Da mihi animas, coetera tolle:’ The Foundation of the Catholic Educational Ideal in Don Bosco

 

Da mihi animas, coetera tolle:’ Il fondamento dell’ideale educativo cattolico in Don Bosco

 

Michele Lorè

Università degli studi Link Campus University, Roma (Italy) – m.lore@unilink.it

https://orcid.org/0000-0001-5953-7791

 

ABSTRACT

Almost one hundred and eighty years after the foundation of the Valdocco oratory, we continue to reflect on its preventive method, which inspired all of Don Bosco’s educational action. The following article offers the reader the opportunity to retrace the life and works of a protagonist of the 19th century, capable of combining a spirit of initiative, ability to establish profitable relationships with religious and civil institutions, educational ardour, sensitivity towards socioeconomic changes that affected not only Piedmont, but Italy and Europe more generally. The core of Don Bosco’s educational inspiration, which has left so much fruit to posterity, is to be found in the clear and joyful Christian faith, transfused into the preventive method, focused on the prevention of deviant behaviour rather than on its sanction.

 

A distanza di quasi centoottant’anni dalla fondazione dell’oratorio di Valdocco, si continua a riflettere sul suo metodo preventivo, che ispirò tutta l’azione educativa di Don Bosco. Il seguente articolo offre al lettore la possibilità di ripercorrere la vita e le opere di un protagonista del secolo XIX, capace di coniugare spirito d’iniziativa, abilità nell’instaurare rapporti proficui con le istituzioni religiose e civili, ardore educativo, sensibilità nei confronti dei cambiamenti socioeconomici che interessarono non solo il Piemonte, ma più in generale l’Italia e l’Europa. Il nucleo dell’ispirazione educativa di Don Bosco, che tanti frutti ha lasciato alla posterità, è da ricercare nella limpida e gioiosa fede cristiana, trasfusa nel metodo preventivo, incentrato sulla prevenzione dei comportamenti devianti piuttosto che sulla loro sanzione.

 

KEYWORDS

Don Bosco, Salesian oratories, preventive method, Christian education, professional training

Don Bosco, oratori salesiani, metodo preventivo, educazione cristiana, formazione professionale

 

CONFLICTS OF INTEREST

The Author declares no conflicts of interest.

 

RECEIVED

May 3, 2024

 

ACCEPTED

December 3, 2024

 

PUBLISHED

December 31, 2024


 

1. Don Bosco nel solco della tradizione educativa cattolica

 

La figura luminosa di educatore offerta da S. Giovanni Bosco s’inserisce nella lunga tradizione iniziata da Cristo con la sua predicazione e proseguita ininterrottamente fino ai nostri giorni.

Un concetto si delinea chiaramente già a partire dalla fine del II secolo, con il Pedagogo di Clemente Alessandrino: per i cristiani, l’unico vero maestro non può che essere Cristo (Loré, 2019). Quest’idea fondamentale, che aveva ispirato la Chiesa fin dalle sue origini apostoliche, era destinata a rimanere centrale e fondante fino a quasi tutto il XIX secolo, per essere infine messa in dubbio da forme di spiritualismo sincretistico.

Da questa crisi profonda uscì scossa anche l’idea di un’educazione che potesse professarsi apertamente cristiana.

In un’epoca segnata da confusione e da incertezza, risalta ancor più nitidamente l’importanza di riscoprire la fonte viva che ha ispirato venti secoli di pedagogia cristiana, variamente declinata secondo il carisma dei suoi promotori, ma sempre fedele al depositum fidei.

Don Bosco questo lo sapeva molto bene, e lo ripeteva con forza sia ai suoi ragazzi che ai suoi salesiani, raccomandando sempre di affidare le proprie cure alla Santissima Trinità ed a Maria ausiliatrice dei cristiani. Dall’amore di Dio per l’uomo trae linfa l’amore dell’educatore per l’educando e dell’educando per l’educatore, nel clima di gioiosa condivisione che contraddistingue l’oratorio salesiano, in cui chi insegna lo fa con spirito di sollecitudine paterna, correggendo con prudenza e discrezione, ma soprattutto amando in Cristo. Il fine dell’educazione cristiana, rammenta il santo piemontese, dev’essere diretto con tutte le sue forze alla salvezza delle anime, da conquistare a Dio attraverso la cura della persona umana nella sua interezza. L’istruzione e l’apprendistato di arti e mestieri, negli oratori, divengono uno strumento di prevenzione sociale della devianza, di formazione di futuri cittadini rispettosi della legge e timorati di Dio.

 

2. L’infanzia difficile e la vocazione religiosa di Don Bosco

 

Giovanni Bosco (il nome completo era in realtà Giovanni Melchiorre) venne alla luce a Castelnuovo d’Asti il 16 agosto del 1815, all’indomani della festa dell’Assunta, all’epoca ancora non dogmatizzata. La famiglia d’origine era modesta, ma non indigente: sia il padre Francesco che la madre Margherita Occhiena provenivano dall’umile e operoso mondo contadino astigiano. Le condizioni di vita dei Bosco peggiorarono all’improvviso con la morte prematura del padre trentatreenne, che lasciò tutto il peso della famiglia sulle spalle di mamma Margherita, che lo sostenne con animo sereno, divenendo agli occhi del piccolo Giovanni modello di virtù cristiane (Bosco, 2006).

Dei primi anni di vita di Giovanni sappiamo poco, se non che trascorsero tra serie difficoltà materiali, in un clima spesso turbato dalle intemperanze del fratellastro Antonio, male integrato all’interno del contesto familiare allargato.

All’età di nove anni, nel 1824, un evento cruciale intervenne a mutare l’esistenza di Giovanni, già avviato alla dura vita dei campi. La notte tra il 29 ed il 30 giugno, dopo la solennità dei Santi Pietro e Paolo, Giovanni fece un sogno premonitore, che gli anticipava la vocazione sacerdotale ed educativa in forma allegorica (Bozzolo, 2017).

