Formation and liberation: A Freirean project in the favela of Vila Torres in Curitiba

 

Formazione e liberazione: Un progetto freiriano nella favela di Vila Torres a Curitiba

 

Anita Gramigna

Università degli Studi di Ferrara – grt@unife.it

https://orcid.org/0000-0001-9147-8832

 

Patricia Lupion Torres

PUCPR, Pontifícia Universidade Católica do Paraná – patricia.lupion@pucpr.br

https://orcid.org/0000-0003-2122-1526

 

Rafael Augusto Camargo

PUCPR, Pontifícia Universidade Católica do Paraná – rafael.camargo@pucpr.br

https://orcid.org/0000-0001-8728-3944

 

ABSTRACT

Brazilian waste pickers [catadores] represent a complex and multifaceted social segment. Their liminal situation exposes them to vulnerabilities of an economic, health, and educational nature. This study presents an ethnography conducted in the Vila Torres favela (Curitiba, Paraná) using rapid appraisal and visual narrative methods. The ethnographic experience—which involved visits to the favela, desk research, and semi-structured interviews—resulted in a Freirean interpretation focused on several themes of socio-educational relevance: dignity, life project, testimony, presence, and recognition. These themes are then articulated within the horizon of Freire’s Pedagogy of Hope. Furthermore, the ethnographic method adopted, especially in its visual narrative component, reconciles with project activities carried out by a university in the context of Vila Torres, thereby corroborating the necessity of uniting pedagogical interventions with forms of inquiry that restore the authentic emic dimension of local experience.

 

I raccoglitori di rifiuti brasiliani [catadores] rappresentano un segmento sociale complesso e poliedrico. La loro situazione liminale li espone a vulnerabilità di tipo economico, sanitario e formativo. Questo studio presenta un’etnografia svoltasi presso la favela di Vila Torres (Curitiba, Paraná) con i metodi della ricognizione rapida e della narrativa visuale. L’esperienza etnografica – che ha comportato visite alla favela, raccolta di documentazione e interviste semi-strutturate – è risultata in un’interpretazione di tipo freieriano concentrata su diversi temi di rilevanza socio-formativa: dignità, progetto di vita, testimonianza, presenza e riconoscimento. Questi temi sono quindi articolati entro l’orizzonte della Pedagogia della Speranza di Freire. Inoltre, il metodo etnografico adottato, specialmente nella sua componente di narrativa visuale, si riconcilia con attività progettuali svolte da un Ateneo nella realtà di Vila Torres, corroborando quindi la necessità di unire gli interventi pedagogici a forme di indagine che restituiscano l’autentica dimensione emica del vissuto locale.

 

KEYWORDS

Pedagogy of hope, Collectors of recyclables materials, Popular Education, Sustainability, Human Rights

Pedagogia della speranza, Raccoglitori di materiali riciclabili, Educazione popolare, Sostenibilità, Diritti Umani

 

AUTHORSHIP

Conceptualization (A. Gramigna, P. L. Torres, R. A. Camargo); Formal analysis (A. Gramigna); Investigation (A. Gramigna, P. L. Torres, R. A. Camargo); Methodology (A. Gramigna, P. L. Torres, R. A. Camargo); Supervision (A. Gramigna); Visualization (R. A. Camargo); Writing – original draft (A. Gramigna, P. L. Torres, R. A. Camargo); Writing – review & editing (A. Gramigna).

 

CONFLICTS OF INTEREST

The Authors declare no conflict of interest.

 

RECEIVED

October 30, 2023

 

ACCPETED

January 16, 2024


 

“La speranza è necessità ontologica; la disperazione è una speranza che, nel perdere l’orientamento, diventa distorsione della necessità ontologica” (Freire, 2014, p. 2).

 

1. Il terreno: la favela dei catadores

 

1.1. Vila Torres

 

Curitiba, capitale del Paraná, è la municipalità più popolosa del Brasile meridionale, Regione “Sul do Brasil”, e si suddivide in dieci distretti [regionais] e 75 quartieri [bairros] (Duarte & Correa, 2023; Martins & Rasia, 2023). Sebbene, a suo tempo, abbia rappresentato un modello di sviluppo urbanistico, sussistono sacche di popolazione “a basso reddito” con scarso accesso ai trasporti e, di conseguenza, ad altre risorse urbane (Martins & Rasia, 2023, pp. 1–2) – incluse le opportunità educative per l’infanzia (Ferreira & Fernandes, 2023). Ciò è sintomo di una gentrificazione diseguale, come testimoniato dalla presenza di barrios che mai beneficiarono degli investimenti per lo sviluppo.

Tale situazione di disparità si interseca con la complessa demografia ‘razziale’ di questa regione del Brasile:[1] Curitiba è infatti classificata come la città della zona con la minor popolazione ‘nera’ [preta], ma la maggior percentuale di popolazione che si dichiara ‘bruna’ [parda]; quest’ultima fascia della popolazione occupa principalmente zone periferiche della città (40 su 44), ma alcuni di questi settori a maggioranza sia preta che parda (cioè ‘negra’, ossia ‘non-bianca’) sono storicamente consolidati nelle aree più centrali del tessuto urbano e, più precisamente, nella favela di Vila Torres, che appartiene al distretto Matriz (Martins & Rasia, 2023, pp. 7–8). Si tratta, tutto sommato, di una realtà piccola se comparata ad altre favelas della regione: Vila Torres, infatti, ha a lungo rappresentato solo lo 0,4% della popolazione di Matriz (Sgarbanti & Soncini, 2016, p. 80); storicamente, però, si tratta di uno degli insediamenti-chiave di Curitiba.

La blogger Fernandes (2015) ricostruisce la storia di Vila Torres: la favela si era formata nel 1950 con il nome di Vila Capanema (precedentemente: Prado Velho). Successivamente, le riforme urbanistiche del 1970 condussero alla costruzione del Jardim Botânico e ridussero la superficie della favela, lasciando intatto solamente il quartiere cosiddetto di Vila Pinto. Quest’ultimo si è riformato nel 1996, quando l’area di circa 199.000 m2 è stata ridenominata “Vila Torres” a seguito di un referendum locale (Fernandes, 2015; Pitz, n.d.).

Gli abitanti di Vila Torres sono ritenuti essere i protagonisti della svolta ‘verde’ di Curitiba nella prospettiva di una gestione sostenibile dei rifiuti. La favela, infatti, ospitò la prima associazione di “raccoglitori di carta [catadores do papel]”: fondata nel 1986, fece da preludio alla politica municipale di raccolta differenziata, introdotta da Curitiba nel 1989 – la prima esperienza di questo tipo in Brasile (Duarte & Correa, 2023, p. 224). Tuttavia, nonostante l’insigne sforzo pionieristico, i catadores di Vila Torres restano una realtà in parte sommersa. Osserva Sauka (2023) che i lavoratori si dividono in due gruppi: da un lato, vi sono i carrinheiros [carrettieri], cioè le famiglie che raccolgono e smistano rifiuti in modo informale, con attività circoscritte al distretto centrale che circonda la favela (Sauka, 2023, p. 136); dall’altro lato, vi sono coloro che appartengono a cooperative e associazioni riconosciute e coinvolte nei programmi municipali di gestione dei rifiuti (Duarte & Correa, 2023, p. 224; Sauka, 2023, p. 136).

