Rehabilitating disability: Sensobiographic walks for a city that learns to include

 

Riabilitare la disabilità: Le passeggiate sensobiografiche per una città che apprende ad includere

 

Antonella Cuppari

Università degli Studi di Milano-Bicocca (Milan, Italy) – antonella.cuppari@unimib.it

https://orcid.org/0000-0002-6913-1573

 

Angela Colucci

Politecnico di Milano (Milan, Italy) – angela.colucci@polimi.it

https://orcid.org/0000-0002-3830-7564

 

ABSTRACT

The paper presents the results of an investigation involving people with disabilities and university students on the topic of the inclusive public city. It is framed by the VIVIinclusi project, promoted by Politecnico di Milano - Campus of Lecco in collaboration with the Municipality of Lecco and nonprofit organisations. The project aims to activate action-research and co-production paths with local actors in order to identify urban innovation strategies and tools for an inclusive public city. The investigation used the method of sensobiographic walks and involved people with disabilities attending daily and residential socio-educational services in order to get to know their point of view on the city. The research not only provided elements for the second phase of co-designing, but also allowed for a critical reflection on the inclusive quality of the city and its services.

 

L’articolo presenta i risultati di un’indagine che ha coinvolto persone con disabilità e studenti universitari sul tema della città pubblica inclusiva. A fare da cornice il progetto VIVIinclusi, promosso dal Politecnico di Milano – Polo territoriale di Lecco in collaborazione con il Comune di Lecco ed Enti del Terzo Settore. Il progetto ha lo scopo di attivare percorsi di ricerca-azione e di coproduzione con gli attori del territorio per individuare strategie e strumenti di innovazione urbana per una città pubblica inclusiva. L’indagine si è avvalsa del metodo delle passeggiate sensobiografiche e ha coinvolto persone con disabilità frequentanti i servizi socio-educativi diurni e residenziali al fine di conoscere il loro punto di vista sulla città. La ricerca, oltre ad avere fornito elementi per la seconda fase di co-progettazione, ha permesso di riflettere criticamente sulla qualità inclusiva della città e dei servizi.

 

KEYWORDS

Learning cities, Disabilities, Creative Diversity, Inclusion, Sensobiographic walks

Città che apprendono, Disabilità, Diversità creativa, Inclusione, Passeggiate senso-biografiche

 

CONFLICTS OF INTEREST

The Authors declare no conflicts of interest.

 

AUTHORSHIP

L’intero articolo è il risultato di un lavoro di ricerca e scrittura comune. Le autrici assumono la responsabilità delle seguenti sezioni: Sezione 1 (A. Cuppari); Sezione 2 (A. Colucci); Sezione 3 (A. Cuppari); Sezione 4 (A. Cuppari); Sezione 5 (A. Cuppari); Sezione 6 (A. Cuppari, A. Colucci).

 

RECEIVED

February 19, 2024

 

ACCEPTED

June 19, 2024

 


 

1. La sfida dell’inclusione: città che apprendono creativamente dalla diversità

 

Il concetto di inclusione è presente nella Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (2006), che parla di “piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società”, nella missione 5 Inclusione e Coesione del PNRR e, in Lombardia, nella legge regionale in materia di Vita Indipendente (LR. 25/2022) quando, all’articolo 1, esplicita tra le finalità il “sostegno alla vita indipendente, garantendo l’inclusione nel tessuto sociale ed evitando l’isolamento o la segregazione”. Il concetto di inclusione sposta il focus dai bisogni ai diritti (Cuppari, 2023; Marchisio, 2019), restituendo piena cittadinanza alle persone, quali siano le diversità di cui sono portatrici.

In una revisione della letteratura sulle barriere e facilitazioni all’inclusione sociale delle persone con disabilità intellettiva condotta da Overmars-Marx e collaboratori (2014), emerge quanto l’inclusione sia un processo dinamico e complesso che vede l’interazione di fattori ambientali e caratteristiche personali. Tuttavia, emerge anche quanto il punto di vista di queste persone sia spesso poco considerato (Overmars-Marx et al., 2014). Alcuni studi mettono in evidenza come i luoghi abbiano un ruolo attivo nel dare forma alle esperienze delle persone con disabilità intellettiva, rivelando momenti di inclusione nel quartiere affiancate ad esperienze di esclusione e discriminazione (Power & Bartlett, 2018).

