Ethics of Care and Self-Care: Perspectives for the Research and Reception of Unaccompanied Foreign Minors
Etica della cura e
cura di sé: Prospettive per la ricerca e l’accoglienza di minori stranieri non
accompagnati
Marco Iori
Dipartimento Educazione e Scienze Umane, Università di Modena e Reggio Emilia
– marco.iori@unimore.it
https://orcid.org/0009-0009-7930-9361
ABSTRACT
This
essay aims to focus on the theme of research in the intercultural field,
specifically on unaccompanied foreign minors (MSNA [UFMs]). This topic delves
into the assumptions, values, and contradictions of neo-liberal society, as
viewed through the lens of the ethics of care (Gilligan, 1982; Noddings, 2002) and interpreted using the device of
self-care (Foucault, 1984). One primary objective is to highlight how this
interpretative framework can serve as a methodological perspective for those
engaged in intercultural research, providing a deeper understanding of the
characteristics of Constructivist Grounded Theory (Charmaz, 2014). In conclusion,
the essay aims to prompt reflection on research methods and the reception of
MSNAs in light of these considerations. It also seeks
to investigate the researcher and educator’s positioning within the proposed
paradigms of reference.
Il presente saggio intende rileggere, da un lato,
il tema della ricerca in ambito interculturale e dall’altro le pratiche di
accoglienza, in particolare dedicate ai minori stranieri non accompagnati (MSNA).
secondo la prospettiva dell’etica della cura (Gilligan,
1982; Noddings, 2002) e attraverso le lenti
interpretative del dispositivo della cura di sé (Foucault, 1984). Uno degli
obiettivi principali è quello di porre all’attenzione come tali chiavi di
lettura possano rappresentare una prospettiva, anche metodologica, per chi si
approccia a questioni interculturali, proponendo come opzione coerente la Constructivist
Grounded Theory (CGT). Si intende inoltre sollecitare una riflessione sulle
modalità di ricerca e di accoglienza dei MSNA alla luce di tali considerazioni,
investigando il posizionamento del ricercatore e dell’educatore, a fronte dei
paradigmi di riferimento proposti.
KEYWORDS
Ethics of care, Self-care, Intercultural
pedagogy, Constructivist
Grounded Theory, UFMs
Etica della Cura, Cura di Sé, Ricerca
Interculturale, Constructivist Grounded Theory, MSNA
CONFLICTS OF INTEREST
The Author declares no conflicts of interest.
RECEIVED
January 18, 2024
ACCEPTED
April 23, 2024
Il presente lavoro, rifacendosi al concetto di prassi proposto da
Freire, trae origine dalla profonda convinzione che teoria e azione siano
inscindibilmente intrecciate, come unione di pensiero e azione da parte di
soggetti attivi, protagonisti dei propri processi di apprendimento e, in
generale, della propria vita (Freire, 1970). Non esiste ricerca realmente
efficace e feconda che si allontani dal sapere di chi vive quotidianamente i
contesti e le situazioni indagate, dalla concretezza della realtà studiata.
Così come non si può immaginare il miglioramento e la crescita teorico-pratica
dei molteplici contesti senza una relazione con il pensiero riflessivo, l’astrazione,
la conoscenza delle diverse posizioni circa un determinato tema e, infine, la
sintesi rispetto al sapere emerso.
È con questo presupposto che si intendono affrontare unitamente le pratiche
di accoglienza dei MSNA e la ricerca ad essi dedicata proponendo lenti
interpretative interagenti e sistemiche che possano arricchire gli sguardi di
chi di esse si occupa: l’etica della cura in una prospettiva femminista (Gilligan, 1995) e il dispositivo della cura di sé
(Foucault, 1984). Ciò che si vuole indagare, attraverso una ricostruzione
concettuale e archeologica è, in generale, la potenzialità di queste
prospettive nel guidare la costruzione di progetti di ricerca in campo
interculturale, in particolar modo grazie, da un lato, alla loro forte ottica
relazionale e, dall’altro, alla riflessione che inducono, in modo
sovradeterminato, circa la società e i valori fondanti le pratiche di
accoglienza e il rapporto con l’alterità. Al contempo si crede che possano
rappresentare utili spunti di riflessione per rileggere e approfondire tali
presupposti teorici, coniugandoli nella prassi quotidiana, facendoli dialogare
con essa, individuando possibili scenari di intervento. In questo senso si
proporrà quindi una riflessione circa le figure del ricercatore e dell’educatore
e di come possano essere a loro utili tali approcci.
