte attraverso una prospettiva transdisciplinare, capace di integrare pedagogia, sociologia, filosofia della storia e metodo storico, con l’obiettivo di esplorare le possibilità di una didattica della crisi storica che de-costruisca i significati associati ai concetti di criticità e transizione indagandone anche le diverse declinazioni terminologiche. In tal modo, si auspica di fornire agli individui strumenti aggiuntivi necessari per affrontare le complessità del presente, trasformando le crisi in opportunità di introspezione e realizzazione. L’epistemologia costruttivista, con le sue molteplici declinazioni e l’idea di una conoscenza che emerge da processi attivi e idiosincratici di maturazione individuale, è il naturale fondamento di questa orizzonte didattico (Varisco, 2002). Seguendo una prassi indiziaria, anche di stampo deweyano, questa prospettiva intende superare l’accettazione passiva di dati, fatti ed episodi preconfezionati, favorendo invece un coinvolgimento critico con le ricostruzioni storiche (Dewey, 1933; 1938). L’applicazione dell’inquiry-based learning alla didattica della storia consente di superare la tradizionale narrazione fattuale, promuovendo un approccio analitico e interpretativo alle testimonianze, configurandosi come un paradigma educativo che promuove l’autonomia e allena a pensare storicamente. Il discente, attraverso l’indagine attiva, si interroga sul contesto di produzione dei documenti, sui bias e sulle implicazioni attinenti documenti e testimonianze, sviluppando una comprensione più profonda e significativa del passato. Rispondenti a esigenze didattiche e accompagnate da accurate operazioni di scaffolding, l’adozione di metodologie quali il role-playing e il debate , applicate a una didattica della crisi storica, declinata a indagare il ruolo avuto dai talenti nel suo dispiegarsi, si configura come un approccio pedagogico potenzialmente efficace. Il role-playing, attraverso la ricostruzione di eventi storici, la simulazione di processi decisionali e la drammatizzazione delle dinamiche sociali, consente agli studenti di immergersi partecipativamente nel passato, favorendo l’empatia storica e la comprensione dei contesti (Corredor et al., 2021). Parallelamente, il Debate si configura come uno strumento didattico di straordinaria valenza, particolarmente adatto all’analisi di dinamiche storiche controverse e al confronto interpretativo tra diverse correnti storiografiche. La disputa dialettica favorisce inoltre lo sviluppo di competenze fondamentali quali la comunicazione efficace e il dialogo argomentativo, consentendo al docente di verificare l’efficacia dell’attività attraverso criteri valutativi ben definiti come la qualità delle argomentazioni, la capacità di replica, la chiarezza espositiva, il rispetto delle regole della discussione ragionata e la collaborazione operativa. La pratica del dibattito consente anche un secondo binario di controllo e revisione riguardante l’interazione con la platea, il grado di coinvolgimento, la capacità di criticare e riconoscere la validità delle posizioni esposte. Per una buona riuscita delle procedure proposte, il docente dovrà fornire istruzioni chiare e precise, garantire un inquadramento del contesto storico ben documentato e condurre, al termine, un debriefing per una riflessione flessibile (Osborne, 2005).
5. I case studies: Storie di talento tra crisi storica, turbamento individuale e prigionia
La metodologia didattica delineata è aperta e fortemente incline all’utilizzo di case studies, che rappresentano l’elemento cruciale di questa proposta. Essi consentono di strutturare percorsi disciplinari trasversali, spaziando tra epoche, processi, eventi e figure storiche che hanno affrontato esperienze di crisi e transizione, aggrappandosi ai propri talenti o utilizzando l’esperienza dolorosa come base per una riflessione sulla crisi stessa. L’analisi di questi casi concretizza le riflessioni teoriche, mostrando come il talento possa emergere e svilupparsi in contesti difficoltosi e instabili. Attraverso le vicende e le storie individuali prese in esame, si intende dimostrare come circostanze e fenomeni critici creino microclimi e mesosistemi entro i quali gli individui trovino occasioni e risorse per sviluppare competenze esistenziali, risolutive e di resilienza. L’indagine, oltre a un approccio evenemenziale e processuale, si presta sia alla diagnosi di vicende individuali sia all’esame di gruppi di soggetti la cui esistenza, caratterizzata da predisposizioni e vissuti simili, ha attraversato transizioni complicate e stadi fortemente critici, non necessariamente interconnessi tra loro o pertinenti ad uno stesso periodo storico. Attraverso circuiti didattici e case studies, si intende evidenziare il ruolo del talento all’interno di congiunture complesse, analizzandone le potenzialità generatrici e trasformatrici in contesti segnati da discontinuità, transizioni e rotture. L’obiettivo è quello di esercitare e ampliare la comprensione delle modalità attraverso cui il talento si estrinseca nelle strutture comportamentali antropiche e nei modelli di condotta collettivi, ponendo particolare enfasi sull’influenza delle esperienze avverse e delle congiunture storiche complesse. La prospettiva pedagogica proposta, orbitante intorno i fondamenti dell’apprendimento cognitivo, si prefigge di esplorare e sfruttare le capacità ermeneutiche e la valenza gnoseologica delle emozioni, adoperandole come strumento di ottimizzazione dei processi di formazione e acquisizione del sapere (Marcone, 2020, p. 613).
