“We made an intercultural religion”: Educational reflections after an experimental Catholic Religious Education (IRC) pathway towards a new research project

 

“Abbiamo fatto una religione interculturale”: Riflessioni educative dopo un percorso sperimentale di IRC verso un nuovo progetto di ricerca

 

Carlo Macale

Dipartimento di Scienze Umanistiche, Motorie e della Formazione, Università degli Studi Niccolò Cusano (Roma, Italy) – carlo.macale@unicusano.it

https://orcid.org/0000-0002-0656-4590

 

ABSTRACT

This paper reports the results of an explorative study of some interreligious didactic projects carried out during the Catholic Religious Education (IRC) hours. The research sheds light on how issues concerning critical knowledge on religions were tackled, combating religious illiteracy, as well as issues specific to intercultural pedagogy such as accepting the other and contrasting stereotypes and prejudices. At the same time the contribution reflects on some critical aspects of religious education in Italy perhaps due to its function in the school and disciplinary epistemology. Indeed, it is believed that in light of various European studies and the data that emerged in this research, a change in the status of the discipline is necessary. In order to prove this, the article proposes a new didactic and pedagogical-social investigation, so as to provide political and ecclesiastical decision-makers with new food for thought for a renewal of religious instruction in schools.

 

Il presente contributo riporta i risultati di uno studio esplorativo di alcuni progetti di didattica interreligiosa portati avanti durante le ore di insegnamento di religione cattolica. La ricerca mette in luce come siano stati affrontati sia temi riguardanti un sapere critico sulle religioni contrastando l’analfabetismo religioso, sia questioni specifiche della pedagogia interculturale come l’accoglienza dell’altro e il contrasto a stereotipi e pregiudizi. Allo stesso tempo il contributo riflette su alcune criticità dell’insegnamento religioso in Italia dovute forse alla sua funzione nella scuola e all’epistemologia disciplinare. Si ritiene infatti che alla luce di diversi studi europei e dei dati emersi in questa ricerca, sia necessario un cambiamento nello status della disciplina. Per provare quanto segue, l’articolo prospetta una nuova indagine didattica e pedagogico-sociale, così da fornire ai decisori politici ed ecclesiastici nuovi spunti di riflessione per un rinnovamento dell’insegnamento religioso nella scuola. 

 

KEYWORDS

Religious education, Intercultural education, Research project, Teaching of the catholic religion, State school

Educazione religiosa, Pedagogia interculturale, Progetto di ricerca, Insegnamento della religione cattolica, Scuola pubblica

 

CONFLICTS OF INTEREST

The Author declares no conflicts of interest.

 

ACKNOWLEDGMENTS

La proposta progettuale è nata all’interno dell’ISE di Venezia, che ha anche nominato il Direttore del Master in “Dialogo interreligioso”, Prof. Marco Dal Corso, il quale ha accompagnato il progetto come Responsabile Scientifico del gruppo di ricerca. Si ringraziano la Prof.ssa Maria Chiara Giorda, Storica delle Religioni e il Professor Filippo Binini, IdR ed esperto nella materia. Queste tre figure hanno prestato le loro competenze validando i contenuti e sostenendo gli interventi formativi e la costruzione degli strumenti di raccolta dati. Si ringrazia anche il Coordinamento degli uffici scuola diocesani del Veneto per il sostegno ricevuto.

 

RECEIVED

July 1, 2024

 

ACCEPTED

August 11, 2024


 

1. Introduzione

 

Il tema dell’insegnamento religioso a scuola è sempre più una questione pedagogica attenzionata da docenti, esperti ed accademici. Superate, forse, le antiche diatribe ideologiche, le nuove sfide che si pone l’insegnamento della religione cattolica (da ora: IRC) sono in chiave di educazione della persona in rapporto a una società in continuo cambiamento. Legati a queste tematiche vi sono i recenti studi e proposte sull’IRC e le sfide del multiculturalismo e pluralismo religioso secondo una dimensione di cittadinanza (Draghetti & Pinelli, 2019; Macale, 2020a; Binini, 2022) o sull’IRC e le soft skills (Romano, 2024), od ancora sul rapporto tra espressività/identità e IRC (Pinelli, 2020).

Oggetto di questo contributo sarà quello di riflettere sulla possibilità/dovere dell’IRC di aprirsi al dialogo interreligioso secondo una prospettiva interculturale o comunque sempre di dialogo e accoglienza come emerso in un recente studio di Porcarelli (2022). Un tema presente nelle ultime due delle quattro indagini nazionali sull’IRC (Malizia et al., 2005; Cicatelli & Malizia, 2017) e che, come afferma Cicatelli, ha rivelato:

 

“Negli Idr [Insegnanti di Religione] una crescente e diffusa disponibilità al dialogo interreligioso e al confronto multiculturale, considerato un punto di forza e una sorta di valore aggiunto dell’IRC, in linea con lo spazio sempre più ampio che negli anni i programmi e le indicazioni nazionali per l’IRC hanno dato all’argomento” (Cicatelli, 2020, p. 205).

 

È proprio a partire dal desiderio di alcuni insegnanti di religione (da ora: IdR) vicini all’Istituto di Studi Ecumenici “San Bernardino” di Venezia, che ha preso vita un progetto sperimentale per l’IRC dal titolo “Percorsi sperimentali per un IRC in chiave interreligiosa. Educare alla diversità religiosa”, sotto la guida scientifica del prof. Dal Corso e finanziato in parte dal Coordinamento degli uffici scuola diocesani del Veneto.

Il presente lavoro sarà suddiviso in tre parti. La Sezione 2 tratterà dell’iter che ha portato all’ideazione e all’attuazione del progetto, nonché della metodologia di ricerca attuata per coglierne potenzialità, limiti e criticità. Le Sezioni 3‍–‍4 presenteranno i dati raccolti in relazione agli obiettivi che erano stati definiti del progetto, come anche in riferimento a questioni (alcune vexatae quaestiones) inerenti all’IRC a partire dalla voce degli insegnanti e degli studenti. La Sezione 5 proporrà una nuova pista di ricerca che avrà come fine l’ipotizzare un progetto di ricerca più ampio legato a un ripensamento dell’IRC all’interno della scuola italiana.

 

2. La storia del progetto e la metodologia di ricerca

 

Come scritto in sede introduttiva, il progetto “Percorsi sperimentali per un IRC in chiave interreligiosa. Educare alla diversità religiosa” nasce dai desiderata di alcuni IdR che, come professionisti riflessivi, si sono interrogati sui metodi, contenuti e obiettivi della propria disciplina al fine di incrementare l’apporto educativo della propria materia adeguandolo ai tempi attuali. Una rilettura del sé personale e professionale che quindi, come avviene in altre professionalità (Knowles et al., 2022), spinge soggetti adulti a mettersi in gioco e ad apprendere a partire da elementi quali i bisogni e gli interessi.

