Beyond the Threads of action: Reflections on an Experience of Education to Desire through Pinóquio às Avessas by Rubem Alves
Oltre i Fili dell’Agito: Riflessioni su un’Esperienza di Educazione al Desiderio attraverso Pinocchio alla Rovescia di Rubem Alves
Daniel Boccacci
Università degli Studi di Ferrara – daniel.boccacci@unife.it
https://orcid.org/0000-0002-6509-7865
Curiosity, understood as a desire to know, is that fundamental human quality for developing awareness and shaping the nature of learning, behaviour, and relationships experienced as an authentic existential journey. Within the critical hermeneutic lens, the contents of this article intend to reflect on a school experience, which, based on the recited reading of Rubem Alves’ Pinocchio in Reverse, prompted the children involved to describe their ideal school starting from unresolved desires for knowledge. From the initiative, which highlighted a varied picture of school images and unanswered questions, linked to intense needs for emotional experiences, well-being, and active learning, the responsibility of education through storytelling emerges. It pushes to transform those tensions into strengths that overcome the technocratic processes of “puppetry” and has the task of developing individual talents within a complex existential framework, where the trust and experience of the “we” are not lost.
La curiosità, intesa come desiderio di conoscere, è quella qualità umana fondamentale per sviluppare consapevolezza e plasmare la natura dell’apprendimento, del comportamento e delle relazioni vissute come autentico cammino esistenziale. Entro la lente ermeneutica critica, i contenuti del presente articolo intendono riflettere su un’esperienza scolastica, che, basata sulla lettura recitata di Pinocchio alla rovescia di Rubem Alves, ha sollecitato i ragazzi coinvolti a raccontare la loro scuola ideale a partire da desideri di conoscenza irrisolti. Dall’iniziativa, che ha evidenziato un variegato quadro di immagini scolastiche e di domande senza risposta, legate a bisogni intensi di esperienze emozionali, di benessere e di apprendimento attivo, emerge la responsabilità dell’educazione attraverso il racconto. Essa spinge a trasformare quelle tensioni in forze che superano i processi tecnocratici di “burattinizzazione” e ha il compito di sviluppare i talenti individuali entro una cornice esistenziale complessa, dove non si smarriscono la fiducia e l’esperienza del “noi”.
Pinocchio, Rubem Alves, Desire, Story, Critical subjectivation
Pinocchio, Rubem Alves, Desiderio, Racconto, Soggettivazione critica
The Author declares no conflicts of interest.
February 2, 2025
April 6, 2025
April 30, 2025
Negli ultimi decenni una ricca letteratura sull’educazione emotiva sta contrastando i pregiudizi, i silenzi e le opposizioni che su di essa ha espresso buona parte della ricerca pedagogica, confermando per lo più quel binarismo ontologico (ragione ed emozione, anima e corpo, natura e cultura, ecc.), emerso con forza nella cultura dei secoli della modernità. Entro un paradigma più aperto e versatile di fronte alla complessità umana, non pochi pedagogisti, da angolature differenti, intendono valorizzare quell’universo interno, denso di immaginario, di inconscio, di esperienze simboliche, di emozioni, di consapevolezza affettiva, convinti che quella sfera sia propulsiva e modulatrice delle dinamiche e degli orizzonti dell’educare (Massa, 1986; Bertolini, 1988; Cambi, 1996; Baldacci, 2008; Bellingreri, 2010; Demetrio, 2000; Contini, 2009; Mortari, 2017; Riva, 2020; Fabbri, 2021).
Dentro questo quadro epistemologico dell’educazione il tema della curiosità, intesa come desiderio di conoscere, non si pone come questione meramente filosofica, sostenuta dalle grandi tradizioni teoretiche (dal pensiero greco a quello illuminista e contemporaneo), né emerge come oggetto di indagine sociologica (sulla presenza, sull’intensità e sulle forme nei variegati contesti attuali), né, infine, si manifesta come campo esclusivo della psicologia e della psicanalisi. La tensione interiore per la conoscenza, invece, generativa di domande, viene considerata una qualità umana strategica per trasformare la natura dell’apprendimento, del comportamento, delle relazioni e della qualità dell’esistenza. Illuminanti studi sull’argomento si pongono come un variegato sistema di discorsi formativi, che si articolano nella relazione tra differenti principi epistemologici, metodologici e assiologici (Contini, 1988; Kelly, 1997; Todd, 1997; Pignatelli, 1998; Albrecht-Crane, 2003; Watkins, 2008; Iori, 2012; Bruni, 2016; Gramigna, 2019; Amandini, 2021).
I contenuti del presente articolo rientrano in questo campo pedagogico e, basandosi su esperienza educativa, intendono approfondire una riflessione su come il racconto possa aiutare a coltivare i desideri di conoscenza in senso costruttivo e critico, da una parte ponendosi in ascolto dei bisogni esistenziali dei giovani, dall’altra rielaborando il desiderare come una tensione determinante per aprirsi al mondo e abitarlo.