L’inclusione è anche presente in due obiettivi dell’Agenda 2030: l’obiettivo 4 “Garantire un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e promuovere opportunità di apprendimento continuo per tutti” e l’obiettivo 11, in particolare i target 11.3 “Urbanizzazione inclusiva e sostenibile” e 11.7 “Fornire accesso a spazi verdi e pubblici sicuri e inclusivi”. Pensare l’inclusione sociale in relazione ai luoghi significa interrogarsi sulla qualità inclusiva delle città e dei servizi in esse presenti. Secondo il Rapporto 2021 dell’Institute of Lifelong Learning (UNESCO 2021) oltre 4,2 miliardi di persone vive in città e questo dato è destinato ad aumentare. La sfida di questa rapida urbanizzazione è assicurare abitazioni e strutture adeguate a supportare il benessere della popolazione vulnerabile, garantendo opportunità di apprendimento nelle città che tengano conto delle differenze di chi apprende. Sempre secondo tale report, l’inclusione sociale è un processo che è sostenuto da due principi: il principio di accessibilità e il principio di coinvolgimento e partecipazione attiva. Lo sviluppo inclusivo necessita quindi di una continua analisi dei gruppi inclusi ed esclusi dal miglioramento delle condizioni di vita della società in generale (Gubta, Pouw & Ros-Tonen, 2015; Sachs, 2005). Ciò nella consapevolezza che la disabilità non è una categoria data ma un concetto in evoluzione che risulta dall’incontro tra l’individuo, le sue menomazioni e le barriere ambientali (WHO, 2001).

Secondo Ferreira e collaboratori (2021) lavorare per promuovere una città pubblica inclusiva implica domandarsi costantemente: chi beneficia di quel particolare bene/servizio pubblico? Come può essere aumentato l’empowerment delle persone marginalizzate?

La città pubblica inclusiva è una città dove le persone apprendono a vivere insieme, a partire dalla consapevolezza delle disuguaglianze ma anche dei contributi che le persone con disabilità possono portare alla società (Delors, 1996). Essa ha una complessità multidimensionale in cui le dimensioni fisico-morfologiche, funzionali, relazionali e culturali sono inestricabilmente legate nella costruzione di paesaggi, narrazioni e identità (UCLG, 2022). Se è essenziale intervenire sulle infrastrutture fisiche della città pubblica per rendere l’ambiente urbano accogliente e abilitante, al contempo, è fondamentale aumentare l’accessibilità alle funzioni per garantire a tutti la fruizione dei servizi/strutture pubbliche, diventando agenti attivi e consapevoli della sostenibilità e della resilienza urbana. Considerare la dimensione culturale e relazionale significa incoraggiare le relazioni sociali, favorire una comunità coesa, promuovere la diffusione di un cambiamento culturale e mettere in atto comportamenti e pratiche individuali più inclusive.

La diversità creativa può costituire un concetto utile a pensare le potenzialità evolutive insite nell’inclusione. Concetto elaborato in relazione ai sistemi socio-ecologici e alle condizioni dinamiche volte ad affrontare le sfide dell’Antropocene, la diversità creativa agisce con risposte adattive orientate alle opportunità di crescita ed evoluzione per mantenere e aumentare le capacità di resilienza degli ecosistemi (Colucci, 2022). Applicata alla dimensione sociale, essa implica il riconoscimento del valore della diversità come risorsa essenziale per l’adattamento e l’evoluzione.

È possibile, quindi radicare la progettazione e l’approccio inclusivo alla città pubblica nel presupposto che tutti sono risorsa per il nostro futuro comune: tutti possono, cioè, essere considerati agenti consapevoli per immaginare il cambiamento e coinvolti attivamente come attori che forniscono conoscenze e capacità progettuali intenzionali, ivi compresi e soprattutto i settori di popolazione così definiti fragili e vulnerabili.

 

2. Il progetto VIVInclusi

 

Il progetto Lecco VIVinclusi nasce nel 2022 attraverso un accordo ex art. 15 L. 241/1990 Comune di Lecco / Politecnico di Milano – Polo territoriale di lecco e coinvolge diversi Enti di Terzo Settore. Il progetto prevede l’attivazione di tavoli strategici ed operativi mirati a declinare l’inclusione quale tema intersettoriale per le politiche comunali. L’obiettivo è coinvolgere attivamente molteplici attori e comunità nell’individuazione di criticità e nell’immaginare possibili futuri assetti della città pubblica, per renderla più inclusiva e accogliente per tutti.

La città pubblica è spesso emersa come ostile all’accoglienza di attività lente capaci di stimolare la costruzione di relazioni con lo spazio e con le persone. Gli spazi pubblici sono infatti spesso utilizzati e dedicati al transito e parcheggio di automobili.

