A Southern Question Also in Sport? The Naples Case

 

Una Questione Meridionale Anche nello Sport? Il Caso Napoli

 

Franco Bruno Castaldo

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Foggia (Foggia, Italy) – franco.castaldo@unifg.it

https://orcid.org/0000-0002-5548-1265

 

Pietro Mango

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Foggia (Foggia, Italy) – pietro.mango@unifg.it

https://orcid.org/0000-0002-2797-9349

 

ABSTRACT

On Sept. 20, 2023, the sport entered the Italian Constitution, amending it and inserting a specific paragraph in Article 33 that recognizes the cultural value of an activity based on the concept of “Community of sports practice.” This constitutional novelty recognizes the merits of sports but does not yet determine its rights: successes, medals and values are the result of performances that need a solid foundation. What are the obstacles to this important innovation? The paper proposes the Southern Question as a perspective for observing the sports phenomenon between North and South or between Naples and Turin. Using the tools of Sports Studies, it offers a historical-philosophical-pedagogical view, along with scientific research employing the Sportsmanship Index (a qualitative/quantitative tool produced by PTS & IlSole24Ore). The results confirm the relevance of the Southern Question in sport and underline the need for multidisciplinary and multi-sectoral learning interventions for full implementation. In this context, the activism and support of scientific societies are absolutely a topical necessity, and an expected one too.

 

Il 20/09/2023, lo Sport entra nella Costituzione Italiana, modificandola ed inserendo all’art. 33 un comma specifico; viene riconosciuta la visione culturale di una attività valoriale fondata, come diciamo oggi, sul concetto di ‘Comunità di pratica sportiva’. La novità costituzionale riconosce tali meriti, ma non ne determina ancora diritti: i successi, le medaglie, i valori, sono l’esito di performance, e tali risultati hanno bisogno di fondamenta su cui poggiare. Quali ostacoli a questa importante novità? Il paper propone la Questione Meridionale come prospettiva per l’osservazione Nord/Sud o Napoli/Torino del fenomeno sport; con gli strumenti degli Sport Studies, offre una visione storico-filosofico-pedagogica insieme ad una ricerca scientifica, l’Indice di Sportività (strumento qualitativo/quantitativo prodotto da PTS & IlSole24Ore). I risultati confermano l’attualità della Questione Meridionale nello sport e spingono per interventi di apprendimento multidisciplinari e multisettoriali affinché vengano compiutamente attuati; in questa opera, l’attivismo e il sostegno delle Società scientifiche è assolutamente opportuno, necessario e atteso.

 

KEYWORDS

Community of practice, Sports Studies, Southern Question, Sportmanship Index

Comunità di pratica, Sport Studies, Questione Meridionale, Indice di Sportività

 

CONFLICTS OF INTEREST

The Authors declare no conflicts of interest.

 

AUTHORSHIP

Section 1 (F. B. Castaldo); Section 2 (F. B. Castaldo; P. Mango); Section 3 (F. B. Castaldo); Section 4 (F. B. Castaldo); Section 5 (P. Mango); Section 6 (F. B. Castaldo; P. Mango). Conceptualization (F. B. Castaldo; P. Mango); Investigation (F. B. Castaldo; P. Mango); Writing – First Draft (F. B. Castaldo; P. Mango); Writing – Review & Editing (F. B. Castaldo; P. Mango).

 

RECEIVED

April 11, 2024

 

ACCEPTED

June 12, 2024


 

1. Premessa

 

“I fatti sono come le perle:  hanno bisogno di un filo che li tenga insieme” (Werner Sombart, 1929, p. 5).

 

Le parole sono importanti: si parla di attività sportiva nel nuovo articolo della Costituzione – il 33 –, dando un’evidenza maggiore alla pratica sportiva diffusa, piuttosto che allo sport verticistico e di prestazione. Un cambio di rotta epocale, con la conquista di una nuova dignità da parte dell’attività sportiva, già fondamentale nella vita di tutti i giorni come nelle dinamiche sociali, economiche e sanitarie. L’attività sportiva assume un ruolo educativo, al pari della scuola, sociale al pari delle altre politiche sociali di promozione del benessere psichico e fisico quale strumento di prevenzione, di cura e di risparmio dei costi sanitari. Le attività sportive sono un mezzo equo per l’inclusione, la crescita dell’individuo e delle comunità; rappresentano una terza agenzia educativa – dopo famiglia e scuola –, una sorta di palestra di vita e di valori dove i ragazzi imparano a rispettare le regole e a relazionarsi, facendo squadra per raggiungere un obiettivo comune.

Sia le attività sportive, sia il gioco, sono un diritto di tutte le persone di minore età, come stabilito dall’ONU (UN, 1989, Art. 31); il gioco libero e creativo insieme allo sport quale pratica per un armonico sviluppo psico-fisico, sono diritti che fanno crescere, sviluppano la socialità, l’intelligenza, l’equilibrio, il benessere, e formano la trama di relazioni forti e durature o, per dirla con la Nussbaum (2004), rendono la vita buona e permettono la fioritura umana.

La pratica sportiva ha un significato e un valore profondo, capace di generare Comunità (Papa Francesco, 2022) con difese immunitarie sociali (Abodi, 2024) per migliorare la qualità della vita delle persone; in definitiva, la Comunità di Pratica Sportiva (CdPS) quale elemento valoriale di indispensabile contributo si pone ad intra con i valori per l’individuo derivanti da una pratica sportiva e ad extra con gli stessi valori riversati ed elaborati dal gruppo di pratica.

Il concetto di CdPS è un frutto naturale delle Comunità di pratica (CdP), costrutto elaborato da Etienne Wenger e Jean Lave alla fine degli anni Ottanta del Novecento; gli autori, nel tentativo di trovare modalità di apprendimento efficaci al di fuori della consuetudine, sostengono che occorrono luoghi non convenzionali con l’importante collaborazione fra i pari, per cui parlano di ‘apprendimento situato’ (Lave & Wenger, 1991). Secondo Wenger (2006; 2007) le CdP sono costituite da un gruppo di persone che condividono una preoccupazione o la passione per qualcosa che fanno e imparano a farlo meglio a mano a mano che interagiscono con regolarità.