L’etica della cura è una prospettiva che viene proposta da Gilligan all’inizio degli anni Ottanta, con lo scopo di
ampliare la riflessione circa lo sviluppo morale studiato insieme al collega
Kohlberg, che aveva concentrato la propria attenzione sul processo di sviluppo
volto al raggiungimento della maturità morale, ponendo come elemento centrale
il principio dell’etica della giustizia (Kohlberg, 1981, 1984).
Dalle ricerche di Gilligan emerge come tale visione
sia fortemente legata al maschile ed escluda sostanzialmente il vissuto e la
voce femminili, la cui valorizzazione spinge a proporre un cambio di paradigma,
dall’etica del patriarcato in favore dell’etica femminista della cura (Gilligan, 1995). Le esperienze infantili durante tutte le
fasi dello sviluppo, assai dissimili per maschi e femmine, hanno un’alta
incidenza sulla creazione delle immagini del sé, sulle concezioni delle
relazioni e influiscono fortemente sull’idea di giustizia e di gerarchia, che
assumono un ruolo determinante per i maschi, e di rete, in un’ottica
maggiormente relazionale, per le giovani donne (Gilligan,
1982). L’analisi delle discussioni di ragazze e ragazzi porta quindi a
individuare differenti metafore connesse a diversi ideali e concezioni etiche
che incidono sul discernimento morale e, di conseguenza, sulle azioni compiute
in ottemperanza ad esso (Gilligan, 1982). Gilligan si spinge inoltre a distinguere tra etica
femminile, focalizzata sul dovere, sul sacrificio e sulla predisposizione all’altruismo,
e etica femminista, che ha invece tra le proprie
fondamenta l’incontro con l’alterità, l’intreccio di relazioni autentiche e la
connessione con le proprie emozioni (Gilligan, 1995).
Dopo di lei diverse studiose hanno indagato e rilanciato tale prospettiva, e
tra queste Noddings (1988) ha offerto il proprio
contributo individuando nella cura il principio base della vita etica, a
discapito del ragionamento morale (Kohlberg, 1981). e dedicandosi alla definizione dei
fattori determinanti dell’educazione morale fondata sulla cura, in contrapposizione
alle precedenti proposte caratterizzate da un approccio cognitivista (Noddings, 2002). Noddings ha
quindi descritto quattro elementi, cui fondamenta è la relazione di fiducia tra
studenti e insegnanti: modeling, dialogue, practice e confirmation.
Per modeling si intende l’esempio fornito dall’insegnante,
in termini di valori, cura e attenzione nei confronti degli altri, da un lato
dichiarati e dall’altro agiti dall’insegnante durante il suo lavoro, nell’ambito
di relazioni con gli studenti e i colleghi. Il dialogo
tra insegnanti e studenti, viene definito come un incontro schietto e
interessato tra diversi punti di vista, individuando una mediazione tra essi
attraverso una relazione di fiducia, rispetto reciproco e ascolto autentico
dell’altro. La relazione di cura deve essere sperimentata e vissuta nella pratica
quotidiana, attraverso la valorizzazione del supporto reciproco e mediante
una modifica degli stili di insegnamento verso modalità cooperative e una
didattica interattiva (Noddings, 1988). Al contempo è
estremamente importante che l’insegnante abbia aspettative alte, seppure
realistiche, sugli studenti e sulle loro capacità di apprendimento e di
espressione delle proprie competenze, sostanzialmente tramite una conoscenza
profonda della persona con cui hanno a che fare, delle sue emozioni, desideri,
paure, così da poter realmente individualizzare la proposta didattica (Noddings, 2002, 2010).