 

2.1. Il progetto

 

Il focus del progetto è quello di stabilire una relazione educativa funzionale sul piano dell’istruzione e, toccando il rapporto insegnamento-apprendimento, tra una società plurale e una didattica che aiuti a leggere e partecipare ad una realtà che vive secondo un “regime a pluralismo”. In particolare, all’interno della bozza progettuale, si possono rintracciare alcune traiettorie che sostanziano questo discorso in riferimento anche allo statuto epistemologico della disciplina:

 

“Ci sono, infine, ragioni diverse che giustificano la necessità di avviare percorsi di carattere interculturale e interreligioso. Se è vero che viviamo in un’epoca post-secolare caratterizzata a fondo dalla diversità culturale e religiosa (ragione storico-sociologica), è anche vero che la diversità può essere letta come “sapiente volontà divina” come afferma il documento di Abu Dhabi (ragione teologica). Il dialogo poi fa crescere l’identità umana e credente (ragione pedagogica) e al tempo stesso chiede, per essere praticato, di rinnovare modelli e metodi di insegnamento (ragione epistemologica) e di avvalorare esperienze formative e didattiche a cui riferirsi (ragione didattica)” (Bozza progettuale [documento interno al progetto]).

 

Dinanzi questa sfida così avvincente, il progetto ha fornito alcuni strumenti agli insegnanti che hanno voluto aderire a tale iniziativa, attraverso giornate formative e interattive su tematiche interreligiose e la possibilità di essere seguiti nel loro lavoro in classe dalla figura di un tutor, ovvero di un docente esperto che potesse dare suggerimenti didattici.

Nel progetto sono stati coinvolti nove docenti e cinque tutor. In questo contributo verranno prese in considerazione le riflessioni di cinque docenti e il lavoro svolto con cinque classi (di tre docenti). Come si può notare, alcuni docenti hanno lasciato il progetto in corso d’opera, come anche non si è riusciti a incontrare tutte le classi dei docenti rimasti. Si precisa che il progetto è stato realizzato nelle scuole secondarie di secondo grado pubbliche nel territorio diocesano di Verona che per ragioni di anonimato non andremo a indicare.

Seppur parliamo di un solo progetto, si mette subito in evidenza che sono stati diversi i percorsi sperimentali realizzati. Le tematiche dei progetti si differenziano tra loro, ma tutte hanno in comune la questione interreligiosa. Inoltre, alcuni progetti sono stati portati avanti in maniera autonoma, altri in collaborazione con docenti di altre discipline, come anche alcuni sono rientrati all’interno dei percorsi di educazione civica. Questa varietà di azioni è stata dovuta ai diversi processi di accettazione (o meno) dei progetti sperimentali all’interno dell’istituto scolastico in cui sono stati proposti.

 

2.2. Le azioni di ricerca

 

La ricerca intrapresa è stata di natura qualitativa e può essere classificata come uno studio esplorativo atto a comprendere se gli obiettivi previsti in sede di idea progettuale siano stati adeguati alla proposta. È bene precisare che il progetto si definiva sperimentale nel suo significato etimologico di “sperimentarsi in qualcosa di nuovo” e meno nel suo significato empirico. Anche la ricerca che ha seguito questi percorsi si è costruita nel tempo, adattandosi alle potenzialità scoperte, come anche ad alcuni passi non previsti inizialmente. Questo per dire che gli stessi obiettivi sono stati utilizzati come “aree tematiche” e non tanto come descrittori in termini di outcomes. Infatti, il fine della ricerca, è quello esplorativo per definire, in seguito, una progettualità pilota più strutturata a partire dalle criticità e dalle potenzialità emerse in questo studio.

Gli strumenti utilizzati per raccogliere informazioni sono stati due per i docenti e uno per gli studenti. Con i docenti, dopo due incontri inziali e il periodo formativo, si sono realizzate tre interviste di gruppo e, a metà percorso, è stato somministrato un questionario a domande aperte. I temi indagati in questi strumenti sono stati diversi, ma i punti di partenza sono stati principalmente tre: a) iter di approvazione progetto nella propria scuola b) strategie didattiche utilizzate; c) fonti utilizzate per organizzare la lezione.

Per quanto riguarda l’indagine con le classi è stato utilizzato lo strumento dell’intervista di gruppo e il canovaccio delle domande è stato costruito a partire da tre elementi: a) quanto emerso nel lavoro con i docenti; b) gli obiettivi e i contenuti dell’idea progettuale e c) altre considerazioni a partire dagli studi dei quattro ricercatori. Sono state incontrate cinque classi in tre scuole secondarie di secondo grado pubbliche situate nella diocesi di Verona.

Tutte le interviste con i docenti e con le classi sono state audioregistrate. L’analisi e la codifica dei dati è stata svolta con il software Atlas.ti e si sono raccolte 19 codificazioni principali, rielaborate poi rispetto agli obiettivi proposti e in relazione ad altre tematiche inerenti alla disciplina dell’IRC[1].

 

3. Rispetto gli obiettivi proposti

 

Tra le finalità poste ai percorsi sperimentali vi erano cinque obiettivi:

-        Promuovere una cultura del dialogo e della convivenza

-        Promuovere l’alfabetizzazione religiosa

-        Favorire un’educazione interculturale ed interreligiosa

-        Ideare e sostenere proposte didattiche innovative

-        Favorire la formazione al dialogo interreligioso degli insegnanti

 

Questa ricerca non ha creato strumenti per valutare il raggiungimento o meno degli obiettivi, ma ha voluto indagare gli aspetti legati ai suddetti obiettivi, ovvero ha cercato più che il dato di conferma, il dato che “commentasse” l’obiettivo per scandagliare l’utilità e la fattibilità dello stesso. Alla luce dei dati raccolti si ritiene sia importante riferire principalmente di tre obiettivi.

 

3.1 Promuovere l’alfabetizzazione religiosa

 

Si parla di alfabetizzazione religiosa principalmente per contrastare quello che viene definito analfabetismo religioso che è un concetto per nulla facile da spiegare, basti pensare che forse la più importante opera su questo tema in Italia ormai compie dieci anni (Melloni, 2014) e ancora non è presente un’opera altrettanto rilevante. L’aspetto da sottolineare è che l’analfabetismo religioso è una “questione [che] comprende diversi paradigmi (culturali, sociali, giuridici) spesso riconducibili alla matrice di fede e, specificamente nella scuola, va ben oltre l’attuale spazio orario e le risorse dedicate al sapere religioso” (Cuciniello & Pasta, 2022, pp. 25‍–‍26). L’idea oramai diffusa è che la “questione religiosa” a scuola, nella sua implicazione storica, politica, sociale dovrebbe esser affrontata in maniera interdisciplinare e l’IRC è una delle materie che affronta la tematica secondo un’angolatura riferibile alla sua epistemologia.

