Ethics of Care and Self-Care: Perspectives for the Research and Reception of Unaccompanied Foreign Minors

 

Etica della cura e cura di sé: Prospettive per la ricerca e l’accoglienza di minori stranieri non accompagnati

 

Marco Iori

Dipartimento Educazione e Scienze Umane, Università di Modena e Reggio Emilia – marco.iori@unimore.it

https://orcid.org/0009-0009-7930-9361

 

ABSTRACT

This essay aims to focus on the theme of research in the intercultural field, specifically on unaccompanied foreign minors (MSNA [UFMs]). This topic delves into the assumptions, values, and contradictions of neo-liberal society, as viewed through the lens of the ethics of care (Gilligan, 1982; Noddings, 2002) and interpreted using the device of self-care (Foucault, 1984). One primary objective is to highlight how this interpretative framework can serve as a methodological perspective for those engaged in intercultural research, providing a deeper understanding of the characteristics of Constructivist Grounded Theory (Charmaz, 2014). In conclusion, the essay aims to prompt reflection on research methods and the reception of MSNAs in light of these considerations. It also seeks to investigate the researcher and educator’s positioning within the proposed paradigms of reference.

 

Il presente saggio intende rileggere, da un lato, il tema della ricerca in ambito interculturale e dall’altro le pratiche di accoglienza, in particolare dedicate ai minori stranieri non accompagnati (MSNA). secondo la prospettiva dell’etica della cura (Gilligan, 1982; Noddings, 2002) e attraverso le lenti interpretative del dispositivo della cura di sé (Foucault, 1984). Uno degli obiettivi principali è quello di porre all’attenzione come tali chiavi di lettura possano rappresentare una prospettiva, anche metodologica, per chi si approccia a questioni interculturali, proponendo come opzione coerente la Constructivist Grounded Theory (CGT). Si intende inoltre sollecitare una riflessione sulle modalità di ricerca e di accoglienza dei MSNA alla luce di tali considerazioni, investigando il posizionamento del ricercatore e dell’educatore, a fronte dei paradigmi di riferimento proposti.

 

KEYWORDS

Ethics of care, Self-care, Intercultural pedagogy, Constructivist Grounded Theory, UFMs

Etica della Cura, Cura di Sé, Ricerca Interculturale, Constructivist Grounded Theory, MSNA

 

CONFLICTS OF INTEREST

The Author declares no conflicts of interest.

 

RECEIVED

January 18, 2024

 

ACCEPTED

April 23, 2024


 

1. Introduzione

 

Il presente lavoro, rifacendosi al concetto di prassi proposto da Freire, trae origine dalla profonda convinzione che teoria e azione siano inscindibilmente intrecciate, come unione di pensiero e azione da parte di soggetti attivi, protagonisti dei propri processi di apprendimento e, in generale, della propria vita (Freire, 1970). Non esiste ricerca realmente efficace e feconda che si allontani dal sapere di chi vive quotidianamente i contesti e le situazioni indagate, dalla concretezza della realtà studiata. Così come non si può immaginare il miglioramento e la crescita teorico-pratica dei molteplici contesti senza una relazione con il pensiero riflessivo, l’astrazione, la conoscenza delle diverse posizioni circa un determinato tema e, infine, la sintesi rispetto al sapere emerso.

È con questo presupposto che si intendono affrontare unitamente le pratiche di accoglienza dei MSNA e la ricerca ad essi dedicata proponendo lenti interpretative interagenti e sistemiche che possano arricchire gli sguardi di chi di esse si occupa: l’etica della cura in una prospettiva femminista (Gilligan, 1995) e il dispositivo della cura di sé (Foucault, 1984). Ciò che si vuole indagare, attraverso una ricostruzione concettuale e archeologica è, in generale, la potenzialità di queste prospettive nel guidare la costruzione di progetti di ricerca in campo interculturale, in particolar modo grazie, da un lato, alla loro forte ottica relazionale e, dall’altro, alla riflessione che inducono, in modo sovradeterminato, circa la società e i valori fondanti le pratiche di accoglienza e il rapporto con l’alterità. Al contempo si crede che possano rappresentare utili spunti di riflessione per rileggere e approfondire tali presupposti teorici, coniugandoli nella prassi quotidiana, facendoli dialogare con essa, individuando possibili scenari di intervento. In questo senso si proporrà quindi una riflessione circa le figure del ricercatore e dell’educatore e di come possano essere a loro utili tali approcci.

