Orienting educational and teaching actions through caring practices for individual, social and environmental sustainability

 

Orientare l’agire educativo e didattico attraverso pratiche di cura per una sostenibilità individuale, sociale e ambientale

 

Chiara Carletti

Università degli Studi di Siena – chiara.carletti@unisi.it

https://orcid.org/0000-0002-5098-4496

 

ABSTRACT

After having been a fundament of pedagogy, at the centre of studies and research, the category of care today seems to have returned to being an invisible presence, incapable - according to the current logic of profit - of responding to the great challenges of society. Precisely because care in pedagogy is first of all care for human formation, the article instead sets out to place pedagogy of care back at the centre of attention, on both the theoretical and practical-reflexive fronts, particularly with respect to educational and didactic action. Since the exercise of care is inherent to social practice, dialogue is one of the care experiences at the very foundation of civilization. Dialogue is configured as the quintessential practice of care for the self, the other and the planet. It contributes to forming the planetary human being, capable of being in the space of encounter where dialogic, open and ironic communication provides an indispensable tool to redefine the subject’s forma mentis in the direction of intentional action, fundamental to constructing a more democratic, critical and sustainable society.

 

Dopo essere stata un fondamentale pedagogico, al centro di numerosi studi e ricerche, la categoria della cura oggi pare, invece, tornata ad essere quell’invisibile presenza, incapace – secondo l’attuale logica del profitto – di rispondere alle grandi sfide della società. Al contrario, proprio perché la cura in pedagogia è, innanzitutto, cura-della-formazione-umana dell’uomo, il contributo presenta una riflessione sull’attualità della pedagogia della cura, sia sul fronte teoretico che su quello pratico-riflessivo, in particolare rispetto all’agire educativo e didattico. Poiché l’esercizio della cura è connaturato alla pratica sociale, tra le esperienze di cura che sono fondamento della civiltà, vi è il dialogo. Questo si configura come la pratica per eccellenza di cura del sé, dell’altro e del pianeta, contribuendo alla formazione di quell’uomo planetario, capace di stare nello spazio dell’incontro, dove la comunicazione – nella sua forma dialogica, aperta e ironica – ridefinisce la forma mentis del soggetto verso un agire intenzionale, fondamentale alla costruzione di una società più democratica, critica e sostenibile.

 

KEYWORDS

Formation, Irony, Care, Dialogue, Complexity

Formazione, Ironia, Cura, Dialogo, Complessità

 

CONFLICTS OF INTEREST

The Author declares no conflicts of interest.

 


SUBMITTED

July 5, 2024

 

ACCEPTED

September 6, 2024

 

PUBLISHED

September 21, 2024



 

1. Introduzione

 

Il quadro sociale, politico, educativo ed economico che si presenta oggi davanti agli occhi di un o una adolescente è, non solo estremamente complesso, ma anche particolarmente preoccupante. Dopo la crisi pandemica, l’Europa è da oltre due anni coinvolta in un conflitto, quello russo-ucraino, dove la minaccia atomica viene sbandierata a giorni alterni. A ciò si aggiunge la guerra israelo-palestinese che, a fronte di una certa preoccupazione per un possibile ampliamento dello scontro, sta accendendo un forte dibattito nell’opinione pubblica, a partire dai movimenti studenteschi. Tutto ciò avviene nel mezzo di una crisi economica mondiale caratterizzata da una crescente disoccupazione, in particolare giovanile (ISTAT, 2023a), e da un aumento generalizzato di tutti i beni di prima necessità, a causa dell’inflazione[1]. Questo, insieme ai tagli al welfare, non fa altro che incentivare il diffondersi di nuove povertà, soprattutto educative, di tensioni sociali e politiche in varie parti del mondo, dalla Francia al Brasile all’Argentina, e il conseguente aumento delle patologie psichiche e comportamentali, che vedono interessati tanto gli adolescenti, quanto gli adulti. Infine, la crisi climatica e ambientale costituisce per l’umanità intera la più grande e complessa sfida da affrontare, in quanto richiede un cambiamento radicale nel nostro modo di pensare e di agire.

Stiamo, dunque, attraversando un momento storico con caratteristiche inedite che ci mette di fronte a quella che Bauman chiamava “una tormentosa sfiducia esistenziale” (Bauman, 2000, p. 25). Tutto ciò reclama forti contromisure, non solo a livello politico e sociale, ma anche culturale ed educativo. Rispetto a quest’ultimo fronte occorre, innanzitutto, offrire ai giovani la possibilità di riappropriarsi del futuro, riaffermandone il valore, a partire dalla capacità di desiderarlo e immaginarlo (Bauman, 2016). In un’epoca in cui i cambiamenti sono straordinariamente rapidi, le strutture sociali faticano a stabilizzarsi, diffondendo così un continuo senso di incertezza e precarietà. Il futuro, oggi, non si configura più come un orizzonte temporale stabile e prevedibile, ma come una prospettiva fluida, aperta a cambiamenti rapidi e inaspettati. A questo contribuisce in buona parte la tecnologia, la quale influenza inevitabilmente la configurazione delle relazioni sociali, oltre che le prospettive economiche e politiche. I social media, in particolare, modificano le interazioni umane e la percezione del tempo e dello spazio. Ciò condiziona profondamente gli scenari individuali e collettivi e, dunque, influisce sulla costruzione di un progetto di vita futura da parte delle nuove generazioni.