La centralità che acquisisce la relazione con l’alterità, la valorizzazione
di tale incontro, di una posizione in ascolto autentico e dello scambio che vi
si realizza, è dirimente per il prosieguo della trattazione, e in particolare
nell’analisi di come strutturare da un lato una ricerca, a maggior ragione in
ambito interculturale, che coinvolga realmente, in qualità di protagonisti, i
soggetti a cui si dedica e dall’altro percorsi di accoglienza per minori
stranieri non accompagnati, in unione al dispositivo foucaultiano della cura di
sé.
Col dispositivo della cura di sé Foucault ci spinge a riflettere, anche in
termini pedagogici, sulla relazione che intercorre tra il soggetto e sé stesso,
e, per quanto riguarda la dimensione processuale, sulla progettualità che l’individuo
può definire e organizzare rispetto alla propria vita, conducendolo alla
padronanza di sé (Foucault, 2018). Foucault intraprende tale percorso di
ricerca per provare a rispondere al quesito: “Come è giunto l’essere umano a
costruire la propria identità tramite determinate tecniche etiche del sé?”
(Foucault, 1992). Quello che Foucault definisce come cura di sé consiste
in una molteplicità di pratiche di libertà, ovvero in un individuo che osserva
se stesso, come se al contempo fosse oggetto e soggetto del processo di cura, e
che si sostanzia in un insieme di comportamenti, di atteggiamenti pratici tra
cui la conoscenza di sé, l’autoriflessione, la scrittura intima o rivolta ad
altri delle proprie azioni e delle riflessioni ad esse connesse, mediante i
quali il soggetto si fa carico di sé, della propria trasformazione, attraverso
una costante rilettura del proprio agire (Foucault, 2018). Le radici di tali
pratiche vanno cercate nella tradizione classica ed è attraverso lo studio
della filosofia greca antica che Foucault evidenzia la valenza pratica delle
riflessioni condotte, tra gli altri, da Socrate, Platone, Seneca, Diogene,
discostandosi da una delle questioni capitali della ricerca filosofica, ovvero la
conoscenza dell’oggetto, la definizione della verità o della conoscenza, per
volgersi alle possibilità di trasformazione dell’individuo e ai risvolti
concreti che tali idee si prefiguravano di apportare nella vita delle persone,
ponendo inoltre in primo piano il ruolo del dialogo e del confronto tra diverse
soggettività quali elementi significativi in tale processo (Foucault, 1992).
Una dimensione trasformativa che tanto sollecita la pedagogia, fortemente
connotata, inoltre, dall’autenticità di tutto il processo, che non deve portare
il soggetto a uniformarsi a qualcosa di definito o imposto da altri, cambiando sé
stesso per divenire qualcuno che non si desidera essere, ma, al contrario, ciò
che egli vuole, ciò che sente di poter essere, partendo dal reale: ovvero ciò
che è in quel determinato momento (Foucault, 1984). Conoscere sé stessi
attraverso la scrittura e il confronto con altri rappresenta quindi la base da
cui partire e il momento culminante della cura di sé, in un processo ricorsivo
che si autoalimenta, all’interno del quale l’individuo dimostra la propria
capacità e volontà di modificarsi e che caratterizza l’arte dell’esistenza,
giungendo alla padronanza di sé in una dimensione caratterizzata dalla tensione
sempre presente tra cura di sé e cura degli altri. Le tecnologie del sé, per
Foucault, sono quelle:
“che permettono agli individui di
eseguire, coi propri mezzi o con l’aiuto degli altri, un certo numero di
operazioni sul proprio corpo e sulla propria anima – dai pensieri, al
comportamento, al modo di essere – e di realizzare in tal modo una
trasformazione di sé stessi allo scopo di raggiungere uno stato caratterizzato
da felicità, purezza, saggezza, perfezione o immortalità.” (Foucault, 1992, p. 13).