Lungi dal proporsi come una ricostruzione narrativa esemplare o dall’aderire ai canoni tradizionali delle biografie degli uomini illustri, la proposta didattica seguente si caratterizza per la forte duttilità metodologica. Essa si configura come un percorso illustrativo ed esemplificativo, collocandosi in un ampio spettro di possibilità applicative che abbracciano ambiti interdisciplinari eterogenei. Il panorama formativo qui delineato si presenta come un esempio di un percorso formativo ipotetico finalizzato a esplorare la tematica del talento all’interno di un contesto estremo caratterizzato da prigionia, disumanizzazione e alienazione. Attraverso un’analisi che intreccia sistematicamente le dimensioni personali e storiche, l’indagine indugia sulle modalità mediante cui le criticità personali e collettive, originate da condizioni estremamente probanti di oppressione e difficoltà, quali la detenzione in un contesto storico drammatico, influenzano e ridefiniscono l’orizzonte e l’espressione delle potenzialità umane. Obiettivo ultimo è indagare le modalità attraverso cui il talento è emerso, si è affermato o ha fatto da supporto emotivo in tali circostanze, offrendo una prospettiva che trascende la semplice celebrazione del successo per esplorare i meccanismi di resilienza, generatività e trasformazione. Dopo un’accurata esplicazione dei lineamenti storici del periodo, un punto di partenza particolarmente significativo per questo tragitto didattico che pone in relazione isolamento, talento e crisi storica, nonché un esempio paradigmatico di come eventi tragici possano trasformarsi in un potente catalizzatore per la creatività intellettuale, può essere costituito dalla figura di Fernand Braudel. Storico tra i più autorevoli del XX secolo ed esponente di spicco della scuola delle Annales, Braudel incarna un caso di straordinaria rilevanza per il tema trattato, offrendo al contempo numerosi e significativi spunti per una riflessione sia metastorica che metadidattica. La sua vicenda personale e professionale, segnata dalla detenzione nei campi di prigionia di Lubecca e Magonza tra il 1940 al 1945, illustra come condizioni avverse possano tramutarsi in terreno fertile per l’elaborazione di idee innovative e per la ridefinizione dei paradigmi storiografici. Pur subendo le non trascurabili difficoltà imposte dallo stato detentivo, lo storico francese, resistendo alla disperazione e ai disagi, trasfigurò la carcerazione in un’opportunità per continuare il suo lavoro di ricerca, riuscendo persino a tenere lezioni e dibattiti nei cupi spazi detentivi coinvolgendo i suoi compagni di prigionia. Una delle sue opere più celebri, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II (Braudel, 1986), sviluppata durante gli anni di detenzione e nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, costituisce un esempio cardine di come la creatività intellettuale e il talento possano dispiegarsi anche in situazioni di intensa avversità. Privato dell’accesso a fonti e archivi, Braudel affidò il progredire del suo lavoro alla memoria e alle proprie abilità di storico, trasformando la prigionia sotto il regime nazista in un vero e proprio laboratorio di pensiero, con la sua attività intellettuale che divenne per lui motivo di orgoglio e resistenza (Braudel, 1998). Egli incarna così l’idea che anche , momenti di crisi personale, tragedia collettiva e circostanze proibitive , apparentemente senza via d’uscita, possano essere convertiti e rimodellati in uno spazio aperto al talento, generando, nel suo caso specifico, conoscenza e lasciando un’impronta duratura nel campo del sapere. Istanze equivalenti a quella appena illustrata sono riscontrabili anche in ambito matematico, favorendo così la possibilità di un approccio interdisciplinare. A tal proposito, un case studies