Il giovane parlò dell’accaduto con i familiari per ricevere conforto ed essere aiutato nell’interpretazione di ciò che intuiva essere di fondamentale importanza per la sua esistenza, ma non ebbe alcun riscontro, ad eccezione della madre, che intravide la vocazione sacerdotale del figlio.

 

3. L’ordinazione sacerdotale e le prime iniziative in favore della gioventù bisognosa

 

La via che Giovanni avrebbe percorso era oramai tracciata, ma c’erano numerosi problemi da affrontare. In primo luogo, la completa assenza d’istruzione, poiché egli, preso dal lavoro nei campi, non aveva avuto modo, fino ad allora, di andare a scuola. Inizialmente, l’unica soluzione percorribile fu quella di frequentare le lezioni tenute da un sacerdote di un paese vicino, cosa che lo costrinse a grandi sacrifici e ad affrontare la diffidenza dei coetanei e del maestro, Don Lacqua, inizialmente contrario ad accettarlo in classe perché forestiero. Oltre ad accostarsi con grande profitto agli studi, Don Bosco iniziò precocemente a maturare il suo personale metodo d’insegnamento e di evangelizzazione, adottando degli stratagemmi utili ad avvicinare il popolo alla vita cristiana. In breve tempo, s’impadronì dei trucchi dei saltimbanchi e dei prestigiatori osservati alle fiere e li utilizzò per rendere maggiormente incisiva la sua attività pastorale: Don Bosco era solito offrire degli spettacolini divertenti, utili a catturare l’attenzione dei popolani, che poi invitava alla recita del rosario ed alla meditazione della parola di Dio. La brillante intuizione pedagogica si fondava sulla consapevolezza che solo condividendo la vita quotidiana, gli interessi ed i momenti di svago dei contadini, sarebbe divenuto possibile parlare loro di Dio ed offrire un modello educativo coerentemente cristiano. Don Bosco aveva intuito fin da bambino che la scuola, intesa come istituzione burocratica, con i suoi programmi ministeriali calati dall’alto ed il suo sapere libresco, non era in grado di migliorare i costumi morali del popolo né d’innalzarne i valori spirituali. Occorreva capire la mentalità dei contadini ed accompagnarne l’esistenza per congegnare un’offerta formativa utile ad elevarne la condizione.

Dopo la morte della nonna paterna, avvenuta nel 1826, il clima familiare, già teso per la presenza dell’aggressivo fratellastro Antonio, divenne presto intollerabile. Ciò indusse la Occhiena a prendere decisioni drastiche per tutelare la salute e l’integrità morale di Giovanni, mal visto per via del suo zelo nello studio e della vocazione religiosa, sempre più nitida.

Fu così che Giovanni fu inviato a Moncucco Torinese, presso la cascina dei Moglia, dove rimase per oltre due anni e mezzo. Con molta fatica, nel 1829 il piccolo Giovanni riprese gli studi grazie all’aiuto di Don Giovanni Calosso, che aveva intuito il suo grande valore.

Il 1831 fu un anno molto importante nella vita del santo, che finalmente poté far rientro a casa dopo cinque anni di assenza, perché il fratellastro si era allontanato definitivamente in seguito alle nozze. La ripresa degli studi nel paese natìo fu accompagnata dal contemporaneo praticantato presso il sarto Giovanni Roberto, e presso il fabbro Evasio Savio, da cui apprese conoscenze ed abilità che gli sarebbero tornate estremamente utili negli anni a venire, ispirandogli l’apertura di officine per la formazione professionale all’interno dell’oratorio di Valdocco.

Verso la fine dell’anno, Giovanni iniziò a frequentare la scuola di Chieri, dove riprese l’opera di apostolato in favore dei coetanei, alternando l’intrattenimento divertente alla preghiera, secondo un modello già sperimentato con successo tempo addietro.

A Chieri, Don Bosco ebbe prima come compagno di studi e poi di seminario Luigi Comollo, di cui divenne amico inseparabile. Questo incontro rivestì un’importanza fondamentale nell’esistenza del santo, che ebbe modo di vedere nell’amico un esempio di vita cristiana: nonostante fosse oggetto d’insulti verbali e di aggressioni fisiche, il giovane Luigi perdonò sempre di buon cuore i suoi persecutori, verso i quali non nutrì mai alcuna forma di risentimento. La salute cagionevole non consentì a Comollo di concludere la formazione e di ricevere la consacrazione sacerdotale, perché morì prematuramente a soli 22 anni, nel 1839.

Dopo aver terminato gli studi seminariali ed essere stato consacrato sacerdote nel 1841, Don Bosco intraprese l’opera di apostolato e di educazione in favore dei bambini poveri della città di Torino sotto la guida di Don Guala e di Don Cafasso.

I primi tempi, Don Bosco risiedette presso la chiesa di S. Francesco d’Assisi, da cui partiva per recarsi a Porta Palazzo, nel quartiere periferico Aurora, dove i minori disagiati offrivano la loro manodopera in cambio di una misera ricompensa, che a stento consentiva loro di non perire di stenti (Pazzaglia, 1990). Don Bosco cercava di difenderne i diritti e di proteggerli dai numerosi sfruttatori, ma si preoccupava anche (e soprattutto) della loro educazione religiosa, fedele alla sua missione di salvare le anime senza trascurare il soddisfacimento dei bisogni primari. Sotto la spinta dell’apostolato di Don Cafasso, orientato alla cura delle anime dei carcerati (Buccellato, 2007), Don Bosco cominciò a far visita ai minori reclusi, che spesso riusciva a seguire con successo nel delicato percorso di reinserimento nel contesto sociale. Questa dura esperienza lo convinse che un efficace metodo educativo poteva fondarsi solo sulla prevenzione della devianza piuttosto che sulla sua sanzione, andando contro idee all’epoca molto radicate.