In Italia, questo concetto è stato implementato –dal punto di vista della didattica– da Rivoltella, (2014) con la creazione della metodologia EAS Episodi di Apprendimento Situato rifacentesi alla ‘scuola del fare’ con la lezione a posteriori di Freinet (1977; 1978).

Partendo da uno studio antropologico sull’apprendistato di giovani sarti in Liberia (Lave, 1982), l’apprendimento situato si concentra sulla “relazione tra l’apprendimento e le situazioni sociali in cui avviene”. Il processo di apprendimento si basa su un processo sociale fondato sulla pratica, nel quale entrano in gioco, contestualmente, l’acquisizione di competenze, la costruzione dell’identità individuale/sociale, il riconoscimento del significato di esperienza fatto in un insieme che condivide saperi, valori, linguaggi e identità. La pratica è la fonte principale della produzione sociale di significato (Lave & Wenger 1991; Wenger et al. 2006; 2007; Wenger-Trayner & Wenger-Trayner, 2015). La trasformazione da CdP in CdPS, la dobbiamo al preciso filone inaugurato da Culver & Trudel (2008), che ha permesso una larga partecipazione della comunità accademica inizialmente circoscritta però agli aspetti del coaching.

Come detto ab initio, le parole sono importanti: alla base delle attività sportive c’è il termine sport; è un termine abusato di significati, per cui crediamo vi sia bisogno di dare una maggiore chiarezza; lo chiediamo alle scienze filosofiche.

La filosofia viene definita “forma di sapere che tende a superare ogni conoscenza settoriale per attingere ciò che è costante e uniforme al di del variare dei fenomeni, al fine di definire le strutture permanenti delle realtà di cui l’uomo ha esperienza e di indicare norme universali di comportamento” (Treccani, 1997); se applicassimo questa definizione al termine sport, potremmo incontrare delle difficoltà. Citando il paradosso di Sant’Agostino sul tempo (Le Confessioni, XI 14-18) “se non mi chiedi che cosa sia, lo so; se me lo domandi, non lo so più” (1968, XI: 14‍–‍18), e applicandolo allo sport, scopriremmo molte analogie, in quanto sport indica tantissime cose, ma anche il loro opposto. In ambito accademico, l’area delle Scienze motorie e sportive “è così vasta da permettere l’intervento di specialisti di quasi tutte le discipline scientifiche, e anche i programmi di studio accademici legati all’attività fisica rappresentano una sorta di puzzle costituito dall’incastro di diverse tessere” (Carraro & Lanza, 2004, p. 22). Lo sport, nella totalità del suo termine semantico, è un fenomeno superdisciplinare e interdisciplinare complesso, che non ha soltanto una chiave epistemologica (Roma, 2019, p. 178). Nell’ambito accademico, le Scienze motorie e sportive si sono prestate ad adattare i corsi alle diverse facoltà accoglienti, dove sono stati attivati in forme varie e/o poco rispettose delle tradizioni specifiche maturate nel settore.

Sembra quasi che le Scienze motorie e sportive non abbiano saputo -o potuto- cogliere quella che Edgar Morin chiama “la sfida della globalità e della complessità”, rischiando di “lasciare invisibili gli insiemi complessi, le interazioni e le retroazioni tra le parti e il tutto; […] un’intelligenza incapace di considerare il contesto ed il complesso planetario rende ciechi, incoscienti ed irresponsabili” (Morin, 2000, pp. 6‍–‍7). Secondo Melnychuk et al. (2011, 148‍–‍168) la vecchia Educazione fisica si riformula nelle Facoltà di Scienze motorie e sportive, per ricevere trattamento preferenziale al fine di attirare finanziamenti esterni di ricerca, per docenti e università. In questo quadro, risulta quasi naturale che le scienze dure abbiano avuto il sopravvento sulla dimensione umanistica, tanto da far dimenticare nei curricoli di formazione delle Facoltà di Scienze motorie, la storia, la filosofia, l’antropologia, lasciando qualche sprazzo alla sociologia e all’economia. Recentemente, a compensazione di questo squilibrio, è nato anche in Italia (la prima forma è di Coakley & Dunning, 2007) il filone di ricerca degli Sport Studies, che utilizzano metodologie di ricerca proprie delle scienze sociali, partendo dal presupposto che lo sport è una pratica prodotta dalla cultura umana, che va sempre interpretata e compresa nel più ampio contesto antropologico e psicosociale da cui essa si è generata (Isidori et al., 2018). L’unità linguistica Sport Studies, nasce sulla falsa riga dei Cultural Studies[1]; con essa si vuole intendere l’insieme delle scienze umane applicate allo studio dello sport, (sociologia, storia, psicologia, filosofia, economia etc.) utilizzate per poter analizzare e descrivere in tutti i suoi aspetti un fenomeno multiforme, come quello dello sport (De Iulio, 2020; Isidori, 2011).

Lo sport è un fenomeno sociale complesso e in continua crescita, che va analizzato secondo metodologie di ricerca che superano i rigidi steccati delle singole discipline, e necessita di un metodo basato sul costante confronto tra i vari saperi, più adatto a descrivere la complessità e la frammentazione dell’oggetto di studio. Gli Sport Studies usano un approccio olistico, analizzando le problematiche come se fossero in rete, o come dei rizomi[2] (Deluze & Guattari, 2014) stabilendo connessioni e nuovi ambiti di ricerca tra tutti i saperi dello sport. Questi studi guardano allo sport cercando di superare gli “obblighi” disciplinari derivanti dalla scienza positivista (il cui frutto sono le Scienze dello Sport) perché non più rispondenti alla visione globale, non frammentata, e interdisciplinare della moderna epistemologia al riguardo.