 

2. L’etica della cura come orizzonte di senso

 

L’etica della cura è una prospettiva che viene proposta da Gilligan all’inizio degli anni Ottanta, con lo scopo di ampliare la riflessione circa lo sviluppo morale studiato insieme al collega Kohlberg, che aveva concentrato la propria attenzione sul processo di sviluppo volto al raggiungimento della maturità morale, ponendo come elemento centrale il principio dell’etica della giustizia (Kohlberg, 1981, 1984). Dalle ricerche di Gilligan emerge come tale visione sia fortemente legata al maschile ed escluda sostanzialmente il vissuto e la voce femminili, la cui valorizzazione spinge a proporre un cambio di paradigma, dall’etica del patriarcato in favore dell’etica femminista della cura (Gilligan, 1995). Le esperienze infantili durante tutte le fasi dello sviluppo, assai dissimili per maschi e femmine, hanno un’alta incidenza sulla creazione delle immagini del sé, sulle concezioni delle relazioni e influiscono fortemente sull’idea di giustizia e di gerarchia, che assumono un ruolo determinante per i maschi, e di rete, in un’ottica maggiormente relazionale, per le giovani donne (Gilligan, 1982). L’analisi delle discussioni di ragazze e ragazzi porta quindi a individuare differenti metafore connesse a diversi ideali e concezioni etiche che incidono sul discernimento morale e, di conseguenza, sulle azioni compiute in ottemperanza ad esso (Gilligan, 1982). Gilligan si spinge inoltre a distinguere tra etica femminile, focalizzata sul dovere, sul sacrificio e sulla predisposizione all’altruismo, e etica femminista, che ha invece tra le proprie fondamenta l’incontro con l’alterità, l’intreccio di relazioni autentiche e la connessione con le proprie emozioni (Gilligan, 1995). Dopo di lei diverse studiose hanno indagato e rilanciato tale prospettiva, e tra queste Noddings (1988) ha offerto il proprio contributo individuando nella cura il principio base della vita etica, a discapito del ragionamento morale (Kohlberg, 1981). e dedicandosi alla definizione dei fattori determinanti dell’educazione morale fondata sulla cura, in contrapposizione alle precedenti proposte caratterizzate da un approccio cognitivista (Noddings, 2002). Noddings ha quindi descritto quattro elementi, cui fondamenta è la relazione di fiducia tra studenti e insegnanti: modeling, dialogue, practice e confirmation. Per modeling si intende l’esempio fornito dall’insegnante, in termini di valori, cura e attenzione nei confronti degli altri, da un lato dichiarati e dall’altro agiti dall’insegnante durante il suo lavoro, nell’ambito di relazioni con gli studenti e i colleghi. Il dialogo tra insegnanti e studenti, viene definito come un incontro schietto e interessato tra diversi punti di vista, individuando una mediazione tra essi attraverso una relazione di fiducia, rispetto reciproco e ascolto autentico dell’altro. La relazione di cura deve essere sperimentata e vissuta nella pratica quotidiana, attraverso la valorizzazione del supporto reciproco e mediante una modifica degli stili di insegnamento verso modalità cooperative e una didattica interattiva (Noddings, 1988). Al contempo è estremamente importante che l’insegnante abbia aspettative alte, seppure realistiche, sugli studenti e sulle loro capacità di apprendimento e di espressione delle proprie competenze, sostanzialmente tramite una conoscenza profonda della persona con cui hanno a che fare, delle sue emozioni, desideri, paure, così da poter realmente individualizzare la proposta didattica (Noddings, 2002, 2010).