 

4. La fondazione dell’oratorio di Valdocco

 

L’8 dicembre del 1841, giorno dell’Immacolata Concezione, cominciò a prender vita, attorno a Don Bosco, il nucleo del futuro oratorio salesiano, con il primo ragazzo che si unì al santo, il sedicenne Bartolomeo Garelli, orfano di entrambi i genitori. L’episodio, di significativa rilevanza storica, è narrato con semplicità e freschezza da Don Bosco nelle sue memorie, raccolte da padre Lemoyne nella monumentale biografia del santo (Lemoyne, 1983). Il Garelli, entrato spontaneamente nella chiesa di S. Francesco d’Assisi poco prima dell’inizio della celebrazione della Messa, fu invitato dal sacrestano a servirla, ma, non sapendo come fare, declinò l’offerta, ricevendone in cambio una serie di percosse. Accortosi del cattivo comportamento del sacrestano, Don Bosco gli ordinò di richiamare immediatamente il giovane, con cui s’intrattenne a celebrazione conclusa, offrendogli innanzi tutto la sua amicizia e poi anche la formazione catechistica. Aveva così inizio l’oratorio salesiano, che scaturiva dalla vocazione sociale del suo fondatore, votato all’evangelizzazione ed all’educazione dei giovani derelitti, in un clima di fraterna condivisione (Bordignon, 2016). Il numero di ragazzi raccolti attorno a Don Bosco aumentò rapidamente, tanto da rendere insufficienti gli ambienti dell’ex convento francescano, fino ad allora utilizzato per gli incontri: occorreva trovare un luogo idoneo a svolgere tutte le attività che Don Bosco aveva in mente per l’educazione dei suoi piccoli amici.

Dopo una lunga ricerca di un luogo adatto ad accogliere i ragazzi che seguivano le sue catechesi, in costante crescita, Don Bosco lo individuò nella tettoia Pinardi in Valdocco, quartiere periferico di Torino tristemente noto come luogo delle esecuzioni capitali. Ancora oggi, dove sorgeva la tettoia, è situata la prima cappellina dell’oratorio, a ricordo dei tempi in cui il santo piemontese, sorretto dall’entusiasmo, intraprese con coraggio e determinazione la sua opera pastorale ed educativa (García Morquende, 2022).

Riguardo all’oratorio salesiano, occorre osservare che non costituiva una novità assoluta nel contesto torinese, in quanto altri sacerdoti, prima di Don Bosco, avevano fondato istituzioni simili nella capitale sabauda. Si pensi ai casi di Don Cocchi e Don Murialdo, entrambi attivi nella Torino attraversata da profondi cambiamenti economici e sociali. Di soli due anni più anziano di Don Bosco, Don Cocchi diede vita ad una serie articolata d’iniziative in favore di quella che allora era definita gioventù pericolante. In particolare, si ricordano gli oratori dell’Angelo custode e di S. Martino (Chiosso, 1990), il Collegio degli Artigianelli, che anticipò per tanti versi le scuole professionali salesiane, e la colonia agricola di Cavoretto (in seguito trasferita a Borgo Marengo), pionieristica nel suo genere in Italia. A sostenere l’opera socio-educativa intrapresa da Don Giovanni Cocchi intervenne Don Luigi Murialdo (Dotta, 2009-2010), altro santo sociale torinese, fondatore della Congregazione di San Giuseppe, consacrata alla formazione dei giovani bisognosi, tutt’ora attiva in Europa, Africa ed America.

Se il comune tratto socio-educativo rende comparabili l’opera di Don Bosco con quella di Don Cocchi e di Don Murialdo (Ricciardi, 2015), non si può fare a meno di sottolineare come il disegno del primo risultasse di respiro molto più ampio rispetto a quello degli altri due protagonisti della scena torinese di metà Ottocento.

 

5. L’attività missionaria salesiana e gli ultimi anni

 

Mano a mano che le iniziative di Don Bosco s’ingrandivano, richiedendo il coinvolgimento di un numero sempre più cospicuo di collaboratori e di educatori, si fece strada, in lui, l’idea di dar vita ad una vera e propria congregazione riconosciuta dalla Chiesa. Le difficoltà da superare, in un’epoca segnata dal laicismo liberale, furono molteplici, ma non scoraggiarono il fondatore di Valdocco, deciso a non indietreggiare.

Il primo atto concreto fu la fondazione della Società Salesiana nel 1859, dopo che Don Bosco ricevette l’incoraggiamento di Pio IX. Per l’approvazione definitiva, però, si dovette attendere fino al 1874, anche per via dell’opposizione dei vescovi torinesi, critici nei confronti della formazione teologica impartita nei seminari salesiani. Don Bosco, bisognoso di sacerdoti che lo aiutassero nella cura delle anime dei giovani, incontrò, tra gli altri, anche l’ostilità del vescovo Luigi Gastaldi, che pure aveva collaborato con Don Bosco e ne era stato largamente beneficiato (Tuninetti, 1990).

Il santo non solo non si fece scoraggiare dai molti ostacoli incontrati lungo il cammino, ma si dimostrò sempre abile mediatore con le autorità politiche e religiose (Farina, 2022), senza peraltro mai venir meno ai suoi profondi convincimenti né all’opera educativo-pastorale. Ne sono prova i rapporti cordiali che intrattenne con uno dei leader del liberalismo progressista, Urbano Rattazzi, certo non incline a benevolenza nei confronti della Chiesa, ma comunque estimatore dell’opera di prevenzione sociale della devianza efficacemente perseguita dal sacerdote di Castelnuovo d’Asti (Silva, 1987).

Un altro passaggio di fondamentale importanza riguardò la decisione di dedicarsi all’attività missionaria, fondando case salesiane al di fuori dell’Italia. La prima destinazione fu l’Argentina, sia perché le zone interne erano abitate da autoctoni che avevano avuto solo sporadici contatti con gli evangelizzatori europei, sia perché vi risiedeva una cospicua minoranza d’italiani di recente immigrazione (Silva, 1995).