La letteratura scientifica, così come i numerosi blog e articoli di giornale, riconoscono a questi segmenti sociali una specifica vulnerabilità. In primo luogo, Sauka (2023) osserva che i catadores sono esposti sul piano immobiliare, sia in ragione del basso reddito che di un perpetuarsi di scarse condizioni abitative nella favela. In secondo luogo, ulteriori studi urbanistici mostrano una vulnerabilità di Vila Torres alle piene del Rio Belém (Sgarbanti & Soncini, 2016, p. 114). Sempre Sgarbanti e Soncini rilevano queste ulteriori criticità: spazi verdi abbandonati, spazi verdi tra le strade, vuoti urbani, fiume inquinato, sponde fluviali abbandonate all'incuria, collegamenti insufficienti e sovrabbondanza di parcheggi – complessivamente, esse contribuiscono a ciò che le autrici definiscono come una segregazione imposta da “confini invalicabili”, i quali impediscono un’autentica appropriazione dello spazio pubblico (Sgarbanti & Soncini, 2016, pp. 132–133).

Nelle loro interviste, Kami e Larocca (2006) hanno rilevato come i catadores ritengano di aver acquisito forza e dignità grazie al loro mestiere, che ha garantito loro uno standard di vita sufficiente; tuttavia, il loro ruolo resta strutturalmente ‘silenziato’, in quanto le necessità della sopravvivenza urbana li costringe a tollerare situazioni di violenza e di spaccio, contro cui non hanno le energie per opporsi. Sosteneva un testimone:

 

“Conosco Vila [Torres] da 40 anni, ho sentito parlare di 500 morti, qui; morti per sassate, percosse, sparatorie. In questi giorni è morto uno sulla porta di casa mia; erano in 20 contro uno, ma non ho lasciato che finissero il lavoro lì davanti a casa: ho preso la mia pistola, ho chiesto loro di non ammazzarlo perché poi sarebbe venuta la polizia a prenderlo. La polizia [poi] è venuta a prelevarlo” (Kami & Larocca, 2006, p. 236).

 

Nel 2014, Antonelli e Fernandes parlavano quindi di un “mondo inquieto”: se, nello stereotipo, gli abitanti della favela sono identificati con il tessuto criminale che vi alberga, la realtà è che costoro ospitano realtà criminali loro malgrado, in quanto queste ultime si avvantaggiano di una situazione in cui i servizi scarseggiano e il controllo statale risulta più debole – spesso con la complicità della polizia corrotta (Antonelli & Fernandes, 2014).

In tempi più recenti, però, nonostante il ripetersi di casi di violenza di Stato (De Souza & De Carvalho, 2023, p. 18), Requião (2021) sottolinea la capacità della comunità di Vila Torres di risollevarsi a seguito dei diversi cicli di crisi. Arminda, una donna locale, racconta:

 

“Quando arrivai qui negli Anni Settanta, non c’era niente […]. Poi la vittoria più grande fu quando, con l’Associazione dei Residenti, riuscimmo a inaugurare le strade, portare l’acqua, la luce, migliorare le abitazioni e migliorare tutta la vita qui” (Arminda, in Requião, 2021)

 

Come si può evincere da questa testimonianza, le reti e le cooperative dei catadores fanno impresa nella comunità e li preservano da uno sfruttamento al quale potrebbero essere esposti a livello individuale – sia dal punto di vista della criminalità organizzata che dal punto di vista del capitalismo urbano che tende a monopolizzare la raccolta dei rifiuti e, di riflesso, le opportunità di reddito della favela.

 

1.2. La forza dell’eco-associazionismo

 

In Brasile, le cooperative furono regolate per la prima volta nel 1971 (Congresso Nacional do Brasil, 1971). Il punto di svolta della politica ambientale federale è rappresentato dalla Legge Federale 6938/1981 e successive modificazioni (Congresso Nacional do Brasil, 1981). Bisognerà però attendere altri 28 anni per un riconoscimento federale dei programmi di educazione ambientale (Congresso Nacional do Brasil, 1999). Successivamente, il Decreto Federale 5940 sancì la raccolta differenziata solidale ad opera di associazioni o cooperative costituite da catadores e catadoras (Presdiência da República do Brasil, 2006). Il principio venne ulteriormente ribadito e rafforzato con l’Art. 57 della Legge Federale 11445/2007 (Congresso Nacional do Brasil, 2007). Si tratta di provvedimenti che mirano a regolarizzare il lavoro dei raccoglitori, ma anche ad incoraggiare prassi virtuose di attenzione all’ecologia, prevedendo la vendita dei materiali differenziati alle industrie che li riciclano. Il 2010 vede l’avvio della “Politica Nacional de Residuos Solidos” (PNRS), che regola la destinazione finale dei rifiuti riciclati per l’approvvigionamento energetico nel rispetto dell’ambiente; questa policy sancisce l’importanza economica e ambientale dell’impegno di catadores e catadoras (Congresso Nacional do Brasil, 2010; Presdiência da República do Brasil, 2010). La Legge Federale 13186/2015 stabilisce la politica di educazione al consumo sostenibile attraverso pratiche collettive di design (Congresso Nacional do Brasil, 2015).

Fedele alla sua fama di “capitale ecologica” del Brasile (Duarte & Correa, 2023, p. 3), Curitiba avviò, nel 1989, il programma “Compra do Lixo”, precedendo di molto le riforme sopraccitate: un’equipe di Educazione Ambientale della Prefettura si recava nelle comunità per fare formazione, costituire un’Associazione dei Residenti e facilitare la stipula di una convenzione tra quest’ultima e la municipalità (Curitiba, Secretaria Municipal do Meio Ambiente, 2022b). Attualmente, la municipalità conta 40 “Associações de Catadores(Curitiba, Secretaria Municipal do Meio Ambiente, 2022a), di cui quattro collocate nel Distretto Matriz, proprio a Prado Velho e quindi esattamente sul territorio di Vila Torres: Associação Cata Curitiba, Associação Recicapanema, Associação Recitorres e Associação Cidade Mais Limpa (Curitiba, Secretaria Municipal do Meio Ambiente, 2023).

 

A street with a group of vehicles and buildings

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Figura 1. Google Street View dei ‘carri’ dei carrinheiros sulle rive del fiume Belém presso Vila Torres, Curitiba (223 R. Josefina Zanier, 2016).

 

Come vedremo, si tratta di un esercito di lavoratori sia visibile che invisibile. Il riconoscimento federale cozza con la difficoltà di stimarne la portata a livello demografico: secondo Angelin et al. (2018, p. 230), in tutto il Brasile, vi sarebbero almeno 1,4 milioni di persone che svolgono questa attività – in maggioranza donne (70%).

 

1.3. I nodi della ricerca

 

Tale situazione ambivalente dei raccoglitori delle favelas ha stimolato una serie di studi di stampo pedagogico, seguendo l’orientamento critico di Freire.