Il progetto Lecco VIVInclusi si è composto di due fasi. La prima fase esplorativa, realizzata tra giugno e ottobre 2023, ha coinvolto diversi settori della popolazione urbana (bambini delle scuole, studenti universitari, anziani, persone con neurodiversità e con disabilità). L’obiettivo era quello di far emergere e conoscere le peculiari prospettive sulla città di queste persone, riconoscendole come agenti di significazione. Ciò ha implicato un approccio interdisciplinare che ha coinvolto sia strumenti di progettazione urbana partecipativa sia metodologie di ricerca educativa incorporata per combinare strumenti più tecnici (come le mappe) con narrazioni in grado di ibridare le conoscenze in una rappresentazione collettiva della città pubblica.

La seconda fase di co-progettazione, che si svilupperà nell’arco di tutto il 2024, prevederà lo sviluppo di strategie, idee e progetti per la città pubblica che coinvolgeranno attivamente tutti i partecipanti per migliorare l’inclusività.

 

3. Il metodo esplorativo delle passeggiate sensobiografiche

 

L’indagine esplorativa oggetto di questo contributo ha coinvolto sette persone con disabilità intellettiva – una delle quali con ridotta mobilità - in passeggiate sensobiografiche per la città, svolte tra giugno e ottobre 2023.

La passeggiata sensobiografica è una forma di ricerca etnografica incorporata, sensibile all’esperienza sensoriale, biografica e culturale dei partecipanti (Järviluoma, 2017; Järviluoma & Murray, 2023), che possiede un potenziale di apprendimento per la sua capacità di creare relazioni e conversazioni inedite, alimentando un senso di familiarità e curiosità (Luraschi 2021). Secondo Springgay e Thuman (2017) il camminare con è una forma di solidarietà e di impegno critico che valorizza e riconosce i saperi situati. I partecipanti alle passeggiate sensobiografiche comunicano come corpi parlanti, utilizzando le “qualità interattive e il linguaggio del corpo” (Coffey 1999, p. 270).

Sul piano operativo, tale metodo mette in relazione due persone con storie di vita distanti che camminano, attivando un dialogo e uno scambio costante sulle sensazioni nel paesaggio. Nel fare ciò, i partecipanti utilizzano tutte le loro sensibilità e conoscenze per esplorare e rappresentare con la narrazione la città, condividendo la complessa natura incarnata dell’esperienza e della conoscenza. Nelle passeggiate sensobiografiche, l’esplorazione fisica è un aspetto essenziale della metodologia: l’esperienza di camminare e di essere “contaminati” nella e dalla città pubblica fisicamente ed emotivamente con tutti i sensi (nel raccontare ricordi, incontrare amici o nuove persone) è aspetto essenziale. Un altro aspetto rilevante è che le ricercatrici sono parte attiva nel camminare e nel processo di costruzione collettiva della conoscenza.

Il campionamento per questa indagine è stato criteriale, scelto sulla base del fatto che le persone con disabilità coinvolte nella passeggiata fossero residenti in città, frequentassero servizi diurni o residenziali cittadini e avessero espressioni e comprensioni orali sufficienti a interagire in conversazioni prevalentemente basate su canali di comunicazione verbale. L’ampiezza del campione è stata valutata in relazione alla significatività del materiale narrativo raccolto rispetto agli obiettivi di ricerca e al tempo necessario a completare l’analisi dei dati prima dell’inizio della seconda fase di progetto. Per ognuna delle persone con disabilità che ha scelto di partecipare all’indagine, si è poi affiancato uno studente del corso di progettazione urbanistica del Politecnico di Milano – Polo territoriale di Lecco. L’indagine è stata condotta da due ricercatrici: una afferente al Politecnico di Milano e l’altra affiliata all’Università degli Studi di Milano-Bicocca e operatrice sociale presso una cooperativa sociale del territorio, La Vecchia Quercia di Calolziocorte (LC), Ente di Terzo Settore coinvolto nel progetto.

Le domande al centro dell’indagine sono state: come le persone con disabilità intellettiva percepiscono la città pubblica? Se e in che modo i servizi socio-educativi ne facilitano/ostacolano la fruizione?

Ai partecipanti, ai loro familiari e agli operatori sociali è stato proposto un incontro conoscitivo, dapprima individuale e poi collettivo, in cui presentare la ricerca, gli scopi e la metodologia. La presenza dei familiari/operatori ha permesso di adattare l’incontro alle caratteristiche cognitive e comunicative di ogni partecipante. L’incontro ha inoltre offerto alle persone un contesto dove poter fare domande in merito. A seguito di ciò è stato consegnato e letto insieme il consenso informato, poi sottoscritto dai partecipanti e dai familiari di riferimento. Parallelamente l’indagine è stata presentata agli studenti del corso di progettazione urbanistica candidatisi e anche a loro è stato fatto sottoscrivere un consenso informato.