La centralità che acquisisce la relazione con l’alterità, la valorizzazione di tale incontro, di una posizione in ascolto autentico e dello scambio che vi si realizza, è dirimente per il prosieguo della trattazione, e in particolare nell’analisi di come strutturare da un lato una ricerca, a maggior ragione in ambito interculturale, che coinvolga realmente, in qualità di protagonisti, i soggetti a cui si dedica e dall’altro percorsi di accoglienza per minori stranieri non accompagnati, in unione al dispositivo foucaultiano della cura di sé.

 

3. La cura di sé di Foucault: un dispositivo per l’esercizio di pratiche di libertà

 

Col dispositivo della cura di sé Foucault ci spinge a riflettere, anche in termini pedagogici, sulla relazione che intercorre tra il soggetto e sé stesso, e, per quanto riguarda la dimensione processuale, sulla progettualità che l’individuo può definire e organizzare rispetto alla propria vita, conducendolo alla padronanza di sé (Foucault, 2018). Foucault intraprende tale percorso di ricerca per provare a rispondere al quesito: “Come è giunto l’essere umano a costruire la propria identità tramite determinate tecniche etiche del sé?” (Foucault, 1992). Quello che Foucault definisce come cura di sé consiste in una molteplicità di pratiche di libertà, ovvero in un individuo che osserva se stesso, come se al contempo fosse oggetto e soggetto del processo di cura, e che si sostanzia in un insieme di comportamenti, di atteggiamenti pratici tra cui la conoscenza di sé, l’autoriflessione, la scrittura intima o rivolta ad altri delle proprie azioni e delle riflessioni ad esse connesse, mediante i quali il soggetto si fa carico di sé, della propria trasformazione, attraverso una costante rilettura del proprio agire (Foucault, 2018). Le radici di tali pratiche vanno cercate nella tradizione classica ed è attraverso lo studio della filosofia greca antica che Foucault evidenzia la valenza pratica delle riflessioni condotte, tra gli altri, da Socrate, Platone, Seneca, Diogene, discostandosi da una delle questioni capitali della ricerca filosofica, ovvero la conoscenza dell’oggetto, la definizione della verità o della conoscenza, per volgersi alle possibilità di trasformazione dell’individuo e ai risvolti concreti che tali idee si prefiguravano di apportare nella vita delle persone, ponendo inoltre in primo piano il ruolo del dialogo e del confronto tra diverse soggettività quali elementi significativi in tale processo (Foucault, 1992). Una dimensione trasformativa che tanto sollecita la pedagogia, fortemente connotata, inoltre, dall’autenticità di tutto il processo, che non deve portare il soggetto a uniformarsi a qualcosa di definito o imposto da altri, cambiando sé stesso per divenire qualcuno che non si desidera essere, ma, al contrario, ciò che egli vuole, ciò che sente di poter essere, partendo dal reale: ovvero ciò che è in quel determinato momento (Foucault, 1984). Conoscere sé stessi attraverso la scrittura e il confronto con altri rappresenta quindi la base da cui partire e il momento culminante della cura di sé, in un processo ricorsivo che si autoalimenta, all’interno del quale l’individuo dimostra la propria capacità e volontà di modificarsi e che caratterizza l’arte dell’esistenza, giungendo alla padronanza di sé in una dimensione caratterizzata dalla tensione sempre presente tra cura di sé e cura degli altri. Le tecnologie del sé, per Foucault, sono quelle:

 

“che permettono agli individui di eseguire, coi propri mezzi o con l’aiuto degli altri, un certo numero di operazioni sul proprio corpo e sulla propria anima – dai pensieri, al comportamento, al modo di essere – e di realizzare in tal modo una trasformazione di sé stessi allo scopo di raggiungere uno stato caratterizzato da felicità, purezza, saggezza, perfezione o immortalità.” (Foucault, 1992, p. 13).