Carmo (2009), nel suo studio condotto a Rio de Janeiro, ha rilevato come il mutato interesse economico nei confronti della spazzatura [lixo] abbia consentito ai catadores di ridefinire il proprio capitale sociale di appartenenza, trasformando l’orizzonte semantico in cui erano collocati da negativo a positivo.

Nello Stato di Santa Catarina, Bortoli (2009) ha effettuato 92 visite domiciliari, organizzato 90 riunioni e condotto 25 visite a istituzioni pubbliche e private; il progetto Agetrec cui ha partecipato ha coinvolto 105 catadores (64% donne) di età compresa tra i 18 e i 60 anni. Oltre alla costituzione di partenariati e cooperative (precedentemente non presenti sul territorio), il progetto ha anche fornito ai catadores punti di raccolta e dispositivi di protezione individuale.

Angelin et al. (2018) si sono rivolti al contesto informale e non-formale di una cooperativa di catadores di São Paulo e vi hanno apportato interventi formativi per migliorarne le capacità organizzative e la risoluzione dei conflitti. Anche Rutkowski (2013) ha studiato il caso di una cooperativa (in Minas Gerais), ma si è limitata all’equivalente di un’analisi SWOT della situazione.

Nel suo contributo teorico, utile a riconoscere il più importante nodo sociale della questione, Scariot (2015) spiega che sussiste un rischio intrinseco dovuto alla collocazione dei catadores in uno specifico contesto discorsivo, che scatena dispositivi di tipo foucaultiano. Il problema sta nel fatto che, se i catadores sono degli emarginati nel contesto di una società moderna o post-moderna che non si cura della spazzatura e la rimuove (freudianamente) dal proprio vissuto cosciente, parimenti essi rischiano di essere esclusi nel momento in cui l’attenzione economica – vuoi per ragioni ambientali o di mero profitto – si rivolge al lixo e inizia a bollare le operazioni dei catadores (non adeguatamente formati) come errate e dunque da scartare. Il risultato, in questo caso – e contrariamente alla narrativa emancipatoria di Carmo (2009) – è quello di una ‘doppia fregatura’: pariah in una società che disprezza l’immondizia e figura scomoda in una società che se ne prende cura.

Ad ogni modo, come osserva Silva (Silva, 2017, p. 21), la soluzione sembra restare spiccatamente formativa. Ad esempio, l’associazionismo dei catadores non risulta utile solamente perché garantisce ai partecipanti un maggior potere negoziale nei confronti di attori terzi, migliorando di conseguenza i redditi. Esso rappresenta anche l’opportunità di acquisire e redistribuire le competenze, sbloccando una capacità organizzativa che la somma dei singoli non sarebbe in grado di dispiegare.

 

2. Metodologia: ricognizione rapida in una prospettiva di pedagogia critica

 

Quanto presentato in questo contributo sono il risultato di un soggiorno etnografico di due settimane svoltosi tra il 15 Aprile e il 1° Maggio 2023. Adottando una metodologia qualitativa di indagine, i tre ricercatori sul campo hanno risieduto nel quartiere e nella vicina Pontificia Università Cattolica del Paraná (PUCPR), conversato con i residenti, svolto osservazione partecipante e condotto interviste semi-strutturate allo scopo di raccogliere dati utili.

 

2.1. Ricognizione rapida

 

Dal punto di vista della tassonomia della ricerca qualitativa, l’approccio adottato si inscrive nell’orizzonte delle ricognizioni rapide [rapid appraisals], benché due dei tre investigatori godano di una frequentazione pluriennale del terreno di ricerca. Le ricognizioni rapide sono state codificate per la prima volta in modo sistematico da Beebe (1995) e rappresentano la testata d’angolo di vari approcci etnografici – non ultimo il metodo ECRIS (Bierschenk & Olivier de Sardan, 1997). Tra i presupposti delle ricognizioni rapide figurano: l’impossibilità di determinare in anticipo le componenti-chiave di un sistema (sociale); la necessità di triangolare informazioni provenienti da fonti multiple – cioè ricerca documentaria, interviste semi-strutturate e osservazione diretta; infine, il bisogno di produrre risultati a partire dalla continua interazione dell’equipe di ricerca (Beebe, 1995, p. 43). In aggiunta a ciò, le ricognizioni rapide fanno ampio uso di concetti emici, derivanti dall’interazione con i partecipanti locali alla ricerca e prende le mosse dagli aspetti più olistici e complessivi per poi, attraverso una serie di iterazioni controllate, affinare lo sguardo antropologico fino a isolare ‘ciò che conta’ per la comprensione di un problema, una presa di decisione o semplicemente ottenere la risposta alla domanda di ricerca (Beebe, 1995, p. 44). Tra i vantaggi di questo approccio figurano: il superamento delle limitazioni degli approcci analitici tradizionali – come il questionario strutturato; la maggior facilità nell’adozione di una prospettiva “indigena”; e l’accomodamento di dati variabili in un quadro completo, che si preoccupa della diversità e non dell’aggregarsi dei fatti sociali attorno a una “media” di qualche genere (Beebe, 1995, pp. 44–45).

L’adozione di una tecnica di ricognizione rapida è risultata particolarmente opportuna anche in considerazione del terreno dove si è svolta la ricerca sul campo. Per esempio, nell’indagare i programmi di gestione dei rifiuti presso lo slum di Kibera, Walubwa (2010) ha adottato proprio una metodologia di ricognizione rapida, in quanto quest’ultima le ha consentito di valorizzare la voce dei locali, di cui si presumeva una migliore e più approfondita conoscenza del fenomeno ricercato. Un analogo di quanto svolto dall’equipe che ha prodotto il presente contributo è riscontrabile nella ricerca di Fraser (2020), il quale ha rivolto la sua attenzione a un contesto di marginalizzazione urbana in Romania, dichiarando:

 

“Una componente di campionamento di convenienza è stata anche adottata poiché non era possibile prevedere chi sarebbe stato disponibile di giorno in giorno. La natura imprevedibile delle vite delle persone ha reso complicato organizzare le interviste in anticipo […]. Non c’era un numero ideale predeterminato di rispondenti; invece, seguendo un processo di campionamento, raccolta e analisi dei dati, è stata identificata una soglia di saturazione in corrispondenza della quale nessun nuovo tema emergeva. Ciò non significa che sia stata raggiunta una piena saturazione dei dati, ma che ulteriori sfumature emergenti non avrebbero alterato i risultati complessivi” (Fraser, 2020, p. 24)

 

2.2. Mappa visuale

 

Inoltre, data la natura multidisciplinare dell’equipe coinvolta, a partire dalle esperienze autentiche di una giornata di osservazione sul campo è stato possibile ricostruire un percorso socio-concettuale cui un membro del team di ricerca ha fornito una veste grafica, riportata in Figura 2. Parmentier-Cajaiba e Cajaiba-Santana (2020) corroborano l’utilizzo delle mappe visuali nella ricerca qualitativa, osservando che la svolta ‘visiva’ nell’analisi dei dati è ormai consolidata. La loro ricerca si svolge nel contesto del management; poiché, però, questi studiosi si occupano di processi nelle organizzazioni, l’equipe di ricerca che ha lavorato al presente contributo ritiene il loro approccio esportabile anche all’analisi dei processi di indagine in ambito antropologico e pedagogico.