di rilievo è offerto dalle vicende legate alla figura di Jean-Victor Poncelet, ingegnere e matematico francese che partecipò alla campagna napoleonica di Russia. Catturato dalle truppe russe in seguito al disastroso esito della battaglia di Krasnoi nel 1812, egli trascorse due anni in prigionia nel duro carcere di Saratov, un periodo che avrebbe però segnato la sua carriera scientifica. Similmente a Braudel, senza accesso ai libri o a strumenti matematici, Poncelet, ripercorrendo le sue conoscenze e riprendendo i fili del suo lavoro, utilizzò questa situazione negativa per riflettere sugli studi che aveva affrontato prima della cattura, ponendo le basi per la geometria proiettiva, uno dei suoi contributi più significativi alla matematica. Egli inoltre concorse a mantenere vive le speranze dei compagni di prigionia aiutandoli nella preparazione degli esami che avrebbero potuto ipoteticamente sostenere una volta ritornati in patria (Hersh & John-Steiner, 2008, p. 23; Bell, 1965, pp. 206–217). In uno scenario storico e personale diverso, ma con un’analoga capacità di tramutare l’avversità in occasione per coltivare il talento, André Weil, uno dei più influenti matematici del Novecento, visse un’esperienza di prigionia durante il secondo conflitto mondiale. Nel 1940, mentre cercava di evitare il servizio militare, Weil fu arrestato in Finlandia con l’accusa di spionaggio, riuscendo, non senza una certa dose di fortuna, ad evitare però l’esecuzione. Venne poi arrestato nuovamente in Inghilterra per renitenza alla leva e consegnato alle autorità francesi, sotto le quali venne detenuto prima a Le Havre e poi a Rouen. Le elaborazioni prodotte da Weil in questo periodo divennero poi gli elementi cardine su cui si innestò l’evoluzione della geometria algebrica moderna (Hersh, & John-Steiner, 2008, p. 24. Weil, 1992). Anche nel campo dell’arte, numerose vicende testimoniano come il talento possa non arrestarsi davanti condizioni di forte disagio e sofferenza estrema, evolvendo in modo vivido. Zoran Mušič, recluso nel campo di concentramento di Dachau, nonostante le circostanze disumane e i gravi rischi per la propria vita, non interruppe la sua attività artistica, continuando a disegnare di nascosto. Con una sensibilità artistica fuori dal comune, egli riuscì a documentare l’orrore e la brutalità di cui fu testimone servendosi di materiali di fortuna. Le sue opere, realizzate in condizioni estreme, rappresentano una testimonianza visiva di straordinaria rilevanza storica e umana. Capaci di trasmettere con profonda intensità la sofferenza e la resilienza di chi ha vissuto un’esperienza radicalmente disumanizzante, l’attività artistica di Mušič cattura ed espone, non solo la drammaticità di quei momenti, ma anche la dignità e la forza interiore di chi ha resistito all’abisso (Bassan, 2012). Una parabola esistenziale simile, ma con esiti purtroppo tragici, fu vissuta anche da Bedřich Fritta. Internato a Theriesenstadt insieme a numerosi artisti, letterati, musicisti e intellettuali, egli venne poi deportato ad Auschwitz anche causa della sua attività artistica, trovando poi la morte nel campo di sterminio. Durante la prigionia, Fritta realizzò diversi album di disegni, uno dei quali dedicato a suo figlio Tomáš, che sopravvisse alla tragedia dell’olocausto. Utilizzando l’arte per ritrarre la vita quotidiana nel campo, l’artista ebreo offre uno sguardo intimo e toccante sulle condizioni di vita disumane e precarie dei prigionieri. Il suo tratto marcato e intenso, continua a ricordarci l’importanza testimoniale del talento, capace di resistere e ritagliarsi il proprio spazio anche di fronte alla barbarie più assoluta (Adler, 2017, pp. 571–572). Una vicenda particolarmente affascinante e complessa è poi quella concernente Fernando Oreste Nannetti. Recluso in un