Pensiamo sia questa una giusta premessa sia per dare una cornice al nuovo comma della Costituzione, sia per dare senso ai possibili rallentamenti che la novità potrà trovare; li evinceremo adottando una metodologia olistica, tipica degli Sport Studies combinando una analisi storico/filosofica/sociale insieme ad una accorsata e puntuale analisi statistica denominata Indice di Sportività (IdS) commissionata dal quotidiano nazionale Ilsole24ore alla società di ricerca PTSClas. L’Indice di Sportività è una classifica che offre molti spunti sull’attitudine allo sport di 107 province italiane, incrociando metodologicamente 32 indicatori che spaziano dagli sport di squadra al rapporto con la natura e parametrandoli alla popolazione e, in parte, alle dimensioni delle varie province. Sono circa un centinaio i criteri di giudizio che vengono presi in considerazione nell’IdS: si calcolano 50 discipline sportive (e per ogni disciplina si conteggiano società, atleti e risultati) e si quantificano una molteplicità di aspetti legati alla realtà sociale ed economica legata allo sport. In questo modo nasceranno le nostre riflessioni sulla possibile Questione meridionale nello sport attraverso il caso Napoli.

 

2. Introduzione

 

Da quasi 160 anni vi sono due parole talmente in relazione tra loro, da costituire un’unità autonoma, una locuzione in gergo grammaticale, conosciuta come Questione meridionale. Con tale espressione, si indica la particolare persistenza di difficoltà nello sviluppo delle regioni dell’Italia meridionale rispetto alle altre, inscritte nel processo conosciuto come Unità d’Italia, già ampiamente riportato nei trascorsi festeggiamenti del 2011 per il 150° Anniversario. Sull’uso della citata locuzione (cfr. Romano, 1945; Marelli, 1972; Mangano, 1976) si riporta la primogenitura del deputato Antonio Billia alla Camera, il 5 maggio 1873.

Di Questione meridionale si sono interessati da subito tantissime personalità politiche, sociali, letterarie, tra le quali ricordiamo, in ordine storico:

 

1)     Pasquale Villari (1827‍–‍1917), autore di molte opere, tra cui Lettere meridionali (1878) o Scritti sulla questione sociale in Italia (1902);

2)     Leopoldo Franchetti (1847‍–‍1917), Sidney Sonnino (1847, 1922) ed Enea Cavalieri (1848‍–‍1929), ricordáti per una celebre e documentata inchiesta: La Sicilia nel 1876, edito poi da Barbera, nel 1877;

3)     Giustino Fortunato (1848‍–‍1932), il quale diceva: “Che esista una questione meridionale, nel significato economico e politico della parola, nessuno più lo mette in dubbio” (Fortunato, 1911, p. 311);

4)     Benedetto Croce (1866‍–‍1952), che divergeva da G. Fortunato riguardo all’importanza da attribuire alle condizioni naturali riferite ai problemi del Mezzogiorno, ritenendo fondamentali le vicende etico-politiche che avevano prodotto quella situazione;

5)     Francesco Saverio Nitti (1868‍–‍1953), che riteneva che il Meridione non fosse in una situazione estremamente grave prima dell’Unità, criticando l’impianto economico conservatore del Regno Borbonico;

6)     Gaetano Salvemini (1873‍–‍1957), storico e politico socialista, che concentrò le sue analisi sugli svantaggi che il sud aveva ereditato dalla storia;

7)     Antonio Gramsci (1891‍–‍1937), deputato, co-fondatore del Partito Comunista Italiano, lettore di Croce e Fortunato, autore di diversi testi al riguardo.

 

Molti altri interverranno nel corso del Ventesimo secolo e, ancora oggi, la Questione meridionale sembra ritornare puntualmente alla ribalta ad ogni tornata elettorale italiana, per poi assopirsi fino alla successiva.

Esiste una Questione meridionale anche per lo sport? Esiste un caso Napoli? Approfondiamo.

Durante tutto il Settecento, in Italia, si rafforzano le idee nate all’ombra della Rivoluzione francese e si sviluppano le premesse poste dall’Umanesimo, dal Rinascimento e dalla riforma; si tende a nazionalizzare il processo educativo, affidando allo Stato, in maniera più o meno esplicita, il monopolio dell’educazione. La Questione meridionale nasce quasi in contemporanea con il processo di unificazione post-risorgimentale, anche se il movimento sportivo italiano anticipa notevolmente il fermento che porterà, poi, nel 1861, all’Unità nazionale.

Ci piace pensare che l’autore che abbia messo insieme questo termine e l’allora nascente attivismo sportivo possa essere stato Giustino Fortunato.

L’idea portante del pensiero politico di Fortunato è la profonda influenza che il sistema geografico, l’ambiente ed il clima del sud d’Italia ebbero nei confronti delle popolazioni ivi stanziate; sicuramente il suo lavoro, intendiamo sia gli studi che le sue idee politiche, è stato influenzato da una delle sue più grandi passioni: l’alpinismo (Scaramella, 2007). Nel 1872 infatti si iscrive alla sezione di Napoli del Club Alpino, per il cui bollettino scrive delle relazioni di viaggio sugli Appennini del Mezzogiorno, scoprendo le cause di arretratezza derivanti sia dall’assetto, sia dall’impianto economico di questi territori (Griffo, 1997).

Fatto questo preambolo sul vulnus di questo paper, diventa oltremodo importante fare una ricostruzione storica dei prodromi all’evoluzione delle attività ginnico-sportive; il fenomeno coincide con la nascita, sul modello inglese, delle prime associazioni sportive. Di seguito, evidenziamo con quali modalità, in che tempi e, soprattutto, in quali luoghi si sono sviluppate queste iniziative.

Particolarmente animato, nel Regno di Napoli – in seguito Regno delle due Sicilie con Napoli capitale –, sarà il dibattito dei pensatori sui vari aspetti delle attività ginnico sportive. Uno dei preparatori di questi cambiamenti lo troviamo in Giovanni Alfonso Borelli (Napoli, 1608‍–‍1679) che, con il De motu animalium (1710), studia l’applicazione delle leggi della meccanica all’analisi del movimento umano e animale; tale opera segnerà la nascita dell’attuale biomeccanica (elemento fondante dei princìpi di atletismo).