I punti di ritrovo e partenza sono stati concordati di volta in volta con i singoli partecipanti. Dopo un momento di saluti iniziali la persona con disabilità proponeva allo studente in coppia un percorso a sua scelta per la città. Durante la camminata la persona con disabilità era invitata a raccontare abitudini, sensazioni, ricordi in relazione ai luoghi attraversati. Al tempo stesso lo studente raccontava le sue sensazioni rispetto al luogo che non conosceva e poneva domande all’altra persona. Le ricercatrici camminavano insieme alla coppia, registrando la conversazione e partecipando attivamente.

 

4. Analisi e interpretazione dei dati

 

Attraverso un approccio all’analisi dei dati umanistico-soggettivista (Merrill & West, 2012) le narrazioni sono state rilette a partire da tre dimensioni: (1) il processo e le osservazioni sulla natura delle interazioni tra i partecipanti alle passeggiate; (2) i temi toccati dalle conversazioni; (3) la dimensione etnografica, ovvero le circostanze, le interruzioni, gli incontri e gli avvenimenti durante le passeggiate. Queste tre dimensioni si sono poi connesse con quelle relative alla città pubblica inclusiva (UCLG, 2022) e han fatto scaturire riflessioni che verranno poi riprese nella parte relativa alla discussione. Nell’approccio umanistico-soggettivista l’interpretazione dei dati è co-costruita in un processo collaborativo, ciclico e ricorsivo che coinvolge non solo le ricercatrici ma anche i partecipanti stessi. Il materiale raccolto (registrazioni audio delle conversazioni, immagini fotografiche, note di campo) è diventato spazio collaborativo per l’interpretazione e l’analisi e per lo sviluppo di narrazioni di sintesi curate dalle ricercatrici e poi condivisa con i partecipanti alle passeggiate. I diversi percorsi sono stati poi rappresentati su di una mappa della città (Figura 1).

 

A map of a city

Description automatically generated

Figura 1. Mappa delle aree urbane esplorate durante le passeggiate sensobiografiche.

 

Alle persone con disabilità coinvolte nelle passeggiate è stato chiesto: “Dove ci vuoi portare?”. Le persone hanno scelto percorsi che vivono abitualmente, o in modo autonomo o attraverso attività organizzate dai servizi e dalle associazioni di cui sono parte. Nelle narrazioni, la possibilità di vivere in modo autonomo la città viene ricondotta alla capacità di muoversi in sicurezza senza assistenza e, nel caso di servizi residenziali, all’organizzazione del servizio. Di seguito alcuni riferimenti alle conversazioni tratte dal diario di ricerca:

 

Camminata Paola e Marco. “Qui vengo a bere con gli amici. Prendo il caffè e la brioche, liscia però perché ho il colesterolo alto”. “I tuoi amici sono quelli della casa in cui abiti?” chiede Marco (studente). “Sì, sono loro e con noi vengono anche gli operatori” risponde Paola. “Esci mai da sola Paola?” le chiede Marco. “No, da sola non sono mai uscita. Mio fratello (risiede anche lui nel medesimo complesso abitativo) ogni tanto esce da solo ma io esco quando è il mio turno e me lo dicono gli operatori. Io se posso uscire vado sempre volentieri, altrimenti faccio andare gli altri.”

 

Camminata Martina e Massimo. “Andiamo a vedere il museo dove ho fatto una mostra d’arte (parte di un progetto legato al servizio che frequenta)” ci dice Martina. Martina imbocca una strada, tuttavia, poco dopo, si ferma: “Io non so dove andare di qui per il museo”. “Che strade conosci?” le chiede Massimo (studente). “Conosco solo la strada nuova per andare a casa mia e che passa per il lungo lago e per l’ospedale vecchio. Prima conoscevo una strada ma ora su quella strada ci sono i lavori in corso e non c’è più il semaforo per attraversare” dice Martina.

 

La scelta del percorso diventa anche occasione per la persona di presentare sé stessa e alcuni momenti significativi della propria storia personale:

 

Camminata Elsa e Giovanni. “Vi porto a Lecco dove c’è la chiesa grande (la basilica). Io andavo lì all’oratorio” dice Elsa. Imbocchiamo la via che porta verso la basilica della città ed Elsa ci mostra un edificio, sede di un centro di accoglienza per persone senza fissa dimora: “Questa è la casa per chi non ha la casa” dice. Le sue spiegazioni sui luoghi che stiamo attraversando proseguono mentre avanziamo lungo la via. Dice Elsa in prossimità di un altro edificio: “Qui una volta c’era il coro. Ci andavo anche io ma adesso non più. A me piacerebbe ancora cantare ma ora devo chiedere agli operatori”. Arrivati di fronte alla basilica della città Elsa ci racconta: “Questa è la chiesa grande e questa torre viene chiamata ‘matitone’ dai lecchesi. Una volta è salita in cima alla torre e ho potuto vedere dall’alto le luci della città”.