I paragrafi seguenti riflettono su un’attività educativa condotta nel 2024 presso la scuola secondaria di I grado dell’Istituto Comprensivo “F. M. Ricci” di Fontanellato e di Fontevivo (in provincia di Parma), all’interno di una collaborazione con il Laboratorio di Epistemologia della Formazione (EURESIS) dell’Università di Ferrara.
L’esperienza, che, coordinata dal sottoscritto, ha visto il coinvolgimento di 112 alunni delle classi prime, si è collocata entro l’approccio ermeneutico critico (Kögler, 1999), basato sulla convinzione formativa del racconto che disvela i miti sociali e attraverso il dialogo, dinamica in cui gli individui coinvolti costruiscono sensi e consapevolezza grazie alla comprensione dei desideri vissuti (Gramigna & Pancera, 2012; Boschi, 2024).
L’esperienza è iniziata attraverso la lettura della fiaba Pinocchio alla rovescia di Rubem Alves (2022), recitata in ogni classe da parte dell’attore Piergiorgio Gallicani. La performance ha reso le aule degli ambienti-palcoscenico, un contesto pensato per unire evocazione, emozione e riflessione, ideale per intraprendere un percorso introspettivo. Alla lettura recitata, infatti, sono seguiti i racconti scritti da parte dei ragazzi stessi sulle loro domande e curiosità irrisolte e sulla visione ideale di scuola.
L’itinerario creativo e riflessivo, caratterizzato dalla lettura dei testi degli alunni, dal commento e dal dialogo finale con il sottoscritto e gli insegnanti, oltre che aver fornito stimoli e contenuti sui bisogni e sulle visioni dei ragazzi, ha permesso una co-rielaborazione focalizzata sul benessere esistenziale, sull’apertura all’altro e sui sensi profondi dell’educare.
L’ermeneutica è uno dei grandi approcci educativi contemporanei (Gallagher 1992; Gramigna, 2021). Entro questa prospettiva il racconto rappresenta la pratica fondamentale per lo sviluppo educativo, in quanto amplia la prospettiva esistenziale dell’educando, favorendo consapevolezza e significato di modelli di pensiero e di comportamento. L’agire narrativo non è mai un atto solipsistico, come affermano chiaramente Hans-Georg Gadamer e Paul Ricoeur, ma viene sempre mediato dall’interazione o dal dialogo con l’altro. In questa dinamica l’identità del sé si sviluppa dal confronto e dalla mediazione con l’alterità (Gadamer, 2000; Ricoeur, 2016). Proprio in questa convinzione risiede il valore pedagogico centrale del processo narrativo, che, a partire dalla conoscenza di contenuti e prospettive diverse dalla propria, attiva una relazione continuamente esperita e interpretata, fino a giungere a una comprensione, come afferma Gadamer, in cui l’individuo entra in un orizzonte più ampio di senso, grazie al riconoscimento del diverso da sé e dei suoi significati (Gramigna, 2021).
Nel caso dell’esperienza con le classi dell’Istituto “F. M. Ricci”, “l’altro” è rappresentato dalla storia di Pinocchio alla rovescia di Rubem Alves, recitata dall’attore Piergiorgio Gallicani.
Questa perfomance, caratterizzata dalla dinamica interattiva tra fiaba e attore, non si è posta come manifestazione puramente estetica, il cui fine è chiuso nella sua bellezza; non è stata concepita nemmeno come storia determinata rigidamente dell’incedere delle azioni sequenziali previste dalla trama; soprattutto non ha voluto essere un veicolo di verità da trasmettere. È stata considerata, invece, come una realtà altra, capace di suscitare significati e di interpellare la comprensione e l’interpretazione da parte dei ragazzi. Attraverso l’ascolto della storia di Collodi, rivisitata da Alves, essi si sono relazionati al proprio vissuto, operando, sempre interiormente, adattamenti al testo o raccontando e rimodellando le possibilità che esso è capace di esprimere. La finzione narrativa permette di imparare attraverso le storie degli altri, creando la propria. Tuttavia, nonostante i tati nodi di contatto e di convergenza che presenta il testo dello scrittore brasiliano con il contesto dei giovani a cui è stato proposto, non abbiamo pensato di realizzare questa performance scenica unicamente per suscitare il rispecchiamento autobiografico esistenziale. Abbiamo voluto attivare, invece, un percorso creativo di esplorazione e di apertura di significati tra le risorse etiche, cognitive, emozionali e identitarie, scaturite dal dialogo tra l’esperienza di ciascun ragazzo da una parte e la pratica della lettura e dell’ascolto dall’altra. In una rete che collega simbolo ed esperienza, sogno e realtà, sé e altro, ciascuno studente è stimolato stimolato a ricercare nuovi significati essenziali per sviluppare contemporaneamente il potenziale personale del linguaggio, dell’emozione e del pensiero.