Ancora Napoli capofila quando, nel 1763, il medico ginevrino Jacques Ballexserd (tradotto dal francese grazie all’editore Giovanni Gravier) pubblica a Napoli Dissertazione sull’educazione fisica de’ fanciulli dalla loro nascita fino alla pubertà, opera innovativa e aggiornata, subito apprezzata in tutta Europa; nel testo compare per la prima volta il termine “Educazione Fisica”. Antonio Genovesi (1713-1769), che ne fu revisore, fece pubblico elogio del libro, tanto da dire “il meglio fatto su questa sì importante materia” (Borrelli, 2011), consigliando al Re Carlo III di promuoverne il più possibile la diffusione, soprattutto fra le persone che, “o per debito naturale, o per civile dovere”, si occupavano dell’educazione dei fanciulli, aggiungendo: “conciosiaché niente non sia più da desiderare, quanto che le belle ed utili regole del dotto autore sieno messe in pratica, a disciplina di tutti i popoli d’Europa” (Ballexserd, 1763).

L’editore Gravier, facendo una nota A’ lettori italiani, evidenziò quelli che riteneva i punti forti del testo, come fornire “giudiziosi insegnamenti” che, per quanto “tratti dalla più soda Fisica”, risultavano “alla portata di chiunque d’ogni Fisico principio fosse affatto ignaro e digiuno” (Borrelli, 2011; 97 ss).

Tornando a Napoli, troviamo Gaetano Filangieri (1752-1788) che, influenzato dalle idee di Locke, Rousseau e Montesquieu, nella sua opera Scienza della legislazione, (sette volumi) si ispira alla Repubblica di Platone, affidando allo Stato non solo la gestione dei problemi politici, giuridici ed economici, ma anche l’educazione del cittadino. Nel quarto libro di questa enciclopedia del sapere, l’autore – malato di tubercolosi – tratta i problemi dell’educazione e del potenziamento dell’organismo nell’età evolutiva, essendo la salute è un bene prezioso per la società civile o come riporta Ruggiero: “Degnatevi di rispettare la vostra salute. Essa interessa l’umanità tutta” (Ruggiero, 1999, p. 330). Filangieri (1782), in rapporto di causalità, poneva un legame tra lo sviluppo fisico e morale dell’uomo, evidenziando come concausa di un armonioso sviluppo fisico una buona legislazione e buoni costumi. I suoi scritti influenzeranno Benjamin Franklin, membro del Comitato dei cinque, presieduto da Thomas Jefferson, per la redazione della Dichiarazione d’indipendenza dei primi tredici stati USA.

Antonio Genovesi (1713‍–‍1769), scrittore, filosofo, economista e sacerdote nato in provincia di Salerno, nel 1779 scrive a Napoli Lezioni di commercio, nel quale sottolinea come in un corpo cresciuto e sano vi sia la certezza di uno spirito sempre sano (Di Donato, 1953).

Accanto a questi protagonisti del pensiero pedagogico, troviamo autori che si sono dedicati all’educazione ginnica intesa come educazione motoria, i quali hanno impostato i primi criteri metodologici della ginnastica e del nuoto.

Oronzio De Bernardi (1753‍–‍1806), ecclesiastico meridionale, nel 1784 scrive L’uomo galleggiante, o sia, l’arte ragionata del nuoto scoperta fisica, in cui descrive su basi sperimentali i fondamentali movimenti del corpo umano in ambiente acquatico (Teja, 2009), fornendo utili consigli anche per l’addestramento militare specifico.

Sempre a Napoli, Vincenzo Cuoco (1770‍–‍1823), filosofo e uomo politico, erede del Filangieri e del Genovesi, partecipò al programma di riforma dell’istruzione pubblica, ricollocando l’educazione fisica e militare nella scuola, attribuendole la stessa dignità delle discipline umanistiche nella formazione della persona e dei suoi valori sociali (Boroli, 1970). Cuoco riteneva che l’educazione letteraria sarebbe stata incompleta se avesse difettato di una buona attività fisica e fece dunque inserire nei collegi militari napoleonici del Meridione corsi di scherma e di ballo (Di Donato, 1962). Un’ulteriore spinta culturale proveniente dal territorio napoletano pervenne nel 1822, con la pubblicazione del Saggio di educazione fisica, morale e scientifica di Nicola Micele da Senise (Di Muro, 1915) che svolse la funzione di volano per rendere consapevole l’allora re Ferdinando II della necessità di una sistematizzazione non solo della relazione tra sudditi e sovrano, ma anche delle politiche sociali e soprattutto scolastiche della corona. Nel 1848, infatti, istituì una Commissione provvisoria per la riforma della Pubblica istruzione: segretario fu nominato Francesco De Sanctis (1817‍–‍1883), già insegnante, dal 1841 al 1848, presso il Collegio Militare della Nunziatella di Napoli. L’impegno del De Sanctis – formato nella sua matrice illuminista dalla lettura di Diderot, d’Alembert, Voltaire e soprattutto Rousseau – unito alla sua iniziale formazione come docente all’interno di un’istituzione militare, ne fece un fortissimo sostenitore dell’insegnamento della ginnastica, che propose con ancor più vigore nella veste di Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia, incarico assunto nel 1861 prima con Cavour, poi con Ricasoli (Togni, 2011). Napoletana, ancora, risulterà l’opera dei fratelli Nicolò e Ferdinando Abbondati: l’autore più celebre è stato Niccolò (1807‍–‍1870) che, nel 1846, scrisse due volumi dal titolo Istituzione di arte ginnastica per le truppe di fanteria di S.M. Siciliana (De Luca, 2012; Teja, 1990; Di Donato, 1984).

Sempre nella capitale del meridione d’Italia, infine, seppur in tempi diversi, segnaliamo la presenza del propositore delle Olimpiadi moderne, il barone Pier Fredy de Coubertin (Desbois, 1895; Forcellese, 2013). Tra i paesi da coinvolgere nel progetto olimpico, de Coubertin incluse l’Italia, rivolgendosi a un illustre letterato e parlamentare napoletano, ossia Ruggiero Bonghi, già Ministro della Pubblica istruzione (1874‍–‍1876), primo e unico italiano invitato dal barone francese il 16 giugno 1894 per la prima edizione dei Giochi Olimpici di Atene 1896. de Coubertin inviò a Bonghi una lettera per informarlo del progetto della ripresa dei Giochi Olimpici, dalla quale si cita “c’est à dire la rencontre régulière de la jeunesse universelle sur le plus pacifique des champs de bataille, le champ de jeu” (Villari, 1996).