 

Camminata Dario e Vanessa. Dario vuole mostrarci la casa dove abita con suo fratello e i suoi genitori. Ci racconta che il sabato lavora al banco alimentare gestito dai volontari di un’associazione legata alla parrocchia del suo quartiere. (…) Ci conduce poi in una via privata che collega a una strada adiacente l’oratorio. Dario ci indica il cortile interno: “Lì ho fatto baskin (una forma di basket inclusivo)”.

 

Camminata Giovanna e Nino. Incontriamo Giovanna davanti all’entrata della libreria sociale dove ha iniziato un tirocinio formativo. “Qui spolvero, pulisco e sistemo i libri. Ho iniziato il mese scorso.” dice. Giovanna ci racconta che vive in un quartiere in periferia e che di solito prende il pullman per venire in centro città, uscire con le amiche o con il ragazzo.

 

Per ciò che concerne i temi, la casa è stata più volte oggetto di conversazione: in alcuni casi quella di origine, in altri quella in cui si risiedeva prima del trasferimento nel servizio residenziale o, ancora, quella al centro di esperienze attuali di coabitazione con altri. La casa per alcune persone è stata proposta come prima meta della passeggiata (come nel caso di Paola e Riccardo), mentre per altre ha offerto l’occasione di spiegare il presente e raccontare passaggi significativi della propria vita (come nel caso di Maria):

 

Camminata Paola e Marco. Paola vorrebbe mostrarci la sua vecchia casa dove abitava con il fratello e i suoi genitori ora defunti ma è troppo distante per poter essere raggiunta a piedi nel tempo a disposizione. “Torni mai a vedere la tua vecchia casa?” chiede Marco. “No, non mi capita mai.” risponde Paola. Così sceglie di portarci nei luoghi che frequenta abitualmente ora che vive in un appartamento per l’autonomia.

 

Camminata Riccardo e Matteo. Riccardo ha un passo molto veloce, vuole portarci a vedere “la casa nuova”, un appartamento dedicato alla sperimentazione di settimane di autonomia abitativa. Mentre camminiamo, racconta che la sua mattina inizia presto, con la messa delle 7.00 nella chiesa del suo quartiere. Farà lo stesso alle 17.30 perché a celebrare c’è il parroco che lo aspetta e che lui conosce bene. Una volta giunti all’appartamento per le autonomie, Riccardo saluta velocemente il portiere e si dirige verso l’ascensore, invitandoci a seguirlo. “La settimana prossima verrò qui”. “Ti piacerebbe vivere qui un giorno?” gli chiede Matteo. “No, voglio stare con la mamma.”.

 

Camminata Maria e Mario. Maria ci racconta che abita a Lecco da tre anni mentre prima aveva vissuto un anno e mezzo da sola in un paese della provincia, da quando era rimasta senza genitori. In passato aveva lavorato come collaboratrice scolastica in una scuola primaria ma poi aveva interrotto. Venuti a mancare i genitori, aveva vissuto per circa un anno con un’assistente personale. Successivamente, ci racconta che il suo amministratore di sostegno ha valutato di trasferirla a vivere in quel complesso abitativo, dove ora abita con Paola. “Mi ricordo ancora la data del mio trasferimento. Avevo tanti vestiti che la mia badante aveva messo in un sacchetto nero. Ora in questa casa mi trovo benissimo. Prima pesavo 90 kg ma qui ne ho persi 30. Ora posso mettermi questi vestiti” dice Maria e, così facendo, ci mostra l’abito che indossa.

 

Ci sono stati poi nel corso delle conversazioni temi non riconducibili alla condizione di disabilità ma legati a caratteristiche personali quali l’età, come nel caso di Giovanna:

 

Camminata Giovanna e Nino. “Ti piace questa zona?” chiede Nino a Giovanna. “Questo è un punto di ritrovo per tante persone. C’è un museo, poi c’è la passeggiata sul lago. A me però piacerebbe che ci fosse più intrattenimento giovanile.” risponde Giovanna. “Avresti delle cose da proporre?” le chiede Nino. Lei ci pensa un po’: “Sì, mi piacerebbe ci fosse un cinema, dei punti di ritrovo e dei pub. Ci sono solo due o tre bar in centro. Mi piacerebbe anche avere una discoteca vicino. La prima si trova fuori città e ci sono potuta andare solo una volta.”