Pur inserendosi entro la linea metodologica gadameriana relativa alla dinamica interpretativa e alla possibilità di comprensione e di fusione di orizzonti di significato, l’esperienza scolastica compiuta e la riflessione contenuta nel presente articolo accolgono le categorie dei concetti foucaultiani di potere e di normalizzazione. In riferimento alla lezione di Hans Herbert Kögler, i contenuti di studio dei paragrafi seguenti sono sostenuti da un approccio quindi definibile come ermeneutico critico o ermeneutico foucaultiano. Dentro questo orientamento la prospettiva e il metodo di Gadamer devono essere esplicitati maggiormente sull’aspetto educativo della riflessione inerente il potere e la sua introiezione culturale, per superare un tipo di analisi parziale sulla tradizione. In questo caso le pratiche di interpretazione e la metacognizione sviluppate, accanto alla costruzione consapevole di significati su di sé e sul mondo, devono smascherare in chiave trasformativa i miti e le forze del potere sociale e non farli sembrare “naturali” in quanto incorporati nei pregiudizi o precomprensioni della rete culturale (Kögler, 1999).
Il continuum dramma/narrazione costruisce significati per tutti noi, dove la trama dell’autore è il legame tra la “mia” storia e la storia degli “altri”. Questa interazione avviene pragmaticamente attraverso la lettura recitata, quella forma ibrida tra atto privato e teatro nell’esercitare qualità drammatiche, per la ricerca dell’enfasi, l’attenzione ai toni e ai ritmi, la cura delle emozioni e dei ruoli. La dizione, l’espressione del volto e gli elementi (fisici e simbolici) sono forma non per un’evocazione teatralizzante ma per la sostanzializzazione dei significati (Pitruzzella, 2016).
La lettura drammatica può essere una forma espressivo-educativa che racchiude grandi risorse per ragazzi preadolescenti, periodo assai delicato per la costruzione di identità, per lo sviluppo di linguaggi ed espressività complessi e per un rapporto intenso con tutti gli aspetti che toccano la sfera dei sentimenti (Frabboni 2005; Margiotta, 2018). L’esperienza dell’ascolto e della condivisione di un’azione scenica può aprire un canale sicuro e ricco di costruzione del sé e di sviluppo delle proprie risorse di rielaborazione di significati e di emozioni. La fiaba, poi, si presta a presentarsi come testo aperto a una molteplicità di interpretazioni e di “riscritture” sulla base delle qualità personali ed esperienziali in chiave integrata (cognitive, culturali, ideali, emozionali, sociali, ecc.).
Inoltre la lettura recitata può rendere pragmatica l’idea della possibilità di vivere un’esperienza di ricerca di condivisione leggendo e ascoltando. Ciascun educando, in questo caso, oltre a stabilire un ponte tra sé e il mondo di significati del testo, può stabilire relazioni con chi partecipa insieme a lui all’esperienza: domandare, dialogare, osservare, raccontare diventano pratiche non solitarie. Il confronto e la ricerca di reciprocità sono dinamiche che si possono attivare riflettendo su ciò che è stato recitato, in base all’espressione e alla messa in comune di conoscenze personali, di esperienze, di contesti culturali di vita. Ogni ragazzo è stato inviato a esplorare i simboli che si stanno usando tra la vita e il racconto ed è stato stimolato a soffermarsi sulle differenze di percezione e di interpretazione emerse. Il cuore dell’esperienza educativa che abbiamo sviluppato a partire dalla lettura recitata è stato quello di ingaggiare un doppio dialogo alla ricerca del significato (tra testo e ascoltatore e tra ascoltatori).
Il libro Le avventure di Pinocchio è il più tradotto al mondo tra i classici della letteratura italiana (Borghello, 2022). Da quando nel 1881 Carlo Lorenzini (sotto pseudonimo di Collodi) pubblicò i primi otto episodi a puntate sulla prima annata del Giornale per bambini, supplemento del quotidiano Il Fanfulla, la storia del burattino di legno non ha mai smesso di esercitare il suo fascino, ispirando generazioni, società e uomini, che si sono espressi attraverso una miriade di riscritture, di rivisitazioni, di adattamenti e di trasposizioni dalla narrativa al teatro, dalle arti figurative al cinema. Il recente ricchissimo volume critico e storiografico, intitolato Atlante Pinocchio, dà testimonianza della sua fortuna globale (Capecchi, 2024).
Anche per la ricerca educativa la fiaba di Collodi è una fonte inesauribile di temi e di suggestioni. Le grandi risorse etiche e di significato esistenziale di quest’opera trovano una esaltazione rilevantissima entro la dimensione pedagogica. Ne furono ben consapevoli pedagogisti classici del Novecento, come Dina Bertoni Jovine e Luigi Volpicelli (Bertoni Jovine, 1954; Volpicelli, 1959). Anche in questi ultimi decenni la storia della marionetta vivente è stata al centro di approfondimenti che hanno toccato questioni educative cruciali, riguardanti la mente curiosa e lo spirito indomito (Lucas, 1999; Avanzini, 2014), l’inclusione (Margiotta, 2011), l’unicità della persona e la diversità (Frabboni, 2016), l’identità e la crescita nella complessità (Fanny Giambalvo, 1977, Cambi, 1985), l’ascolto e il confronto (Frabboni, 2016; di Biasio, 2020); il gioco e la creatività (Frabboni, 2016; Acone, 2024) le gabbie, l’utilitarismo e le ipocrisie della vita adulta, l’etica dell’onestà e del discernimento (Acone, 2024), i diritti dell’infanzia e il contrasto alla povertà educativa (Pastorello, 2020).
