Book Review of Educazione democratica: La rivoluzione dell’istruzione che verrà by Christian Laval and Francis Vergne

 

Recensione de Educazione democratica: La rivoluzione dell’istruzione che verrà di Christian Laval e Francis Vergne

 

Maria Ratotti

Università degli Studi di Milano-Bicocca (Milano, Italy) – maria.ratotti@unimib.it

https://orcid.org/0000-0003-1369-3427

 

REVIEWED BOOK

Laval, C., & Vergne, F. (2022). Educazione democratica: La rivoluzione dell’istruzione che verrà. Novalogos. 264 pp. € 16.00. ISBN-13: 9788831392211

 

Il rapporto tra educazione e democrazia è stato negli ultimi anni un argomento centrale nel dibattito pedagogico per comprendere e affrontare le sfide delle società contemporanee. Questo legame, già messo in evidenza da John Dewey (1916/1997), trova nella sua definizione della democrazia come “forma di vita associata” una prospettiva pedagogica che enfatizza l’interazione critica e la partecipazione attiva dei cittadini come elementi costitutivi del vivere comune. Tuttavia, tale prospettiva appare sempre più distante: le logiche neoliberali tendono a ridurre l’istruzione a mero strumento per la formazione di “capitale umano”, svuotando di significato il ruolo trasformativo della scuola e relegando obiettivi fondamentali come la promozione del pensiero critico e della partecipazione civica a una posizione marginale, come evidenziato da recenti analisi che segnalano il crescente disallineamento tra i principi democratici e le pratiche educative (OECD, 2021).

L’Opera di Christian Laval e Francis Vergne, Educazione democratica del 2022, si inserisce in questo dibattito, ereditando le riflessioni di La nouvelle raison du monde (Dardot & Laval, 2010) e offrendo una prospettiva critica che non si limita alla denuncia. Seguendo la linea tracciata dai lavori di Gabriel Langouet (2011) e Terrail (2016), gli Autori mettono in luce come le disuguaglianze educative non siano solo il riflesso, ma anche il motore delle disuguaglianze sociali, strettamente correlate all’espansione delle politiche neoliberali. Queste dinamiche, secondo Laval e Vergne, vanno oltre la sfera educativa, influenzando la coesione sociale e la partecipazione democratica (Laval & Vergne, 2022, p. 66). Non è un caso che gli studi recenti sul disimpegno politico giovanile (Crowley & Moxon, 2017; Theocharis & van Deth, 2017; Deželan & Moxon, 2021) colleghino questa tendenza a una percezione di irrilevanza della propria voce nelle istituzioni, un problema amplificato dal sistema educativo stesso, che si concentra su competenze utilitaristiche, ovvero abilità orientate principalmente alla produttività economica e alle esigenze del mercato del lavoro, a scapito dell’emancipazione personale e collettiva. Le riforme hanno progressivamente trasferito nel contesto scolastico il linguaggio caratteristico del mercato, un lessico che, già dall’inizio del XX secolo, si era radicato in diversi settori dei servizi pubblici, contribuendo all’affermazione di quello che Boltanski e Chiapello (1999) identificano come il “nuovo spirito del capitalismo”.

Non limitandosi ad un’analisi critica, Laval e Vergne propongono un modello di educazione inclusivo e democratico, fondato sulla partecipazione attiva, sull’uguaglianza e sulla costruzione di una cultura condivisa. Secondo gli stessi Autori, il capitalismo, con la sua esaltazione della competizione individuale e del successo economico, ha progressivamente indebolito il ruolo sociale dell’educazione, orientandola appunto verso la formazione di “capitale umano” (Laval & Vergne, 2022, p. 33). Gli studenti, ridotti a consumatori, sono inseriti in un sistema – l’istruzione – che progressivamente sta perdendo la sua capacità di promuovere una responsabilità collettiva verso l’ambiente e la comunità.

Ma esiste una tensione storica tra il ruolo della scuola come promotrice dell’uguaglianza e le disuguaglianze strutturali del sistema economico. Nel contesto della Terza Repubblica francese, considerato dagli Autori come il riferimento più vicino alla loro realtà, la scuola veniva vista come strumento per stabilizzare un regime rappresentativo, in grado di fornire competenze minime a futuri elettori, senza tuttavia incoraggiarne una partecipazione critica alle decisioni collettive (Laval & Vergne, 2022, pp. 32‍–‍33). Con il neoliberismo, questa tensione si è acuita: la scuola è stata sempre più modellata secondo una logica di efficienza economica, marginalizzando il ruolo dell’istruzione come strumento di emancipazione.