Foucault si occupa inoltre del rovesciamento di priorità tra il precetto conosci
te stesso, che ha assunto maggiore importanza nel mondo moderno e che funge
da base per moralità rigorose e principi di austerità e di rinuncia, e il prenditi
cura di te, che invece era prioritario nella cultura greco-romana, tanto da
essere ritenuto il compito fondamentale da svolgere lungo tutta la propria vita
(Foucault, 1992). Secondo questa lettura la parresia, il dire la verità, ed il
suo valore etico si traducono quindi nella forma che ciascuna persona intende
dare alla propria vita, non tanto in base a derive individualiste, ma sulla
base di coerenza morale, ascolto e analisi di sé e dei propri comportamenti,
con risvolti chiari e significativi nel rapporto con se stessi che ciascuno
sviluppa e cura, e che conduca ogni essere umano a divenire un soggetto
responsabile e consapevole delle proprie azioni (Foucault, 2005).
I riflessi pedagogici del pensiero foucaultiano riguardano in prima battuta
la concezione del soggetto che viene interpretato, secondo il dispositivo della
cura di sé, come capace di intervenire sulla propria vita, per realizzarla, per
compierla, invece che parteciparvi da spettatore. Emerge inoltre in maniera
decisa la contrapposizione a un certo tipo di educazione, trasmissiva,
depositaria, focalizzata sulle nozioni e non sulla promozione del pensiero
critico e della possibilità, per l’individuo, di dire la verità e di essere
pienamente se stesso. Infine, l’idea di maestro che
Foucault dipinge, presentando in particolare figure quali Socrate, Diogene e
Seneca, ha come elemento cardine la capacità di dire la verità, di essere parresiasta, in ogni condizione e a qualunque costo, anche
in contrapposizione al buon senso comune, a certe norme e agli insegnamenti
della famiglia o di altri maestri che, invece di renderli liberi li incatenano
(Foucault, 2005). Questa caratteristica produce, nella relazione tra maestro e
allievo l’innescarsi di un processo formativo e autoformativo
in quanto viene resa esplicita la competenza del pensiero di ciascuno dei
soggetti coinvolti e l’individuazione di strategie per prendersi realmente cura
di sé (Cappa, 2009). Il Maestro è inoltre una figura caratterizzata da coerenza
tra il dichiarato e l’agito e dall’essere immerso in un percorso personale di
autorealizzazione e diventa il mediatore che porta l’individuo a porsi domande
radicali su se stesso, sulla propria vita e sul come poter
essere realmente se stessi (Foucault, 2005).
Nell’ottica proposta da Foucault, il rapporto del soggetto con ciò che lo
circonda supporta, in termini di conoscenza, tale processo di cura di sé, che
non si riduce ad un percorso intimo, privato e solipsistico, ma include un
allontanamento dal proprio punto di vista, per decentrarsi e acquisire uno
sguardo altro mediante un processo di analisi e messa in dubbio continua delle
proprie motivazioni e azioni (Foucault, 2018).