La scelta dei collaboratori più idonei alla difficile missione impegnò seriamente Don Bosco, che alla fine decise d’inviare in Patagonia un gruppo di fidati salesiani, guidati dal giovane Giovanni Cagliero, in seguito divenuto il primo vescovo salesiano della storia, figura di spicco del mondo cattolico nel difficile periodo a cavallo tra la seconda metà del XIX secolo ed il primo quarto del secolo successivo (De Ambrogio, 1989).

Era il primo passo di un lungo cammino, che avrebbe portato i missionari salesiani sulle strade di tutti e cinque i continenti. Lo stesso Don Bosco compì diversi viaggi per consolidare opere salesiane sorte al di fuori dei confini italiani, specialmente in Francia, dove fu accolto con grande affetto dalla gente.

Fiaccato dai malanni ed ormai logoro per una vita spesa senza risparmio per l’apostolato e l’educazione dei giovani, Don Bosco si spense all’età di 72 anni a Torino, nel 1888. Breve fu l’attesa per la beatificazione, avvenuta nel 1929 e seguita, cinque anni dopo, dalla solenne canonizzazione.    

In onore del suo figlio più illustre, il comune di Castelnuovo d’Asti ha mutato la sua denominazione ufficiale in Castelnuovo Don Bosco.

 

6. I tre pilastri del metodo educativo preventivo: religione, ragione e amorevolezza

 

Molto si è scritto circa il sistema ed il metodo educativo di Don Bosco e molto ancora si continua a scrivere (De Giorgi, 2023; Ruffinato & Seide, 2008; Braido 1999). La critica laica ha messo in risalto i suoi limiti, la mancanza di una teorizzazione compiuta da parte del santo educatore, che, tutt’al più, avrebbe seguito un motivo ispiratore, un’intuizione poi non adeguatamente approfondita. Di tutt’altro avviso, invece, è la critica cattolica, che ha considerato da subito e a pieno titolo Don Bosco uno dei maggiori educatori dell’epoca contemporanea, autore di un metodo fondato sull’azione congiunta di tre elementi fondamentali: la religione, vale a dire il catechismo della Chiesa Cattolica ed i suoi Sacramenti; la ragione, ossia l’istruzione, concepita prevalentemente in termini di professionalizzazione dei giovani provenienti da famiglie bisognose; l’amorevolezza, che è poi il nerbo del metodo educativo salesiano, incentrato sulla condivisione, tra educando ed educatore, tanto dei momenti più gravosi, legati allo studio teorico in classe, quanto dei momenti di ricreazione gioiosa e giocosa all’interno dell’oratorio (Motto, 2021).

D’altra parte, su un aspetto la critica di orientamento laico e quella cattolica convergono senza eccessive difficoltà, cioè sull’utilità sociale dell’opera di Don Bosco, inserita nel delicato contesto storico della nascente industrializzazione di Torino, interessata fin dagli anni Quaranta dell’Ottocento da un flusso immigratorio proveniente principalmente dalla campagna piemontese, ma anche, in misura minore, da altre regioni e perfino da altre nazioni. Le istituzioni civili sabaude non furono in grado di soddisfare l’esigenza di tutela, di formazione e d’istruzione che proveniva dai numerosi giovani che vagavano per i quartieri periferici in cerca di sostentamento per se stessi e per le famiglie d’origine. Alla cosiddetta “gioventù pericolante”, esposta ai rischi della strada, spesso precocemente deviante e guardata con sospetto sia dalle autorità che dalle classi dominanti, Don Bosco rivolse la sua azione pedagogica, andando incontro ad un successo su cui pochi avrebbero scommesso. Che non si trattasse di un professionista della pedagogia, interessato alla delineazione, descrizione ed implementazione di un sistema educativo vero e proprio, fu evidente fin da principio. Ciò nonostante, negare la dimensione intrinsecamente educativa dell’opera di Don Bosco risulta impossibile.

Il santo sociale torinese partì da una intuizione contenuta nel sogno premonitore di una futura vita consacrata al sacerdozio ed all’educazione dei giovani derelitti, che ebbe poi la forza e la perseveranza di realizzare mediante un’offerta formativa che risultò essere, in rapporto ai tempi, di ampio respiro. Il metodo, semplice ed efficace, era fondato sulla cura amorevole degli educandi e sull’attenta prevenzione della devianza. Per essere credibile, Don Bosco decise di seguire personalmente i giovani che si affidavano alle sue cure, guadagnando la loro fiducia, dimostrandosi amico fraterno piuttosto che istitutore severo e distaccato. Di estrazione popolare, egli conosceva ciò che divertiva i ragazzi di umili natali: aveva appreso fin da bambino i trucchi dei giocolieri e degli intrattenitori delle fiere, che utilizzava con successo per intrattenere il suo pubblico e condurlo a Dio.

Risulta infatti chiarissimo a chiunque si accosti agli scritti donboschiani che la sua missione principale fu quella pastorale, finalizzata alla salvezza delle anime, da perseguire mediante la catechesi, l’educazione e l’istruzione. Quando elenca i tre principi ispiratori del suo metodo pedagogico, non a caso Don Bosco parte dalla religione, per poi passare all’istruzione ed all’amorevolezza. La formazione e l’istruzione non sono autonome né auto-fondate, ma sempre pensate come strumenti per condurre le anime alla salvezza: Da mihi animas, coetera tolle.

Si può dunque affermare senza tema di smentita che Don Bosco fu innanzi tutto un sacerdote cattolico e poi un educatore. Come educatore si affidò al suo intuito ed all’esperienza maturata nei difficili anni giovanili, trascorsi a contatto con contadini ed artigiani, non alla teorizzazione di sistemi educativi complessi ed astratti. La genialità di Don Bosco fu di tipo intuitivo e pratico, dato che non solo non inficia la validità della sua opera educativa, ma anzi la valorizza in modo del tutto speciale, connotandola di un carattere particolare, se non addirittura unico.