In particolare, Parmentier-Cajaiba e Cajaiba-Santana (2020) invitano ad adottare la prospettiva di Latour (1986) e riconoscere che la conoscenza trattata dalle scienze sociali si fonda sulla nozione di ‘iscrizione’ (per noi: signatura): diverse signaturae sono passibili di ampia circolazione (mobilità) pur restando, in sé stesse, sostanzialmente invariate (immobilità). Sfruttando gli artefatti visivi, inoltre, è possibile migliorare l’alfabetizzazione scientifica del lettore e, per il gruppo di ricerca, la costruzione di tali artefatti costituisce un’occasione unica di riflessione (Parmentier-Cajaiba & Cajaiba-Santana, 2020).

Tralasciando, tuttavia, la natura estremamente schematica delle mappe visuali di tipo manageriale, è stato infine adottata l’idea di una narrativa visuale. Lapum et al. (2015) la descrivono come una tecnica che offre “una comprensione concettuale e una visione d’insieme olistica del fenomeno di studio”, capace di “rappresentare risultati [di natura] non testuale” (Lapum et al., 2015, pp. 1–2). Un sottoinsieme delle mappe narrative è l’arte narrativa, capace di stimolare il dibattito e la curiosità dei fruitori; il suo correlato scientifico è la “Mappatura Narrativa Pittorica [Pictorial Narrative Mapping]”, che consiste in una “tecnica analitica qualitativa” che enfatizza maggiormente l’elemento artistico e interpretativo della mappa e consente, all’occasione, di entrare in un ciclo di restituzione con i partecipanti, le cui vicende sono state rappresentate (Lapum et al., 2015, pp. 2–11).

 

2.3. Pedagogia critica ed etnografia

 

I due metodi precedentemente illustrati sarebbero tuttavia vuoti in assenza di un’impostazione metodologica che identifichi non solo il come della ricerca, ma anche il perché. In questo senso, il presente studio affonda le sue radici nella pedagogia degli oppressi di Freire (1974).

Green (2022) afferma che, in ottica freieriana, la pedagogia critica ha lo scopo di identificare le opportunità di emancipazione, ossia le alternative, che emergono dalle molteplici contraddizioni che governano la marginalizzazione, cioè: il contrasto locale–globale, l’opposizione agente–struttura e le aporie dei rapporti tra economia e cultura. A questo scopo, il metodo freieriano prevede di trascorre del tempo nei circoli sociali frequentati dai destinatari della ricerca e trasformarne l’esperienza quotidiana nei primi testi formativi – sovvertendo così il rapporto egemonico tipico della scolarità tradizionale (Green, 2022). Senza accogliere pienamente la visione del mondo dei destinatari dell’intervento educativo, la formazione sarebbe equivalente a un “predicare nel deserto” (Freire, 1974, p. 102). Da questo punto di vista, l’etnografia non risulta essere solamente la fonte da cui si traggono informazioni sui destinatari della formazione, ma è essa stessa formazione, ossia una forma di insegnamento che apre gli occhi al mondo dell’Altro.

Per quel che riguarda specificatamente la pedagogia critica, Kincheloe et al. (2017) rimarcano che il pedagogista critico è colui che ritiene che: il pensiero sia sempre mediato da relazioni di potere; i fatti non possano mai essere isolati dal reame dei valori; il linguaggio contribuisca alla formazione della soggettività; esista un mondo di privilegiati e di oppressi; le forme dell’oppressione possano essere imprevedibili; la ricerca standard contribuisca, almeno surrettiziamente, alla perpetuazione dei rapporti egemonici che la pedagogia critica mira a sovvertire (Kincheloe et al., 2017, p. 164). Il pedagogista freieriano, dunque, nell’immergersi nella realtà dei destinatari della formazione, agisce in veste di “problematizzatore [problem poser]”; parimenti, il ricercatore critico cerca di trasformarsi in un interprete che ricollega i fenomeni educativi cui assiste e partecipa a quegli elementi strutturali che costituiscono i vincoli alla soggettività individuale e collettiva del gruppo dei discenti (Kincheloe et al., 2017, p. 166). Così facendo, non solo il processo formativo diventa autenticamente partecipato, ma si resiste anche alla “despecializzazione” e “dequalificazione [deskilling]” di allievi e insegnanti – che i sistemi educativi “dall’alto [top-down]” tendono a relegare in posizioni parcellizzate, privandoli di iniziativa emancipatoria (Kincheloe et al., 2017, p. 166).

Alla luce di ciò, è utile ricordare che la triangolazione presunta dalla ricognizione rapida (cfr. Sezione 2.1, supra) non rappresenta un caso di triangolazione classica, in cui il dato raccolto è tabulato per individuare punti di corrispondenza e differenze; essa prevede invece una commistione dell’azione dei ricercatori che, proprio in virtù della propria multidisciplinarietà e pluralità di esperienze sono in grado di affrontare un’ontologia formativa complessa, che si svolge sotto il loro sguardo (Kincheloe et al., 2017, p. 170). È proprio per questa ragione che attività come la ricerca etnografica costituiscono un esempio principe di metodo auspicato dalla pedagogia critica di stampo freieriano (Kincheloe et al., 2017, pp. 171–173). Ciò ha anche una diretta conseguenza sulla presentazione dei risultati, che non risulteranno quindi analiticamente distinguibili dalla narrativa che costituisce la testimonianza-cardine dei ricercatori e di coloro con i quali si sono interfacciati.

 

3. Indagine etnografica

 

3.1. La visita

 

Il primo impatto con Vila Torres conferma le aspettative pre-costruite riguardanti la vulnerabilità sociale, ma suggerisce anche una storia di resistenza ed emancipazione, culminata con l’ottenimento dei servizi di base – come già anticipato da Requião (2021):

 

“Sono le nove del mattino e siamo alle porte della favela. Da un lato, un rigagnolo, poco più che un fossato, separa Vila Torres dal resto della città di Curitiba; dall’altro lato, un muro delimita gli spazi di una fra le più importanti università brasiliane, la Pontificia, chiamata confidenzialmente PUCPR. L’intera popolazione vive in stato di vulnerabilità sociale. Nonostante le condizioni di fragilità socioculturale, la caratteristica e la forza della comunità sembrano provenire dal lavoro di riciclaggio dell’immondizia che consente un livello di vita dignitoso. Si tratta di una comunità per certi versi socialmente ‘invisibile’, eppure le interazioni e le sfide che i loro problemi pongono a tutti noi sono importanti, soprattutto per i docenti della nostra Università che vi lavorano. Poiché la PUCPR è vicina a Vila Torres, in questi quasi 60 anni molti progetti sono stati sviluppati da studenti e professori dell'Università insieme a questa comunità.” (Gramigna, 2023).