 

Foucault si occupa inoltre del rovesciamento di priorità tra il precetto conosci te stesso, che ha assunto maggiore importanza nel mondo moderno e che funge da base per moralità rigorose e principi di austerità e di rinuncia, e il prenditi cura di te, che invece era prioritario nella cultura greco-romana, tanto da essere ritenuto il compito fondamentale da svolgere lungo tutta la propria vita (Foucault, 1992). Secondo questa lettura la parresia, il dire la verità, ed il suo valore etico si traducono quindi nella forma che ciascuna persona intende dare alla propria vita, non tanto in base a derive individualiste, ma sulla base di coerenza morale, ascolto e analisi di sé e dei propri comportamenti, con risvolti chiari e significativi nel rapporto con se stessi che ciascuno sviluppa e cura, e che conduca ogni essere umano a divenire un soggetto responsabile e consapevole delle proprie azioni (Foucault, 2005).

I riflessi pedagogici del pensiero foucaultiano riguardano in prima battuta la concezione del soggetto che viene interpretato, secondo il dispositivo della cura di sé, come capace di intervenire sulla propria vita, per realizzarla, per compierla, invece che parteciparvi da spettatore. Emerge inoltre in maniera decisa la contrapposizione a un certo tipo di educazione, trasmissiva, depositaria, focalizzata sulle nozioni e non sulla promozione del pensiero critico e della possibilità, per l’individuo, di dire la verità e di essere pienamente se stesso. Infine, l’idea di maestro che Foucault dipinge, presentando in particolare figure quali Socrate, Diogene e Seneca, ha come elemento cardine la capacità di dire la verità, di essere parresiasta, in ogni condizione e a qualunque costo, anche in contrapposizione al buon senso comune, a certe norme e agli insegnamenti della famiglia o di altri maestri che, invece di renderli liberi li incatenano (Foucault, 2005). Questa caratteristica produce, nella relazione tra maestro e allievo l’innescarsi di un processo formativo e autoformativo in quanto viene resa esplicita la competenza del pensiero di ciascuno dei soggetti coinvolti e l’individuazione di strategie per prendersi realmente cura di sé (Cappa, 2009). Il Maestro è inoltre una figura caratterizzata da coerenza tra il dichiarato e l’agito e dall’essere immerso in un percorso personale di autorealizzazione e diventa il mediatore che porta l’individuo a porsi domande radicali su se stesso, sulla propria vita e sul come poter essere realmente se stessi (Foucault, 2005).

Nell’ottica proposta da Foucault, il rapporto del soggetto con ciò che lo circonda supporta, in termini di conoscenza, tale processo di cura di sé, che non si riduce ad un percorso intimo, privato e solipsistico, ma include un allontanamento dal proprio punto di vista, per decentrarsi e acquisire uno sguardo altro mediante un processo di analisi e messa in dubbio continua delle proprie motivazioni e azioni (Foucault, 2018).

 

4. Constructivist Grounded Theory: fare ricerca con un chiaro posizionamento etico

 