Nonostante gli innumerevoli impegni quotidiani, Don Bosco non mancò di riflettere sull’idea di educazione, come testimoniano gli scritti di natura pedagogica, che restituiscono un’immagine densa di valori morali e spirituali, saldamente ancorati alla tradizione cattolica, vivificata da un’intensa esperienza pastorale. Dalla lettura delle opere pedagogiche donboschiane emerge con nitore anche l’urgente necessità di una formazione professionale (Bordignon, 2022) e di un’istruzione elementare (Maurizio, 2016) in grado di assicurare ai giovani un ingresso dignitoso nel mondo del lavoro ed un esercizio effettivo del diritto di cittadinanza (Prellezo, 1990). Successivamente, l’offerta formativa salesiana si sarebbe aperta anche alla formazione umanistica ed alle classi sociali più agiate (Bellerate, 1990), non senza qualche remora da parte del fondatore, che si sentiva vocato all’educazione dei giovani “pericolanti”.

Per quanto concerne i principi metodologici, poi, si trova senza difficoltà il loro fondamento nella cura caritatevole del giovane come persona unica ed irripetibile (Palumbieri, 1987). Don Bosco fu infatti antesignano di un approccio individualizzato alla formazione ed all’istruzione, consapevole com’era delle esigenze specifiche di cui ciascuno dei suoi giovani amici era portatore.

La semplicità del linguaggio e la chiarezza delle idee esposte era il tratto caratteristico delle attività formative dell’oratorio, sia che si trattasse di catechesi sia che si trattasse di lezioni condotte in aula. Don Bosco era avvertito dall’esperienza che sarebbe risultato vano, rivolgendosi a ragazzi del popolo, ricorrere ad un linguaggio aulico ed esporre concetti astrusi.

Attorno al fulcro spirituale dell’educazione donboschiana, incentrato sulla catechesi della religione cattolica (Wirth, 2024), ruotavano il codice comportamentale da rispettare all’interno dell’oratorio ed un’offerta formativa in grado di garantire al giovane l’autonomia economica e la rispettabilità sociale di cui abbisognava.

A prescindere dall’inerenza alla ragione od alla religione, qualunque argomento era trattato nel rispetto del principio dell’elementarità e porto al discente con amorevole comprensione, secondo un modello che non appare inedito in senso assoluto (sull’elementarità e sull’amorevolezza aveva fondato i suoi istituti anni prima già Pestalozzi), ma che di sicuro Don Bosco calibrò sulla propria idea di educazione.

Tutti gli aspetti teorico-pratici e metodologici con cui si presenta al vaglio critico la pedagogia donboschiana convergono, infatti, verso un’idea che li racchiude, donando loro il significato profondo di educazione integrale della persona. Calata in un contesto ad alto rischio di devianza, questa idea assume il connotato caratteristico della prevenzione. E qui, per intendere pienamente il significato del termine su cui Don Bosco insistette per tutta la vita, occorre far riferimento all’esperienza di pastore e di educatore maturata dal santo lungo tutto l’arco della sua vita. Egli era ben consapevole che i cattivi costumi, quando non inveterati da lunga consuetudine, potevano essere eradicati con una buona educazione, ma, una volta divenuti una seconda natura, avrebbero resistito tenacemente ad ogni intervento esterno. Il metodo preventivo di Don Bosco scaturì dalla vita vissuta a contatto con gli emarginati, senza esclusione di quelli già devianti, con cui ebbe a che fare specie nei primi anni di attività pastorale al seguito di un altro santo, Don Cafasso, cui avrebbe dedicato una biografia.

Anche nel caso del sistema educativo preventivo, nessuna innovazione in senso assoluto può essere attribuita a Don Bosco, come non ha mancato di sottolineare la critica maldisposta nei suoi confronti: già Ferrante Aporti ne aveva, infatti, definito i contorni e caldeggiato l’adozione (Braido, 1979).

È vero, dunque, che i capisaldi dell’ideale educativo donboschiano, il principio di elementarità, il fondamento religioso, la razionale concretezza professionalizzante, l’amorevolezza dell’educatore, erano stati teorizzati e variamente declinati da altri pedagogisti nel corso del secolo XIX. Eppure nessuno, prima di Don Bosco, li aveva coloriti di una dimensione pastorale così nitida, nessuno li aveva messi in pratica su scala così vasta, nessuno si era mostrato capace di piegarli alle esigenze di armonico sviluppo spirituale, morale ed intellettuale in un contesto ravvivato da un salubre e corroborante clima affettivo. I frutti abbondantissimi raccolti dalla Congregazione salesiana in termini di vocazioni alla vita matrimoniale come a quella consacrata, per non parlare dei numerosi casi di raggiungimento di virtù in grado eroico, costituiscono la migliore prova dell’efficacia dell’ideale educativo donboschiano.

Non nella dimensione teoretica né nella codificazione di specifiche innovazioni didattiche è da ricercare l’originalità di Don Bosco come educatore, ma nella sua capacità di animare in prima persona, di organizzare con cura e di seguire con sollecitudine i suoi oratori, destinati a diffondersi in tutto il mondo ed a formare cristianamente le nuove generazioni.

 

7. Gli scritti pedagogici di Don Bosco

 

All’interno della produzione donboschiana, i titoli dedicati all’educazione risultano consistenti per numerosità. Il più importante, di poche pagine, è lo scritto in cui viene delineato il principio metodologico preventivo seguito negli oratori salesiani, Il Sistema preventivo nella educazione della gioventù. Alla sua genesi, alquanto complessa ed articolata, ha dedicato studi critici molto accurati Don Pietro Braido, che ha messo in luce la natura composita del testo, nel quale sono confluiti tre elementi distinti. Il primo riguarda la cronaca dell’inaugurazione del Patronage Saint-Pierre a Nizza, avvenuta il 12 marzo del 1877, cui Don Bosco prese parte pronunciando un discorso metà in francese e metà in italiano. Il secondo riguarda una rielaborazione degli argomenti solo abbozzati nel discorso inaugurale, forse realizzata durante il viaggio di rientro in Italia o a ridosso di esso. Il terzo riguarda l’esposizione vera e propria del sistema preventivo e dei suoi vantaggi, di cui, però, nonostante l’importanza, non sono state finora ritrovate versioni autografe.