Bonghi non poté dar seguito all’invito, poiché, ammalato, morirà nel 1895 e, al suo posto, subentrò il conte napoletano Ferdinando Lucchesi Palli, viceconsole del regno d’Italia a Parigi. Dopo tre mesi, ancora un illustre napoletano, Riccardo Carafa della Stadera, prese il posto di Lucchesi Palli, dimissionario. Fu lui a partecipare come membro CIO alla I Olimpiade del 1896, in Grecia. Pier Fredy de Coubertin transitò a Napoli il 7 dicembre 1894; tornava da Atene diretto a Parigi e fece scalo al porto di Napoli per incontrare Riccardo Carafa. Le cronache raccontano di una breve conferenza tenuta da de Coubertin al Circolo Filologico presieduto da Bonghi sulla rifondazione dei Giochi Olimpici, a cui presero parte diversi esponenti della nobiltà campana (Forcellese, 2013).

Altro personaggio meritevole di maggior prestigio storiografico, fondatore della ginnastica a Napoli e primo sindacalista ante litteram va altresì menzionato Alessandro La Pegna. La rivista Civiltà Cattolica, a suo riguardo, il 24 settembre 1900 scriveva così: “cittadino napolitano, che primo migliorò e propagò l’arte ginnastica in Napoli e altrove, ed ebbe onori grandissimi e grandissimi dispiaceri che sopportò con magnanima fortezza” (cfr. Elia, 2015).

Nella sua biografia si fa riferimento all’attribuzione della croce di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia, ricevuta nel 1879 – insieme a G. Borgna di Torino – in qualità di “benemeriti cultori della educazione fisica” (Elia, 2018); al 1878, aveva fondato 14 sale ginnastiche e insegnato le basi della disciplina a oltre 34.000 allievi a Napoli (Elia, 2015). Notevole il contributo anche a livello legislativo: nel 1878 prese parte ai lavori della Commissione per redigere il “Regolamento programmi e istruzioni per le scuole primarie, secondarie, normali, maschili e femminili del Regno” e, nel 1891 fu coautore nella Guida per l’insegnamento della ginnastica. Lo troviamo inoltre nella Commissione italiana al congresso internazionale ginnastico di Francoforte del 1880, insieme al Gotha della ginnastica italiana ed europea dell’epoca. In gioventù fu definito “debolissimo di costituzione e malaticcio, malgrado tutte le cure che gli si prodigavano, passò l’infanzia e l’adolescenza in alternative di sofferenze e di lusinghieri periodi di energica vitalità” (Elia, 2017: 75). Superato questo stadio, attraverso la passione per la ginnasiarchìa e sposando pienamente la causa, lo troviamo non solo inventore di macchine da ginnastica e creatore di divise ginniche, ma anche sindacalista quando, nel 1879, dopo aver provveduto anche di tasca propria ad organizzare varie manifestazioni, presentò le dimissioni dagli incarichi presso il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele e il Liceo Umberto I di Napoli; motivò tale decisione per l’umiliazione che era stata inflitta agli insegnanti di ginnastica dalla Circolare del 27 dicembre 1879 n. 596, con la quale venivano determinati gli stipendi della categoria:

 

“Dopo diciassette anni di onorata carriera, di studi, di sacrifizi e di fatiche indefesse, io non mi aspettavo così ingrata riconoscenza […]. Classificarli e rimunerarli non pure al di sotto dei maestri di belle arti, ai quali vennero confermati gli antichi assegni, ma financo dei bidelli e di qualsiasi inservienti di scuola, vuol dire umiliarli e toglier loro ogni prestigio e decoro e con loro spregiare una delle più nobili istituzioni del nostro paese” (La Pegna, 1880; in Elia, 2015, p. 224).

 

In quel tempo, lo stipendio annuo percepito da un docente di ginnastica era di 500 lire; un maestro di calligrafia riceveva, per un numero di ore inferiore, 1344 lire; la considerazione verso gli insegnanti di ginnastica era molto bassa. Non a caso pochi anni dopo, sulle pagine della rivista Nuova Antologia, Saverio Santori mise a nudo le grottesche condizioni socio-economiche degli stessi: “Nello sguardo feroce e preciso degli studenti, il professore di ginnastica conta come il due di briscola” (Santori, 1905, p. 545).

Anche se la ginnastica napoletana aveva rappresentato fino all’unificazione d’Italia un’avanguardia quantomeno a livello teorico-scientifico, visto anche il successo della pubblicazione del Trattato di Niccolò Abbondati (1846), sarà il Piemonte a fungere da punto di riferimento, non solo politico ma anche proto-sportivo, per lo sviluppo di questa disciplina nelle altre regioni italiane. Del resto, ripercorrendo il fenomeno della Piemontesizzazione della penisola, lo sviluppo delle istituzioni sportive s’intreccerà con quello politico ed istituzionale più complessivo, seguendone di fatto i vari periodi (Bonini, 2006; Elia, 2013).

 

3. L’asse Nord/Sud, Torino/Napoli

 

Nel 1833, il conte Cesare di Saluzzo, istitutore del piccolo e futuro re Vittorio Emanuele, convoca a Torino l’istruttore svizzero Rodolfo Obermann, studente di teologia nato a Zurigo nel 1812 e, soprattutto, finalista nel concorso federale di ginnastica, dove ottenne il secondo posto (Ulmann, 2004). Il 17 marzo del 1844 Obermann, coadiuvato da appassionati sostenitori dell’attività fisica, militari e già suoi allievi, come il conte Ernesto Ricardi di Netro, il medico Luigi Balestra ed altre illustri personalità torinesi (Martinazzoli & Credaro, 1894) fonda, a scopo educativo, la Reale Società Ginnastica di Torino, prima e unica società in Italia fino al 1860 (Gilodi,1994); la ginnastica si diffonde sul territorio della dinastia dei Savoia molto prima dell’Unità d’Italia.

Contemporaneamente, a Napoli, capoluogo del Regno delle due Sicilie, Ferdinando II di Borbone istituisce una Commissione per la riforma della pubblica istruzione, a capo della quale nomina Francesco De Sanctis.