Laval e Vergne criticano la “grande rinuncia neoliberale” (Laval & Vergne, 2022, p. 37), secondo cui sarebbe impossibile elevare il livello culturale degli studenti di estrazione sociale svantaggiata, scegliendo di privilegiare l’acquisizione di competenze utili al mercato del lavoro e abbandonando l’obiettivo di una cultura comune e critica (Terrail, 2016). Questa decisione solleva una questione di fondo: l’istruzione può essere considerata autenticamente democratica se si limita a perpetuare le disuguaglianze esistenti? Per aiutarci a rispondere a questo interrogativo, Laval e Vergne, nel proporre un modello educativo in grado di sfidare le basi del sistema attuale, rinvengono cinque pilastri: la libertà di pensiero, la ricerca di uguaglianza nell’accesso alla conoscenza, la realizzazione di una cultura comune per la democrazia, la definizione di una pedagogia istituente e l’autogoverno delle istituzioni del sapere. Tali principi, articolati nei relativi capitoli, si intrecciano con una concezione di democrazia che trascende la dimensione meramente rappresentativa per includere quella partecipativa.

I primi due capitoli dell’Opera sono strettamente connessi, poiché affrontano dichiaratamente la relazione tra educazione e democrazia, concentrandosi su due aspetti complementari: da un lato, la libertà di pensiero come condizione essenziale per non sottomettersi “alle menzogne, alle superstizioni e, in generale, alla direzione da parte di altri” (Laval & Vergne, 2022, p. 49) nel primo capitolo; dall’altro, l’uguaglianza nell’accesso alla conoscenza come presupposto per superare le barriere sociali e culturali – tema affrontato nel secondo capitolo. La prospettiva proposta intreccia l’analisi delle disuguaglianze strutturali con la necessità di ripensare criticamente i fondamenti epistemologici, organizzativi e didattici della scuola, opponendosi alle logiche neoliberali che oggi ne permeano il funzionamento.

Nello specifico, questa prima parte si interroga sulla possibilità di garantire la libertà di pensiero all’interno del sistema scolastico, proponendo l’adozione di un modello istituzionale federativo che tuteli l’autonomia accademica dalle influenze dei poteri organizzati (Laval & Vergne, 2022, p. 51). La libertà di pensiero, condizione imprescindibile di un’educazione democratica, è concepita dagli Autori come la capacità di problematizzare e teorizzare, ossia un “diritto alla riflessione filosofica” (Laval & Vergne, 2022, p. 72) che deve essere riconosciuto in tutte le età e in ogni disciplina. L’obiettivo, in tal senso, è superare la visione elitaria della filosofia come “regina delle discipline”, promuovendone la diffusione trasversale nel sapere (Laval & Vergne, 2022, p. 73). Inoltre, gli Autori affrontano il problema dell’uguaglianza concreta nell’accesso alla conoscenza, sottolineando come le disuguaglianze scolastiche siano il riflesso e il rafforzamento di quelle sociali, territoriali e di genere. Mettono in guardia da due narrazioni opposte: da un lato, l’idea che le disuguaglianze siano giustificate dalle divisioni di classe; dall’altro, la convinzione che l’uguaglianza scolastica sia già stata raggiunta (Laval & Vergne, 2022, p. 84). Entrambe le posizioni alimentano politiche che rafforzano l’approccio securitario e la medicalizzazione degli studenti emarginati, con l’obiettivo di adattarli alle logiche neoliberali, che come conseguenza stigmatizzano la loro mancanza di prospettive occupazionali (Laval & Vergne, 2022, p. 88). Riprendendo il pensiero di Dewey (1916/1997), gli Autori sono convinti che la democrazia si apprenda attraverso l’esperienza diretta, e che sia compito dei docenti interrogarsi su quali strategie metodologiche e didattiche favoriscono una formazione della soggettività democratica, evitando prescrizioni dogmatiche o precostituite. A tal proposito, se la centralità del docente emerge come nodo cruciale, la sua autonomia pedagogica è realmente garantita o vincolata da dispositivi normativi e culturali che ne limitano l’efficacia? Il rischio è duplice: da un lato si finisce per incorrere in una semplificazione del sapere che depotenzia il pensiero critico; dall’altro, in una rigidità dei codici scolastici, che esclude chi non vi si riconosce. E ancora, se la scuola tende all’autoreferenzialità, resta aperta la domanda su come riconnettere il sapere istituzionale alle sfide sociali e politiche contemporanee, evitando sia l’adattamento passivo di studenti e docenti sia la riproduzione acritica di modelli precostituiti. In un momento storico in cui la scuola tende sempre più a configurarsi come un mondo separato, con una vita propria, il nodo cruciale resta l’individuazione di legami possibili tra peculiari esperienze maturate in ambito scolastico e le sfide sociali e umane che possono coinvolgere e legittimamente interessare le nuove generazioni.