Questa fluidità necessita, pertanto, di una nuova forma mentis flessibile, ibrida e duttile. È qui che entra in gioco la pedagogia, la quale è chiamata a tracciare nuove prospettive educative in grado di fornire ai ragazzi e alle ragazze gli strumenti per navigare e influenzare tali cambiamenti. Siamo, infatti, di fronte a una crisi di coscienza, alla quale bisogna rispondere promuovendo esperienze educative capaci di far nascere negli individui una nuova consapevolezza basata sulla cura di sé, degli altri e del pianeta (Barone & Mantegazza, 1999; Ricoeur, 2007; 2015; Cambi, 2007; 2010; Mortari, 2006; 2009; 2015; 2019; Contini & Manini, 2007; Foucault, 1984; 1992; 2003; Zambrano, 1996), fondamentale per contribuire alla costruzione di una cittadinanza planetaria su basi democratiche (Morin, 1993; 2000; 2001; 2016; 2024). Ecco allora che temi quali: la cura della terra, un’alimentazione sana e corretta, la critica del sistema capitalistico, devono divenire gli orizzonti a partire dai quali ripensare le nostre vite e le nostre società in modo più etico, sostenibile e solidale. In questo ripensamento, tanto individuale, quanto collettivo, gli intellettuali hanno il dovere di assumersi la responsabilità di promuovere una riforma del pensiero che abbracci un “nuovo umanesimo” (Morin, 2024). È in questo tempo in divenire, da ripensare e co-progettare insieme, che la categoria della cura ha tutte le caratteristiche e le potenzialità per rivendicare ancora oggi la propria attualità sociale e pedagogica.

 

2. Riaffermare l’attualità della pedagogia della cura: relazione educativa e costruzione del sé

 

Il concetto di cura di sé (cura sui) in pedagogia si colloca in una prospettiva interdisciplinare, tra filosofia, psicologia ed educazione, ma assume una particolare rilevanza all’interno del processo formativo di un individuo. Tra gli studiosi italiani che più hanno contribuito a questo tema, esplorando come l’educazione alla cura di sé possa influenzare tanto lo sviluppo personale, quanto quello comunitario, vi sono: Massa (1992); Mortari (2009; 2014; 2019; 2020), Cambi (2002; 2007; 2010; 2015), Boffo (2006; 2011), Fadda (2002; 2016), Bertolini (2003), Palmieri (2008; 2016; 2018) e Recalcati (2014). Quest’ultimo nel suo libro L’ora di lezione: Per un’erotica dell’insegnamento (Recalcati, 2014), parla dell’importanza dell’insegnamento come atto che va oltre la mera erogazione di conoscenza. Per Recalcati, l’atto educativo è intrinsecamente legato all’idea di cura, poiché il docente deve coltivare non solo l’intelletto, ma anche il benessere emotivo e sociale degli studenti. Questa visione pone l’educatore come una figura consapevole delle proprie responsabilità etiche e personali nella formazione degli adolescenti. Allo stesso modo, anche Bertolini ritiene il concetto di cura educativa essenziale per promuovere l’autonomia e l’autenticità degli individui, in quanto alla base dell’educazione vi è l’atto del prendersi cura dell’altro, affinché questo possa immaginare e realizzare il proprio progetto di vita in modo libero e responsabile (2003). Analogamente, Mortari (2006), nel suo testo La pratica dell’aver cura, approfondisce il concetto di cura come attenzione deliberata e consapevole verso l’altro e verso l’ambiente. Per Mortari, infatti, curare significa porre attenzione alle esigenze altrui, comprendendo e anticipando ciò di cui gli individui hanno bisogno per crescere e svilupparsi. L’educatore, quindi, diventa un custode del potenziale dell’allievo, guidando e supportando il suo percorso di crescita in modo attento e rispettoso. L’approccio di Mortari ha, dunque, un impatto diretto sulla pratica educativa, suggerendo che le scuole dovrebbero essere luoghi dove la cura permea ogni aspetto dell’ambiente didattico. Ciò include la creazione di spazi fisici che promuovano il benessere e il comfort, così come l’adozione di politiche educative che supportino attivamente la salute mentale e fisica degli studenti. Se, dunque, la cura diviene una pratica professionale imprescindibile, gli insegnanti devono possedere quelle competenze emotive e relazionali necessarie per costruire relazioni autentiche e sostenibili con i propri allievi. In altre parole, l’insegnante è, sì, responsabile per l’altro, ma gli studenti devono essere messi, a loro volta, nelle condizioni di sentirsi responsabili del proprio futuro. In questo senso, la cura si configura come una sorte di educazione interiore che richiede impegno e volontà da parte del soggetto, chiamato a divenire “capitano di sé stesso” (Xodo, 2003). Tutto ciò va a confermare l’idea secondo la quale la relazione educativa sia fondativa della stessa natura dell’uomo (Boffo, 2011): è, infatti, nell’atto di cura che si realizza ab imis quell’iter formativo attraverso cui prende corpo un io che si fa sé, costruendosi come soggetto-persona con tutte quelle specificità che lo rendono singolare e irripetibile. È evidente come per tutti questi autori, il pensiero di Massa (1992) abbia rappresentato un fondamento imprescindibile. Per Massa l’educazione rappresenta un’esperienza complessa, in cui l’attenzione alle dinamiche psicologiche, emotive e relazionali è cruciale. Per tale motivo lo studioso propose la clinica della formazione, intesa come un metodo per analizzare e affrontare le dinamiche educative con un focus sul soggetto in formazione, il contesto in cui avviene l’apprendimento e il rapporto tra educatore ed educando. Massa pone l’accento sull’importanza di considerare il soggetto in formazione nella sua totalità, comprendendo le sue esperienze, le sue emozioni e i suoi bisogni. L’educatore viene visto non solo come un trasmettitore di conoscenze, ma come un facilitatore dei processi di crescita e di sviluppo del soggetto. Egli deve saper ascoltare, osservare e intervenire in modo mirato, rispettando i tempi e le modalità di apprendimento di ciascun individuo. Massa sottolinea, inoltre, l’importanza del contesto in cui avviene la formazione. L’ambiente educativo deve essere pensato e strutturato per favorire un apprendimento significativo, in cui le relazioni tra educatore e educando giocano un ruolo centrale. All’interno della relazione educativa possono intervenire, infatti, soggetti diversi: insegnanti, genitori e media, nella consapevolezza che è dall’incontro con l’altro che passa il riconoscimento del proprio sé. In questo processo di crescita, maturazione e presa di coscienza di ciò che si è di ciò che si vorrebbe essere, un ruolo cruciale lo ricopre il soggetto stesso, il quale si trova a dover tracciare il sentiero tra il proprio presente e futuro. Si tratta di un passaggio fondamentale, che richiede protagonismo da parte dell’individuo, ma anche consapevolezza rispetto all’importanza della cura sui. Curare sé stessi implica, innanzitutto, conoscersi e saper coltivare la propria interiorità, attraverso quelle diverse forme della cultura che Hadot (1988) chiamava esercizi spirituali, tra cui viaggiare, ascoltare musica, meditare, leggere, scrivere e comunicare: tutte pratiche che richiedono disciplina, ma anche curiosità e capacità di saper accogliere il cambiamento (Cambi, 2010; Foucault, 1984; 1992; 2003). In altre parole, siamo di fronte a esercizi e azioni messe in atto dall’individuo nel corso del processo auto-formativo e formativo che gli consentono di costruire la propria identità, modificando il suo essere (Hadot, 1988; Mortari, 2009).