 

La presenza dell’Ateneo è già di per sé un’apertura all’orizzonte freieriano. Freire, infatti, parlando del circolo gnoseologico, insegna che è proprio mentre insegniamo che apprendiamo. È in quindi in questo ambito di significato che, insieme all’umiltà, l’educatore mai deve perdere la speranza che va trasmessa soprattutto nelle situazioni di malessere e disagio sociale:

 

“Uno dei compiti dell’educatore o dell’educatrice progressista, mediante l’analisi politica, seria e competente, è svelare la possibilità della speranza – non hanno importanza gli ostacoli – senza la quale è possibile fare ben poco: lottiamo con difficoltà e, quando lo facciamo, sfiduciato o disperati, la nostra è una lotta suicida, è un corpo a corpo dal sapore di vendetta” (Freire, 2014, p. 3).

 

Queste parole riecheggiano nella Terza Missione della PUCPR, che proprio a Vila Torres ha inaugurato una serie di progetti mirati al rafforzamento, in chiave costruttivista, delle competenze locali (cfr. Sezione 4, infra).

Tuttavia, a Vila Torres, i percorsi formativi intersecano sempre quelli lavorativi, in quanto un’economia quasi di sussistenza domina il quartiere e funge quindi da regolatrice, in chiave autenticamente strutturale, dell’accesso dell’infanzia alle risorse educative:

 

“Fra il muro e la favela un angolo verde: giochi per bambini, un’altalena, uno scivolo. Qui vengono i figli dei catadores, i raccoglitori di rifiuti. Quando non lavorano. Appena fuori dalla comunità una scuola per l’infanzia accoglie i piccoli lavoratori locali, che puliscono la città e riciclano l’immondizia; più oltre, un orto dove si coltivano la frutta e la verdura consumate nella scuola e che qualche volta i genitori si portano a casa. Villa Torres è circondata da scuole di vario ordine e grado, e – s’è detto – l’Università che accoglie ogni anno un certo numero di giovani che vengono proprio da lì e che consegna, ogni giorno, i propri rifiuti alla comunità affinché vengano selezionati e rivenduti. Ogni raccoglitore che porta il proprio materiale al centro viene pagato in base alla quantità; chi, invece, lavora alla catena dello smistamento o alla pressa dell’assemblaggio riceve un compenso orario.” (Gramigna, 2023).

 

Emerge, poi, un’altra questione strutturale, già anticipata da Sgarbanti e Soncini (2016). Vila Torres, infatti, è letteralmente ‘circondata’, ‘circoscritta’, ‘contenuta. Dall’Avenida Comendador Franco, naturalmente e, dall’altro lato, proprio dal fiume che le attività economiche del secolo hanno trasformato da risorsa a minaccia:

 

“Attraversiamo un ponte che sta a cavallo dell’importante e inquinato Fiume Belém e ci addentriamo: odore pungente di rifiuti, una strada ampia accolgono carretti di ogni dimensione e tipo stracolmi di carta o lattine o plastica. Le case di muratura, per lo più di cemento con il tetto di metallo: sui davanzali, lattine arrugginite ospitano fiori sgargianti. Tutte le abitazioni sono fornite di acqua corrente e di energia elettrica. Tutt’intorno è pulito. In terra non c’è traccia dell’immondizia che qui si lavora e si trasforma in progetto” (Gramigna, 2023).

 

Come si evince, però, il fiume fa da contraltare – anche estetico – alla brulicante vita della favela. I carretti per il trasporto rifiuti non sono un sintomo di degrado, bensì evidenza della vis economica della popolazione, che ha condotto, come già menzionato, all’ottenimento dei servizi di base – obiettivo raggiunto di cui vanno molto fieri. I dettagli dello sviluppo sono rivelati da un testimone d’eccezione:

 

“Alex Santos ci viene incontro per farci da guida nel suo mondo ma, prima di tutto, ci accompagna nella sua piccola dimora attraverso uno stretto corridoio fra i muri che la separano dalle altre case, il profumo del caffè ci dà il benvenuto. Alex ci mostra orgoglioso le stanze anguste dove trascorre il suo tempo con la famiglia. Tutto è in ordine e accogliente. Racconta: ‘Qui, vedete, l’alloggio è stato costruito da un progetto sociale chiamato Construire, che è un’organizzazione non governativa che mira ad avere un impatto sulla vita attraverso la costruzione di alloggi sociali. Prima vivevamo in una casa più piccola: due stanzette e due letti per sei persone. Non c’era posto nemmeno per muoverci o per conservare il poco cibo di cui disponevamo. Non avevamo nulla, nemmeno lo spazio per disporre quel nulla. Ma siamo sempre stati felici, grati di quel poco che avevamo’.” (Gramigna, 2023).

 

Il tema della dignità, rappresentato dal soddisfacimento dei bisogni di base, ritorna anche nelle parole della madre di Alex:

 

“Dopo il caffè usciamo dalla dimora di Alex, la madre, Signora Margarida, sta spazzando la polvere proprio sulla strada. Ci fermiamo a parlare un po’ con lei. È contenta – ci dice – perché hanno una vita degna ma c’è ancora tanto da fare per migliorare, per migliorarsi. Il legame affettivo fra gli abitanti di Villa Torres rafforza con il senso di un’identità collettivo l’orgoglio di ‘pulire il mondo’ e trasformare l’immondizia in risorsa. Il senso di appartenenza a questo mondo, gli incontri quotidiani, gli scambi di saluti scandiscono un nuovo orizzonte di senso del mondo. Ci accorgiamo che possiamo osservare la realtà da questo crinale che, rispetto al nostro mondo, rappresenta la differenza radicale. La mamma di Alex non smette di sorridere e di pulire la strada dove continuamente passano carretti colmi di rifiuti” (Gramigna, 2023).

 

L’attenzione dei ricercatori si rivolge quindi alla raccolta vera e propria dei rifiuti:

 

“Andiamo nella sede della cooperativa dove si smistano i materiali. Incontriamo alcune fra le lavoratrici che selezionano e differenziano i materiali, si fermano per parlare un po’ con noi, puliscono alcune sedie sgangherate di plastica e ci offrono da bere acqua fresca. Ana, Julieta, Rosa e Claudete (la leader del gruppo, che è nata nella comunità), si parlano una sopra l’altra, ansiose di comunicarci la loro esperienza. Ascoltando le loro parole ci rendiamo conto che l’identità collettiva della comunità non è solo geografica e sociale, è anche storica. Molte ci raccontano della propria storia personale, ma subito i riferimenti la connettono alla memoria di questo mondo. Domanda: ‘Quali sono alcune tappe di questa memoria storica?’. Ana: ‘Nel 2006 abbiamo inaugurato la Festa della Pace, segno di un clima solidale. Nel 2019 abbiamo istituito il Festival dal titolo Salvare la memoria di Villa Torres, per pubblicizzare i talenti artistici dei nostri giovani, la creatività di tutti noi che, con poche risorse, cerchiamo di inventarci un’economia sostenibile’. Domanda: ‘Come documentate la vostra memoria?’. Rosa: ‘Abbiamo realizzato molte interviste con i primi abitanti della comunità e vorremmo istituire un Museo di Periferia per conservare questi documenti insieme a tanti altri che descrivono la nostra storia locale’” (Gramigna, 2023).