Ci occupiamo in primis della ricerca in qualità di ambito in cui
sperimentare tali lenti interpretative, evidenziando come la metodologia Constructivist
Grounded Theory (CGT) si sia dimostrata particolarmente coerente da un lato
con tali presupposti e dall’altro in ambito interculturale. L’interpretazione
costruttivista della Grounded Theory (GT) proposta da Katy Charmaz
ponendo tale approccio nell’ambito dell’epistemologia della complessità
(Bateson, 1977; Morin, 1993) ha innanzitutto collocato tra le proprie basi l’idea
che la realtà sia un’interpretazione del soggetto e i dati siano quindi
intrinsecamente legati all’individualità di chi li raccoglie e non vi sia
neutralità in tale processo (Charmaz, 2014). La CGT si discosta infatti dagli
assunti positivistici della GT (Tarozzi, 2008) e concepisce il processo di
creazione della teoria non come una scoperta, ma come una co-costruzione, così
come per quanto riguarda i significati che la connotano e che il ricercatore e
i soggetti coinvolti nella ricerca condividono e costruiscono insieme (Charmaz,
2014). La CGT individua, infatti, come elemento caratterizzante il
coinvolgimento diretto dei soggetti destinatari della teoria prodotta, in
quanto co-creatori di tale teoria e dei significati che la sorreggono. Una
teoria elaborata attraverso l’impianto metodologico della CGT, oltre a essere
rigorosa e aderente ai dati raccolti, tra cui spiccano le opinioni dirette dei
soggetti destinatari della teoria, protagonisti contemporaneamente della
ricerca e del contesto nel quale la teoria si situa, si caratterizza per la
rilevanza, ovvero per la sua specifica densità concettuale e per l’alto potere
esplicativo che ne fanno un contributo importante al contesto a cui si rivolge,
restituendo e approfondendo la complessità della situazione indagata (Tarozzi,
2008). Una ulteriore sua caratteristica è che funzioni, cioè che sia
efficace e effettivamente utilizzabile nel contesto
studiato. Questo può avvenire esclusivamente se la voce dei protagonisti viene
valorizzata tanto da elaborare una teoria che, da un lato spieghi le
caratteristiche di una determinata situazione, e, dall’altro, possa essere
tradotta in scelte operative e processi decisionali dagli operatori che
quotidianamente vivono quel contesto.
Nel caso della ricerca “Imparando
a stare nel disordine” la CGT si dimostra efficace nel contesto
interculturale e coerente con i principi dell’etica della cura e della cura di
sé sopradescritti per il suo forte afflato etico da diversi punti di vista
(Bianchi, 2019a). Innanzitutto, la posizione della ricercatrice è volta a
rendere esplicita, durante tutta l’evoluzione del processo, la sua relazione
nei confronti dello studio, i partecipanti, la committenza, dimostrando
capacità metacognitiva, e imparando a “considerarsi un sé-relazionale”, non
rifuggendo, ma riconoscendo e rendendo esplicite le inevitabili relazioni di
potere, e i molteplici vissuti dei soggetti coinvolti, che ne formano le
identità (Bianchi, 2019b, p. 17). D’altro canto, emerge l’importanza
attribuita da parte della ricercatrice all’approfondimento metacognitivo
continuo e ricorsivo, in relazione ai processi che mette in atto nel rapporto
con i partecipanti, alla riconfigurazione continua, durante tutto lo svolgersi
della ricerca, traducendosi in una negoziazione anche in termini etici. In
secondo luogo, caratteristica di tale impianto metodologico si è rivelata la
decostruzione di logiche semplificanti e riduttive in modo da dare vita a una
progettazione di ricerca intesa come impegno alimentato dall’etica (Charmaz, 2014; Bianchi, 2019b). Nella prospettiva CGT il
ricercatore è chiamato, anche in termini di propria responsabilità, a
domandarsi continuamente, in maniera metacognitiva, come si è posto in una
determinata situazione, come si è relazionato nell’ambito delle interviste,
quanto ha esplicitato i valori alla base del progetto di ricerca, quanto è
riuscito ad ascoltare sinceramente le posizioni altrui, quanto e come ha
richiesto informazioni e collaborazione, sostanzialmente affrontando l’inevitabile
ambiguità che scaturisce nell’ambito della ricerca qualitativa, ovvero nell’incontro
con la realtà (Bianchi, 2019b). Morin ci aiuta a capire che rivolgere lo
sguardo a pratiche metodologiche tradizionalmente basate sulla applicazione
indiscriminata delle regole dell’evidenza, dell’analisi, della sintesi, e dell’enumerazione
presuppone un pensiero semplificante e una intelligenza cieca che
“distrugge sul nascere le possibilità di comprensione e di riflessione,
eliminando anche tutte le possibilità di giudizio corretto o di una visione a
lungo termine” (Morin, 1989, p. 31).