La seconda parte del testo è dedicata, invece, ad aspetti cruciali per la costruzione di una democrazia scolastica autentica e vede l’esplorazione del ruolo della cultura comune, della classe scolastica come microcosmo sociale e delle pratiche di autogoverno nelle istituzioni educative. Nello specifico, il terzo capitolo sviluppa il tema della cultura comune come fondamento della democrazia scolastica (Laval & Vergne, 2022, p. 125). Infatti, affinché la scuola possa essere un luogo di esercizio della democrazia, è necessario fondarla su una cultura comune che non sia imposta dall’alto né limitata alla semplice coesistenza, ma che offra a tutti gli studenti gli strumenti per partecipare attivamente alla vita collettiva, attraverso il recupero dell’insegnamento umanistico, essenziale per sviluppare immaginazione e pensiero critico, e la valorizzazione delle conoscenze tecniche in un curricolo condiviso (Laval & Vergne, 2022, p. 126). L’ideale democratico dell’educazione è oggi minacciato da una visione neoliberale – apparentemente inclusiva –, che ha individualizzato il percorso scolastico, enfatizzando la personalizzazione e l’adattamento ai bisogni dei soggetti coinvolti. Questo approccio, sostenuto da una retorica di attenzione alla persona, ha in realtà depoliticizzato l’istruzione, riducendola a un processo di produzione di capitale umano, con valutazioni standardizzate e percorsi sempre più frammentati. Gramsci (1932/1977) aveva già individuato nella scuola unitaria un modello capace di superare la competizione tra studenti, discipline e insegnanti, promuovendo invece una formazione integrata, sia umanistica che tecnica, che preparasse i giovani non ad adattarsi alle condizioni esistenti, ma a trasformarle (Laval & Vergne, 2022, p. 149). In questa prospettiva, superare la logica della selezione e della misurabilità significa restituire agli insegnanti autonomia e agli studenti la possibilità di sviluppare un rapporto autentico con la conoscenza, per una società più giusta e democratica.

Il quarto capitolo procede argomentando il concetto di classe scolastica. Alla classe sono attribuite le caratteristiche di un ambiente sociale in miniatura, con un tempo e un luogo in cui gli studenti possano sperimentare relazioni di autogoverno e cooperazione (Laval & Vergne, 2022, pp. 168‍–‍169). Gli Autori sottolineano che, per trasformare la scuola in un laboratorio democratico, è necessario resistere alla “doxa depoliticizzante” promossa dalle autorità pubbliche (Laval & Vergne, 2022, p. 188), che utilizzano le scienze cognitive per inculcare valori neoliberali come l’autoimprenditorialità. In questo contesto, gli insegnanti sono chiamati a favorire pratiche cooperative e sviluppare spazi di discussione critica, pur nella consapevolezza e nell’urgenza di dover affrontare le sfide imposte dalle politiche scolastiche in vigore.