 

La partecipazione ad attività collaborative di quartiere, inclusa la redazione di memorie storiche, mostra una vitalità intellettuale che potrebbe sfuggire a un osservatore meno attento, concentrato esclusivamente sulla dimensione economica del lavoro delle raccoglitrici. Ciononostante, quest’ultima si palesa sempre nell’orizzonte discorsivo, anche perché fonte di preoccupazione immediata:

 

“Le nostre testimoni ci raccontano che recuperano acciaio, alluminio, cellulosa, plastica, vetro e carta, che separatamente sono venduti ad alcune industrie con cui da anni lavorano. La maggior parte dei rifiuti vengono raccolti per strada e poi condotti in questo centro di smistamento. Molti raccoglitori sono poveri, però la comunità li aiuta non solo nell’acquisto dei materiali che portano, ma anche con forme di assistenza solidali. Di certo, la vulnerabilità sociale ed economica continua ad essere alta. Ed è qui che le lavoratrici intervistate rivendicano un più consistente contributo a parte delle istituzioni sia in termini economici che giuridici. Di più, Julieta ci parla dei rischi che questo lavoro comporta: ‘Alcuni, nel raccogliere i rifiuti di feriscono alle mani perché non abbiamo a disposizione guanti che ci proteggano. Chiediamo di poter migliorare le nostre condizioni di lavoro’. Claudete invece, si lamenta che dalle istituzioni vengono enormi quantità di immondizia non adeguatamente separata. Interviene Alex a sottolineare l’importanza ecologica di questo lavoro: ‘Se non ci fossimo noi, la città sarebbe sepolta dai rifiuti, con gravi danni per la salute pubblica come per il decoro della città’. I raccoglitori lavorano sia di giorno che di notte e, naturalmente, con qualsiasi condizione atmosferica. La maggioranza percorre circa trenta chilometri diari molti dei quali trascinando carretti colmi di materiali. ‘I raccoglitori che rovistano nei cestini del centro sono invisibili agli occhi distratti dei più’, sottolinea Suzana – che nel frattempo si unisce a noi: ‘Vogliamo diventare visibili perché facciamo un lavoro degno’, conclude. Mentre le nostre ospiti parlano, pensiamo che lo sguardo delle metropoli contemporanee producono esclusione, schiacciano alcune categorie di persone nel limbo della negazione. Questi sguardi sono violenti, colpiscono gli invisibili con un implicito di non significanza” (Gramigna, 2023).

 

Quanto riferito trova pieno riscontro in Angelin et al. (2018), i quali osservano che la natura autoimprenditoriale del lavoro di raccolta e smistamento rifiuti espone chi la svolge a rischi di tipo sanitario: tossicità, agenti patogeni e traumi a seguito della manipolazione dei materiali. Lo stesso osservava Silva (2017, p. 16).

Quest’ultimo incontro ci conduce a un’osservazione conclusiva della giornata:

 

“Veniamo poi a sapere che per la grandissima maggioranza le lavoratrici e i lavoratori non hanno mai avuto un impiego formale, nonostante tutti i testimoni dichiarino di aver cominciato a lavorare sin dall’età di 6‍–‍7 anni e di non avere potuto beneficiare di una scolarizzazione regolare. Pertanto, questo lavoro – pure difficile e poco valorizzato – ha il grande merito di offrire loro dignità e riscatto. Nessuno, tuttavia, dichiara di essere analfabeta” (Gramigna, 2023).

 

3.2. Interpretazione

 

L’illustrazione di questa giornata è esemplificativa, ma anche esaustiva. Così come il 24 Aprile 2023, anche nelle altre occasioni sono emersi i medesimi temi e la medesima attitudine, poliedrica, energica, consapevole e carica di speranza che ha caratterizzato l’incontro dei ricercatori con le lavoratrici. Quali sono le riflessioni sollecitate dalla visita alla favela?

In primo luogo, si corrobora quanto già illustrato circa la valenza formativa del metodo etnografico (cfr. Sezione 2.3, supra). L’approccio etnografico ha aiutato a intercettare i miti del contesto di provenienza dei ricercatori, così come di quello esplorato. In secondo luogo, vi è l’emergere di vari temi.

Il tema principale che emerge è quello della dignità, marxianamente collegato al raggiungimento di uno standard minimo di benessere, ma sovrastrutturalmente articolato anche in termini di valori collettivi: “Se non ci fossimo noi – diceva Alex –, la città sarebbe sepolta dai rifiuti”. L’identità si rafforza quando qualcuno ha bisogno di noi. Un aspetto importante nella costruzione delle comunità locali è la rigenerazione della cultura identitaria. A questo proposito, Berry (1988) sostiene che quando la cultura locale viene rafforzata, può esercitare una sorta di forza centripeta che collega il terreno alla memoria (Hathaway & Boff, 2012, p. 484).

Il secondo tema è quello del progetto di vita”, marcatamente pedagogico. Un progetto di vita che passa attraverso una Pedagogia della speranza (Freire, 2014), perché l’educazione o è pratica di libertà (Freire, 1997) verso un mondo migliore o è una menzogna: “non esiste parola autentica – afferma Freire – che non sia prassi. Quindi pronunciare la parola autentica significa trasformare il mondo” (Freire, 1974, p. 91). Al riguardo, Freire postulava l’intreccio tra educazione e politica, senza il quale nessuna trasformazione risulterebbe autenticamente possibile. Di qui, un umanesimo configurantesi nell’essenza democratica del dialogo, che richiama l’intramontabile lezione socratica. Quest’ultima non si tratta soltanto di comunicazione tra persone che scambiano idee verbalmente, ma piuttosto di “insegnare a pensare con certezza […] qualcosa che si fa e si vive mentre se ne parla con la forza della testimonianza” (Freire, 1997, p. 38). È infatti nel dialogo che i soggetti apprendono e comprendono come trasformare il mondo, impresa che risulterebbe impossibile se l’educazione si riducesse a mero addestramento (Delgado Granados, 2016, p. 140). Ritornando alla distinzione freiriana tra verità e menzogna, è proprio il fascino della parola autentica, che affonda le proprie radici nel messaggio evangelico così come nella famosa undicesima tesi marxiana su Feuerbach – “I filosofi hanno solo diversamente interpretato il mondo ma si tratta di trasformarlo(Marx, 1888, p. 62) –, a rendersi manifesta fra le vie di questa comunità.

Ciò conduce al terzo tema individuato dalla ricognizione rapida, cioè l’idea di testimonianza. Essa è intesa sia come ottenimento di un congruo livello di visibilità. Nelle parole di Suzana: “vogliamo diventare visibili” (Gramigna, 2023). Vince la lotta per la presenza “l’eroe che ha saputo portarsi sino alle soglie del caos e che ha saputo stringere un patto con esso” (Candelieri, 2007; De Martino, 2003, p. 94). Per questa ragione, Freire è in grado di associare “forza” e “testimonianza”: quest’ultima, quasi evangelica, rappresenta una presa di posizione, cioè la scelta da che parte stare e, pertanto, è una scelta di forza, perché si traduce in un vivere che non ammette equivoci. Per questo lo scopo dell’educazione, per Freire, non è quello di abbassare l’indice di analfabetismo dei ceti poveri attraverso una “alfabetizzazione puramente meccanica” (Freire, 1997, p. 31) che vuole ottenere l’effetto dell’inclusione, bensì di lottare affinché il superamento dell’analfabetismo riesca a porre fine all’inesperienza democratica degli oppressi. Ciò non significa trascurare gli apprendimenti strumentali, rivolti a dare forma alle abilità che ognuno possiede e indispensabili in ogni contesto sociale, ma renderli mezzi al servizio di una intelligenza culturale democratica in quanto dialogica.