Al di là di questo ricchissimo archivio tematico, il Pinocchio di Collodi è una risorsa preziosissima per inverare la convinzione che il racconto rappresenta un’esperienza fondamentale di sviluppo educativo (Acone, 2024). Esso, infatti, consente, di ampliare la prospettiva esistenziale dell’educando, favorendo consapevolezza e significato di modelli di pensiero e di comportamento.
La stessa qualità si può evidenziare nella rivisitazione della storia di Pinocchio compiuta da Rubem Alves. Legato al movimento della Teologia della Liberazione, egli dà prova in questa fiaba del suo percorso creativo versatile per temi e opere narrative, teologiche e pedagogiche, tra cui la nota Pedagogia del desiderio. In generale nei suoi scritti egli incoraggia giovani e adulti a concepire l’educazione come sviluppo del desiderare, dell’immaginazione, del sogno e dello spirito critico, in contrasto con modi di pensiero e con i sistemi istituzionalizzati, che mortificano quelle qualità a favore dell’omologazione e della funzionalizzazione della vita (Alves, 2015). Questa tesi è proprio al centro di Pinocchio alla rovescia, fiaba provocatoria in cui Alves pone l’esperienza educativa nella rete delle aspettative scolastiche, familiari e sociali, sempre in tensione tra verità e libertà, creatività e potere. La proposta che emerge dalla sua riflessione è quella di non rinunciare mai alla ricerca di autenticità nella continua, coraggiosa e radicale esplorazione personale.
All’opposto del burattino di Collodi, desideroso di diventare umano grazie alla curiosità e al senso di responsabilità di fronte agli altri, il protagonista del racconto di Alves, di nome Felipe, è già un bambino, pieno del vivo stupore e della brama di conoscenza, che caratterizza l’infanzia di fronte al mondo.
“La curiosità è come un prurito che viene dentro la testa, un luogo in cui abitano i pensieri. La curiosità appare quando gli occhi iniziano a fare domande. Gli occhi dei bambini sono sempre curiosi. Vogliono vedere ciò che è nascosto. Vogliono sapere cosa c’è dietro le cose” (Alves, 2022, p. 13).
Con questo spirito Felipe inizia la scuola. Tuttavia, già nei primi giorni, i maestri gli pongono deliberatamente dei freni, dietro la giustificazione di programmi da svolgere. Egli chiede invano il nome di un uccello azzurro ed esprime altre curiosità simili. La reazione degli insegnanti lo rendono perplesso: “Il maestro di Portoghese conosce il portoghese, quella di Geografia conosce la geografia, quello di Storia conosce la storia… ma qual è il maestro che conosce il nome dell’uccello azzurro?” (Alves, 2022, p. 26, 28).
Si accorge che quell’istituzione è diversa da come se l’aspettava. Non soddisfa le sue più personali domande di conoscenza. Il padre lo aveva avvertito: “Gli adulti sono il lavoro che fanno per guadagnarsi da vivere. Le scuole esistono per trasformare i bambini in adulti che lavorano” (Alves, 2022, p. 18).
Felipe lo ascolta e non vuole deluderlo.
“Non posso essere motivo di vergogna per i miei genitori, loro mi hanno iscritto in una scuola buona, una scuola costosa che prepara per il vestibular [esame di ammissione all’università brasiliana] e fanno un grande sacrificio per me. Loro vogliono il mio bene. Non penserò più agli uccelli” (Alves, 2022, p. 35).
Convincimenti, persuasioni e strumenti istituzionalizzati tra sé, la scuola e la famiglia normalizzano la condotta di Felipe, che si conforma alle ambizioni lavorative dei genitori e alle richieste formali degli insegnanti (voti, titoli, certificazioni e procedure), attraverso un’esperienza educativa enciclopedica e sequenziale. Così “ogni giorno che passa conosce più nomi. Logaritmi all’ennesima potenza, trisomia, cromatidi, mitosi, anamnioti, cloroplasti, seno, coseno, tangente, le cause della Guerra dei cent’anni, tassonomie botaniche” (Alves, 2022, p. 36).
In questo modo, però, Felipe si “burattinizza”, ricordando non la conclusione del percorso di Pinocchio di Collodi, ma le sue numerose cadute, quando, ritornato marionetta, “non era più lui: era diventato quello delle parole che altri piantarono” (Alves, 1994, p. 27).