Pertanto, sull’asse Napoli‍–‍Torino (Regno di Napoli-Regno di Sardegna) la ginnastica, antesignana del movimento sportivo, con i Savoia si afferma in ambito militare, mentre a Napoli si sviluppa tra le mura scolastiche (Condini, 2018). Pur nell’ampia ed accorsata presenza della cosiddetta scuola napoletana, fu la radice sabauda che meglio segnò il corso dello sport moderno con la nascita delle prime forme di associazionismo sportivo civile, distinte da quelle di stampo marziale/militare. Il mondo degli sportsman esprimeva un profondo lealismo politico e istituzionale; negli statuti federali e societari venivano solennemente declamate finalità di natura etica e patriottica; eppure governo e forze politiche guardarono con diffidenza alle attività sportive, bollate come stranezze anglosassoni e considerate inutili per gli obiettivi nazionali (Sbetti, 2020).

Da questi antefatti, si evince la forte presenza della città di Napoli in una serie di eventi che solo oggi possiamo considerare tra loro legati e che, comunque, si possono ritenere prodromici a ciò che oggi consideriamo sport.

 

4. Un risvolto pratico dell’asse Napoli‍–‍Torino: le Associazioni sportive in Italia

 

In Inghilterra, l’istituzionalizzazione dei giochi sportivi passò dalle Public School, alla Landed Gentry del XVII secolo, ossia una classe sociale intermedia tra aristocrazia e borghesia costituita da proprietari terrieri e da ereditieri, detti Gentleman. Nel 1617, il re Giacomo I emanò la prima Declaration of Sport in cui indicava le attività sportive che il popolo poteva praticare. Nel 1751 nasce il Jockey Club per regolare le corse di cavalli; nel 1780 lord Derby istituisce la gara ippica che prenderà il suo nome. Nel 1788 viene fondato il Marylebon Club che uniforma le regole del popolare cricket. Dalle scuole lo sport si trasferisce alla vita sociale dei ceti medio-alti e in particolare nasce la nozione di leisure time, tempo libero; analogamente anche in Italia, ma con la differenza che gli aspetti sociali si svilupparono prima nell’Italia del Nord e poi dopo in quella del Sud, vale a dire che i valori legati allo sport rimasero per più tempo a disposizione delle classi più abbienti. Lo diciamo in virtù di quanto esaminato e verificato nell’ordine della ricerca degli eroi di guerra provenienti da una educazione sportiva formata in una associazione di specie.

Nel 1897, dopo la parziale presenza del napoletano Ruggero Bonghi, il conte Eugenio Brunetta d’Usseaux, piemontese, venne coinvolto da de Coubertin nell’organizzazione delle nascenti Olimpiadi moderne. L’approdo al CIO del conte Brunetta convinse i dirigenti sportivi italiani ad abbandonare le visioni particolaristiche e mettere da parte le rivalità tra le federazioni; risultò essere uno dei pochi leader del mondo sportivo italiano a godere di un alto prestigio a livello internazionale (Bianchi et all., 2006; Mastrangelo, 2006). Frutto, inoltre, della collaborazione Olimpica fu il rapporto Les Societés Italiennes de Sports en 1900, in Eugenio Brunetta Correspondance (Forcellese, 2013). Il rapporto era datato Parigi, 8 giugno 1901 ed era riferito alla situazione organizzativa dello sport italiano dell’anno precedente, analizzato su base provinciale; Brunetta certificava la presenza di 278 società sportive, di cui 161 al Nord (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto), 96 al Centro e 21 al Sud (isole comprese). Tra le grandi città spiccavano Torino: 31 società e 3 in provincia; Milano: 23 e 17 in provincia; Firenze: 16; Genova: 13; Venezia: 12; Como: 9; e Napoli: 8. Va segnalata l’assenza di federazioni sportive a Palermo, dovuta, probabilmente, a una dimenticanza dei rilevatori. Sulla prevalenza delle società settentrionali, si veda anche l’opera di Felice Fabrizio (1977): secondo questo autore si contavano 110 società ginnastiche complessive, di cui 76 al Nord, 30 nel Centro e solo 4 al Sud. All’inizio della Grande Guerra, nella città di Napoli risulteranno attive 22 Associazioni sportive. Nel 1861, con l’Unità nazionale, la legge Casati sull’istruzione, già vigente dal 1859 nel Regno di Sardegna, nel breve volgere di un anno, si estende a tutta l’Italia, sancendo l’obbligo della Ginnastica militare negli Istituti di istruzione secondaria in conformità al modello prussiano di R. Obermann. Tale legge, inoltre, sancì anche l’istituzione di un magistero per la formazione di istruttori scolastici di ginnastica, ma fu estesa con situazioni scolastiche non ancora adeguate (soprattutto Napoli e lo Stato della Chiesa) producendo l’effetto di stabilizzare, da quel momento, un persistente divario tra Nord e Sud d’Italia (Dellabiancia, 1990).

Potremmo dire che tutto il lavoro fatto dalla Scuola napoletana, in preparazione della “scolarizzazione” dell’attività fisica e sportiva, verrà meglio usato dagli attivisti sportivi del Nord Italia, complice anche l’agone politico della nascente Repubblica Italiana. Va ricordato che nelle varie stesure del primo Codice civile del nascente Stato, e fino al 1927, la parola sport non compare. Tuttavia i giuristi dell’epoca, consci del valore delle attività sportive, riuscirono ugualmente ad assicurare una sistemazione allo sport interpretando estensivamente l’art. 1803 del codice Pisanelli, conferendo il diritto ad agire in giudizio ai soggetti titolari di crediti scaturenti da “giuochi che contribuiscono all’esercizio del corpo, come sono quelli che addestrano al maneggio delle armi, alle corse a piedi o a cavallo, a quelle dei carri, al giuoco della palla ed altri di tal natura” (Cappuccio, 2015).

 

5. La Questione meridionale nello sport

 

È ancora attuale parlare di Questione meridionale per gli anni che corrono?