Quanto si riporta in questo sottoparagrafo non intende misurare l’insieme di conoscenze di base sulle/tra le religioni che dovrebbero costituire parte di un bagaglio culturale comune a coloro che hanno frequentato il progetto IRC, ma vuole aprire delle piste riflessive per considerazioni pedagogiche che verranno poi riprese alla fine del testo.

Per tale ragione i dati delle interviste con le classi, oltre a rilevare aspetti nozionistici come per esempio “A me ha colpito il brahma” (G) “le preghiere giornaliere dell’Islam, sono punti fermi!” (D) oppure “i testi sacri, cose che io personalmente non sapevo” (D), sono stati raccolti dati per poter apprezzare rielaborazioni in termini di confronto tra credenze, prospettiva (‍inter‍)-culturale e secondo un rapporto religione/storia e politica. Questi dati di rilevanza tematica sono illustrati nella Tabella 1.

 

Tema

Testimonianza

a) Confronto tra credenze

“A me personalmente il fatto che magari le altre religioni a differenza della nostra, vedono Dio in qualcosa che non è personale” (G).

“Io ho notato che nella maggior parte delle religioni se non in tutte, l’acqua sempre ha un significato di purezza è una cosa vista allo stesso modo” (P).

“Anche per me le preghiere… è diverso rispetto a noi! Pregano più volte…anche se facciamo parte dello stesso mondo”“ (D).

b) Prospettiva (inter)-culturale

“Conoscere la cultura delle altre religioni” (G).

“Sicuramente il farci conoscere i modi di pensare delle altre persone, delle altre culture e poi comunque farci una cultura anche noi” (G.).

“Magari le tradizioni che si hanno, per esempio, i motivi per i quali mettono il velo. Non è solo una cosa estetica, c’è qualcosa di più profondo, spirituale” (D)

c) Secondo un rapporto religione/storia e politica

“Per quanto riguarda me la storia dell’espansione di Israele, dalla formazione alla sua espansione. L’abbiamo approfondita meglio”, “le guerre che si sono susseguite, il loro perché…abbiamo visto delle cartine e abbiamo studiato l’espansione” (D)

Tabella 1. Dati non nozionistici raccolti durante l’esperienza e classificati secondo aree tematiche.

 

Tutti questi aspetti mettono in evidenza come un insegnamento religioso, non legato alla sola confessionalità, possa agevolare quei processi di Knowledge and critical understanding of the world che il documento europeo sulle “Competenze per una cultura democratica” (Council of Europe, 2018) pone come obiettivo per le diverse forme di religious education.

 

3.2. Favorire un’educazione interculturale ed interreligiosa

 

La prospettiva educativa sull’alfabetizzazione religiosa nella scuola acquisisce un valore determinante se coniugata con la pedagogia interculturale. Infatti, se da una parte si ha qualche difficoltà a considerare l’IRC solo in chiave interculturale, quasi che la prima fosse ancella della seconda (Macale, 2020b), dall’altra parte è innegabile che in un’epoca quale quella attuale presentare la religione secondo un modello etnocentrico sia quanto mai anacronistico e forse anche irrispettoso, in quanto non rispetta la polisemia del termine religioso ormai esteso, con l’art. 17 del TFUE, non solo alle religioni, ma anche alle organizzazioni non filosofiche e non confessionali (Baldassare, 2023).

Si badi bene che questo impegno non è richiesto solo all’IRC, ma almeno dal 2007 (Osservatorio nazionale…, 2007), a tutte le discipline in maniera trasversale. Concetto sottolineato nuovamente nell’ultimo documento del Ministero dell’Istruzione (Osservatorio nazionale…, 2022, p. 17) “Orientamenti interculturali” quando si parla della dimensione interculturale nei curricoli ravvisando che “permane nella scuola italiana l’abitudine a riproporre contenuti curricolari poco aperti alla dimensione globale […] che coesistono talvolta con interpretazioni riduttive e parziali dell’educazione interculturale”.  

Per quanto concerne le affermazioni degli studenti in relazione a questioni legate all’educazione interculturale, possiamo raggruppare i dati in quattro categorie:

 

a)     Un’interculturalità che interroga i propri assunti culturali (Sezione 3.2.1)

b)     Un’interculturalità che favorisce la conoscenza del compagno di banco (Sezione 3.2.2)

c)     Un’interculturalità che contrasta stereotipi e pregiudizi (Sezione 3.2.3)

d)     Un’interculturalità “oltre la scuola” (Sezione 3.2.4)

 

3.2.1. Un’interculturalità che interroga i propri assunti culturali

 

Partiamo dall’idea che l’interrogarsi sul sé, a partire da un contenuto didattico, non è cosa facile, soprattutto se nel corso degli anni la scuola non ha favorito un processo di apprendimento legato al pensiero critico-riflessivo. Per questo non c’è da stupirsi se diversi studenti hanno risposto che “le conoscenze non hanno interrogato la mia vita” (G), seppur è anche logico pensare che “sentendo parlare di altre religioni, ti fai delle domande e, anche se resti della tua idea, puoi ampliare la tua conoscenza e il rispetto” (G).

Proprio in quest’ultima direzione sono andate le risposte date circa la riflessione del sé. Nessuno è andato sulla dimensione “squisitamente” morale-spirituale, ma tutti si sono riferiti alla dimensione comparativo-relazionale. A volte rimanendo positivamente sorpresi:

 

“Tipo sui musulmani, uno li scansa, li giudica sulle cose che fanno diverse dalle nostre. Dopo quando vai a scoprirle, ha cambiato idea! Ha scoperto che loro sono molto più religiosi di noi” (G).

 

…Altre volte volendo continuare a mantenere determinate distanze:

 

“Sembra estremo stare così tanti giorni senza mangiare …vabbè che poi si mangia, però… nella giornata qualcosina bisogna mangiare. Ok che è per motivi religiosi, ma mi sembra un po’ estremo. Al massimo noi non mangiamo la carne per un giorno!” (D).