Altro elemento caratterizzante la CGT e l’esempio da noi individuato della
ricerca “Imparando a stare nel disordine”, che traduce concretamente la
vocazione relazionale dell’etica della cura e la tendenza al decentramento
descritto da Foucault, è la consapevolezza dell’etica emergente (Charmaz, 2014) che si crea nell’incontro tra diversi
obiettivi, valori, vissuti, aspetti umani e professionali e motivazioni che
guidano ciascun soggetto coinvolto. Ciò che ne scaturisce è un’etica originale
e unica in continua evoluzione legata alla ricorsiva riflessione del
ricercatore circa le proprie azioni e decisioni durante tutto l’arco della
ricerca, come sono entrate in relazione con le diverse alterità incontrate e
gli esiti sorti da tale incontro.
Provando a rispondere allo scopo del presente contributo si vuole ora
indagare come l’etica della cura (Gilligan, 1982; Noddings, 2002) e la cura di sé (Foucault, 1984) possano
rappresentare efficaci prospettive di intervento per quanto riguarda la
posizione assunta dal ricercatore in ambito interculturale e dall’educatore che
si occupa di accoglienza di minori stranieri non accompagnati.
La ricerca interculturale, così come ogni ricerca, richiede un
posizionamento etico, implicito o esplicito che sia, da parte di chi la
realizza, ovvero innanzitutto una serie di valori di riferimento, la decisione
su come ci si intende muovere nel corso della ricerca, e poi l’azione coerente
con tali scelte.
L’etica della cura offre, in questo senso, un orizzonte chiaro per la
ricerca interculturale e in particolar modo dedicata ai MSNA, in quanto
individua come capisaldi l’incontro con l’alterità, vissuto come un momento di
ascolto e di valorizzazione delle diverse soggettività, il dialogo autentico e
la concezione della realtà come una rete di relazioni tra soggetti.
Le caratteristiche del contesto di ricerca, quando ci si occupa di MSNA,
sono innanzitutto la complessità, la continua evoluzione del fenomeno
(normativa, quantitativa e qualitativa). l’articolazione su diversi e
sfaccettati livelli (Anzaldi & Guarnier, 2014;
Bertozzi, 2005; Bianchi, 2019a) e ciò richiede una maggior attenzione di
carattere relazionale, una predisposizione alla flessibilità e alla ricettività
dei molteplici segnali, sapendo coniugare accortezza relazionale, umiltà e
curiosità.
La posizione che ne deriva è, in sostanza, un atteggiamento di sensibilità
teoretica (Tarozzi, 2008, pag. 116) nella quale il ricercatore sia in grado di
sospendere il proprio giudizio, gestire secondo un approccio metacognitivo la
propria intenzionalità, prendersi cura della inevitabile dimensione relazionale
che caratterizza ogni processo di ricerca, che è per sua natura un incontro con
l’alterità, e saper abitare, infine, il caos, ovvero l’assenza di chiarezza
deterministica e di semplificazioni dualistiche, per accettare e convivere con
la complessità, l’imprevisto, le regressioni, l’inatteso con flessibilità,
pazienza e determinazione.
Al contempo assumere la cura di sé come prospettiva di riferimento induce a
considerare l’attitudine etica del ricercatore come elemento dirimente del
processo, in quanto emerge e si traduce nei molteplici passaggi della ricerca:
nella relazione con la committenza, con i colleghi e con i partecipanti, nella
costruzione del canovaccio dell’intervista, nella trasparenza rispetto a tutti
i passaggi ricorsivi di lettura e rilettura dei dati e di quanto da essi
emerge, nella coerenza tra i dati stessi e le interpretazioni del ricercatore
(Bianchi, 2019b). Tale tensione si sostanzia inoltre nella responsabilità del
ricercatore durante tutto l’arco della ricerca in quanto soggetto che entra a
diretto contatto con le idee e le vite di altre persone: co-costruire i
significati che le animano, dimostrare un profondo rispetto verso di essi e
verso la corresponsabilità di intervistatore e intervistato circa i significati
emersi nell’intervista e la corrispondenza di questi con la posizione di
ciascuno sono i caratteri salienti di tale responsabilità. Il vincolo che nasce
e si sviluppa nel corso dell’intervista intensiva (Charmaz,
2014). la narrazione che ne scaturisce e la generazione di significati sono la
cornice entro cui tale vincolo di responsabilità viene giocato dal ricercatore.