La scuola è un ambiente privilegiato per l’introduzione e la pratica di questi esercizi spirituali, poiché offre un contesto strutturato in cui gli studenti possono esplorare e sviluppare competenze emotive, cognitive e morali. Secondo Hadot (1988), gli esercizi spirituali sono pratiche che trasformano la percezione del mondo e del sé, conducendo a una vita più autentica e piena di significato. La scuola, attraverso un curricolo olistico, può promuovere questi esercizi all’interno di diverse discipline, incoraggiando una formazione integrata che unisce conoscenza e pratica riflessiva. Allo stesso modo anche gli insegnanti hanno una responsabilità fondamentale nella formazione delle pratiche di cura: coltivando la riflessione critica, il dialogo e la meditazione – oltre che attraverso l’esempio personale – possono, infatti, aiutare gli studenti e le studentesse a sviluppare un pensiero complesso e una vita più autentica e responsabile. Questo approccio educativo non solo prepara i giovani ad affrontare le sfide del mondo contemporaneo, ma contribuisce anche alla costruzione di una società più consapevole e solidale.

 

3. Il dialogo come pratica di cura di sé, dell’altro e del mondo

 

L’adolescenza, intesa come terra di mezzo (Barone & Mantegazza, 1999; Barone, 2009; 2019) o età della catastrofe (Mancaniello, 2001; 2002; 2018), pone il soggetto in formazione di fronte a un vero e proprio “rovesciamento” e “cambio di direzione”, in cui si mettono in discussione tutte le precedenti acquisizioni e in cui si procede per salti qualitativi. Per motivi che sono legati sia alle trasformazioni biologiche, sia allo sviluppo cerebrale, l’adolescente è solitamente incline agli eccessi, vive uno stato di malessere generalizzato per cui si sente in preda a forze opposte, che lo fanno oscillare tra tendenze egocentriche e pulsioni narcisistiche. Si tratta però di oscillazioni o, come detto, di salti, necessari per la costruzione dell’Io, che esigono un accompagnamento costante da parte degli adulti di riferimento, in primis genitori e insegnanti. Entrambi hanno il compito di guidare il ragazzo o la ragazza verso l’acquisizione del proprio sé: è, infatti, attraverso questo prendere forma che il soggetto avrà la possibilità di costruire basi solide che gli consentiranno di governare il cambiamento e aprirsi al futuro. Ciò richiede da parte dell’adulto l’apertura di un canale comunicativo formativo capace di sostenerlo e accompagnarlo nel periodo di catastrofe (Mancaniello, 2018), ovvero nella fase di passaggio dall’infanzia all’età adulta. L’adolescente si mostra, infatti, come un individuo in ricerca, che necessita di autenticare il proprio tempo con esperienze, idee, valori, incontri e, talvolta, anche scontri. Non sono conquiste facili e nemmeno scontate. Servono forza di volontà, impegno, determinazione, curiosità, coraggio, capacità di decentrarsi e di mettersi in discussione, in altre parole occorre avere capacità di self-care, per non divenire spettatori passivi delle proprie vite e giungere alla conquista della propria individualità. C’è uno stretto legame, una connessione intima tra il dialogo con sé stessi e il dialogo con gli altri, perché è dal confronto con l’alterità che impariamo a capire meglio noi stessi e veniamo spronati a quel pensiero radicale che diviene pratica auto-formativa. L’autoformazione deve però procedere secondo un orientamento valoriale ed etico, che parte dalla conoscenza di sé. Solo in questo modo ciascun soggetto potrà prendere consapevolezza delle forze che agiscono su di lui, influenzandolo in una maniera, piuttosto che in un’altra. Dobbiamo, dunque, imparare a essere presenti a noi stessi, ciò implica innanzitutto imparare a vivere e con-vivere, ma anche condividere e comunicare con il mondo circostante.