manicomio a seguito di un oltraggio a pubblico ufficiale, egli riuscì a esprimere il suo mondo interiore servendosi dell’arte, incidendo un diario grafico sui muri dell’ospedale psichiatrico di Volterra utilizzando come strumento oggetti improvvisati. I suoi graffi spaziano da rappresentazioni figurative a scritte criptiche, spesso accompagnate da riferimenti alla sua identità, alla sua condizione di recluso e al suo immaginario fantastico. L’opera di Nannetti, intrisa di simbolismo e di un senso di ribellione silenziosa, si serve di un talento che ha visto la luce in un contesto di alienazione per affermare la propria esistenza, comunicando la propria interiorità ad un mondo esterno che lo aveva emarginato e recluso (Peiry, 2011; 2021). In tempi recenti, l’esperienza di Zehra Doğan, artista e attivista curda imprigionata in Turchia per le sue opere di denuncia politica, dimostra come il talento artistico possa diventare un potente mezzo di resistenza e documentazione. La sua colpa fu aver dipinto un quadro basato su una fotografia che ritraeva la distruzione di Nusaybin da parte delle forze turche, opera che condivise sui social media. Nonostante le limitazioni imposte dalla detenzione, la Doğan continuò a dipingere e a disegnare, utilizzando materiali di fortuna come lenzuola, tovaglioli di carta, resti di cibo e persino il suo sangue mestruale. Le sue opere, realizzate in carcere, documentano le violazioni dei diritti umani, la sofferenza delle donne detenute e la repressione del popolo curdo, trasformando la prigionia in un’opportunità per esprimere la sua voce e le sue capacità artistiche in un megafono per ampliarne la portata (Çıdam, 2022. Sarikartal, 2023).
L’analisi di questi case studies, lungi dall’essere una banale celebrazione del genio, non si limita alla semplice esposizione delle vicende individuali, ma è incentrata invece sulla forza resiliente e le potenzialità del talento in scenari non ottimali, bensì contrassegnati da difficoltà ed esperienze traumatiche condivise. Attraverso il dibattito e l’immedesimazione nelle storie e negli argomenti trattati, gli studenti possono acquisire una comprensione più profonda sia del contesto storico, rispondente alle esigenze didattiche, sia di come il talento e l’espressione del sè si manifesti anche in circostanze difficili, fornendo un sostegno individuale importante, trasformando la crisi in generatività e stimolando una riflessione di natura intimistica. L’Instabilità dei processi e dei periodi storici si determina come un’opportunità attraverso cui rivela uno spazio-tempo critico, scenario di un’esperienza formativa ed euristica volta a rendere l’individuo capace di sviluppare competenze adattive e di migliore plasticità sociale (Iavarone, 2024). Si prevede che una parte del dibattito strutturato sia incentrata sull’analisi dei limiti, degli effetti negativi e degli errori legati
Una parte del dibattito strutturato sarà inoltre finalizzata a esplorare i limiti, gli effetti negativi e gli errori legati all’estro talentuoso. Le questioni da considerare potrebbero vertere sul ruolo della dote e del genio, che, sebbene costituiscano un potente strumento di affermazione ed espressione, hanno dimostrato in diverse e variegate occasioni un impatto limitato, quando non addirittura negativo, sia sulla crisi individuale che su quella storica. Si rifletterà, inoltre, sulla portata generativa del talento, di frequente riconosciuta solo dopo il superamento della criticità, per mettere in discussione la concreta efficacia delle inclinazioni talentuose come strumento di cambiamento immediato ed efficace. Gli interrogativi sollevati aprono la strada a una riflessione critica poliedrica che considera sia le potenzialità trasformative del talento sia i suoi limiti e i vincoli imposti dalle circostanze avverse.