 

Per ciò che concerne la dimensione etnografica, gli incontri con i passanti hanno creato occasioni di dialogo e relazione, là dove la zona interessata dalla camminata era un contesto abituale e biograficamente significativo per la persona, come nel caso di Paola e di Dario:

 

Camminata Paola e Marco. Paola ci racconta che la domenica va a messa in basilica e che quella è la strada che solitamente fa con i volontari che la accompagnano. Incrociamo il cimitero e poi svoltiamo a destra per imboccare l’ampio viale del suo quartiere. Incontriamo un netturbino che sta pulendo la strada. Vede Paola ed esclama: “Buongiorno! Abbiamo lo stesso cappellino!”. Ci fermiamo. Paola sorride, ricambia il saluto. Proseguiamo. Incontriamo un’altra donna che si mette a parlare con Paola: “Ciao Paola, ci vediamo oggi alla festa!”. “Sì, ci vediamo dopo, Romina!” risponde Paola. “Quale festa?” le chiede Marco. “Quella dell’associazione” risponde. Paola spiega a Marco che l’associazione è il posto in cui si reca ogni tanto a fare “i lavoretti” insieme ad alcune volontarie, tra cui Romina.

 

Camminata Dario e Vanessa. Abbiamo appena terminato il pranzo e ci rechiamo al bancone per pagare e bere il caffè. Dario prende le nostre tazze sporche e le passa alla barista, “Tieni Laura”, poi saluta il proprietario del locale “Ciao Alessandro!”. Qualche istante dopo ci chiede di uscire. Passiamo davanti ad un bar. “Ciao Dario, che fai?” chiede il barista. “Faccio la loro guida” risponde. Passiamo davanti ad un fruttivendolo. “Ciao Davide!” dice Dario rivolto al fruttivendolo e poi rivolto a noi: “Vengo qui con mia mamma”. Il fruttivendolo esce dal negozio e ci si avvicina dicendo: “Dario è molto bravo a spiegare”.

 

Per Maria, al contrario, che risiede in città da tre anni all’interno di un complesso di appartamenti per l’autonomia abitativa, gli spostamenti in città non generano occasioni di incontro e relazione con persone conosciute ma sono funzionali al bisogno di movimento e a poter realizzare piccoli acquisti personali:

 

Camminata Maria e Mario. Percorriamo una via che ci porta fino a una delle piazze principali della città. Maria ha un passo deciso. Lungo il tragitto incontriamo alcuni bar. “Io qui non ci vado perché costa troppo” dice Maria. “Chi ti dà i soldi per le tue spese?” chiede Mario (studente). “Il mio avvocato (amministratore di sostegno, N.d.A.)” risponde lei, poi aggiunge: “Ora vi porto nel mio negozio preferito dove compro le scarpe”. Proseguiamo su una delle strade del centro fino ad arrivare al calzaturificio. “Ti capita di incontrare qualcuno che conosci girando per la città?” chiede Mario. “Non molto, io di solito esco perché mi piace camminare e per comprare quello che mi serve”.

 

La qualità delle relazioni, infine, non è solo determinata dall’abitudine a frequentare determinati contesti aperti al pubblico ma anche da come alcune caratteristiche comportamentali vengono accolte in un determinato contesto. Di seguito l’esperienza di Riccardo:

 

Camminata Riccardo e Matteo. Arrivati in piazza, un passante riconosce Riccardo e lo saluta. Riccardo risponde al saluto senza guardare la persona negli occhi e senza fermarsi. Il suo passo è svelto e deciso: non è facile tenere quel ritmo. Lungo la passeggiata che ci propone, passiamo davanti ad alcuni bar. Riccardo li descrive, a uno a uno: “Questo bar non mi piace, sono antipatici perché mi trattano male”, dice passando accanto ad uno dei tanti. Poco dopo ci chiede: “Andiamo a prendere il caffè?”. Accettiamo volentieri e lo seguiamo. Riccardo imbocca una via che ci conduce ad una caffetteria che lui sembra conoscere molto bene. “Ciao Giovanni”, dice Riccardo rivolto al barista “Ci fai il caffè?”. Matteo propone a Riccardo di sederci per riposarci un po’. “Va bene, io di solito sono abituato a stare in piedi”. I tavolini del bar sono occupati da altri clienti ma prontamente uno di questi si alza e ci lascia il posto. Il barista viene a portarci il caffè al tavolo: “Ecco signor Riccardo” dice scherzosamente. Riccardo non sembra cogliere l’ironia. Beviamo il caffè e ci racconta che solitamente viene qui da solo, quasi tutti i giorni. A volte va anche a fare colazione con il parroco in un altro bar del suo quartiere ma “non sono simpatici come qui” commenta. “Conosci qualcun altro in questa zona?” chiede Matteo. “Sì, conosco Laura, del negozio di vestiti. Lei mi regala i biglietti per il mio parroco. Io le porto il cartoncino, lei disegna e poi mi regala il biglietto.”. Riccardo si alza e ci propone di andare a conoscere Laura che lavora nel negozio di vestiti accanto. Ci presenta e lei ci dice: “Sì quando posso, mi fa piacere aiutarlo.”. Salutata Laura, proseguiamo la nostra passeggiata. “Come vi siete conosciuti?” chiede Matteo. “Ci siamo conosciuti perché una volta mi ha offerto il caffè e siamo diventati amici”.