Sempre a Don Pietro Braido si deve un’indagine accurata sui testi che hanno influenzato l’elaborazione de Il Sistema preventivo di Don Bosco, la quale ha messo in luce l’importanza degli Avvertimenti per gli educatori ecclesiastici della gioventù, opera conosciuta ed apprezzata dal santo sociale. Gli Avvertimenti, editi dalla Marietti di Torino nel 1868, constano di 71 pagine e risultano nel complesso ben più estesi rispetto alle poche pagine de Il Sistema preventivo redatto da Don Bosco nove anni dopo. L’autore degli Avvenimenti era il padre barnabita piemontese Alessandro Teppa, figura di rilievo del panorama ecclesiastico ottocentesco, più volte provinciale del suo ordine, di cui divenne, infine, anche superiore generale. Il barnabita si distinse, in particolare, per la profonda cultura e per le doti oratorie fuori dal comune, messe al servizio dell’attività educativa svolta prima in qualità di docente presso vari istituti ecclesiastici e poi in qualità di direttore del prestigioso Real Collegio di Moncalieri, fondato da Carlo Alberto I nel 1838 per formare la classe dirigente sabauda. Molto stimato da Pio IX, Padre Teppa partecipò attivamente ai lavori del Concilio Vaticano I in qualità di consultore per la Congregazione dei SS. Riti. 

I punti di continuità tra gli Avvertimenti di Padre Teppa ed Il Sistema preventivo di Don Bosco sono evidenti ed essenziali. Entrambi gli scritti sono orientati dallo spirito di carità verso gli educandi, entrambi sono permeati della stessa sensibilità pedagogica, che diviene sollecitudine quando raccomanda la condivisione tra educando ed educatore non solo dei momenti formalizzati dell’attività educativa, ma anche, e forse soprattutto, dei momenti di svago, in cui le inclinazioni e gli interessi dei giovani possono manifestarsi liberamente, fornendo, al contempo, utili informazioni agli educatori circa il livello di maturazione raggiunto.

Gli Avvertimenti ed Il Sistema preventivo sono accomunati anche dallo zelo nell’evitare le punizioni corporali, ritenute non solo del tutto inutili, ma addirittura controproducenti, e da sostituire, in caso di necessità, piuttosto con richiami discreti o con un riserbato contegno di disapprovazione. Il percorso formativo si colora, sia in Padre Teppa che in Don Bosco, di valori spirituali e morali ben precisi, che risultano persino preponderanti rispetto agli aspetti connessi all’istruzione formale.  

Il Sistema preventivo nella educazione della gioventù, il più cospicuo scritto di natura prettamente educativa di Don Bosco, non rappresenta, in ogni caso, un’eccezione. Si può tranquillamente affermare che l’intera opera donboschiana contenga richiami più o meno diretti o espliciti a tematiche inerenti alla formazione, ché la vocazione del santo sociale fu, fin da principio, rivolta contemporaneamente sia all’attività pastorale che a quella educativa, vissute come due aspetti intimamente interconnessi. Don Bosco non pensò mai, durante la sua vita, di dedicarsi solo alla cura delle anime imposta dalla consacrazione sacerdotale, poiché sentiva che scissa da un progetto educativo di più ampio respiro, essa sarebbe risultata molto attutita se non, in alcuni casi, addirittura vanificata.

Detto ciò, nella vasta produzione donboschiana è comunque possibile individuare scritti che più di altri attengono all’educazione ed alla formazione della gioventù.

Tra questi, accanto a Il Sistema preventivo, un posto d’onore spetta a Il giovane provveduto, la cui prima edizione risale al 1847. In esso Don Bosco propone il suo modello di educazione cristiana fondato sull’allegria, caratteristica che si ritrova immutata anche nelle opere successive. Il giovane provveduto fu il libro più sentito dall’autore nonché quello accolto con maggior entusiasmo dal pubblico, come testimonia il suo strepitoso successo editoriale. L’opera, dal prevalente contenuto catechetico, è concepita in rapporto alla divulgazione dei dogmi della fede, spiegati in modo semplice ed accessibile. Vale la pena di ricordare che, all’epoca, Don Bosco pensava i suoi libri anche in vista di una fruizione indiretta, tramite lettura condotta da terzi in favore di un pubblico analfabeta. Alla prima parte de Il giovane provveduto, di natura dottrinale, segue una seconda parte, incentrata sugli esercizi di pietà cristiana, tra cui era inclusa anche la pratica mensile della cosiddetta “buona morte”, molto cara a Don Bosco, che la raccomandava caldamente ai suoi collaboratori. L’esercizio spirituale, che prevedeva la preparazione ad una morte confortata dai Sacramenti, era molto impegnativo sul piano psicologico, tanto da mettere duramente alla prova finanche i giovani più maturi ed equilibrati. La pratica della “buona morte”, da calare nel contesto della religiosità tipica dell’epoca, non ha mancato di sollevare critiche severe verso Don Bosco, accusato di utilizzare uno strumento poco idoneo all’età degli educandi e non coerente con il suo ideale di religiosità solare.

La terza parte de Il giovane provveduto, cui fu aggiunta un’appendice contenente le laudi, concerne l’ufficio dedicato alla Madonna ed ai vespri, cui Don Bosco teneva particolarmente.

Rispetto a Il Sistema preventivo, Il giovane provveduto appare maggiormente debitore verso la cultura dell’epoca e, sul piano strettamente pedagogico, meno ricco di motivi d’interesse, anche se contiene premesse significative degli sviluppi più maturi della riflessione del santo sull’educazione, specie nei passaggi in cui si sottolinea l’importanza di un clima gioioso per favorire la formazione dei giovani. 