Il dialogo – come pratica di cura – rappresenta, dunque, un concetto fondamentale nella pedagogia e nella filosofia dell’educazione, particolarmente nelle teorie che enfatizzano la relazione, la comunicazione e il rispetto reciproco tra docente e studente. Questa idea è profondamente radicata nelle opere di studiosi come Buber (2012) e Freire (1970), che vedono nel dialogo non solo uno scambio di idee, ma un mezzo vitale per l’affermazione reciproca e la crescita personale. Buber, nel suo celebre lavoro Io e Tu (1923), introduce il concetto di relazione Io-Tu, basandola sul riconoscimento e l’accettazione dell’altro come entità completamente diversa e indipendente, ma allo stesso tempo fondamentalmente legata a noi tramite il dialogo. Un dialogo autentico e trasformativo. All’interno di un contesto educativo, ciò significa che l’insegnante non vede lo studente solo come un recipiente di sapere, ma come un soggetto attivo nel processo di apprendimento. Il dialogo diventa così una pratica di cura, che sostiene lo sviluppo dell’identità e dell’autostima dei ragazzi, attraverso l’acquisizione di una maggiore consapevolezza di sé e del mondo circostante. Secondo Paulo Freire (1970), il dialogo è molto più di questo. Il pedagogista brasiliano attribuisce a tale pratica un carattere rivoluzionario, in quanto essenziale per il processo di liberazione sia degli studenti che degli insegnanti. Attraverso il dialogo, gli oppressi possono diventare consapevoli delle strutture di potere che influenzano le loro vite e, di conseguenza, agire per trasformare la realtà. Freire sostiene, infatti, che l’educazione non può essere neutrale, ma deve configurarsi come un atto di amore che mira all’emancipazione. In altre parole, il dialogo diviene una pratica di cura capace di promuovere l’empowerment e il rispetto della dignità umana. Anche secondo bell hooks (2023), il dialogo è uno “strumento dialettico incredibilmente democratico”, che consente la creazione di nuovi significati, attraverso il reciproco scambio di informazioni. Il suo metterci di fronte a modi diversi di pensare e conoscere, fa della conversazione una pratica sempre inclusiva, che presuppone l’apertura verso l’esterno, a partire da un atteggiamento empatico e di epoché. Nelle pratiche educative contemporanee, il dialogo si manifesta nell’adozione di metodi di insegnamento che valorizzano la partecipazione attiva degli studenti, l’ascolto attento e la risposta empatica. Questo approccio si allontana dai metodi tradizionali basati sulla trasmissione unidirezionale del sapere e si avvicina a modelli più collaborativi e inclusivi. Ad esempio, nelle comunità di apprendimento, il dialogo è utilizzato per co-costruire conoscenza, attraverso discussioni aperte e riflessioni condivise che incoraggiano gli studenti a esprimere liberamente i loro pensieri e sentimenti. Incoraggiare a riflettere criticamente su idee ed esperienze è, infatti, fondamentale per promuovere la riflessione critica, sviluppare l’autoconsapevolezza e coltivare un senso di responsabilità verso sé stessi e gli altri. Questo può essere fatto attraverso attività autobiografiche, come il diario, la scrittura creativa, le discussioni in classe, oppure mediante l’utilizzo di metodologie, quali il debate, il metodo euristico-partecipativo e il role playing, che incoraggiano la curiosità, il sapersi mettere nei panni dell’altro e la riflessione personale. Inoltre, le strategie didattiche che promuovono un apprendimento basato sul dialogo, valorizzano una cultura che considera gli errori come opportunità di crescita, piuttosto che come fallimenti, rafforzando la fiducia e il senso di appartenenza dei ragazzi e delle ragazze alla comunità scolastica, aspetto quest’ultimo fondamentale anche per il contrasto al fenomeno del drop-out. Tutto ciò è ancora più necessario in un tempo dove la comunicazione è stata trasformata dalla tecnica, ma anche da una società che ne ha fatto il proprio modello, appiattendola su una visione essenzialmente consumistica (Galimberti, 1999). Computer, cellulari, tablet e, oggi, anche visori, hanno annullato le distanze, a favore di una trasmissione sempre più mediatica e reticolare, e sempre meno basata sulle relazioni faccia a faccia (Mancaniello & Lavanga, 2022). Ciò porta all’esigenza di una nuova problematizzazione dell’atto comunicativo, ricollocandolo al centro del processo formativo (Ghiglione, 1986). Comunicare è, d’altra parte, un impegno che deve coinvolgere tutti, non solo la scuola, ma anche quei luoghi della formazione non formale e informale, tra cui la famiglia e il gruppo dei pari. Questo perché oggi la comunicazione ha un ruolo fondamentale per quella formazione umana dell’uomo che lo rende soggetto-individuo-cittadino planetario (Boffo, 2007; Gennari, 2001). Occorre pertanto ridare centralità e valore al dialogo, così come esercitato da Socrate, rendendolo pratica sociale e forma mentale per la formazione di una coscienza democratica diffusa. È, infatti, interrogando sé stessi, in primis, (e il mondo esterno) che l’individuo acquista lo statuto di soggetto (Mortari, 2009). Quello che viene a formarsi è un soggetto curioso, aperto al pluralismo e alla diversità, abituato alla messa in discussione, a osservare un fatto o un fenomeno da altri punti di vista, anche grazie a un pensiero riflessivo e relazionale, capace di ripensare i suoi processi, i meccanismi che lo mettono in moto, le dinamiche che si generano, ma anche abile nel connettere sistematicamente le parti al tutto. Così facendo l’individuo dà forma al proprio essere, ovvero attribuisce alla propria esistenza un orientamento valoriale che lo rende soggetto unico e irripetibile. È questo lo scopo della pratica educativa, la quale deve guidare il soggetto in formazione verso l’acquisizione di quegli strumenti e metodi che danno forma all’essere e consistenza alla propria esistenza (Platone, 2000).