Analoga alla questione della presenza e della testimonianza è quella del riconoscimento. Ricoeur, uno dei massimi interpreti del nostro tempo, spiegava:

 

“Essere educati a donare, dove la scelta verte sulla possibilità di essere riconosciuti nell’atto di compiere il primo passo verso l’altro, implica il saper scorgere nell’agape il valore della parola che dichiara e proclama il comandamento dell’amore” (Ricœur, 2005, pp. 251–252).

 

Nel nostro caso, il riconoscersi con gli ultimi è l’atto fondamentale volto a individuare una sofferenza che accomuna; ma il messaggio va oltre, nella direzione della lotta emancipatrice e della libertà come conquista progressiva e mai definitiva. E qui ci tornano in aiuto, ancora una volta, le parole di Freire:

 

“Ciò che soprattutto mi porta ad essere etico è sapere che l’educazione per sua natura è direttiva e politica; perciò, io devo saper rispettare gli educandi, senza mai negare loro il mio sogno o la mia utopia. Difendere con serietà, con rigore, ma anche con passione una tesi, una presa di posizione, una preferenza, stimolando e rispettando, al tempo stesso, il diritto al discorso opposto, è la miglior forma di insegnare, da un lato, il diritto di avere il dovere di lottare per le proprie idee, per i propri sogni (e non solo imparare la sintassi del verbo avere) e, dall’altro, il rispetto reciproco” (Freire, 2014, p. 67).

 

3.3. La necessità dell’approccio artistico-narrativo

 

A drawing of a city

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Figura 2. Mappa visuale della giornata di ricognizione 24 Aprile 2023 a Vila Torres (Camargo, 2023).

 

Come si suole nelle ricognizioni rapide (cfr. Sezione 2.1, supra), il gruppo di ricerca ha avviato diverse iterazioni riflessive sull’attività svolta. Una di queste è rappresentata dalla mappa visuale di cui alla Figura 2 che, come già anticipato, costituisce un caposaldo metodologico dello studio in atto. Qui, l’approccio etnografico si apre alle possibilità dell’estetica, dell’arte, dell’etica, perché fa leva sul qualitativo, sulla fenomenicità dell’evento, sulla differenza e sulla relazione. Per questa ragione, la proposta di un design di ricerca presentato come metafora visuale.

Il disegno che qui riportiamo (Figura 2) evoca il richiamarsi a una realtà che sempre sfuma la sua finitezza in qualcosa d’altro che le somiglia, cui allude, che evoca – ma che è altro e altro ancora. Abbiamo giocato la sua specificità intorno al paradigma della differenza, perché la nostra pedagogia privilegia il comprendere rispetto allo spiegare (cfr. Riedel, 1989), perché mira ad interpretare, sentire, studiare, narrare... È questa estetica che ci aiuta a percepire l’unità del reale e a non perderci nella sua complessità. L’immagine rappresenta l’emblema qualitativo di questa sensibilità: è politica e strategia scientifica, ma anche ‘sguardo’ artistico, cangiante e onirico, concreto e irriducibile. In questo contesto, il design è considerato come oggetto culturale veicolo di consapevolezza nei processi decisionali del consumo e del rifiuto. È un fenomeno che mette in relazione gli individui e la loro identificazione con le merci come anche la responsabilità etica per la creazione di progetti con problemi di sostenibilità.

L’uso di questa soluzione di design ha sollevato il grande tema del ruolo educativo dell’arte. Il problema della bellezza e della sensibilità che essa richiede conduce ad un grande nodo educativo. Aisthesis (αἴσθησῐς), che è la radice etimologica di ‘estetica’, è la sensazione che i sensi ci regalano, ma è anche la conoscenza che ricaviamo da tale sensazione (Brudzińska, 2009). Nell’antichità, la conoscenza si presenta associata all’idea del piacere perché porta all’esperienza del bello, sia esso artificiale, ossia prodotto dall’uomo, o naturale. La ragione ha bisogno della bellezza perché senza la sua luce armoniosa rischia di diventare unilaterale, tirannica, strumentale. Rischia di allontanarsi pericolosamente sia dalla verità che dalla bontà. Rischia di precipitare nella ricerca miope dell’utile immediato, del profitto egoista e di smarrire, in una falsa idea di progresso. L’esperienza estetica è piacere e conoscenza ad un tempo. in sintesi, la categoria di estetica che sorregge l’impianto di queste riflessioni è duplice, riferendosi sia al concetto greco classico di ‘dottrina della sensibilità’, riveduta nella prospettiva kantiana di intuizione del mondo esterno e dell’esperienza interiore (cfr. Shabel, 2010), sia al concetto di matrice settecentesca, di dottrina della bellezza e dell’arte (cfr. Guyer, 2020). L’esigenza di uno sguardo capace di cogliere entrambe le prospettive è connessa alla tensione formativa: non si può educare alla bellezza senza educare i sensi a coglierla, così come non si produce arte senza affinamento della sensibilità. Ecco, l’intento che soggiace alla mappa visuale è propriamente educativo, auto-educativo e liberatorio. Kant riteneva che l’educazione alla bellezza non potesse trovare fondamento in alcun manuale, l’unica strada praticabile doveva essere quella della vicinanza al bello, della sua contemplazione ripetuta fino a fissarne degli exempla, immagini e schemi di riferimento formativo (Kant, 1987, p. 187).

 

4. CONNECT: prospettive pedagogiche per lo sviluppo di Vila Torres

 

Il senso di unità, di appartenenza e di riscatto, rappresentano la base sulla quale prende vita la Pedagogia della speranza (Freire, 2014), cui si ispirano i progetti culturali che alcune ONG che si raccordano agli studenti e ai professori della Pontificia Università Cattolica del Paraná (per esempio, NCEP, 2020). La vicinanza dell’Ateneo PUCPR alla favela di Vila Torres, dettata dalla topografia non-lineare di Curitiba, ha favorito un clima di opportunità per l’implementazione di progetti di sviluppo locale. Le Università, del resto, sono tra i promotori principali delle attività di supporto all’economia solidaristica pubblica (Silva, 2017, p. 38). Lo scopo è identificare le forze della comunità, cercando di costruire la fiducia, dando priorità ai processi, promettendo solo ciò che è possibile realizzare e cercando di dare voce e senso di appartenenza e speranza.