 

3.2.2. Un’interculturalità che favorisce la conoscenza del compagno di banco

 

La storia della pedagogia interculturale nella scuola ha conosciuto diverse fasi, dalla prospettiva di integrazione alla dimensione di cittadinanza, fino a giungere all’oggi dove si sposa una linea più “biografica” (Granata, 2018), fronteggiando quindi ogni deriva essenzialista legata ai temi culturali. Per questa ragione il primo ritorno educativo di quanto si svolge a lezione dovrebbe riscontrarsi nel gruppo classe nell’incontro tra le diversità presenti.

Da questo punto di vista tutte le classi hanno messo in evidenza come questo obiettivo sia stato raggiunto, qualcuno addirittura ha rivisitato il suo passato scolastico commentando il progetto in questa maniera: “A me è stato utile. Io alle medie avevo dei compagni musulmani […] ora è la prima volta che ho sentito parlare di queste cose qua”. (G).

In una classe una studentessa ha messo in evidenza come “la classe è multiculturale e multireligiosa e quindi capire la religione dei nostri compagni è stato utile” (D) e subito un compagno ha aggiunto “alcuni nostri compagni sono intervenuti per spiegare meglio la loro religione in base alla loro esperienza”. Nel raccontare questo momento di co-educazione, la ragazza musulmana ha detto “ io mi sono sentita responsabile nel dare informazioni in più rispetto a quello che sapeva il nostro insegnante” (D) e a fronte di questa “responsabilità”, alcuni suoi compagni, ricordando quel momento, hanno detto “ è stata una cosa interessante da sentire” (D) anche solo per una “ricchezza culturale” (D); ma soprattutto è stato messo in luce come ascoltare la compagna sia “stato un prendere consapevolezza delle scelte delle altre religioni” (D).

 

3.2.3. Un’interculturalità che contrasta stereotipi e pregiudizi

 

Diversi sono i fini della pedagogia interculturale e soprattutto sono presenti in diversi ambiti della pratica umana. Uno di questi è certamente la formazione di persone che, consapevoli di una prima utilità dei propri pregiudizi nel formulare un iniziale approccio conoscitivo-valutativo a un qualsiasi evento (diretto o indiretto che sia), poi siano in grado di interrogare i propri pregiudizi, mettendo in discussione i propri presupposti culturali e criteri conoscitivi. Questi due aspetti sono emersi nelle interviste alle classi e si possono rintracciare anche in altre parti dell’articolo.

In questa sede si vogliono portare solo due esempi. Il primo è il seguente. Quando una studentessa ha affermato che dal progetto si portava via l’idea che “bisogna portare più rispetto verso certi aspetti della vita e verso le religioni diverse”, alla domanda diretta “E tu pensi che questo rispetto lo avresti pensato anche senza la testimonianza della tua compagna di classe?”, la stessa ha risposto: “Il rispetto si deve portare a prescindere! Però, magari, conoscendo certe cose che prima non conoscevo, ci faccio più attenzione” (D). Ciò evidenzia come una maggiore e diversa conoscenza della diversità, non solo abbia un effetto tampone all’ignoranza, ma incrementi anche una disposizione verso alcuni buoni valori che già appartengono al soggetto.

Il secondo esempio riguarda il valore “estetico” del superamento del proprio pregiudizio. Uno studente ha affermato: “Ogni persona è diversa… prima, diciamo, avevamo i pregiudizi… scoprendo la loro cultura, piano piano può anche venir fuori qualcosa di bello” (G). L’elemento da cogliere è l’utilizzo della parola bello che, senza filosofeggiare troppo, è una caratteristica attribuita non tanto e non solo al processo conoscitivo, ma alla scoperta, ovvero al dato emerso. È un modo semplice e diretto per affermare la valorizzazione della diversità.

 

3.2.4. Un’interculturalità “oltre la scuola”

 

Durante le interviste si è cercato di comprendere quanto le riflessioni fatte in classe siano poi state riportate all’esterno. Su questo punto c’è stata una bassa risposta, che comunque si intende riportare. Infatti, oltre ad alcuni discorsi similari tra compagni in classe e amici fuori scuola, l’altro luogo dove c’è stata una continuazione riflessiva, è stata la famiglia. Chi lo ha fatto come una semplice condivisione di quello che aveva scoperto o anche solo perché i genitori chiedevano che cosa stessero studiando, chi invece ne ha parlato rispetto a temi specifici quali la guerra, o alcuni discorsi del Papa che sembrano avere maggior peso quando parla di conflitti.

 

3.3. Ideare e sostenere proposte didattiche innovative

 

L’aspetto didattico è stato quello su cui i gruppi classe hanno fornito più informazioni. Nel complesso si sono tutti detti soddisfatti della modalità didattica e dei contenuti proposti, come anche dell’apertura alle altre religioni. Per riflettere meglio su questo obiettivo, si è scelto di dividere la riflessione in tre punti.

 

3.3.1. Presupposti per una didattica interculturale nell’IRC

 

Il momento della programmazione è certamente lo start per una didattica interculturale. Oltre i moduli o la metodologia didattica utilizzata di cui si parlerà in seguito, ci si domanda come si sia caratterizzato, in fase di ideazione, l’elemento interculturale e interreligioso nei progetti svolti.

Innanzi tutto, vi è l’idea che alla base delle diverse programmazioni didattiche vi debba essere come fine il fornire delle conoscenze sulle religioni, come primo step per contrastare l’analfabetismo religioso. Ma i diversi progetti prima ancora di fornire una “prima dose” di conoscenze per poi avviare iter di ricerca-apprendimento, sono iniziati con una fase di esplorazione delle conoscenze acquisite, a volte tramite un debate, altre volte tramite un brainstorming. Questa prima fase ha messo in luce la valenza delle diverse posizioni, come anche le prime forme di pregiudizio e come la presenza di stereotipi diminuisca se negli anni precedenti si sono già svolte UdA interreligiose.

Interessante notare come al termine del percorso, il valore del confronto è fondamentale non solo per valutare lo sviluppo di competenze curriculari, ma anche per riconsiderare alcuni pregiudizi e stereotipi iniziali e confutarli.

Un’altra caratteristica della programmazione è stata la volontà di essere più accogliente possibile, passando alcune volte come “percorso sperimentale IRC” altre volte come “progetto interdisciplinare” altre volte come “ora di educazione civica”. Indipendentemente dal numero di studenti non avvalentesi che si sono poi raggiunti (questo tema lo affronteremo nel prossimo paragrafo), l’intento iniziale comune è stato quello di ideare e realizzare un percorso didattico non solo dai contenuti interreligiosi, ma anche secondo una prospettiva interculturale e di dialogo.