Il dialogo, dunque, ricopre una duplice funzione trasformativa: da una parte ci spinge a riflessioni profonde su noi stessi (cura sui), dall’altra ci guida verso l’esterno, attivando un confronto dialettico che ci porterà a mettere in discussione idee, comportamenti o atteggiamenti percepiti come consuetudini. Saper dissentire ed esercitare il dubbio, è fondamentale all’interno di una società dove omologazione, insicurezza e contingenza rappresentano le sue cifre costitutive. Queste reclamano, infatti, un individuo dotato di una forma mentis aperta al confronto, che sappia de-costruire, ma anche vivere nel pluralismo e so-stare nella contraddizione, osservando i fenomeni con uno sguardo da lontano, critico, ribelle, distaccato, creativo e disposto ad accogliere la diversità e ad andare oltre le apparenze (Cambi, 2006). Sebbene si tratti di una forma mentale complessa, dialettica, metacognitiva, esistenzialmente inquieta, questa dovrebbe comunque farsi habitus nel soggetto, in quanto fondamentale per vivere in uno spazio aperto di decostruzione e costruzione di nuovi valori, possibilità e immaginari sociali. Educare alla cura di sé significa proprio questo: dare all’adolescente gli strumenti per metterlo nelle condizioni di auto-formarsi e costruire un progetto di vita autentica (Cambi, 2002).

 

4. Le pratiche di cura per una sostenibilità umana, sociale e ambientale

 

Poiché sappiamo che nessuna esistenza è isolata, la cura sui va sempre pensata in relazione al mondo esterno, dunque al nostro relazionarci con gli altri. È in questo processo dialettico che ciascun soggetto realizza la propria umanità e si prepara alla responsabilità della vita pubblica adulta. Lo fa apprendendo una serie di pratiche che può rivolgere verso sé stesso per prendersi cura della propria interiorità, ma anche verso l’esterno, per riuscire a occuparsi di ciò che lo circonda. A causa della condizione di gettatezza (Heidegger, 1976) e di precarietà che caratterizza l’essere umano (Mortari & Valbusa, 2020), è essenziale incoraggiare nel corso del processo formativo, tutte quelle pratiche che consentono al ragazzo o alla ragazza di acquisire nuove posture della mente, che andranno a modificare il proprio sguardo sul mondo. Diverranno atteggiamento, stile di vita che si fa cultura del sé. All’interno di una società come quella attuale, in cui si è perso il senso del limite e si tende a manipolare e spettacolarizzare ogni aspetto della vita, l’adolescente è, pertanto, chiamato a coltivare questa dimensione di cura sui, prendendo coscienza delle proprie risorse mentali, così come dei limiti del proprio corpo, attraverso un ribaltamento di prospettiva, essenziale per opporsi a tutti quei condizionamenti che agiscono all’interno della società. Ciò implica – da un punto di vista pedagogico – un accompagnamento e un investimento affettivo da parte di coloro che sono deputati alla cura del soggetto, affinché egli divenga capace di realizzare il proprio progetto di mondo (Fadda, 2002, p. 95). È questo senso di responsabilità verso l’esterno, gli altri e il pianeta che consente all’individuo di raggiungere il massimo del suo sviluppo come uomo e come cittadino. Poiché solo se siamo in grado di avere cura di noi stessi, possiamo prenderci cura degli altri (Mortari & Camerella, 2014), nello sviluppo dell’essere umano è  inevitabilmente implicato, non solo il suo benessere personale, ma anche il bene pubblico.