 

5. Discussione

 

L’indagine ha messo in luce come i percorsi e le narrazioni proposte dalle persone coinvolte nelle passeggiate non siano riconducibili ad un’unica categoria ombrello ma presentino peculiarità derivanti da fattori diversi. Il modo in cui una persona vive la città pubblica è legato ad aspetti multifattoriali e si compone di elementi intersezionali che appartengono ad ognuno, con e senza disabilità. Giovanna, ad esempio, durante la passeggiata, ha espresso desideri in linea con la sua età (poter fruire di cinema, punti di ritrovo, bar, discoteche). Per Elsa, Dario e Riccardo l’essere cresciuti nel quartiere dove attualmente risiedono, influenza il loro modo di vivere le relazioni nello spazio pubblico. Tali diversità possono costituire una risorsa per l’apprendimento se vengono colte come opportunità per cambiare le domande, le prospettive e le aspettative intorno al modo di rappresentare la città.

La città pubblica è caratterizzata da una complessità multidimensionale, in cui le dimensioni fisico-morfologiche, funzionali, relazionali e culturali sono inestricabilmente legate nella costruzione di paesaggi e identità (UCLG, 2022).

Le dimensioni fisiche, morfologiche e infrastrutturali della città creano contesti che possono facilitare o ostacolare l’autonomia negli spostamenti delle persone e l’instaurarsi di relazioni. Prendiamo ad esempio il medesimo viale percorso in passeggiate diverse: quella con Paola, persona con ridotta mobilità e che necessità negli spostamenti esterni di assistenza personale; quella con Dario, senza problemi di mobilità. Nel caso di Paola, l’uso di una carrozzina per gli spostamenti non sempre ha reso facile la sosta per chiacchierare con la gente che si incontrava, anche perché spesso si era di intralcio a chi era in transito. Oltretutto la scarsa ampiezza dei marciapiedi, la presenza di radici che emergevano dalla superficie del marciapiede ha reso in alcuni casi inaccessibile il transito in alcune vie del quartiere.

Le dimensioni funzionali della città pubblica, la possibilità, cioè, di accedere a spazi e servizi aperti al pubblico, sono state toccate dalle narrazioni in modo diverso. Nel caso di Paola, che fa riferimento un servizio residenziale, le sue possibilità di uscita sembrano per lo più strettamente connesse all’organizzazione del servizio e la sua ridotta mobilità rende la possibilità di decidere dove, quando e con chi uscire nettamente inferiore rispetto ad altre persone residenti e di pari funzionamento cognitivo, senza problemi a deambulare. Nelle narrazioni di Martina ed Elsa, il riferimento ad alcuni luoghi della cultura (musei cittadini) è riconducibile a esperienze nate in seno alle attività programmate dai servizi/associazioni di riferimento. Le dimensioni funzionali della città pubblica sembrano emergere nelle narrazioni come elementi fruiti quasi mai in modo spontaneo dalle persone con disabilità ma quasi sempre in relazione alla programmazione di attività prevista dai caregiver o dai servizi e associazioni di riferimento. Questo dato, se da un lato può essere interpretato come fattore di sostegno e facilitazione (ICF, 2001) alla partecipazione delle persone con disabilità ad attività culturali presenti in città, d’altro canto, apre degli interrogativi su quanto la città, al di fuori dei servizi “dedicati”, sia progettata e organizzata per accogliere accessi liberi di persone che presentino limitazioni nel funzionamento di natura fisica o intellettiva.