Durante l’intervista ai docenti, alla domanda se la presenza dei non avvalentesi in classe abbia comportato delle criticità che di solito non ci sono quando sono presenti solo gli avvalentesi, quattro‍–‍cinque hanno detto di no, anzi hanno messo in luce che specie gli studenti di altra religione hanno contribuito attivamente a rendere più interessante la lezione.

Un terzo elemento, da alcuni docenti realizzato e da altri no per diverse ragioni, è la volontà di “toccare con mano”, avere uno scambio vivo con un'altra religione. Pertanto, incontrare testimoni di altre religioni, conoscere alcuni luoghi di culto, scoprire il rapporto fra una fede personale e l’impegno sociale in persone che professano un credo, erano parte delle attività proposte.

 

3.3.2. Temi e moduli

 

Come si è già detto i temi e i contenuti, nonché la strutturazione in moduli, è stata diversa da progetto a progetto. Tra i percorsi che hanno partecipato alla sperimentazione, ma non sono stati oggetto di ricerca con le classi, possiamo trovare: a) un progetto di educazione civica dove l’IRC è stata coinvolta in un lavoro didattico con Libera (compreso un viaggio un Palermo); b) un progetto in cui l’IRC è stata parte attiva nel Progetto “Memoria”, dove la semantica della parola “Testimone” (in chiave civile e religiosa) è stato l’aspetto più importante; c) un progetto su usi e costumi delle altre religioni.

Per quanto riguarda le proposte didattiche, di cui si sono raccolte le voci anche degli studenti e studentesse, si sono svolti i seguenti programmi.

Nelle classi della scuola G, fino all’intervista di classe, si sono sviluppati i seguenti moduli interculturali/interreligiosi:

 

-        Classe prima: 1) La questione israelo-palestinese (Dalla storia antica al conflitto attuale); 2) Aspetto antropologico-etico, filosofia e religiosità/religione (genesi e sviluppo storico della dimensione religiosa); 3) L’induismo (Storia, contesto e dottrina); 4) Temi Interreligiosi (Cibo, l’accoglienza); 5) Presupposti di dialogo interreligioso.

-        Classe quarta si sono svolti, fino alla data dell’intervista di classe, i seguenti moduli: 1) La questione israelo-palestinese (Dalla storia antica al conflitto attuale); 2) Islam (Storia e pluralismo interno. Principi religiosi); 3) Temi Interreligiosi (diritti umani e religioni, bene e male nelle religioni); 4) Dialogo interreligioso (La Dichiarazione conciliare Nostra Aetate e il documento di Abu Dhabi).

Nelle classi della scuola D, fino all’intervista di classe, si sono svolti i seguenti moduli interculturali/interreligiosi: 1) Islam (storie, contesti e principi religiosi); 2) Ebraismo (storie, contesti e principi religiosi); 3) Le dinamiche storico-politiche-religiose della nascita di Israele.

Per quanto concerne la classe prima della scuola P, si fa riferimento a un progetto interdisciplinare sull’acqua svolto con altri docenti di discipline diverse.

 

3.3.3. Metodologia didattica

 

Le metodologie didattiche utilizzate sono state tutte metodologie “attive”, in cui la forza dell’apprendimento risiedeva nella ricerca del singolo e del gruppo e nella condivisione dei risultati.

C’è chi ha fatto riferimento alla “classe capovolta” o Flipped classroom, chi invece alla “lezione dialogata” e chi al cooperative learning. La scelta di una modalità attiva nasce dal fatto che gli studenti “anno per anno hanno più difficoltà ad ascoltare. Quindi bisogna farli lavorare attivamente” (F-3).

Oltre a metodologie diverse, anche i prodotti in uscita sono stati diversi. Infatti, c’è chi avrebbe dovuto produrre una presentazione PowerPoint, chi un cortometraggio e chi una relazione. In alcuni casi si era vincolati a un prodotto (specie nei progetti interdisciplinari o quelli legati all’educazione civica), altre volte si era liberi.

Fatta questa premessa generale, ritengo sia utile evidenziare alcuni aspetti interessanti comuni:

 

·       seppur si sia dato più spazio alla ricerca personale e di gruppo, ogni UdA è stata anticipata dalla presentazione del docente che forniva una parte di biblio/sito/filmografia.

·       Il lavoro di gruppo avveniva in maniera autonoma (a casa e a scuola), seppur vi era sempre la disponibilità del docente a fornire consigli. Gli studenti hanno consultato materiale cartaceo, materiale online (consigliato o meno) e in alcuni casi hanno anche utilizzato l’intelligenza artificiale.

·       La restituzione non è mai stata intesa solo come un momento “rappresentativo”, ma sempre come un momento formativo nel quale il confronto e il dibattito passava dal gruppo di lavoro all’inter-gruppo di lavori. Spesso era questo il momento dove la classe schematizzava le diverse questioni poste. Ovviamente questa era anche la fase della valutazione che si basava, oltre che sui contenuti, anche sulle “capacità di ricerca, di comprensione e elaborazione” (F 9 aprile), dando anche importanza “all’esposizione e alla partecipazione della classe durante l’esposizione”. (F-3)

 

Questa modalità è stata ben accolta da parte dei ragazzi, i quali hanno mostrato anche alcune peculiarità, illustrate nella Tabella 2.

 

Dimensione

Testimonianze

Dimensione dialogica

“È più utile quella dialogica perché si dicono le proprie idee, e dicendo le proprie idee rimane anche più impresso quello che dicono gli altri sulle risposte che si sono date.” (P).

“Anche il dialogo ci sta! Noi l’abbiamo fatto! Abbiamo discusso in classe con il prof, molto apertamente dicevamo quello che pensavamo proprio! Secondo me questo ci ha aiutato molto!” (G).

Efficacia dell’apprendimento cooperativo

“È più efficace perché il risultato lo raggiungi insieme agli altri e ti resta più impresso ed è anche più facile da capire.”(G).

Sviluppo di competenze trasversali

“Si può acquisire più collaborazione con i compagni, nell’acquisire informazioni culturali, si acquisiscono anche altre informazioni che si potranno poi utilizzare nell’ambito della vita in generale. Collaborazione e capacità di andare a cercare dati per poi presentarli. È anche bello” (D).

“Ti aiuta anche per il lavoro. La collaborazione diciamo aiuta a riuscire a sviluppare a ognuno le sue idee inserendoti in un gruppo più grande che può dare di più!” (G).

Autonomia e motivazione nell’apprendimento

“Ho trovato più efficace fare le ricerche in autonomia, intendo nel gruppo. Perché così le informazioni vengono assimilate meglio” (D).