5. Conclusioni
Con lo studio proposto si intende indagare la possibilità di talentizzare la crisi e al contempo storicizzare il talento, prospettiva didattico-pedagogica che intende fornire agli individui strumenti in grado di operare sinergicamente un’indagine introspettiva e contestuale finalizzata alla scoperta e alla valorizzazione delle proprie inclinazioni. I talenti e le loro espressioni assumono in questo senso le sembianze di un paradigma metodologico e pedagogico, capace di decostruire e reinterpretare i significati associati ai concetti di criticità e transizione, intrecciati tanto a livello evenemenziale e processuale quanto individuale. Attraverso percorsi didattici e case studies, si intende evidenziare il ruolo del talento all’interno di congiunture complesse, analizzandone le potenzialità generatrici e riformatrici in contesti segnati da discontinuità, transizioni e rotture. L’analisi critica del concetto di crisi storica può costituire un presupposto fondamentale per un riorientamento soggettivo ed etico, in cui il talento assume una funzione trasformativa, convertendo le criticità in una condizione innovazione e un agente evolutivo. È tuttavia essenziale che questa traiettoria didattica rifugga da letture riduzionistiche, troppo frequentemente relegate alla sfera individuale e imbrigliate in paradigmi giustificativi o lenitivi. Le prospettive consolatorie rischiano di indurre a forme di adattamento passivo e rinunciatario che, mortificando la vitalità soggettiva, accresce e amplifica l’attuale distacco e disorientamento rispetto allo spazio e al tempo. L’insegnamento della storia, troppo frequentemente depotenziato in senso quantitativo o piegato a logiche identitarie distorte, assume un ruolo proattivo nel plasmare una sfera pubblica riflessiva e moralmente responsabile. La disciplina storica, riconciliando la sua funzione conoscitivo-epistemologica con il pieno recupero del suo ruolo formativo-pedagogica, si configura come un antidoto al senso di deriva comune. In un’epoca di smarrimento, la storia diventa un punto di riferimento per la stabilità comunitaria e personale, contrastando la confusione e stimolando la rivitalizzazione della generatività dei talenti, oggi costretti a muoversi in un contesto sociale sempre più arido e impoverito. Coltivare la conoscenza e promuovere il pensiero storico, liberandolo dalla prigione del presentismo senza ignorare la contemporaneità, incentiva una consapevolezza collettiva in grado di plasmare un’identità sociale informata e riflessiva. capace di confrontarsi costruttivamente oscillando tra passato, presente e futuro. Lo sviluppo di una coscienza storica è un processo di trasformazione antropo-sociale che, operando una crescita generale che supera le competenze tecniche, crea i presupposti per un’evoluzione migliorativa sistemica. In quest’ottica, la pedagogia della crisi storica si propone come esperienza maieutica, offrendo una sensibilità, una cognizione e una consapevolezza propedeutiche al dischiudersi dei talenti.
References
Adler, H. G. (2017). Theresienstadt 1941–1945: The face of a coerced community. Cambridge: Cambridge University Press.
Agamben, G. (2018). Homo sacer: Edizione integrale: 1995–2015. Macerata: Quodlibet.
Astone, G. (2015). Accelerazione sociale e frenetic standstill come concetti filosofici: La teoria di Hartmut Rosa. Dialettica e Filosofia, 7, 1–14. https://doi.org/10.13135/2704-8195/11197
Bassan, F. (2012). L’arte e la memoria dei campi. Zoran Music a Dachau. Volti della memoria (pp. 367–378). Milano: Mimesis.
Beck, U. (1992). The risk society. London: Sage.
Bell, E. T. (1965). Men of mathematics. New York: Simon and Schuster.
Benasayag, M. & Schmit, M. (2004). L'epoca delle passioni tristi. Milano: Feltrinelli.
Bevernage, B. & Lorenz, C. (Eds.). (2013). Breaking up time: Negotiating the borders between present, past, and future. Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht.
Braudel, F. (1998). Storia, misura del mondo. Bologna: Il Mulino.
Braudel, F. (1986). Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II. Torino: Einaudi.
Brown, B. (2010). The gifts of imperfection: Let go of who you think you’re supposed to be and embrace who you are. New York: Simon & Schuster.
Chiesi, V. (2023). Luoghi e non-luoghi della “capacità all’utopia” contemporanea. Tra accelerazione sociale, decelerazione e urgenza di futuro. Teoria e Critica della Regolazione Sociale/Theory and Criticism of Social Regulation, 1(26), 31–57. https://mimesisjournals.com/ojs/index.php/tcrs/article/view/3375
Chomsky, N. & Herman, E. S. (1998). La fabbrica del consenso. Milano: Tropea.
Colloca, C. (2010). La polisemia del concetto di crisi: Società, culture, scenari urbani. Societàmutamentopolitica, 1(2), 19–40. https://doi.org/10.13128/SMP-9268
Corredor, J., Castro-Morales, C., & Jiménez-Rozo, T. A. (2021). Document-based historical role-playing as a tool to promote empathy and structural understanding in historical memory education. In W. López-López & L. K. Taylor (Eds.). Transitioning to Peace: Promoting Global Social Justice and Non-violence (pp. 269–285). Cham: Springer. https://doi.org/10.1007/978-3-030-77688-6_15
Dewey, J. (1938). The theory of inquiry. USA: Henry Holt and Company.