In questo senso, le pratiche di cura del mondo rappresentano un elemento fondamentale nell’educazione contemporanea, rispondendo alla necessità urgente di promuovere una coscienza ecologica e comportamenti sostenibili tra le nuove generazioni. Queste pratiche, che comprendono attività come il riciclo, la riduzione dell’impronta carbonica e la promozione di stili di vita sostenibili, sono essenziali per garantire la sopravvivenza del nostro pianeta in un’epoca di profonda crisi ambientale. Secondo Morin, la globalizzazione ha creato una comunità di destino in cui i problemi ecologici devono essere affrontati collettivamente (Morin, 2024). Tutto ciò implica un cambiamento radicale nelle modalità formative, affinché la pedagogia possa integrarsi con la sostenibilità ambientale. Morin sottolinea l’importanza di una riforma educativa che incoraggi la complessità del pensiero e la connessione tra saperi, superando la tradizionale frammentazione delle discipline. Egli sottolinea, inoltre, la necessità di considerare la crisi non solo come un problema scientifico o tecnico, ma come una questione profondamente radicata nelle dinamiche sociali, culturali, economiche e nelle politiche globali. Lo studioso francese evidenzia come la crisi climatica sia il risultato di una rete intricata di cause interconnesse (Morin, 2001; 2016; 2017; 2024) e, solo riconoscendo l’interdipendenza dei sistemi naturali e sociali, saremo in grado di comprendere e affrontare efficacemente ciò che minaccia la sopravvivenza del nostro pianeta. Ad esempio, le attività economiche, le politiche energetiche, le abitudini di consumo e le disuguaglianze sociali contribuiscono tutte alla crisi ambientale e devono, pertanto, essere considerate nel loro insieme. Alla luce della critica alla modernità e alla sua visione riduzionista del progresso, con il suo focus sullo sviluppo economico senza limiti e sul dominio della natura, si è giunti oggi a una situazione di sovrasfruttamento delle risorse naturali e ciò è causa del degrado ambientale e dei cambiamenti climatici che stiamo attraversando. Per questo occorre, secondo Morin, ripensare il nostro modello di sviluppo per includere una visione più integrata e sostenibile del rapporto tra l’uomo e l’ambiente (Morin, 2024). La cura del mondo, in questa visione, diventa un’estensione naturale della cura di sé e degli altri, promuovendo un’etica della responsabilità condivisa. Questa prospettiva è rafforzata dalla necessità di sviluppare pratiche educative che non solo informino, ma che trasformino gli studenti in agenti attivi di cambiamento. Cambi, d’altra parte, enfatizza l’educazione come un mezzo per sviluppare la coscienza critica e la capacità di agire in modo etico e sostenibile (2010). Le pratiche di cura del mondo, secondo lo studioso fiorentino, devono essere integrate nei curricula scolastici attraverso un approccio interdisciplinare che coinvolga scienze naturali, scienze sociali e studi umanistici. Questo approccio non solo migliora la comprensione scientifica, ma favorisce anche lo sviluppo di valori ecologici e comportamenti sostenibili. L’integrazione delle pratiche di cura del mondo nei sistemi educativi è, dunque, cruciale per formare cittadini consapevoli e responsabili. La promozione di una coscienza ecologica e di stili di vita sostenibili all’interno delle scuole non solo contribuisce alla protezione dell’ambiente, ma anche alla costruzione di una società più equa e solidale. L’educazione alla sostenibilità deve quindi essere vista come un investimento fondamentale per il futuro dell’umanità e del pianeta. La cura viene così collocata all’interno del processo formativo del soggetto nel suo farsi umano, sempre in relazione agli altri e al mondo esterno. È qui che si sostanzia – tra le altre cose – come dialogo, dando avvio a un processo di ricerca e scoperta, riflessione su di sé e sulla realtà circostante. Processo che richiede una forma mentis complessa, in grado di rompere la rigidità dei paradigmi tradizionali e incoraggiare un approccio più creativo, critico e riflessivo. È nel pensiero, nella coscienza e nella comunicazione che l’ironia si configura come uno sguardo inedito sul mondo (Cambi, 2010).

 

5. Il ruolo dell’ironia nella formazione dell’adolescente per sviluppare un pensiero critico e complesso, stimolare la creatività e affrontare il cambiamento

 