Altra opera donboschiana di edificazione cristiana è Il cristiano guidato alla virtù e alla civiltà secondo lo spirito di San Vincenzo de’ Paoli, edito nel 1848 a Torino da Paravia. Come spiega nell’introduzione Don Bosco stesso, il testo, realizzato per proporre la figura di S. Vincenzo de’ Paoli come modello di virtù cristiana, inizia con brevi cenni biografici, utili a ripercorrere le tappe di una vita segnata da varie vicissitudini, ma sempre retta da un’incrollabile fedeltà a Cristo. In particolare, scrivendo Il cristiano guidato alla virtù e alla civiltà secondo lo spirito di San Vincenzo de’ Paoli, Don Bosco aveva in animo di ravvivare lo zelo del clero, di cui tante volte aveva constatato il progressivo affievolimento.

Il testo, articolato in trentadue parti, ciascuna dedicata all’approfondimento di un singolo aspetto della personalità e dell’opera di S. Vincenzo de’ Paoli e volta ad incentivarne la devozione, si conclude con un breve omaggio di Don Bosco.

In particolare, l’Autore passa in rassegna le qualità di S. Vincenzo de’ Paoli, secondo una tripartizione che può sembrare a prima vista un po’ forzata, ma che ha una sua precisa ragion d’essere. Il dettagliato ritratto fisico del santo francese è utilizzato per ravvivarne l’immagine nella mente dei lettori e per evitare il pericolo di un’idealizzazione troppo astratta. Questo modus operandi rientrava perfettamente nelle corde di Don Bosco, che riconosceva nel realismo e nella concretezza due validi alleati della formazione, sia che fosse rivolta ai giovani sia che fosse concepita per un pubblico adulto, come nel caso de Il cristiano guidato alla virtù.

Non meno incisivo di quello fisico appare il ritratto psicologico e spirituale di S. Vincenzo de’ Paoli, pennellato con cura da Don Bosco, attento a riportarne la grande generosità, l’indole sanguigna, la costanza ed il coraggio nell’affrontare le frequenti avversità, la finezza d’osservazione, le cospicue doti intellettuali e morali, la profondità d’intuito. Schietto e prudente allo stesso tempo, nemico delle innovazioni introdotte in ossequio alle mode, caritatevole verso il prossimo quanto fermo nei propositi, il S. Vincenzo de Il cristiano guidato alla virtù sembra a tratti confondersi con lo stesso Don Bosco, che evidentemente avvertiva una profonda affinità nei suoi confronti.

La fedele resa della complessa figura del santo francese, pur in parte condizionata da certa schematizzazione propria del genere agiografico, risulta efficace nel coglierne gli aspetti più intimi ed umani e nel presentarlo come modello concreto di santità. 

La produzione catechetica donboschiana contempla numerosi titoli, oltre a quelli già menzionati, la cui presentazione anche solo sintetica richiederebbe uno studio specifico. Senza alcuna pretesa di esaustività, ci si limiterà, in questa sede, ad osservare più da vicino alcuni tra gli scritti di edificazione cristiana più significativi sul piano storico-educativo.

Quando iniziò la sua opera pastorale ed educativa, Don Bosco si trovava ancora in un contesto socio-politico dominato dall’idea di restaurazione uscita dal Congresso di Vienna, fondata sull’alleanza tra il potere temporale monarchico ed il potere spirituale della Chiesa. La situazione mutò radicalmente in seguito ai moti Quarantotteschi, che indussero Carlo Alberto di Savoia ad intraprendere una serie di riforme strutturali ed istituzionali del Regno di Sardegna. Il frutto più rilevante di quest’opera fu lo Statuto albertino, che concesse una serie di libertà fino allora inedite, specie in ambito religioso. La privilegiata condizione di religione di stato, fino ad allora concessa al Cattolicesimo, venne improvvisamente meno, portando alla ribalta le minoranze, tra cui primeggiava per intraprendenza ed impegno nel proselitismo la valdese. Il clero cattolico di orientamento conservatore, molto impensierito da questa improvvisa e vigorosa concorrenza, reagì incrementando il proprio impegno pastorale ed alimentando la produzione di testi apologetici del Cattolicesimo, in cui si confutavano gli errori dottrinali degli eretici. Con La Chiesa cattolica apostolica romana, del 1850, gli Avvisi ai cattolici ed Il Cattolico istruito nella sua religione, entrambi del 1853, Don Bosco si collocava precisamente nel solco della polemistica cattolica tradizionale anti-valdese (Straniero, 1988).

Gli scritti presentano tutti in modo conciso ma netto le differenze tra il Cristianesimo cattolico e quello protestante: di quest’ultimo si confutano con forza i presupposti teologici erronei. Lo scopo che anima il santo sociale è quello di sottrarre le anime all’influsso nocivo della predicazione valdese, riconducendole nel porto sicuro dell’ortodossia cattolica. In tal senso, si tratta di opere apologetiche che fungono anche da volano per l’educazione catechetica e che concorrono, sotto l’aspetto spirituale, a formare sia i giovani che gli adulti, privati all’improvviso della tutela religiosa da parte dello stato sabaudo, divenuto spettatore super partes delle dispute religiose.

Altro genere letterario in cui Don Bosco si cimentò a più riprese fu quello delle biografie edificanti, che si collocano su una linea di continuità rispetto alle numerose agiografie scritte dal santo sociale. Di particolare rilievo, a questo proposito, risultano i Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo morto nel Seminario di Chieri amato da tutti per le sue rare virtù scritti dal Sacerdote Giovanni Bosco suo collega del 1884, e le operette dedicate a tre giovani frequentatori dell’oratorio, precocemente scomparsi, distintisi per la rettitudine dei costumi e la profonda devozione: Vita del giovinetto Savio Domenico del 1859, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele del 1861, Il pastorello delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco del 1864.