Sempre in riferimento alle elaborazioni foucaultiane rispetto alla cura di
sé risulta inoltre un elemento estremamente funzionale al processo di ricerca,
la continua messa in dubbio delle proprie azioni e delle motivazioni che le
hanno guidate, generando così maggiore consapevolezza nel ricercatore, minore
superficialità, e maggiore attenzione ai dettagli che via via emergono. Sapersi
mettere in discussione, in qualità di ricercatore, porsi continui dubbi sul
percorso di ricerca, sulle domande che lo guidano, su quanto emerge, ma anche
su come il ricercatore stesso si relaziona con l’evoluzione dello studio e i
contenuti che ne emergono, le persone che incontra e i partecipanti alla
ricerca, e i significati che tutti insieme co-costruiscono.
Spostando l’attenzione dalla ricerca alle pratiche di accoglienza rivolte
ai MSNA e continuando ad adottare l’etica della cura (Gilligan,
1982) e il dispositivo della cura di sé (Foucault, 1984) quali prospettive di
riferimento, risulta determinante porre come obiettivi prioritari dell’azione
ricettiva dei minori in questa particolare situazione il benessere del soggetto
immerso in un contesto collettivo, attraverso innanzitutto l’ascolto e il
coinvolgimento di quelle che sono le istanze profonde e singolari che ogni
soggetto esprime, tramite la propria unicità. Questo si esprime tramite pratiche
responsabilizzanti, in cui vengano valorizzate le competenze e gli interessi di
ragazzi e ragazze, ponendo quindi al centro i connotati relazionali dell’esperienza
di accoglienza, l’incontro reale con l’Alterità e non la sua banalizzazione
attraverso stereotipi e classificazioni (alcuni esempi in Bianchi, 2019c). La
pratica riflessiva su ciò che ci circonda e su come vi entriamo in relazione
(Foucault, 2018) può diventare inoltre un elemento caratterizzante tali
esperienze di accoglienza attraverso l’organizzazione di situazioni
esplicitamente dedicate al confronto aperto e diretto sui vissuti dei ragazzi e
delle ragazze, sulle aspettative e sulle prospettive di vita.
Per quanto riguarda invece il posizionamento degli operatori che nella
quotidianità hanno a che fare con MSNA, riteniamo utile domandarci quale sia il
contributo che le prospettive sopra descritte possono fornirvi. Crediamo che
una delle possibili risposte sia adottare l’etica della cura e il dispositivo
della cura di sé quali elementi di resistenza, ovvero da un lato di
individuazione di bisogni educativi celati e non riconosciuti (Contini, 2009) e
dall’altro di liberazione dalle prospettive imposte (Mantegazza, 2003). In un
contesto di precarietà, di mutevolezza del contesto e delle situazioni da
affrontare (Bertozzi, 2005; Bianchi, 2019a) e, spesso, di scarsa supervisione
pedagogica, si ritiene fondamentale dedicare attenzione, da parte innanzitutto
delle istituzioni coinvolte nella gestione di tali processi (Enti Locali e del
terzo settore in primis). alla creazione di spazi e tempi dedicati all’approfondimento
dei bisogni, delle aspettative e delle competenze degli operatori, oltre ad
apprezzarne e metterne a valore le capacità riflessive in termini di
miglioramento della propria condizione. D’altra parte, per gli operatori può
dimostrarsi efficace assumere la concezione della propria professione anche in
termini di militanza, collegandosi alla resistenza di cui sopra, sperimentando
quotidianamente apertura al dialogo, predisposizione all’ascolto attivo e
quindi alla valorizzazione dell’alterità, messa in discussione dei propri
presupposti di riferimento e delle proprie azioni e autoriflessione, facendosi carico
di sé e del proprio cambiamento.