Infine, il quinto capitolo esamina i meccanismi concreti che potrebbero rendere possibile l’autogoverno di scuole e università, intese come beni comuni (Laval & Vergne, 2022, p. 191). Laval e Vergne propongono riforme istituzionali che superino il controllo centralizzato dello Stato e la sua ideologia nazionalista. Di fatto, un’educazione autenticamente democratica necessita di un proprio spazio istituzionale, fondato su un’etica condivisa, un’indipendenza strutturale e un modello di governance partecipativo. Secondo gli Autori, l’unica modalità possibile si rintraccia nell’autogoverno, inteso come un processo continuo in cui tutti i membri dell’istituzione – studenti e docenti in particolar modo – contribuiscono attivamente alla definizione e alla revisione delle regole della vita comune, sviluppando la capacità di agire collettivamente per modificarle quando necessario. Tuttavia, un’educazione fondata sull’autogoverno non può limitarsi alle sole dinamiche interne all’istituzione: la costruzione di una cultura comune, infatti, prende forma attraverso la cooperazione con il contesto esterno, coinvolgendo soggettività capaci di immaginare alternative e di connettere il proprio percorso di apprendimento alle sfide collettive (Laval & Vergne, 2022, p. 225).

Così, i cinque capitoli appena presentati articolano, in maniera globalmente convincente, un’idea forte: la proposta di una pedagogia (e di un’idea di scuola) che consenta a studentesse e studenti di fare esperienza diretta di proposte educative democratiche quotidiane. In ciò, chiaramente, gli Autori sono eredi di una tradizione che da Dewey arriva a Freire (1967) e Castoriadis (2002): l’educazione non può limitarsi a trasmettere conoscenze, ma deve alimentare nei giovani il desiderio e le competenze per partecipare alla definizione delle regole collettive.

Se da una parte, quindi, il libro contribuisce a rispondere all’urgenza di ripensare l’educazione come una questione politica e sociale (Biesta, 2007), capace di contrastare la crescente polarizzazione e il senso di deresponsabilizzazione collettiva, d’altro canto rimangono aperte alcune questioni fondamentali. Quali strategie potrebbero essere adottate per resistere alle pressioni economiche e politiche che ostacolano una reale democratizzazione delle istituzioni educative?

Accogliendo l’invito degli Autori a discutere le loro proposte, si propone un confronto con il pensiero di Gert Biesta, in grado di arricchire il dibattito e offrire un approfondimento delle problematiche da loro sollevate. Il riferimento a Biesta risulta cruciale per porre in primo piano gli interrogativi avanzati da Laval e Vergne, poiché la sua riflessione offre un ulteriore spunto per comprendere come l’educazione possa promuovere una cittadinanza (democratica) consapevole. Biesta (2011) introduce la distinzione tra socializzazione e soggettivazione, due concetti che illuminano aspetti fondamentali del processo educativo. Mentre la socializzazione si prefigge di integrare gli individui in una società preesistente, il processo di soggettivazione pone l’accento sulla possibilità per ciascun individuo di divenire soggetto di sé, capace di sviluppare un pensiero critico autonomo e di mettere in discussione le normatività sociali e le strutture di potere dominanti: “it is about how I exist as the subject of my own life, not as the object of what other people want from me” (Biesta, 2020, p. 93). E l’attivazione di questo processo è particolarmente rilevante in un contesto educativo le cui logiche tendono a ridurre l’apprendimento a una forma di addestramento funzionale al mercato: educare alla soggettivazione implicherebbe, invece, riconoscere e valorizzare il potenziale di ogni individuo di diventare un agente del proprio percorso di vita, capace di confrontarsi con il mondo e di ridefinire il proprio ruolo al suo interno. Tale approccio richiede una trasformazione che non si limita a rivedere i contenuti curriculari o le tecniche didattiche, ma ripensa radicalmente il ruolo stesso dell’educazione. Gli educatori e gli insegnanti, in questa prospettiva, sono invitati ad assumere il compito di creare spazi di “sospensione” (Biesta, 2022), dove la predisposizione di un tempo rallentato permette a studentesse e studenti di incontrare il mondo e se stessi in relazione ad esso. Questo prezioso tempo di riflessione consente di lavorare attraverso le complessità della realtà, incentivando un apprendimento che non è finalizzato al conformismo, ma all’emancipazione e alla capacità di immaginare alternative.

In un’epoca in cui l’educazione rischia di essere assimilata alle logiche produttiviste, mettere al centro la soggettivazione significa dunque riaffermarne la natura etica e politica, in un processo che non si limita a una semplice rivendicazione teorica, ma implica il riconoscimento dell’educazione come pratica trasformativa, in grado di generare le nuove forme di pensiero, di azione e possibilità a cui gli stessi Laval e Vergne auspicano.

 

Riferimenti bibliografici

 

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