Ci occupiamo in primis della ricerca in qualità di ambito in cui sperimentare tali lenti interpretative, evidenziando come la metodologia Constructivist Grounded Theory (CGT) si sia dimostrata particolarmente coerente da un lato con tali presupposti e dall’altro in ambito interculturale. L’interpretazione costruttivista della Grounded Theory (GT) proposta da Katy Charmaz ponendo tale approccio nell’ambito dell’epistemologia della complessità (Bateson, 1977; Morin, 1993) ha innanzitutto collocato tra le proprie basi l’idea che la realtà sia un’interpretazione del soggetto e i dati siano quindi intrinsecamente legati all’individualità di chi li raccoglie e non vi sia neutralità in tale processo (Charmaz, 2014). La CGT si discosta infatti dagli assunti positivistici della GT (Tarozzi, 2008) e concepisce il processo di creazione della teoria non come una scoperta, ma come una co-costruzione, così come per quanto riguarda i significati che la connotano e che il ricercatore e i soggetti coinvolti nella ricerca condividono e costruiscono insieme (Charmaz, 2014). La CGT individua, infatti, come elemento caratterizzante il coinvolgimento diretto dei soggetti destinatari della teoria prodotta, in quanto co-creatori di tale teoria e dei significati che la sorreggono. Una teoria elaborata attraverso l’impianto metodologico della CGT, oltre a essere rigorosa e aderente ai dati raccolti, tra cui spiccano le opinioni dirette dei soggetti destinatari della teoria, protagonisti contemporaneamente della ricerca e del contesto nel quale la teoria si situa, si caratterizza per la rilevanza, ovvero per la sua specifica densità concettuale e per l’alto potere esplicativo che ne fanno un contributo importante al contesto a cui si rivolge, restituendo e approfondendo la complessità della situazione indagata (Tarozzi, 2008). Una ulteriore sua caratteristica è che funzioni, cioè che sia efficace e effettivamente utilizzabile nel contesto studiato. Questo può avvenire esclusivamente se la voce dei protagonisti viene valorizzata tanto da elaborare una teoria che, da un lato spieghi le caratteristiche di una determinata situazione, e, dall’altro, possa essere tradotta in scelte operative e processi decisionali dagli operatori che quotidianamente vivono quel contesto.

Nel caso della ricerca “Imparando a stare nel disordine” la CGT si dimostra efficace nel contesto interculturale e coerente con i principi dell’etica della cura e della cura di sé sopradescritti per il suo forte afflato etico da diversi punti di vista (Bianchi, 2019a). Innanzitutto, la posizione della ricercatrice è volta a rendere esplicita, durante tutta l’evoluzione del processo, la sua relazione nei confronti dello studio, i partecipanti, la committenza, dimostrando capacità metacognitiva, e imparando a “considerarsi un sé-relazionale”, non rifuggendo, ma riconoscendo e rendendo esplicite le inevitabili relazioni di potere, e i molteplici vissuti dei soggetti coinvolti, che ne formano le identità (Bianchi, 2019b, p. 17). D’altro canto, emerge l’importanza attribuita da parte della ricercatrice all’approfondimento metacognitivo continuo e ricorsivo, in relazione ai processi che mette in atto nel rapporto con i partecipanti, alla riconfigurazione continua, durante tutto lo svolgersi della ricerca, traducendosi in una negoziazione anche in termini etici. In secondo luogo, caratteristica di tale impianto metodologico si è rivelata la decostruzione di logiche semplificanti e riduttive in modo da dare vita a una progettazione di ricerca intesa come impegno alimentato dall’etica (Charmaz, 2014; Bianchi, 2019b). Nella prospettiva CGT il ricercatore è chiamato, anche in termini di propria responsabilità, a domandarsi continuamente, in maniera metacognitiva, come si è posto in una determinata situazione, come si è relazionato nell’ambito delle interviste, quanto ha esplicitato i valori alla base del progetto di ricerca, quanto è riuscito ad ascoltare sinceramente le posizioni altrui, quanto e come ha richiesto informazioni e collaborazione, sostanzialmente affrontando l’inevitabile ambiguità che scaturisce nell’ambito della ricerca qualitativa, ovvero nell’incontro con la realtà (Bianchi, 2019b). Morin ci aiuta a capire che rivolgere lo sguardo a pratiche metodologiche tradizionalmente basate sulla applicazione indiscriminata delle regole dell’evidenza, dell’analisi, della sintesi, e dell’enumerazione presuppone un pensiero semplificante e una intelligenza cieca che “distrugge sul nascere le possibilità di comprensione e di riflessione, eliminando anche tutte le possibilità di giudizio corretto o di una visione a lungo termine” (Morin, 1989, p. 31). 