“È più interessante ricercarsele da soli le cose e poi ti rimangono più impresse e condividerle” (D).

Tabella 2. Tipologia delle peculiarità dimostrate dai ragazzi.

 

4. Questioni sull’IRC e sulla sua apertura al dialogo interculturale e interreligioso

 

In questo paragrafo si tratteranno alcuni aspetti non direttamente legati all’attività didattica, ma che di fatto ne fondano il discorso. Oltre ogni lodevole sforzo dei singoli docenti, si ritiene che il problema, come ormai da anni si dice in Italia, da una parte sia collegabile a una migliore definizione dello statuto epistemologico della disciplina e dall’altra parte riguardi il ruolo e la valenza scolastica dell’IRC nel sistema educativo nazionale.

Abbiamo già visto in precedenza, dalla testimonianza dei docenti, come sia complicato fare una lezione frontale di IRC, tanto che una docente ha affermato “si fatica a fare lezione frontale, per questo utilizzo delle domande stimolo, oppure lavoro con delle app o faccio vedere dei filmati” (F-3). Ma perché, a volte, c’è questa strada in salita per l’IdR? Forse alcune risposte vengono proprio dalle interviste con le classi:

 

“Perché la vedono come un’ora in più!” (G).

 

“La materia di religione viene considerata una materia di secondo piano” (P).

 

“Molti pensano che non sia importante, che non serva” (P).

 

E quando durante un’intervista alla classe qualcuno fa un riferimento alla diversità di comportamento di un alunno nell’ora di italiano e nell’ora di religione, uno studente risponde: “Beh è un po’ come ginnastica e matematica, sono cose diverse!” (G). In realtà, questa similitudine non è vera, in quanto “ginnastica”, come disciplina, non è come “religione”, infatti la prima, contrariamente alla seconda, è obbligatoria ed è discriminante in sede di consiglio di classe o scrutinio.

Questo è un dato che ha delle conseguenze, infatti si possono ideare e svolgere i progetti più belli e significativi, ma se questi non hanno anche un giusto riconoscimento, sono poco appetibili, per gli studenti.

Nella nostra ricerca, questo è confermato da almeno altre tre considerazioni:

 

4.1. Lo status della materia.

 

I percorsi sperimentali che rientravano nell’educazione civica hanno avuto una maggiore partecipazione anche dei non avvalentesi, come anche per gli avvalentesi il percorso ha acquisito un valore diverso. Così si esprime una docente:

 

“Per esempio, ci sono state due valutazioni che sono entrate in educazione civica. E questo è stato positivo perché i ragazzi ci tengono che quest’ora contribuisca al pari di altre discipline alla valutazione finale. Prof ma questo ce lo mette come educazione civica o come giudizio di religione? Cambia proprio la sostanza!” (F-3).

 

4.2. La questione dei non avvalentesi.

 

Si è chiesto ai presenti come mai alcuni loro compagni/e non abbiano partecipato al percorso, nonostante il progetto fosse di natura interreligiosa, aperto a tutti e molte volte in collaborazione con altre discipline. Le risposte date hanno fatto riferimento esclusivamente alla questione che, coloro che non fanno religione, “la usano come scusa per “riuscire a saltare un’ora” di scuola” (G). Le opzioni? Nessun obbligo a partecipare all’ora alternativa[2], possibilità di prepararsi le interrogazioni dell’ora successiva, in alcune scuole addirittura la possibilità di uscire e rientrare da scuola indipendentemente dall’orario in cui si svolge la lezione e magari “uscire per fumare una sigaretta” (G). Nulla che abbia a che vedere con questioni ideologiche o di fede, ad eccezione di pochissimi casi di genitori musulmani che, a dire dei presenti, si sono opposti alla frequenza.

Questo dato è emerso anche quando è stato chiesto se, secondo loro, l’apertura interreligiosa dell’insegnamento della religione cattolica fosse un valore aggiunto e se fosse sufficiente per renderlo obbligatorio se fosse così svolto. La risposta alla prima domanda è stata sempre positiva, adducendo motivazioni diverse e valide, mentre, la risposta alla seconda domanda è stata quasi sempre negativa. Anche in questo caso la motivazione non era di “sostanza”, ma sempre di “circostanza”. Si riportano solo alcune delle risposte:

 

“Se la rendessero obbligatoria, rischierebbe di essere come gli anni quando tutti facevano religione e non si faceva letteralmente nulla. Questo penso che sia il primo anno che faccio qualcosa di religione!” (G).

 

“Ha ragione, è la verità! Adesso che c’è la scelta. la gente che magari ci va è più interessata, quindi non fa casino e di conseguenza…” (G).

 

“Secondo me, a questo punto, renderla obbligatoria non funzionerebbe! O si faceva prima quando c’erano tutti gli idealismi o appena arrivate le altre religioni, dovevi riuscire a renderla obbligatoria allora tutti facevano religione. Ma adesso ci sono molte più religioni, molte più culture diverse e quindi è tutto più difficile!” (P).

 

“Quindi, secondo me, la possibilità di avvalersi o non avvalersi, dovrebbe essere introdotta, dopo… in età…magari un po’ più avanzata, magari dai 14 anni o alle scuole superiori.” (P).

 

4.3. Il confronto con le altre materie.

 

Alla luce dell’entusiasmo mostrato da parte delle classi circa l’apertura interreligiosa dell’IRC, si è chiesto se, secondo loro, anche le altre discipline dovessero fare un passo in tal senso (come d’altronde viene suggerito dal Ministero). A questa domanda, nonostante, ancora una volta la risposta è stata positiva, soprattutto per le materie umanistiche in quanto “sarebbe molto più bello e interessante sapere anche quello che è successo negli anni da altre parti” (G), è stata riconosciuta una sorta di “deroga” perché il programma delle altre materie “è abbastanza ampio” (D) e “vedo anche i prof che arrivano agli ultimi giorni per le ultime cose… non c’è proprio il tempo materiale” (P).

Inoltre, per alcuni, questa apertura deve essere un plus, un qualcosa di soggettivo: “La letteratura indiana te la puoi studiare magari dai libri. Se io sono italiana e voglio studiare la letteratura indiana, magari chiedo alla professoressa di studiarla. Perché? Perché non so, perché è qualcosa di esterno”.

 

5. Verso un nuovo progetto di ricerca

 

Fermo restando che quanto riportato fino ad ora porta a rivisitare l’epistemologia della materia (considerando l’alveo degli studi che ormai si occupano del tema religioso) e alimenta ancor più il dibattito sulla confessionalità della materia, in questa sede si cercherà di immaginare su quali aspetti fondamentali bisognerebbe riflettere per organizzare un nuovo studio che sia di utilità ai policy makers per ri-comprendere, a quarant’anni dalle modifiche del concordato e alla luce dell’attuale società, come possa essere riorganizzato l’insegnamento della religione‍/‍(‍i‍?‍) nella scuola.