In entrambe le storie il ruolo dei desideri, il legame con i sogni e il loro racconto condiviso tra giovani e adulti, sono posti al centro della riflessione educativa. Nella fiaba di Collodi, prima ancora che il protagonista sia presente in carne ed ossa (“C’era una volta […] un pezzo di legno”), qualcun altro spera e immagina come potrebbe trasformarsi quel tronchetto; poi, quando questo diventa Pinocchio, nonostante tante cadute, il bambino riesce a riorganizzare i pensieri e a trasformare l’irrequieta curiosità attraverso i desideri e i consigli di Geppetto, della Fata Turchina, del Grillo Parlante e di altri personaggi secondari, come l’amico Pavio, il piccione, il tonno e il cane.
Passati molti anni dai tempi della scuola, diventato professionista stimato e realizzato, Felipe prova una felicità profonda in un momento di paradossale lucidità. Nel pieno del sonno notturno, in un sogno la Fata Turchina gli rivela il nome dell’uccello azzurro grazie a un incantesimo. Per la prima volta nella sua vita un desiderio personale profondo di conoscenza viene soddisfatto.
La storia di Felipe, induce a pensare come le aspirazioni inedite e la creatività vengono inghiottite da paure ataviche e da brame di controllo, che attraversano la scuola. Anziché realtà di stupore e di scoperta, ispiratrice di nuovi desideri e sentieri, forza critica e trasformativa per il futuro, il luogo d’istruzione del bambino brasiliano non è dissimile da una fabbrica che produce oggetti standard e gli stessi insegnanti, burattinai per le nuove generazioni, sembrano operai-fantocci essi stessi.
La curiosità è quel desiderio che spinge a esplorare, a percorre avventure e a immaginare oltre ciò che pensiamo riempire l’esistente. È una forza fondamentale per alimentare il pensiero creativo che espande la dimensione temporale contro le gabbie dell’immediato e del presente perpetuo. È quell’energia che garantisce una vita complessa, lontana dai pericolosi abbagli dell’omologazione (Han, 2017).
Le domande irrisolte sono l’espressione linguistica di questo tipo di desiderio. Si annidano certamente in ciò che è aperto, inconcluso e incerto. Lavorare, in particolare, sulle questioni insolute personali favorisce l’introspezione e la consapevolezza di sé, aiuta ad addentrare il pensiero nei meandri più profondi dei sogni, delle paure, delle scelte, della memoria e delle speranze. Insegna all’esistenza dei limiti, incentiva a superare la ricerca di spiegazioni definitive, placa dall’ansia di controllare e dominare tutto di fronte all’orizzonte sperduto della vita.
Nello spirito di questa riflessione si è scelto di intervenire nel contesto scolastico a partire dal testo di Alves. Al termine della performance, abbiamo chiesto ai ragazzi di scrivere e commentare una domanda (generale o personale), magari partendo da una curiosità specifica, in relazione alla quale credono di non avere mai ricevuto una risposta.
Ne è scaturito un ricco mosaico di interrogativi che testimoniano sfaccettati interessi e volontà di sapere di fronte alla complessità della realtà.
In questo quadro sono indubbiamente maggioritarie le richieste sull’uomo (sociali, filosofiche, biologiche, personali), in particolare sul perché: “non abbiamo le ali”; “ci sono le malattie”; “si mangiano i tartufi”; “pensiamo al futuro”; “esistiamo”; “c’è la moda”; “quando nasciamo siamo piccoli e poi cresciamo”; “la gente si sente bella oppure brutta”; “esiste il razzismo contro chi è nato a Napoli”.
I ragazzi hanno scritto anche domande sul mondo, ad esempio perché “esiste l’universo” o “gli alberi hanno le foglie”, e questioni metariflessive sul senso generale del teatro o sull’attività laboratoriale che stavano vivendo (Laboratorio teatrale, 2024).
Aperta la scatola delle curiosità, abbiamo chiesto a loro di raccontare la scuola ideale, dove forse potrebbero ricevere risposte e sarebbero felici di formarsi. Su questa ulteriore sollecitazione essi hanno sviluppato con entusiasmo un quadro assai articolato, ricco di sensibilità, di proposte e di idee diverse, che si legano alla storia di Felipe, alla propria esperienza scolastica ed extrascolastica.
Dai racconti emergono, in particolare, quattro aree tematico-educative: l’ambiente accogliente e legato alla natura; l’innovazione tecnologica; la valorizzazione del tempo libero; l’educazione emozionale in presenza di insegnanti empatici.
I ragazzi avvertono lo spazio e la sua organizzazione come un aspetto fondamentale della scuola ideale, che non deve essere asettica o troppo funzionalizzata, ma vibrante, ricca di oggetti, di colori e di suoni, che stimolino l’emozione, la curiosità e la creatività: “un mondo da scoprire, che fa venir voglia di esplorare e di ritornarci”; “un luogo con tante istallazioni interattive facilmente accessibili per divertirsi e imparare nello stesso tempo”; “un ambiente con tante aree diverse per le forme e gli usi”. Qualcuno si riferisce esplicitamente a musei visitati, come il Museo delle Scienze (MUSE) di Trento o il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano (Laboratorio teatrale, 2024).