Altro elemento caratterizzante la CGT e l’esempio da noi individuato della ricerca “Imparando a stare nel disordine”, che traduce concretamente la vocazione relazionale dell’etica della cura e la tendenza al decentramento descritto da Foucault, è la consapevolezza dell’etica emergente (Charmaz, 2014) che si crea nell’incontro tra diversi obiettivi, valori, vissuti, aspetti umani e professionali e motivazioni che guidano ciascun soggetto coinvolto. Ciò che ne scaturisce è un’etica originale e unica in continua evoluzione legata alla ricorsiva riflessione del ricercatore circa le proprie azioni e decisioni durante tutto l’arco della ricerca, come sono entrate in relazione con le diverse alterità incontrate e gli esiti sorti da tale incontro.

 

5. Una prospettiva per la ricerca e l’accoglienza dedicate ai MSNA

 

Provando a rispondere allo scopo del presente contributo si vuole ora indagare come l’etica della cura (Gilligan, 1982; Noddings, 2002) e la cura di sé (Foucault, 1984) possano rappresentare efficaci prospettive di intervento per quanto riguarda la posizione assunta dal ricercatore in ambito interculturale e dall’educatore che si occupa di accoglienza di minori stranieri non accompagnati. 

La ricerca interculturale, così come ogni ricerca, richiede un posizionamento etico, implicito o esplicito che sia, da parte di chi la realizza, ovvero innanzitutto una serie di valori di riferimento, la decisione su come ci si intende muovere nel corso della ricerca, e poi l’azione coerente con tali scelte.

L’etica della cura offre, in questo senso, un orizzonte chiaro per la ricerca interculturale e in particolar modo dedicata ai MSNA, in quanto individua come capisaldi l’incontro con l’alterità, vissuto come un momento di ascolto e di valorizzazione delle diverse soggettività, il dialogo autentico e la concezione della realtà come una rete di relazioni tra soggetti.

Le caratteristiche del contesto di ricerca, quando ci si occupa di MSNA, sono innanzitutto la complessità, la continua evoluzione del fenomeno (normativa, quantitativa e qualitativa). l’articolazione su diversi e sfaccettati livelli (Anzaldi & Guarnier, 2014; Bertozzi, 2005; Bianchi, 2019a) e ciò richiede una maggior attenzione di carattere relazionale, una predisposizione alla flessibilità e alla ricettività dei molteplici segnali, sapendo coniugare accortezza relazionale, umiltà e curiosità.

La posizione che ne deriva è, in sostanza, un atteggiamento di sensibilità teoretica (Tarozzi, 2008, pag. 116) nella quale il ricercatore sia in grado di sospendere il proprio giudizio, gestire secondo un approccio metacognitivo la propria intenzionalità, prendersi cura della inevitabile dimensione relazionale che caratterizza ogni processo di ricerca, che è per sua natura un incontro con l’alterità, e saper abitare, infine, il caos, ovvero l’assenza di chiarezza deterministica e di semplificazioni dualistiche, per accettare e convivere con la complessità, l’imprevisto, le regressioni, l’inatteso con flessibilità, pazienza e determinazione.

Al contempo assumere la cura di sé come prospettiva di riferimento induce a considerare l’attitudine etica del ricercatore come elemento dirimente del processo, in quanto emerge e si traduce nei molteplici passaggi della ricerca: nella relazione con la committenza, con i colleghi e con i partecipanti, nella costruzione del canovaccio dell’intervista, nella trasparenza rispetto a tutti i passaggi ricorsivi di lettura e rilettura dei dati e di quanto da essi emerge, nella coerenza tra i dati stessi e le interpretazioni del ricercatore (Bianchi, 2019b). Tale tensione si sostanzia inoltre nella responsabilità del ricercatore durante tutto l’arco della ricerca in quanto soggetto che entra a diretto contatto con le idee e le vite di altre persone: co-costruire i significati che le animano, dimostrare un profondo rispetto verso di essi e verso la corresponsabilità di intervistatore e intervistato circa i significati emersi nell’intervista e la corrispondenza di questi con la posizione di ciascuno sono i caratteri salienti di tale responsabilità. Il vincolo che nasce e si sviluppa nel corso dell’intervista intensiva (Charmaz, 2014). la narrazione che ne scaturisce e la generazione di significati sono la cornice entro cui tale vincolo di responsabilità viene giocato dal ricercatore.