Per ciò che concerne le dimensioni relazionali e organizzative, spesso nelle narrazioni sono state citate persone facenti parte di enti religiosi (parroci, volontari di oratori o associazioni a vocazione religiosa, polisportive dilettantistiche legate alle parrocchie). Nelle narrazioni, questi contesti hanno una significativa funzione aggregativa, in particolar modo per la presenza di volontari e cittadini attivi che si mettono a disposizione per coinvolgere le persone con disabilità in attività a loro dedicate o connesse con la comunità di riferimento. D’altro canto, però, ciò apre degli interrogativi rispetto ad altri servizi e contesti in cui questo tipo di vocazione non è presente e dove l’inclusione non può essere data per scontata. Nelle narrazioni di Riccardo, ad esempio, i bar non erano tutti uguali: in alcuni, egli ha trovato persone accoglienti e disponibili con le quali entrare in relazione, in altri casi ciò non è avvenuto. Questo dato può essere anche usato per interrogare la funzione dei servizi di welfare che, oltre ad offrire opportunità organizzate per la fruizione della città pubblica, potrebbero anche operare per potenziare l’inclusività dei contesti, agendo sulla qualità delle relazioni.

Gli apprendimenti hanno anche interessato in prima persona gli studenti coinvolti nel progetto. In un incontro realizzato a novembre 2023 di restituzione sull’esperienza aperto ai partecipanti, sono emerse alcune consapevolezze da parte degli studenti che sono state oggetto di condivisione:

 

Abbiamo capito che la progettazione non si fa solo seduti alla scrivania ma guardandosi in giro e coinvolgendo persone con esigenze diverse.

 

Apprendere come si fa e pensa un progetto per tutti vuol dire esplorare con la curiosità dei bambini e la saggezza degli anziani, apprendere come si vive la città, toccare con mano, uscire dalla comfort zone nella consapevolezza di cosa voglia dire progettare una città per tutti.

 

6. Conclusioni

 

L’indagine esplorativa qui descritta si è collocata all’interno di un progetto interdisciplinare volto a promuovere l’inclusione nella città pubblica. Una città che apprende ad includere crea le condizioni non solo per rendere i propri servizi accessibili in termini strutturali ma anche per favorire la partecipazione attiva di ogni fascia della popolazione, ivi comprese le persone con disabilità. Ciò si connette anche con il cambiamento culturale attivo nell’ambito dei servizi alla persona, che sposta il focus dall’assistenza al riconoscimento dei diritti e fonda la progettazione sociale sul progetto personalizzato e partecipato (Cuppari, 2023; Marchisio, 2019).

Il concetto di diversità creativa (Colucci, 2022), applicato all’ambito delle relazioni sociali, ha offerto un modo per pensare le diversità dentro i dispositivi di progettazione sociale e urbana. Il metodo delle camminate sensobiografiche (Järviluoma, 2017) ha creato situazioni in cui le narrazioni sulla città da parte dei partecipanti hanno potuto intrecciarsi con il qui e ora delle interazioni venutesi a creare tra le diverse persone, le loro storie di vita e gli ambienti della città. Anche se l’indagine si è avvalsa di un campione limitato, essa ha fatto emergere domande che hanno permesso di riflettere criticamente sulla funzione sociale dei servizi di welfare e sulla fruizione spontanea della città da parte di queste persone. Le narrazioni, incorporate nell’atto del camminare insieme, hanno inoltre favorito la decostruzione della categoria disabilità facendo emergere peculiarità utili a riconoscere gli aspetti di intersezionalità presenti nelle diverse storie. I risultati emersi da tale indagine hanno permesso di mettere a fuoco alcuni temi e problematiche sulle quali innestare la seconda fase di progetto volta, da un lato, a individuare e selezionare strategie e strumenti di innovazione urbana e, dall’altro lato, a stilare delle linee guida da consegnare all’amministrazione comunale per migliorare l’inclusività della città pubblica. La creazione di spazi per il transito lento e la sosta, con arredi urbani che consentano alle persone di potersi fermare a parlare (dimensioni fisiche e infrastrutturali), il potenziamento di alcuni servizi culturali cittadini al fine di favorire accessi spontanei di persone con menomazioni di natura fisica o intellettiva (dimensioni funzionali), l’empowerment dei contesti, in particolare esercizi commerciali, in direzione di una maggiore capacità di relazionarsi a persone con disabilità di diversa natura (dimensioni relazionali) sono alcune delle tematiche oggetto della seconda fase di progetto.

Mettere in relazione l’ambito dei servizi di welfare con la progettazione urbana, attraverso un metodo d’indagine che preveda il coinvolgimento attivo di fasce di popolazione spesso marginalizzate, può costituire anche per il futuro una pista di lavoro e ricerca utile a interrogare e promuovere l’inclusività nella città pubblica e la funzione facilitante o ostacolante dei servizi per la disabilità.

 

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