La connessione o immersione dello spazio scolastico in un contesto naturale è considerato altrettanto importante: “Vorrei tanto verde con numerosi ambienti (acquari, alveari, boschetti…), che possiamo abitare e conoscere”; “se le pareti fossero di vetro, mi sembrerebbe una scuola all’aria aperta”; “sarebbe bello vedere dei panorami a perdita d’occhio” (Laboratorio teatrale, 2024).
Ritorna spesso l’idea che le classi siano come delle realtà ecologiche distinte.
“Mi piacerebbe che la scuola avesse tante zone diverse, un po’ come gli ambienti naturali della Terra. Vorrei che il pavimento cambiasse consistenza, un po’ come per effetto dei contenuti della lezione: ghiaccio, sabbia, muschio, terra, ecc.” (Laboratorio teatrale, 2024).
Anche l’innovazione tecnologica è un tema molto presente nei racconti. A volte è pensata per rendere l’attività scolastica più concreta e coinvolgente, nell’attivare i sensi e stimolare le emozioni. Ad esempio, ritorna frequentemente il desiderio di avere dei robot in classe che aiutino gli insegnanti e gli allievi: “Potrebbero condurre degli esperimenti. Farebbero dei movimenti che noi ripeteremmo. Garantirebbero anche più sicurezza per trattare il fuoco o delle sostanze chimiche senza coinvolgere noi direttamente”. Queste macchine potrebbero, inoltre, essere dei “sapientoni” per rispondere in tempo reale a domande nelle diverse discipline. Sono anche menzionati gli avatar per immaginare “un videogioco”, in cui personaggi del mondo dello spettacolo di oggi, ad esempio “Ed Sheeran e Dua Lipa interagiscano con noi, aiutandoci a migliorare la pronuncia e il lessico inglesi”. A volte la tecnologia è immaginata come via per accedere a spazi e a esperienze diverse dalle consuete, come afferma uno studente: “Mi piacerebbe che le pareti e il pavimento dell’aula fossero come degli enormi schemi interattivi. Con loro potremmo viaggiare nel mondo e nello spazio. Ci darebbe la sensazione incredibile di immergerci in altri ambienti”. Diversi ragazzi menzionano anche la simulazione tramite visori per la realtà virtuale, come in queste affermazioni: “Sarebbe bello che ciascuno potesse indossare un casco VR”; “mi piacerebbe che con dispositivi come occhiali o visori potessimo insieme esplorare foreste, animali e pianeti in movimento” (Laboratorio teatrale, 2024).
Molti ragazzi propongono una diversa concezione e distribuzione del tempo scolastico a favore di un maggiore peso dei momenti liberi e ricreativi, non considerati slegati dalla crescita e dall’apprendimento: “Nel pomeriggio sarebbe bello rimanere a scuola a fare quello che si vuole, non nelle classi, ma tipo in palestra o in biblioteca”; piacerebbe coltivare “propri hobby o passioni personali come l’ascolto della musica, il collezionismo, il disegno, gli sport”; ci potrebbe essere uno spazio in cui “noi andiamo a fare quello che più ci ispira secondo i personali interessi”; “sarebbe bello” formare dei “club per le attività dopo le lezioni, ad esempio di calcio, di videogame”; ci potrebbe essere un “grande laboratorio dove andare liberamente diverse volte alla settimana!”; “potremmo organizzare cacce al tesoro, corse e balli che coinvolgono tutta la scuola” (Laboratorio teatrale, 2024).
Alcuni non disdegnano “di poter dormire, fare colazione o usare il telefono e di avere momenti più lunghi di intervallo” in un luogo “aperto sette giorni su sette, giorno e notte”. Tra i ragazzi che hanno espresso un concetto di fusione tra tempo libero e tempo dell’apprendimento, alcuni si sono soffermati anche sulla natura della valutazione che dovrebbe essere motivante e formativa, con “verifiche e interrogazioni, ma senza voti” oppure “con i voti, ma senza bocciare almeno fino ai 14 anni”.
Molte idee e immagini dei ragazzi sono rivolte a favore del loro benessere psicologico e delle esperienze emotive.
C’è chi ha scritto di “sportelli”, dove c’è sempre qualcuno “pronto ad ascoltarti con serenità anche su problemi grandi” oppure chi ha sottolineato “una scuola che trasformi gli errori di ciascuno in qualcosa di bello”. C’è anche chi ha desiderato un gruppo di esperti e di studenti che insieme lavorino ogni settimana per ideare delle attività (giochi e incontri) contro gli stress e le incomprensioni o chi ha proposto di vivere alcuni momenti con animali, “cagnolini che giocano felici tra cuscini, asinelli tranquilli e simpatici, pesci rilassanti”.