Sempre in riferimento alle elaborazioni foucaultiane rispetto alla cura di sé risulta inoltre un elemento estremamente funzionale al processo di ricerca, la continua messa in dubbio delle proprie azioni e delle motivazioni che le hanno guidate, generando così maggiore consapevolezza nel ricercatore, minore superficialità, e maggiore attenzione ai dettagli che via via emergono. Sapersi mettere in discussione, in qualità di ricercatore, porsi continui dubbi sul percorso di ricerca, sulle domande che lo guidano, su quanto emerge, ma anche su come il ricercatore stesso si relaziona con l’evoluzione dello studio e i contenuti che ne emergono, le persone che incontra e i partecipanti alla ricerca, e i significati che tutti insieme co-costruiscono.

Spostando l’attenzione dalla ricerca alle pratiche di accoglienza rivolte ai MSNA e continuando ad adottare l’etica della cura (Gilligan, 1982) e il dispositivo della cura di sé (Foucault, 1984) quali prospettive di riferimento, risulta determinante porre come obiettivi prioritari dell’azione ricettiva dei minori in questa particolare situazione il benessere del soggetto immerso in un contesto collettivo, attraverso innanzitutto l’ascolto e il coinvolgimento di quelle che sono le istanze profonde e singolari che ogni soggetto esprime, tramite la propria unicità. Questo si esprime tramite pratiche responsabilizzanti, in cui vengano valorizzate le competenze e gli interessi di ragazzi e ragazze, ponendo quindi al centro i connotati relazionali dell’esperienza di accoglienza, l’incontro reale con l’Alterità e non la sua banalizzazione attraverso stereotipi e classificazioni (alcuni esempi in Bianchi, 2019c). La pratica riflessiva su ciò che ci circonda e su come vi entriamo in relazione (Foucault, 2018) può diventare inoltre un elemento caratterizzante tali esperienze di accoglienza attraverso l’organizzazione di situazioni esplicitamente dedicate al confronto aperto e diretto sui vissuti dei ragazzi e delle ragazze, sulle aspettative e sulle prospettive di vita.

Per quanto riguarda invece il posizionamento degli operatori che nella quotidianità hanno a che fare con MSNA, riteniamo utile domandarci quale sia il contributo che le prospettive sopra descritte possono fornirvi. Crediamo che una delle possibili risposte sia adottare l’etica della cura e il dispositivo della cura di sé quali elementi di resistenza, ovvero da un lato di individuazione di bisogni educativi celati e non riconosciuti (Contini, 2009) e dall’altro di liberazione dalle prospettive imposte (Mantegazza, 2003). In un contesto di precarietà, di mutevolezza del contesto e delle situazioni da affrontare (Bertozzi, 2005; Bianchi, 2019a) e, spesso, di scarsa supervisione pedagogica, si ritiene fondamentale dedicare attenzione, da parte innanzitutto delle istituzioni coinvolte nella gestione di tali processi (Enti Locali e del terzo settore in primis). alla creazione di spazi e tempi dedicati all’approfondimento dei bisogni, delle aspettative e delle competenze degli operatori, oltre ad apprezzarne e metterne a valore le capacità riflessive in termini di miglioramento della propria condizione. D’altra parte, per gli operatori può dimostrarsi efficace assumere la concezione della propria professione anche in termini di militanza, collegandosi alla resistenza di cui sopra, sperimentando quotidianamente apertura al dialogo, predisposizione all’ascolto attivo e quindi alla valorizzazione dell’alterità, messa in discussione dei propri presupposti di riferimento e delle proprie azioni e autoriflessione, facendosi carico di sé e del proprio cambiamento.