Gli scritti erano destinati a rivestire una notevole importanza negli ambienti salesiani, in quanto testimonianze viventi dell’efficacia dell’educazione impartita nell’oratorio, che garantiva non solo la prospettiva di una vita onesta e fattiva, ma anche e soprattutto la salvezza dell’anima. Le biografie, che incontrarono vasta diffusione in tutto il mondo salesiano, offrivano ai giovani modelli di vita cristiana a loro vicini e pertanto più semplici da comprendere e da seguire. Ancora una volta, Don Bosco puntava sulla chiarezza e sull’elementarità per attirare a sé, attraverso i racconti agiografici, il maggior numero possibile di ragazzi.

Per concludere questa breve panoramica sulla produzione donboschiana più strettamente connessa all’educazione, occorre fare un cenno ai testi realizzati per un uso prettamente scolastico. Il più importante e quello che ebbe maggior diffusione fu La Storia d’Italia del 1855, riedita varie volte per soddisfare le richieste del pubblico. L’opera fu recensita molto favorevolmente da anonimo sulla Civiltà Cattolica, 8 (1857), vol. I, 482, e da Niccolò Tommaseo sull’”Istitutore”, 7 (1859), n. 48, 764-765.

Grande successo arrise anche alla Storia Ecclesiastica edita nel 1845, accolta molto favorevolmente dall’ambiente cattolico, come testimonia la recensione del sacerdote e professore Ramello comparsa sul n. 34 (1985), anno 1, dell’”Educatore primario”. Un successo non dissimile arrise anche alla Storia sacra, edita del 1847, per certi versi contigua e complementare rispetto alla Storia Ecclesiastica di due anni prima.

Di tutt’altro argomento rispetto ai titoli sopra citati, anche il trattatello su Il sistema metrico decimale del 1849, successivamente rinominato L’aritmetica ed il sistema metrico decimale, conobbe una certa diffusione nelle scuole dell’epoca, come testimoniano le numerose riedizioni. 

 

8. Conclusioni

 

Nonostante l’abbondanza di documenti attorno alla vita ed all’opera di Don Bosco, santo tra i più popolari tra quelli vissuti nel XIX secolo, molto resta ancora da approfondire per delineare con maggiore chiarezza la figura di un protagonista della storia contemporanea.

Uomo capace d’interpretare i bisogni e le aspettative di un mondo in rapido e tumultuoso cambiamento, Dono Bosco è stato in grado di dar vita a due congregazioni ancora molto vive e fortemente presenti nel delicato ambito dell’educazione. Un dato che sorprende ancor oggi, qualora si pensi non solo ai suoi umili natali, ma alla complessità del contesto socio-economico e politico nel quale si trovò ad operare. Egli fu spettatore della fine dello Stato della Chiesa e della drammatica emarginazione di Pio IX, cui lo legava un rapporto umano intessuto di stima reciproca e profonda. Ciò nonostante, non venne meno alla sua vocazione di pastore di anime e di educatore, svolta con un’abnegazione ed una dedizione totali, in cui consumò volentieri tutte le sue forze fisiche e psichiche. Nonostante la fondazione, la direzione e la gestione degli oratori lo occupasse pienamente, trovò il tempo di curare i rapporti personali con i suoi adiutori, con le personalità politiche che mostrarono simpatia nei suoi confronti ed apprezzarono il suo metodo educativo preventivo. Infine, si dedicò in prima persona alla scrittura di numerosissimi testi che spaziavano dalla didattica della matematica alla storia d’Italia, passando per l’agiografia, la biografia, la catechesi, il racconto e persino il dramma.

Certo, com’è stato notato fin dagli inizi, Don Bosco non fu un acuto teorico o un fine letterato né mai pretese di esserlo. Fu semplicemente un sacerdote preoccupato di mettere in campo qualunque mezzo risultasse idoneo ad attrarre il maggior numero possibile di ragazzi, con particolare riguardo agli emarginati a forte rischio di devianza. Alla cura delle loro persone, intese come portatrici di esigenze spirituali, morali e materiali in senso integrale, Don Bosco consacrò la sua esistenza. Fu per loro che ideò e fondò l’oratorio di Valdocco, che diede vita alla congregazione maschile salesiana ed a quella femminile delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Per le scuole professionali sorte all’interno degli oratori salesiani concepì molte delle sue opere, curò l’attivazione di laboratori per la formazione di validi artigiani, fondò persino una casa editrice che si poggiava su una tipografia interna.

Tanto rimane, ancor oggi, dell’umanità di questa figura luminosa di santo vocato alla socialità (Casella, 2007), che seppe mantenere un equilibrato contegno verso un potere pubblico sempre più lontano dai valori cristiani (Stella, 2001), sulla cui difesa si mostrò intransigente. Certo, non tutti gli aspetti della pietà cristiana dell’epoca appaiono oggi attuali, ma il nucleo dell’eredità spirituale di Don Bosco rimane sempre vivo ed in grado di rispondere alle necessità profonde della gioventù, ieri tormentata dalle necessità materiali, oggi turbata dall’assenza di un quadro valoriale che conferisca senso alla vita e la orienti verso il perseguimento di obiettivi tangibili.

Non si spiega altrimenti, come osservava con acutezza il filosofo e pedagogista Casotti (Casotti, 1960), il fiorire, accanto alle scuole ed agli oratori salesiani, di una università che ha fatto dell’educazione ai valori cristiani la sua ragion d’essere, forte di una facoltà di scienze della formazione di ormai consolidata tradizione.

I motivi del perdurante interesse verso l’opera educativa di Don Bosco vanno ricercati nella sua capacità di anticipare istanze che si sarebbero chiaramente affermate solo molto dopo la sua scomparsa (Motto, 2007). Per averne contezza, è sufficiente pensare alla rilevanza, assunta all’interno della pedagogia contemporanea, di temi già presenti in Don Bosco, anche se, talvolta, solo come intuizioni non pienamente sviluppate, quali l’empatia, l’attenzione alla storia personale dell’allievo, la valorizzazione del suo talento, la predisposizione di un ambiente di apprendimento e di socializzazione inclusivo.     

 

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