Per rispondere a questo quesito, oltre l’analisi storico/sociale precedente, abbiamo pensato fosse necessario affidarsi a dati che potessero sostenere la discussione, senza il rischio di poter o dover essere necessariamente interpretati; pertanto, abbiamo fatto riferimento alle pubblicazioni delle ricerche commissionate dal quotidiano il Sole 24 Ore chiamate Indice di Sportività (IdS) realizzate dalla società PtsClas. L’obiettivo è quello di disegnare una mappa dalla quale ricavare informazioni utili per comprendere la quantità e la qualità dello sport praticato, la sua diffusione sul territorio nazionale e la vocazione sportiva della nostra società. A questo scopo, sono state monitorate 107 province, utilizzando 32 indicatori, raggruppati in quattro macro-categorie; tenuto conto del diverso “peso” attribuito ai singoli indicatori, viene poi definita la classifica finale, così come riportato di seguito (Tabella 1). Le quote percentuali di ogni aspetto vengono rapportate ad un parametro demografico-territoriale determinato dall’incidenza percentuale della popolazione residente in provincia (sul totale nazionale) e dall’estensione territoriale della provincia stessa. I circa cento aspetti sportivi considerati sono raggruppati in insiemi rappresentativi e sintetici del contesto sportivo territoriale; la media ponderata degli indici esprimerà poi il valore del relativo indice.

 

Macro-categorie

Indicatori

Struttura sportiva

Atleti tesserati

Dirigenti e tecnici

Enti di Promozione sportiva

Tasso di praticabilità sportiva

Attrattività grandi eventi italiani e internazionali

Sport di squadra

Calcio professionisti

Calcio dilettanti

Basket

Volley

Rugby

Altri sport di squadra

Società dilettanti

Squadre e territorio

Sport individuali

Ciclismo

Atletica

Nuoto

Tennis

Sport invernali

Sport dell’acqua

Sport indoor

Sport outdoor

Motori

Sport e società

Sport e bambini

Sport femminile

Amatori e Master

Formazione per lo sport

Media per lo sport

Sport e turismo

Sport e natura

Sport Paralimpico

Sport e storia

Sport e cultura, Panathlon

Tabella 1. Macro-categorie e indicatori della ricerca Indice di sportività (IdS) 2023.

 

È quasi superfluo osservare che gli indicatori della Tabella 1 rappresentano le variabili da considerare, coerenti con la macrocategoria, in un’ottica di chiarezza ed esaustività. Per lo sviluppo della discussione, ci siamo riferiti sia al punteggio sia alla classifica finale compilata dalla PTSClas fatta in valori millesimati. La tabella che segue (Tabella 2) riporta le province che hanno occupato il podio nelle differenti macrocategorie della ricerca (al 2023), con il corrispettivo valore estratto dall’analisi complessiva dei singoli indicatori utilizzati.

 

 

Struttura sportiva

M

Sport di squadra

M

Sport individuali

M

Sport e società

M

Classifica finale

M

1

Rimini

1000,0

Cremona

1000,0

Bolzano

1000,0

Trento

1000,0

Trento

1000,0

2

Trento

985,3

Firenze

843,8

Trento

935,9

Belluno

966,6

Trieste

801,6

3

Venezia

860,3

Piacenza

820,4

Aosta

897,6

Rimini

857,5

Cremona

780,1

Tabella 2. Podio IdS delle province per macro-categorie e classifica finale 2023.

 

La ricorrenza di Trento in più macrocategorie, rappresenta un trend in atto da tempo, che influenza anche la classifica delle città con un maggior tasso di vivibilità formando l’insieme che determina l’Indice di Qualità della vita (Casadei & Finizio, 2024). L’ulteriore tabella presentata, (Tabella 3) riporta la classifica complessiva per macro aree; vi abbiamo aggiunto delle colonne (numero province; numero comuni; punteggio capoluogo; media punti regionale; podio delle province) per ulteriormente specificare la situazione territoriale. L’ultima colonna riporta un punteggio utile per poter confrontare tra loro le diverse aree geografiche.

 

Regioni

N Prov

Comuni

Capoluogo

Media punti regione

Area geografica

Podio province

Punt. medio (area)

Sigla

Punti

Primo posto

Ultimo posto

Emilia-Rom.

9

341

BO

720

554,00

Nord

Trento

1

Asti

91

585,8

Friuli V. G.

4

219

TS

801

553,80

Liguria

4

235

GE

687

501,25

Lombardia

12

1.546

MI

754

585,25

Piemonte

8

1.206

TO

659

454,00

Trentino A.-A.

2

349

TN

1.000

850,00

Valle d’Aosta

1

74

AO

618

619,00

Veneto

7

581

VE

555

569,14

Lazio

5

378

RM

581

378,80

Centro

Firenze

4

Viterbo

83

449,4

Marche

5

246

AN

570

547,20

Toscana

10

287

FI

768

452,30

Umbria

2

92

PG

501

419,35

Abruzzo

4

305

AQ

352

378,00

Mezzogiorno

Cagliari

11

Isernia

107

268,9

Basilicata

2

131

PZ

243

233,50

Calabria

5

409

CZ

274

221,80

Campania

5

551

NA

385

284,80

Molise

2

136

CB

255

192,50

Puglia

6

268

BA

354

282,50

Sardegna

5

377

CA

699

320,90

Sicilia

9

390

PA

249

237,30

Tabella 3. IdS 2023 per le Aree geografiche italiane (punteggio medio).

 

Emerge con grande evidenza la disparità del punteggio IdS tra le tre aree geografiche, ed ha stupito l’enormità delle differenze che, specie per il Mezzogiorno, sono andate molto oltre le più pessimistiche aspettative: il punteggio del Nord Italia rispetto al Mezzogiorno d’Italia, supera ampiamente il raddoppio. Esiste una questione meridionale nello sport.

Come riprova, abbiamo voluto verificare (Tabella 4) cosa potesse emergere come punteggio e posizione IdS regionali del Mezzogiorno considerando la migliore e la peggiore provincia.

 

Area geografica

Regioni

Province

Prima

Posizione

Punteggio

Ultima

Posizione

Punteggio

Mezzogiorno

Abruzzo

Teramo

48

457

Chieti

63

327

Sardegna

Cagliari

11

699

Sud Sardegna

106

132

Puglia

Bari

62

354

Foggia

99

198

Campania

Napoli

55

386

Caserta

96

219

Sicilia

Ragusa

76

295

Enna

104

149

Calabria

Catanzaro

84

274

Cosenza

102

177

Basilicata

Potenza

59

244

Matera

94

223

Molise

Campobasso

85

256

Isernia

107

129

Tabella 4. IdS 2023 per l’Area geografica del Mezzogiorno con posizioni in Class. Gen. e punteggio.