Altresì si ritengono irrinunciabili, per porsi attraverso quest’ottica in un ambito professionale tanto complesso quanto ricco di soddisfazioni e traumi, la creazione di un clima professionale in cui sia valorizzata l’espressione del pensiero critico e la consapevolezza del proprio posizionamento etico, da parte dell’educatore. In questo il pensiero di bell hooks risulta incisivo, quando parla di pedagogia impegnata e trasformativa, individuando quali caratteristiche fondamentali nell’ambito dell’insegnamento, ma più in generale in qualsiasi professione educativa, il rispetto e la presa in carico della cura dell’anima dell’altro; l’orizzonte del cambiamento del mondo, come obiettivo cardine della propria azione; lo schierarsi chiaramente da parte dell’educatore, anche in senso etico (bell hooks, 1994).

 

6. Un quesito conclusivo

 

È nel contesto sopradescritto, utilizzando le lenti interpretative dell’etica della cura e della cura di sé nel contesto dell’accoglienza e della ricerca dedicate ai minori stranieri non accompagnati, che ci poniamo, in conclusione, un quesito riguardante un aspetto pratico e organizzativo, dipendente dalle norme in vigore e che implica inoltre il posizionamento degli operatori che vi sono coinvolti.

Ci chiediamo come sia possibile adottare, nell’ambito di un percorso di accoglienza e di cura, in una processualità articolata e ricca di variabili, come termine perentorio per la fine del progetto, indistintamente per tutte le situazioni, il compimento dei diciotto anni. Le storie dei MSNA prevedono arrivi sul territorio italiano in momenti della loro vita assai diversi: c’è chi arriva a 13 o 14 anni, chi a 16, chi invece proprio nei pressi del passaggio alla maggiore età. Questo conduce alla predisposizione di progettualità educative assai diversificate in termini di durata: da pochi mesi a diversi anni. Al contempo ciascuno di questi ragazzi e ragazze è unico nella sua singolare personalità, nel percorso di evoluzione verso la maturità e l’autonomia, nella particolare necessità di attenzioni e supporto da parte di figure adulte. Un unico e inderogabile punto di approdo di tutte le progettualità, senza che vi sia la possibilità di individualizzare, almeno in misura ridotta, la durata del percorso educativo anche oltre il compimento dei 18 anni, risulta come un sovvertimento totale di una prospettiva di cura, di reale ascolto dei bisogni dell’individuo che abbiamo di fronte: l’annullamento della relazione stessa.

A questo aggiungiamo, con un pizzico di provocazione, un secondo quesito riguardante l’ipotesi di ragazze e ragazzi italiani, di 17 anni, completamente soli in un Paese lontano, di cui non conoscono la lingua e le consuetudini, immaginandoli immersi nella dinamica speculare dei MSNA: abbandonati a loro stessi al compimento dei 18 anni, per strada, senza aver alcun tipo di supporto familiare o amicale. Quanto sarebbe forte il potere di attrazione e di sfruttamento di proposte di mantenimento illegali? Quanto sarebbe presente il senso di abbandono e di spaesamento (Bianchi, 2019b)?

Concludiamo affermando, come di recente proposto da (2023). la necessità, nell’attuale contesto migratorio, considerato in termini storici e politici, della predisposizione, da parte dei Paesi accoglienti, di iter di ospitalità che pongano realmente al centro la valorizzazione dell’alterità, individuando come proprio obiettivo cardine l’emancipazione sociale del soggetto, considerato non come mezzo, ma come fine ultimo, ponendosi in una dimensione relazionale, come società, fuggendo da logiche riduzioniste e dualiste e privilegiando l’ascolto, la conoscenza e la cura.

 

Riferimenti bibliografici

 

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