Questa idea è basata anche sul fatto che questi percorsi sperimentali di IRC possono considerarsi delle positive progettualità scolastiche e riprendendo quanto scritto nel documento “Orientamenti Interculturali”:

 

“Nella difficoltà della presente congiuntura può essere di aiuto ricordare che sempre sono state le sfide più difficili a far progredire l’innovazione e la nostra cultura pedagogica. La presenza nella comunità scolastica di alunni e studenti portatori di ulteriori valori culturali, linguistici, religiosi, è certamente un elemento di complessità, ma può rivelarsi, come testimoniato da diverse positive progettualità scolastiche, anche una grande occasione per ripensare alla scuola e al suo mandato di fronte alle sfide del pluralismo socio-culturale” (Osservatorio nazionale…, 2022, p. 3).

 

È possibile, pertanto, valorizzare in maniera più strutturale quanto emerso dallo studio relativo a questo progetto. Si ritiene che, vista l’abbondante letteratura italiana ed europea già presente sull’argomento (solo per citare alcuni studi oltre a quelli già riportati fino ad ora nel testo: Delors, 1996; Pedrali, 2002, Council of Europe, 2005a, 2005b, 2018; Salvarani, 2006; Bernardo & Saggioro, 2007; Catterin, 2013; Fabretti, 2013; Giorda, 2015; Stoeckl & Roy, 2015;Pajer, 2017; Jackson & O’Grady, 2018; Ubani, 2018, Zonne-Gätjens, 2022) e visto quanto emerso in questo progetto, per fornire ai decisori politici, alle diverse associazioni legate al mondo della scuola e alle autorità ecclesiastiche responsabili di questo settore, una proposta contestualizzata, innovativa e in linea con le politiche scolastiche europee[3] si dovrà agire su tre linee di indagine: a) la costruzione di un nuovo progetto sperimentale IRC; b) una ricerca che raccolga i contra a una rivisitazione della disciplina all’interno del mondo cattolico; c) una ricerca che indaghi anche i contra esterni al mondo cattolico.

La raccolta, l’analisi e lo studio sinottico di queste tre piste di ricerca potrebbe, forse, formulare una proposta che, considerando diversi punti di vista, sia strutturata, organica e coerente e che pertanto possa essere un buon punto di partenza per ridare dignità pedagogica all’insegnamento religioso nella scuola.

Tutto ciò era già stato ipotizzato da Dal Corso quando, a conclusione della prima intervista con i docenti, affermò

 

“Il valore aggiunto della sperimentazione che state promuovendo nelle scuole è senz’altro l’aspetto pratico, ma il senso ultimo è quello di provare a riflettere sulla pratica per poter dare indicazioni di prospettiva. Per questo proveremo a tenere traccia di ciò che questa esperienza interroga e insegna. La novità non sta tanto nel realizzare percorsi di carattere interreligiosi, ma nella riflessione che possa portare a una proposta e a un rilancio dell’educazione religiosa a scuola” (F-1).

 

Cerchiamo ora di comprendere il perché vi sia la necessità delle tre linee di azione:

a)     La costruzione di un nuovo progetto sperimentale IRC (Sezione 5.1);

b)     Indagare i contra “interni” nella CEI e nei movimenti (Sezione 5.2);

c)     Confrontarsi con i contra “esterni” (Sezione 5.3).

 

5.1. La costruzione di un nuovo progetto sperimentale IRC

 

Nelle precedenti pagine si sono potute rintracciare le potenzialità dei diversi progetti interreligiosi proposti. Nati da una sorta di “pedagogia dal basso”, però si sono messe in luce anche alcune criticità quantitative e qualitative che in un nuovo progetto dovranno essere affrontate.

Un primo elemento importante è una maggiore e più attenta formazione sulle religioni ai docenti e la stesura di una lista di fonti oppure la creazione di una sorta di ebook digitale con link. Nella ricerca è emerso, da più docenti, come “i libri di testo sono scarsissimi su altre religioni e sull’approfondimento dell’oriente. Per cui bisogna incrociarli!”. I docenti hanno ripreso materiale da alcuni corsi organizzati per l’IRC o hanno attinto a piattaforme già pensate per una didattica interreligiosa. Nonostante lo sforzo dei docenti, quest’ultimi hanno messo in luce la necessità di avere una formazione più specifica e del materiale meglio organizzato.

Una docente collega l’impegno formativo e di elaborazione di un adeguato materiale didattico, anche al fatto che forse, per questa ragione, altri IdR non hanno aderito alla proposta innovativa (F-2). È fin troppo evidente che “lo studio delle singole religioni è scarso! Eppure, è il prerequisito per lo studio interreligioso. Devo conoscere prima di intessere altre cose” (F-2).

Diversi studenti concordano con l’idea di una formazione diversa degli IdR, anche per “tranquillizzare” le famiglie dei non avvalentesi, ma allo stesso tempo, con senso di realtà, qualcuno afferma: “è un passaggio che richiede molti anni e molti prof di religione sono anziani e non si metterebbero a studiare altre religioni per insegnare” (P.)

Un secondo elemento riguarda un maggiore accompagnamento nei progetti da parte di un esperto di didattica, in specie di didattica interculturale. Seppur è evidente l’alto gradimento da parte degli studenti per la strutturazione delle lezioni, se si intende fare un progetto più strutturato, è bene anche ri-considerare le recenti teorie di insegnamento/apprendimento, soprattutto alla luce dei contenuti che si intendono fornire.

Un terzo aspetto che non si è potuto commentare in questo articolo, ma che è stato importante, è il modo con cui la scuola viene coinvolta in questo nuovo progetto. Nei percorsi sperimentali studiati in questo articolo, vi era stata una sorta di lettera accompagnatoria da parte del Coordinamento degli uffici scuola diocesani del Veneto. Questo ha dato certamente una formalità all’intervento educativo, ma ciò non è bastato per agevolare la sperimentazione in tutte le scuole, specie in quelle dove gli IdR hanno trovato resistenze a volte ideologiche, alte volte di “sistema”, all’attualizzazione dell’iter didattico. Per tale ragione è auspicabile nel nuovo percorso una sorta di “protocollo di intesa” tra l’ufficio regionale scolastico e il coordinamento regionale per l’IRC. Tale documento darebbe maggiore stabilità, da più punti di vista, all’iniziativa didattica.