Anche l’esperienza artistica è considerata come proposta importante per la crescita emozionale: “Mi piacerebbe ci fosse una compagnia stabile di teatro, interna alla scuola, dove coinvolgere insegnanti, ragazzi e attori”; “sarebbe bello fare una gara solidale di arte, dove ogni persona della scuola (anche gli insegnanti) si impegnasse su un tema preciso, esprimendosi nel linguaggio che meglio desidera”.
Non mancano poi accenti sul docente capace di prestare attenzione empatica agli alunni: “Vorrei che ogni giorno ci fosse il momento dell’Ascolto. Si fermerebbero le lezioni e gli insegnanti riceverebbero nostre lettere o noi stessi in persona per esprimere insicurezze o problemi quotidiani”. Similmente c’è chi desidera insegnanti motivatori: “Mi piacerebbe che le valutazioni fossero sempre precedute dalla scritta: ‘Quello che conta è quanta umanità ci mettiamo in tutte le attività’”. Per i ragazzi sono importanti anche il linguaggio basato sulle emozioni (“nelle comunicazioni vorrei più parole cariche d’affetto o ne inventerei di nuove per essere tutti quanti più felici”) e l’approfondimento degli stati d’animo, anche attraverso l’aiuto di mezzi tecnici: “aiutare i nostri professori con strumenti tecnologico-magici nel leggere le emozioni degli alunni, così saprebbero meglio come stare con noi a seconda delle circostanze.” (Laboratorio teatrale, 2024).
Il quadro dei desideri dei ragazzi non è stato il traguardo delle attività educative, ma il campo dell’intervento sviluppato a partire dai significati emersi. Le curiosità e le proiezioni ideali hanno formato un contenuto di idee, di emozioni e di desideri da condividere e su cui riflettere. A questo punto gli educatori e i ricercatori hanno ragionato insieme ai ragazzi sulla direzione di quel complesso mentale, sugli impliciti e sui silenzi. Questa pratica ha aiutato a percorre un itinerario metacognitivo per conoscere meglio se stessi, gli altri coetanei, gli scopi, gli obiettivi educativi e i mezzi per poterli sviluppare.
A fronte di molto entusiasmo e di grande immaginazione, espressi nei racconti, l’intervento educativo ha esplicitato la presenza di proposte dall’approccio prevalentemente individualistico. Certamente non sono mancate testimonianze chiare e dirette, tese a sottolineare l’importanza delle relazioni positive. In alcuni casi ciò è avvenuto per contrasto a un’immagine di società ostile e aggressiva: “Mi spaventano le tante notizie di violenza che si diffondono anche nelle scuole. Spesso scriviamo temi sull’importanza delle buone relazioni con i compagni e sulla collaborazione. Vorrei fossero sempre così”. Ci sono stati anche altri scritti dove la relazione è il centro dei desideri di educazione.
“È vero che la scuola che frequento promuove numerosi progetti per valorizzare il dialogo e il benessere. L’anno scorso abbiamo realizzato il Giorno del Dono e due anni fa il Giorno del Grazie. In entrambi i casi è stato bello abbandonare le attività consuete per preparare con gesti, parole e incontri dei momenti veramente vivi. Vorrei che questi fossero sempre al centro, vorrei frequentare la Scuola del Rispetto, dove questo valore diventi la prima materia insegnata e praticata. In questo luogo ognuno valorizza gli altri per quello che sono” (Laboratorio teatrale, 2024).
Queste voci, però, sono state minoritarie e sono passate in secondo piano durante la lettura ad alta voce degli scritti dei ragazzi.
L’intervento degli adulti si è soffermato quindi sull’importanza delle relazioni, non solo per il benessere emotivo individuale, ma per la costruzione di un “noi” fondamentale per la società. Aiutarsi, ascoltarsi, comprendersi, incoraggiarsi non è solo un insieme di strumenti di contrasto alla violenza, ma rappresenta una postura cognitiva, che apre verso gli altri le curiosità di conoscenza, ed esprime una rete di principi etici di convivenza civile.
La maggior parte delle storie, invece, non si sono affrancate da discorsi che si concentrano su di sé (“la scuola mi serve per capire”, “per migliorarmi”, “per rafforzare i miei talenti”, “per realizzare i miei sogni”). Nonostante il testo di Alves fosse molto chiaro sulla critica alla funzionalizzazione e normalizzazione degli individui e della loro educazione in senso individualistico prestazionale, spesso le narrazioni dei ragazzi hanno riprodotto quei fenomeni: “le tecnologie sono i mezzi necessari per le nostre professioni future”; “più stimoli e più risorse nello spazio scolastico faranno bene alla preparazione professionale”; “quando in Geografia abbiamo studiato la scuola in Finlandia, ho pensato che quella fosse la strada giusta. Me la immagino così la scuola per prepararmi al mio lavoro” (Laboratorio teatrale, 2024).