Dewey, J. (1933). How {{We Think}}. Boston, New York, Chicago: D.C. Heath & Co.
Diddi, C. (2009). Sulla genesi e il significato del cronotopo in Bachtin. Ricerche slavistiche, 7, 143–156. http://hdl.handle.net/11386/2294973
Fabbri, M. (2019). Pedagogia della crisi, crisi della pedagogia. Brescia: Editrice Morcelliana.
Felman, S. & Laub, D. (1992). Testimony: Crises of Witnessing in Literature, Psychoanalysis, and History. New York: Routledge.
Gramsci, A. (1975). Quaderni del carcere. Edizione critica dell’Istituto Gramsci. Torino: Einaudi.
Han, B. C. (2017). The Scent of Time: A Philosophical Essay on the Art of Lingering. Cambridge: Polity.
Hartog, F. (2022). Chronos: The West Confronts Time. Columbia University Press.
Hersh, R. & John-Steiner, V. (2008). Refuge from misery and suffering. Mathematical Intelligencer, 30(1), 22–26. https://doi.org/10.1007/BF02985751
Iavarone, M. L. (Ed.). (2024). Neotenia e plasticità umana: Una prospettiva transdisciplinare per l’educazione. Milano: FrancoAngeli.
Iavarone, M. L. (Ed.). (2023). Educare nei mutamenti: Sostenibilità didattica nelle transizioni tra fragilità e opportunità. Milano: FrancoAngeli.
Klein, N. (2007). The Shock Doctrine and the Rise of Disaster Capitalism. Toronto: Knopf.
LaCapra, D. (2014). Writing history, writing trauma. Baltimore: Johns Hopkins University Press.
Levrero, P. (Ed.). (2017). Pedagogia della storia. Genova: Il nuovo Melangolo.
Lyotard, J. (1981). La condizione postmoderna: rapporto sul sapere. Milano: Feltrinelli.
Marcone, V. M. (2020). La formazione duale: sostenibilità vs generatività. Formazione & insegnamento, 18(1 Tomo 2), 607–617. https://doi.org/10.7346/-fei-XVIII-01-20_53
Margiotta, U. (2017). La formazione dei talenti. Roma: Carocci.
Natoli, S. (2002). Stare al mondo: Escursioni nel tempo presente. Milano: Feltrinelli.
Ortega y Gasset, J. (2023). Meditazione sull’Europa. Busto Arsizio: People PUB.
Osborne, A. (2005). Debate and student development in the history classroom. New Directions for Teaching and Learning, 2005(103), 39–50. https://doi.org/10.1002/tl.202
Peiry, L. (2021). Libro di Pietra: Fernando Nannetti. Tesserete: Pagina d’Arte.
Peiry, L. (Ed.). (2011). Nannetti. Lausanne/Gollion: Collection de l’Art Brut Infolio.
Rosa, H. (2013). Social acceleration: A new theory of modernity. New York: Columbia University Press. https://doi.org/10.7312/rosa14834
Sarikartal, Z. (2023). On the Question of the Artistic Transmission of Political Death (II): Zehra Doğan’s practice with blood. Performance Research. A Journal of the Performing Arts, 28(1), 27–35. https://doi.org/10.1080/13528165.2023.2226536
Spengler, O. (2008). Il tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della storia mondiale. Milano: Longanesi.
Starn, R. (1971). Historians and “crisis”. Past & Present, 52(1), 3–22. https://doi.org/10.1093/past/52.1.3
Varisco, B. (2002). Costruttivismo socio-culturale. Genesi filosofiche, sviluppi psico-pedagogici, applicazioni didattiche. Roma: Carocci.
Weil, A. (1992). The apprenticeship of a mathematician. Berlin: Birkhäuser Verlag.
Wineburg, S. (2001). Historical Thinking and Other Unnatural Acts: Charting the Future of Teaching the Past. Philadelphia, PA: Temple University Press.
Çıdam, Ç. (2022). From aesthetics of resistance to aestheticization of politics: The grotesque mimicry of joyful dissent. Critical Times, 5(2), 310–336. https://doi.org/10.1215/26410478-9799702
Žižek, S. (2020). Virus. Catastrofe e solidarietà. Milano: Ponte alle Grazie.