Analizzare l’ironia in relazione alla formazione del soggetto, significa prendere in considerazione il suo ruolo nella comunicazione umana: qui si sostanzia come linguaggio utile al soggetto per avere una visione complessa della realtà. Quest’ultima è, infatti, attraversata da contraddizioni, paradossi e, in generale, da flussi comunicativi, spesso anche in contrasto tra loro, che occorre saper decifrare attraverso stili cognitivi e di vita dinamici, flessibili, critici e dialettici. Attraverso l’ironia gli adolescenti hanno la possibilità di esplorare la complessità del mondo circostante e instaurare un dialogo autentico e aperto, fondamentale per la costruzione di una comunità educativa basata sul rispetto reciproco e sulla collaborazione. Durante l’adolescenza, gli individui sono impegnati in un processo di auto-definizione e distinzione dagli adulti e dalle autorità. L’ironia permette loro di esprimere dissenso e critica in modo meno diretto e, potenzialmente, meno conflittuale. Attraverso questa categoria pedagogica, i giovani possono mettere in discussione le aspettative e i valori degli adulti, senza necessariamente entrare in aperto disaccordo. Ciò li aiuta a esplorare visioni del mondo e modi di essere differenti dai propri, contribuendo alla costruzione di una propria identità. Lo stesso Foucault, nei suoi studi sulla genealogia del potere, utilizzava l’ironia per mettere in discussione le strutture di conoscenza e le autorità consolidate, promuovendo un pensiero critico e autonomo (Foucault, 1984). L’ironia si configura così come uno strumento per svelare le contraddizioni e le ambiguità insite nei discorsi di potere, aprendo la strada a una comprensione più complessa e articolata della realtà. Come stile personale, questa può anche avere anche una funzione difensiva, ovvero permette ai soggetti di affrontare temi difficili o stressanti con leggerezza o distacco emotivo. Ciò può ridurre l’ansia legata all’esplorazione di temi come l’insuccesso, l’insicurezza o la paura, fornendo un mezzo per parlare di questioni personali importanti, senza la pressione di prendersi troppo sul serio. Tuttavia, l’uso dell’ironia non è privo di rischi. Se mal gestita, può portare a fraintendimenti o a sentimenti di alienazione tra coetanei. Gli adolescenti che ne fanno un uso eccessivo, possono sembrare distaccati o cinici, il che può ostacolare la formazione di relazioni autentiche. Inoltre, l’ironia può a volte velare sentimenti veri che necessitano di essere espressi in modo più diretto, al fine di una corretta elaborazione emotiva. Siamo, dunque, di fronte a un “dispositivo” complesso che per essere praticato, richiede una notevole abilità linguistica e cognitiva, poiché implica la capacità di comprendere e giocare con i significati letterali e figurati del linguaggio. Essendo una forma espressiva culturale che si apprende, per svilupparsi ha bisogno di uno spazio sociale che sappia valorizzarla, sia attraverso una comunicazione che privilegia la creatività e la divergenza, sia attraverso la frequentazione di soggetti ironici, in grado di valorizzare uno stile giocoso, aperto e dialogico. Questo è garanzia di un modo di stare insieme privo di pregiudizi, solidale, antidogmatico e, conseguentemente, democratico. In questo senso l’ironia sembra legarsi a una visione utopica del mondo in cui l’Io viene messo in crisi a favore del Noi. A essere cancellata non è l’individualità del soggetto, ma la sua dimensione più autoreferenziale ed egocentrica. Il singolo diviene persona che percepisce sé stessa in maniera maggiormente consapevole e autonoma e, proprio a partire da questa consapevolezza, reclama il confronto con l’altro. Si attiva così un gioco che implica pluralismo di punti di vista e che consente a chi vi partecipa di comunicare in maniera giocosa, empatica, libera, protesa verso una dimensione di ascolto attivo, capace di creare uno spazio sociale che si fa comunità. Il soggetto ironico è, infatti, un homo communicans, ovvero un individuo in continua relazione con l’altro che per vivere la sua dimensione sociale deve saper stare nella comunicazione e costruire il proprio sé (Ghiglione, 1986).