In ultimo sarebbe necessario un maggior numero di scuole e docenti coinvolti. Come ha osservato una docente: “e poi tra l’altro sono l’unica docente di rc della mia scuola che fa questa cosa e mi dicono: perché te lo fai e gli altri no?” (F-2). Questo interrogativo personale deve essere riportato a livello di comunità educante per l’IRC. È possibile che questa “divisione interna” forse rappresenti anche la diversità di posizioni che vi è ora in CEI sull’IRC o è solo una questione di disponibilità?

 

5.2. Indagare i contra “interni” nella CEI e nei movimenti

 

L’ultimo aspetto del precedente punto vuole essere da stimolo per sondare le posizioni tra gli IdR di Italia e i responsabili per l’IRC a livello regionale e nazionale. Si ritiene infatti che quella cultura del dialogo e della convivenza presente tra gli obiettivi del progetto, debba essere affrontata prima “internamente”. Ciò al fine di comprendere le ragioni di tutti e pensare a un’azione da svolgere che non sia solo frutto della scelta di una “corrente” che in un determinato momento storico è al potere, ma sia frutto di un cammino di ascolto interno e di apertura all’esterno.

Se l’attuale Ministro dell’Istruzione e del Merito intende rivedere i programmi a partire da un comitato di esperti, la linea di questa ricerca invece intende partire dalla base, evitando così salti “accademici” frutto spesso di arrivismi e tornaconti personali. Solo tramite un processo di negoziazione autentico tra l’equipe di ricerca e la base, il nuovo gruppo di ricerca potrà essere una comunità di ricerca e di pratica allo stesso tempo.

 

5.3. Confrontarsi con i contra “esterni”

 

Se da una parte la religione (e più che mai l’insegnamento religioso) è stata vista con sospetto (Caputo, 2018), chi si occupa di religious education, non può non affrontare l’argomento con chi osteggia l’insegnamento religioso nella scuola tout court e chi lo proporrebbe in altra maniera. E questo perché come ha detto uno studente “Io direi che questi discorsi andrebbero fatti anche con chi non segue religione e non solo con noi. […] Se parliamo sempre tra di noi non ha senso!” (G). Niente di più semplicemente illuminante nelle parole di un adolescente, potrebbe tornare utile a questa ricerca.

 

È evidente che ideare e realizzare questo nuovo iter di ricerca più ampio nei numeri e di natura multi-prospettica e multidisciplinare, presuppone nuove risorse e tempi dilatati, ma si ritiene sia l’unico modo per affrontare la questione nella sua globalità. Prerequisito essenziale è una certa umiltà epistemologica, una postura di ricerca accogliente che, per quanto possibile, sappia “sospendere il giudizio” sia nella raccolta come nell’analisi dei dati che emergeranno. Per tale ragione, visto il tema, è necessaria anche un’equipe di ricerca variegata da un punto disciplinare e di indirizzo teorico.

 

6. Conclusioni

 

In questo contributo si è cercato di sintetizzare uno studio esplorativo di alcuni percorsi sperimentali di IRC realizzati in Veneto. Fatte le dovute considerazioni pedagogiche in merito ai dati emersi dallo studio dei progetti didattici, si è pensato a quali potrebbero essere i prossimi passi da fare in termini di ricerca-azione nelle aule e di ricerca sociale per fornire spunti di riflessioni ai policy makers per un ripensamento dell’insegnamento religioso nella scuola.

Questo progetto parte da due punti di forza: a) una pedagogia dal basso, pensata con alcuni IdR che si sono posti delle domande per il miglioramento della loro disciplina e b) il fatto che i percorsi sono stati realizzati nelle scuole pubbliche e questo, come affermato da Dal Corso, “non è secondario […]. Non facciamo una proposta autoreferenziale, ma pubblica” (F-1), soprattutto in riferimento al nuovo progetto di ricerca.

L’idea di fondo è dimostrare che forse la visione culturalista della religione messa in luce nelle modifiche del 1984 per sanzionare definitivamente la differenza tra catechesi scolastica presente anche nel dopoguerra (Dal Toso, 2019) e l’insegnamento della religione cattolica a scuola (Usai, 2016), oggi deve essere rivista per dar spazio a una prospettiva interculturale nella sua dimensione interreligiosa. Si ritiene che la “nuova” disciplina che ne uscirebbe, certamente non perderebbe alcuni capisaldi epistemologici attuali dell’IRC, come per esempio il riferimento alla Bibbia e allo studio teologico, ma è anche vero che gli stessi andrebbero rivisti alla luce delle nuove linee di ricerca, per esempio la bibbia come codice culturale (Salvarani, 2024), e la teologia come teologia pubblica (Dal Corso & Salvarani, 2020), o la teologia del pluralismo religioso (Molari, 2022). Forse andrebbero cercate nuove sinergie epistemologiche quali potrebbero essere quelle di un nuovo rapporto fra scienze delle religioni e la teologia interculturale (Cyranka, 2023).

Questo cambiamento accompagnerebbe lo studente a una più corretta lettura in chiave religiosa non solo del passato (patrimonio culturale italiano), ma anche del futuro, facendo leva su un presente italiano.

In chiusura si vuole riportare un confronto avvenuto durante un’intervista di classe quando dinanzi all’affermazione che sul piano religioso (e culturale in genere) si è affermato: “c’è sempre un pensiero diverso nella vita quotidiana” (G), l’aver provato a conoscere il pensiero (la credenza) dell’altro, non mi porta ad avere la verità sull’altro (“Non è detto che se ho studiato, quello che dico è vero!” (G), ma mi aiuta ad accogliere e a relazionarmi in modo migliore. Più semplicemente:

 

“ࣼÈ meglio ampliarle così capisci anche cosa credono gli altri rispetto a te. Perché di solito c’è qualcosa di più, qualcosa di diverso per costruire una fede degli altri che è diversa dalla tua. Comunque, capire perché loro hanno scelto quella fede lì e tu ne hai un’altra di fede. Questo aiuta a star bene con gli altri.” (P).

 

Riferimenti bibliografici

 

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[1] Si precisa che sono state date lettere di fantasia alle tre scuole (D, G, P), mentre invece le interviste di gruppo con i docenti sono indicate con la lettera F, seguita da un numero che indica il primo, il secondo o il terzo incontro.

[2] Un docente mette in luce che dove un insegnante di alternativa non fa nulla, i ragazzi si sentono spalleggiati. Quando incontrano in collega di alternativa “programmata” è “più facile che tornino da me” (F-2).

[3] Cfr https://www.coe.int/en/web/education-and-religious-diversity/home