 

Anche in questo caso, le evidenze sono alquanto sorprendenti per le differenze tra i valori degli indici tra le diverse posizioni interne all’area geografica del Mezzogiorno. Tra l’altro, si rilevano isole felici e regioni virtuose, in contrapposizione a una distribuzione delle singole province concentrata nella parte bassa della classifica generale dell’IdS.

 

6. Conclusioni

 

“Lo sport è troppo importante per lasciarlo agli sportivi” (R. Regni, LUMSA, in Redazione SIR, 2017)

 

Una chiosa per questo lavoro la possiamo ricavare dalla premessa: le attività sportive sono un prodotto culturale, non parcellizzabile; abbiamo bisogno delle microanalisi, ma anche delle macroanalisi, per cui il filone citato degli Sport Studies risponde pienamente a questa esigenza, rafforzando la nostra precedente tesi del Sistema Plurivaloriale Sport – SPS (Castaldo, 2010). Dal 2015 al 2023, l’IdS citato, identificando Torino come punto di riferimento del nord, e confrontandolo con i capoluoghi di regione del sud Italia isole comprese, ci offre i seguenti risultati (Tabella 5 e Figura 1).

 

Anno

Torino

L’Aquila

Bari

Campobasso

Cagliari

Napoli

Potenza

Catanzaro

Palermo

2015

4

62

57

88

12

75

82

89

72

2016

17

72

69

92

11

82

95

94

77

2017

21

76

74

96

37

87

99

98

94

2018

11

94

67

91

3

88

102

90

95

2019

24

80

71

93

9

76

96

82

90

2020

9

81

52

90

15

60

87

86

98

2021

14

92

58

96

22

57

99

95

89

2022

21

88

59

80

20

57

93

89

86

2023

15

63

62

85

11

55

89

84

87

Tabella 5. Anno / Posizione IdS per città: la questione Torino/Mezzogiorno d’Italia (capoluoghi) secondo l’IdS dal 2015 al 2023.

 

Figura 1. Anno / Posizione IdS per città: la questione Torino/Mezzogiorno d’Italia (capoluoghi) secondo l’IdS dal 2015 al 2023.

 

Al di là di tutte le evidenze numeriche, sembra che sia la storia a suggerirci la necessità di dover disporre di una chiave di interpretazione nuova per l’implementazione delle attività sportive proposte dal nuovo comma costituzionale per poter uscire dall’impasse di una Questione meridionale nello sport, che nel confermare di essere ancora una realtà oggettiva da considerare, non accenna a mitigare la sua ingombrante presenza nella vita della nostra nazione. La novità inserita nell’art. 33 offre una positiva possibilità: lo sport non come “arma di distrazione di massa” (strumenti –mediatici o non– utilizzati per distrarre dai problemi reali, riconducibile al Panem et Circenses di Giovenale) bensì come “Mezzo di educazione di massa” (Meda, 2016); tale tesi, oltre ad un’ampia letteratura, ha il sostegno di un preciso e recente progetto di ricerca del CNR (Caruso et al., 2018).

Affinché ciò avvenga, il dettato costituzionale dovrà trovare applicazione omogenea su tutto il territorio nazionale.

La quantità di associazioni sportive nate più facilmente nel Nord Italia (Fabrizio, 1977), il monopolio della Scuola Normale di Torino che dal 1874 era stata l’unica autorizzata dal Ministero a preparare i professori di ginnastica per il secondo grado d’istruzione e per le scuole normali (Alfieri, 2017), le difficoltà igienico-sanitarie (Ferrara, 1992; Elia, 2018) oltre quelle economico-sociali delle popolazioni meridionali, sono stati deterrenti allo sviluppo di Associazioni ginnastiche o Comunità di pratica sportiva, ritenendo i due termini congruenti.

Come espresso da Wenger, (1999) le CdP (nel nostro caso CdPS, di pratica sportiva) sono gruppi di persone che condividono un interesse/lavoro o una passione per qualcosa che fanno e che imparano a fare meglio perché interagiscono regolarmente; i membri delle Cdp possono ottenere aiuto rispetto a problemi immediati, e nel lungo termine la pratica sviluppata dalla comunità sostiene tutta l’organizzazione con la creazione di valori tangibili e intangibili.

Nella pratica sportiva i valori tangibili sono intuitivamente quelli legati agli aspetti biomedicali ed economici; quelli intangibili sono quelli pedagogici, sociologici, culturali ed etici, come già espresso da Mango & Castaldo (2020) e da Castaldo (2010, p. 248; 2019) con la presentazione dell’SPS, e/o come ampiamente già riportato dalla Filosofia dello sport con MacIntyre (2007), Simon (1994), English (1978) e Boxill (2003). L’implementazione delle CdPS è nel solco tracciato dal nuovo comma costituzionale; in questa opera, l’attivismo e il sostegno delle Società Scientifiche è assolutamente necessario, indispensabile e atteso, affinché tutte le Facoltà di Scienze Motorie e sportive sull’asse Torino/Napoli o nord/sud sentano il dovere di adeguarvisi tracciando percorsi di formazione confacenti al telos costituzionale.

 

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[1] Area di studi nata nel Regno Unito nel 1964, all’Università di Birmingham, dove fu fondato il Centre for Contemporary Cultural Studies (CCCS); un luogo per laureati e ricercatori insoddisfatti da pensiero accademico e vita intellettuale allineati ed incanalati (disciplinati) da una organizzazione disciplinare che separava determinati tipi di questioni e di attività’ (Bowman, 2011).

[2] Con il termine rizoma, Deleuze e Guattari (2014) intendevano un modello semantico da opporre alla concezione ad albero che prevede una gerarchia, un centro, e un ordine di significazione. Il rizoma collega un punto qualsiasi con un altro punto qualsiasi, ed è un sistema acentrico, non gerarchico e non significante.