La conversazione, il dialogo, la comunicazione che fa uso dell’ironia è tipica di culture complesse e sofisticate. Questa si configura, infatti, come una pratica trasformativa che la mente esercita su sé stessa, capace di modificare lo sguardo del soggetto sul mondo. L’ironista sa guardare al futuro: è colui che traccia percorsi inediti, ponendo al centro delle relazioni sociali nuove regole che valorizzano la comunicazione tra individui, la creatività, l’ascolto empatico e il gioco. Come forma mentis, quella ironica pone il soggetto in una posizione di distacco, lo colloca su un altro punto di vista, attraverso un rovesciamento di prospettiva. Questo è un aspetto fondamentale per l’adolescente, il quale si abitua così a decentrarsi e a mettersi nei panni dell’altro. Gli individui utilizzano l’ironia per testare e sviluppare queste competenze, che sono cruciali per la navigazione delle complesse dinamiche sociali che devono affrontare nel corso della loro vita quotidiana. Il contributo della scuola in questo senso è fondamentale in quanto – attraverso una trasformazione curricolare – può porre maggiore attenzione alla relazione educativa e dare centralità ad atteggiamenti cognitivi capaci di abituare il soggetto alla messa in discussione. È, dunque, importante capire come si educa, attraverso quali pratiche si concretizza, indagare le strutture sommerse, gli impliciti, le trame nascoste che l’attraversano e che sono spesso condizionate da microfisiche di potere (Massa, 1986). All’interno di un dispositivo educativo non vi è, infatti, solo il soggetto che educa, ma vi sono dimensioni ambientali ed elementi materiali e immateriali, linguistici e non, che condizionano fortemente l’intero processo (Massa, 1986; 1992; Ferrante, 2017). Se vogliamo, dunque, realizzare in classe una microcomunità basata sul dialogo e sull’ascolto, occorre prestare attenzione a tutti questi aspetti e promuovere un ripensamento critico e riflessivo della capacità comunicativa dei docenti, suggerendogli nuovi stili che potrebbero rendere la relazione comunicativa più efficace e funzionale. Nel contesto educativo, gli insegnanti possono, infatti, utilizzare l’ironia come strumento didattico per stimolare il pensiero critico e l’engagement degli studenti. Tuttavia, come già sottolineato, è fondamentale che questo uso sia sensibile alle diverse capacità dei ragazzi e delle ragazze di interpretare e apprezzare l’ironia. Un approccio pedagogico che comprenda l’ironia richiede evidentemente una profonda conoscenza delle dinamiche di gruppo e della maturità emotiva e cognitiva dei propri allievi. L’ironia gioca, infatti, un ruolo complesso e sfaccettato nella formazione del soggetto adolescente: può essere un potente strumento di esplorazione identitaria, sviluppo sociale e distanza critica, ma deve essere utilizzata con attenzione per evitare effetti negativi sullo sviluppo emotivo e sociale dell’individuo. Se utilizzata con le giuste accortezze all’interno di ambienti che la valorizzano, che lasciano spazio all’esercizio del dubbio, alla sospensione del giudizio, alla creatività e all’immaginazione, dove il pensiero critico e riflessivo vengono incoraggiati, l’ironia ha tutte le potenzialità per divenire uno strumento indispensabile per imparare a prendere in considerazione punti di vista diversi dai propri. Guardare da angolature differenti implica, innanzitutto, sapersi liberare dalle proprie convinzioni e acquisire nuove consapevolezze. Connettendosi al dialogo, l’ironia agisce sul soggetto, aiutandolo a sviluppare un sé armonico e consapevole, ma soprattutto critico e flessibile, adatto ad abitare la complessità del mondo (Cambi, 2010). Siamo, dunque, di fronte a una forma di pensiero maggiormente capace di rispondere alle esigenze degli adolescenti di oggi, i quali si trovano a vivere in un’epoca carica di tensioni e sofferenza, di rivendicazioni anacronistiche, di chiusure e prese di posizione, in cui si ricerca il consenso a scapito dell’esercizio di un pensiero autonomo e critico. È all’interno di questa rete che il soggetto ironico – seppur inquieto, spezzato e indebolito – tenta comunque di uscire. Lo fa dando forma alla propria interiorità, in un processo che lo pone come soggetto in ricerca. Ciò fa sì che l’ironia sia un’ottima guida per riconoscere e governare questa nostra condizione, che necessita di una nuova e solida convivenza democratica.

 

6. Conclusioni

 

Nell’attuale contesto globale, caratterizzato da complessità e instabilità, le pratiche di cura si configurano come fondamentali pedagogici per il benessere individuale, sociale e ambientale. La cura, intesa come prassi relazionale e riflessiva, assume un ruolo centrale nella formazione del soggetto e nella costruzione di una società più equa e sostenibile. Una società che va ripensata alla luce delle fragilità politiche, educative e sociali, dell’incertezza economica e delle minacce ambientali. Tutto ciò richiede un cambiamento radicale delle modalità con cui interagiamo con noi stessi, con gli altri e con il pianeta. In questo senso le pratiche di cura offrono strumenti preziosi per affrontare tali sfide, promuovendo un senso di responsabilità condivisa e di solidarietà. All’interno di questa cornice, il dialogo non è solo una metodologia educativa, ma un ethos che trasforma l’ambiente di apprendimento in uno spazio di rispetto reciproco, sviluppo personale e trasformazione sociale. Praticarlo e coltivarlo in classe, consente agli educatori di avere a disposizione un potente strumento per aiutare gli studenti e le studentesse a governare le complessità del mondo contemporaneo, preparandoli a diventare cittadini riflessivi, critici e impegnati. Si tratta, dunque, di coniugare pensiero e prassi, riflessività e azione, al fine di divenire co-costruttori delle trasformazioni in atto nella società. In questo senso, la categoria della cura è ancora oggi essenziale, poiché – come abbiamo mostrato – può contribuire a un miglioramento della realtà, orientando i giovani verso il benessere, non solo individuale, ma anche collettivo. Sappiamo, infatti, che questo non dipende più dalla quantità delle risorse – come vorrebbe il modello neoliberista – ma dalla qualità delle scelte, individuali e sociali, intraprese. La cura, contribuendo all’empowerment del soggetto, richiede dunque ai luoghi della formazione formale, non formale e informale, il saper creare le condizioni necessarie all’adolescente per agire tutte le opportunità a sua disposizione. Solo in questo modo il soggetto potrà esprimere pienamente sé stesso e realizzare il proprio progetto di vita. Ciò significa dotarlo di una forma mentis complessa, plurale, capace di fuggire dalle illusioni, dai condizionamenti e dalle contraddizioni del proprio tempo storico, così come della propria età, rendendolo capace di prendersi cura di sé e di guardare al futuro, con ottimismo e – perché no? – con ironia. Quest’ultima, intesa come strumento pedagogico e stile cognitivo, gioca un ruolo cruciale nella formazione di un pensiero complesso, sia perché favorisce la riflessione critica e la decostruzione degli assoluti, sia in quanto stimola la capacità di cogliere le sfumature e i paradossi della crisi che stiamo attraversando, insegnandoci a osservarla con le giuste lenti.

 

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[1]Secondo le stime preliminari, nel mese di febbraio 2023 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,3% su base mensile e del 9,2% su base annua, da +10,0% nel mese precedente” (ISTAT, 2023b).