Altresì si ritengono irrinunciabili, per porsi attraverso quest’ottica in
un ambito professionale tanto complesso quanto ricco di soddisfazioni e traumi,
la creazione di un clima professionale in cui sia valorizzata l’espressione del
pensiero critico e la consapevolezza del proprio posizionamento etico, da parte
dell’educatore. In questo il pensiero di bell hooks
risulta incisivo, quando parla di pedagogia impegnata e trasformativa,
individuando quali caratteristiche fondamentali nell’ambito dell’insegnamento,
ma più in generale in qualsiasi professione educativa, il rispetto e la presa
in carico della cura dell’anima dell’altro; l’orizzonte del cambiamento del
mondo, come obiettivo cardine della propria azione; lo schierarsi chiaramente
da parte dell’educatore, anche in senso etico (bell hooks,
1994).
È nel contesto sopradescritto, utilizzando le lenti interpretative dell’etica
della cura e della cura di sé nel contesto dell’accoglienza e della ricerca
dedicate ai minori stranieri non accompagnati, che ci poniamo, in conclusione,
un quesito riguardante un aspetto pratico e organizzativo, dipendente dalle
norme in vigore e che implica inoltre il posizionamento degli operatori che vi
sono coinvolti.
Ci chiediamo come sia possibile adottare, nell’ambito di un percorso di
accoglienza e di cura, in una processualità articolata e ricca di variabili,
come termine perentorio per la fine del progetto, indistintamente per tutte le
situazioni, il compimento dei diciotto anni. Le storie dei MSNA prevedono
arrivi sul territorio italiano in momenti della loro vita assai diversi: c’è
chi arriva a 13 o 14 anni, chi a 16, chi invece
proprio nei pressi del passaggio alla maggiore età. Questo conduce alla
predisposizione di progettualità educative assai diversificate in termini di
durata: da pochi mesi a diversi anni. Al contempo ciascuno di questi ragazzi e
ragazze è unico nella sua singolare personalità, nel percorso di evoluzione
verso la maturità e l’autonomia, nella particolare necessità di attenzioni e
supporto da parte di figure adulte. Un unico e inderogabile punto di approdo di
tutte le progettualità, senza che vi sia la possibilità di individualizzare,
almeno in misura ridotta, la durata del percorso educativo anche oltre il
compimento dei 18 anni, risulta come un sovvertimento totale di una prospettiva
di cura, di reale ascolto dei bisogni dell’individuo che abbiamo di fronte: l’annullamento
della relazione stessa.
A questo aggiungiamo, con un pizzico di provocazione, un secondo quesito
riguardante l’ipotesi di ragazze e ragazzi italiani, di 17 anni, completamente
soli in un Paese lontano, di cui non conoscono la lingua e le consuetudini,
immaginandoli immersi nella dinamica speculare dei MSNA: abbandonati a loro
stessi al compimento dei 18 anni, per strada, senza aver alcun tipo di supporto
familiare o amicale. Quanto sarebbe forte il potere di attrazione e di
sfruttamento di proposte di mantenimento illegali? Quanto sarebbe presente il
senso di abbandono e di spaesamento (Bianchi, 2019b)?
Concludiamo affermando, come di recente proposto da Sà
(2023). la necessità, nell’attuale contesto migratorio, considerato in termini
storici e politici, della predisposizione, da parte dei Paesi accoglienti, di
iter di ospitalità che pongano realmente al centro la valorizzazione dell’alterità,
individuando come proprio obiettivo cardine l’emancipazione sociale del
soggetto, considerato non come mezzo, ma come fine ultimo, ponendosi in una
dimensione relazionale, come società, fuggendo da logiche riduzioniste e
dualiste e privilegiando l’ascolto, la conoscenza e la cura.
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