 

4.1. Descrizione di CONNECT

 

Uno di questi progetti si chiama CONNECT ed è finanziato dalla Commissione Europea attraverso il programma di ricerca e innovazione Horizon 2020, Grant Agreement No. 872814. È stato selezionato per concludere il presente contributo perché la sua implementazione a Vila Torres ha comportato proprio una restituzione di quella consapevolezza ‘visuale’ che ha caratterizzato la fase iterativa dell’esperienza etnografica sopra illustrata. Nelle parole di alcuni dei suoi operatori:

 

“[Il progetto] ha lo scopo di sostenere le azioni scientifiche, coinvolgendo insegnanti, studenti, imprese, professionisti delle scienze, università, comunità e famiglie. È associato a un gruppo di ricerca di un Corso Post-laurea in Pedagogia presso un’università di grande rilievo a Curitiba” (Trindade et al., 2022, p. 3).

 

Il riferimento è all’Associação Paranense de Cultura, consorziata con dieci istituzioni di sei Paesi europei e del Brasile (Connect, 2024a), nonché organo costituito dal Grupo Marista il 31 Dicembre 1950 per finanziare la PUCPR (‘Apresentação’, 2022). Questa rete di ricerca internazionale fornisce risorse educative aperte a disposizione di insegnanti, studenti, famiglie e altri portatori d’interesse, con l’obiettivo di supportare la crescita personale e professionale attraverso strumenti di auto-riflessione.

I cardini del progetto sono: scuola aperta, scienza-azione e scienza partecipativa (Connect, 2024b). I materiali sono diffusi su una piattaforma dedicata (EXUS, 2024). Il progetto CONNECT fa riferimento al “modello del capitale scientifico”, che si pone l’obiettivo di aumentare il numero degli studenti di formazione scientifica attraverso pratiche basate sul costruttivismo sociale (Connect, 2024b). Il progetto mira a supportare le scuole nello sviluppo delle propensioni alle discipline scientifiche. Si ritiene che tali competenze debbano essere impiegate nella sostenibilità del pianeta, affrontando dilemmi e problemi socio-scientifici nel curriculum scolastico, in collaborazione con le famiglie, le aziende, la comunità e, soprattutto, gli scienziati. Le attività includono esperienze pratiche, esperimenti, dibattiti, giochi, analisi dei dati, uso della tecnologia, tra gli altri. Inoltre, scienziati, ricercatori universitari e professionisti del mercato del lavoro visitano le scuole per tenere laboratori scientifici, conferenze, simposi e altri eventi in modo che gli studenti possano conoscere meglio il mondo scientifico.

Una prima azione, attinente al progetto CONNECT nel suo complesso, è stata la creazzione di un MOOC intitolato Connect scientific actions and open schooling. Organizzato in sette moduli e disponibile a partire dal 9 Febbraio 2022, il corso ha lo scopo di sviluppare nel corpo docente le capacità di pensiero scientifico. In aggiunta a ciò, il lavoro di CONNECT si estende ad allenatori sportivi, scienziati e politici, nonché più di 3.000 studenti e 200 insegnanti degli Stati di Paraná e Santa Catarina. Per sviluppare questo progetto, il lavora ha coinvolto 40 scuole del Brasile meridionale e affrontato temi legati alla salute e all'ambiente (Trindade et al., 2022).

 

4.2. Azioni CONNECT a Vila Torres

 

Limitatamente a Vila Torres, le attività hanno coinvolto 127 studenti, 27 insegnanti, nonché ulteriore personale amministrativo ed educativo. Parte del progetto CONNECT è realizzato in un Centro Educativo che coinvolge bambini dai quattro (4) ai cinque (5) anni di età, che lo frequentano a tempo pieno. Si tratta dei figli di raccoglitori di materiali riciclabili, lavoratori a giornata e famiglie che sopravvivono con un salario ben al di sotto di quello che viene considerato il minimo sindacale. Altre attività sono state svolte con studenti dai dieci (10) ai quattordici (14) anni (Connect, 2024c).

In linea con l’approccio pedagogico freieriano (Trindade et al., 2022, p. 12), il lavoro è inizialmente sorto come forma di volontariato che ha determinato l’inserimento di agenti di comunità, nel tentativo di avvicinare l’Università (PUCPR) alle reali esigenze del contesto socio-ambientale. Grazie a CONNECT è stato quindi possibile dare continuità alle attività formative, in precedenza manifestatesi solo come iniziative individuali di alcuni docenti: integrandole in una più ampia progettazione di stampo costruttivista, beneficiano della rete e costituiscono anche un’opportunità euristica in campo pedagogico.

Lo stile educativo di CONNECT a Vila Torres è prevalentemente non formale e caratterizzato da un aspetto estetico che si riconduce, idealmente, alla dimensione metodologica visuale adottata dal gruppo di ricerca che ha condotto l’etnografia della favela (cfr. Sezione 2.2, supra). Nel concreto, questo aspetto ‘estetico’ è stato realizzato attraverso la creazione di murales presso un Giardino Collettivo Pedagogico già presente nel quartiere (Horta Educativa Sementes do Amanhã - Vila Torres, 2020, sc. 01:00), di murales presso l’ONG “Organização para o Desenvolvimento do Potencial Humano” (ODPH) e di ulteriori mappe visuali (Connect, 2024c) analoghe a quella qui illustrata (Figura 2). Queste attività di disegno condiviso, sia di tipo cartaceo che murale, hanno sollecitato, secondo Trindade et al. (2022) uno sviluppo prossimale di tipo vygotskijano favorendo la formazione di concetti spontanei.

Esperienze di questo tipo, fondate sulla partecipazione etnografica alla vita di Vila Torres, costituiscono lo sviluppo coerente di quanto assodato grazie all’approccio critico freieriano. Tali casi, che sono qui portati a titolo d’esempio e che avranno nella piattaforma CONNECT lo spazio più appropriato per la diffusione dei risultati raccolti, costituiscono esempi di realizzazione attiva a seguito dell’ascolto delle esigenze della comunità.

Shea si chiedeva “come vogliamo vivere nel futuro?” e quali sono le strategie per il cambiamento sociale (Shea, 2012, p. 7)? Cerchiamo, attraverso l’arte, di stimolare la sensibilità e la percezione degli spazi e di vincere il sentimento di rassegnazione che spesso coglie chi vive in favela. Un altro obiettivo riguarda il processo di coscientizzazione delle dinamiche socioculturali che sono alla base delle condizioni di vita della comunità, ma anche il rafforzamento della spiritualità, che è nel carattere tras-formativo della conoscenza estetica (Righetti, 2000). Secondo Krenak (2020), l’idea che noi Umani decolliamo dalla Terra, vivendo in un’astrazione civilizzatrice, è assurda. Questa idea opprimerebbe la diversità, in quanto nega la pluralità delle forme, dell’esistenza e delle abitudini – offrendo, insomma, lo stesso linguaggio a tutti. Secondo l’autore, sarebbe necessario educare la nostra capacità critica e creativa per costruire “paracaduti colorati”, come un modo “artistico” per raccontare il mondo (Krenak, 2020, p. 22).

 

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[1] Per un’attenta critica post-coloniale dei concetti impiegati dall’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica (IBGE), si rimanda a Osorio (2003).