Ricercatori e adulti hanno fatto notare la contraddizione tra la ricchezza di domande esistenziali profonde e la grande quantità di desideri espressi di tipo formativo funzionale. A patto che i due poli della vita e del lavoro possono conciliarsi, qual è l’orizzonte fondamentale del personale percorso educativo? Attraverso la metafora dell’uccello azzurro di Alves rispondiamo che la forza sognatrice e ispiratrice deve essere il grande sguardo che conduce il cammino scolastico verso una crescita alternativa, critica e generativa della vita individuale e sociale, così necessaria tra le sfide, le difficoltà e le gabbie dell’uomo contemporaneo. Per questo bisogna curare le emozioni e le risorse per un cammino che non smarrisca i talenti individuali entro la fiducia e l’esperienza di un noi. La scuola non è un contenitore da riempire per combattere paure profonde e confermare certezze granitiche sulle aspettative degli adulti, ma il luogo della ricerca continua individuale in rapporto agli altri, al di là delle verità e dei mandati del proprio contesto storico.
Sebbene le attuali voci sociali pretendano di vestire i desideri con abiti certi e individualistici, una forma del desiderare più autentica e complessa deve essere l’orizzonte che ispira e accompagna l’educazione. Anche il teatro, come insegna Nietzsche, non nasce dalle certezze, ma prende forma dai misteri più profondi dell’esistenza, riuscendo a interagire tra le forze apollinee dell’ordine e quelle dionisiache del caos (Nietzsche, 2015).
Attraverso la lettura recitata di Pinocchio alla rovescia abbiamo provato a unire le risorse dell’arte scenica al processo educativo, rielaborando i desideri del conoscere, concepiti non come segni di mancanza, ma presenze “calde” e generative. Il “prurito” che producono le curiosità, come afferma Alves, può dare inizio a uno slancio verso la comprensione più profonda delle cose (Alves, 2022). L’azione che sviluppa questa possibilità è l’educazione attraverso il racconto, nel guardare, orientare e sviluppare l’enigma che aleggia nei perché senza risposta, considerandoli la porta verso le scoperte, le innovazioni, il fluire della cultura, l’acquisizione di senso e l’espressività.
Il racconto può aiutare a coltivare i desideri di conoscenza in senso costruttivo e critico, non accontentandosi delle forze eterodirette che orientano il contenuto, la spinta e la direzione dei desideri stessi, ma, entrando con il linguaggio nella realtà inafferrabile, imprevedibile e misteriosa delle cose del mondo
L’intreccio tra il testo di Alves e i racconti scritti nelle classi ha permesso di ripensare le immagini, i sogni, le speranze dei ragazzi legati ai perché senza risposta e alla conseguente traiettoria educativa da intraprendere.
Le narrazioni hanno evidenziato il desiderio di una scuola che promuova il benessere, l’autonomia e l’apprendimento attivo. La loro visione si distacca parzialmente dalle strutture scolastiche tradizionali a favore di un approccio più centrato sulle loro esigenze e preferenze. Tuttavia, soffermarsi sulle immagini narrate ha permesso di rivelare come pochi racconti si siano allontanati da un’attenzione di sviluppo individualistico di prestazioni. La metacognizione narrativa ha reso palese la necessità della ricerca di senso in cui le verità non possono essere assorbite esclusivamente dall’utilità e sussistere senza un noi.
Oltre la riproduzione, la legittimazione, la generazione dell’individuo adattato al sistema economico e sociale funzionale al mercato del lavoro si scoprono altre qualità umane.
La creatività e l’umanizzazione autentiche non possono prescindere dalla cura al desiderio in senso critico sui fili di pensiero e di comportamento corroborati dalle forze sociali.
All’interno dell’esperienza scolastica compiuta a Fontanellato e a Fontevivo, l’azione narrativa ha rappresentato quella risorsa preziosa che il protagonista del racconto di Alves riconosce nei confronti dell’uccello azzurro (e della Fata Turchina). Più che illusoria e di evasione, quell’animale è la rappresentazione simbolica della forza vitale della libertà sognatrice, rivelatrice e ispiratrice oltre le apparenze e il conformismo. Esso è una creatura che vola, esplora, scopre, ma nello stesso tempo è delicata, sfuggente e fragile; per questo ha bisogno di essere valorizzata e protetta, proprio come l’immaginazione umana frutto dei desideri personali, effimera, vulnerabile e vaga, se non custodita e curata. Questa strada di attenzione e sviluppo può essere perseguita attraverso il racconto stesso, che conferisce significato, crea uno spazio di esistenza ascoltabile e visibile, sostanzia l’immaginazione. Trovare il nome di quel piccolo animale, così importante per Felipe, è non meno rilevante per i giovani coinvolti nell’attività. Quel traguardo simboleggia l’affermazione benefica del linguaggio sull’immaginazione. Il racconto è, quindi, la chiave educativa per aprire su di noi la realtà: “il processo magico mediante il quale la Parola risveglia i mondi dormienti si chiama educazione” (Alves 1994). Gli educatori hanno la responsabilità di contribuire alla scoperta e all’esplorazione dei sogni personali, contrastando i processi di “burattinizzazione” in cui tutti, volente o nolente possono cadere.
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